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Autore: Prinzesschen    21/06/2014    2 recensioni
Niente è mai come sembra ed Hannah Kane lo avrebbe imparato a sue spese. Tutto comincia con un curioso incontro sotto la pioggia, un cagnolone dal pelo nero ed arruffato sconvolgerà la vita della giovane avvocatessa colmando la solitudine di una casa sempre vuota e riscaldandole il cuore con un pizzico di inaspettata magia.
Un latitante, un evaso in cerca di redenzione per una colpa che non ha mai commesso e che gli brucia l'anima graffiando il suo cuore dall'interno e procurandogli ferite che solo una giovane ed insolita donna in carriera saprà curare.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sirius Black
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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furry love 6 new

Furry Love

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6- There's a nail in the door
And there's glass on the lawn
Tacks on the floor
And the TV is on
And I always sleep with my guns
When you're gone

La mattina dopo mi svegliai e trovai la casa di nuovo silenziosa e deserta, Sirius non avvertiva mai quando andava via, cosa che peraltro era più che plausibile considerato che si supponeva io non avessi un coinquilino a parte il mio grosso cane nero.
Nessun biglietto, nessun cenno a quando avrebbe fatto ritorno.
La giornata a lavoro trascorse lenta e pesante quasi quanto il mal di testa che mi trapanava il cervello, reduce dalla sbornia della sera prima; come se non bastasse la colonna sull’agenda pullulava di appuntamenti ai quali non potei sottrarmi e ricevetti tre clienti di fila per un totale di sei ore no-stop di consulenza legale.
Quando l’ultimo, un automobilista indispettito per essere stato più che giustamente multato, se ne fu andato mi abbandonai sulla scrivania, con la testa completamente vuota e gli occhi pesanti.
-Hannah, sei occupata?- mi chiese Joanne facendo capolino oltre la porta con l’aria mortificata di chi sapeva perfettamente che quel giorno non avevo avuto neanche il tempo di andare a mangiare un boccone.
-Si, Jo, sono occupata a richiamare all’ordine i miei neuroni che stanno meditando di suicidarsi, uno dopo l’altro.-
-L’avvocato Russell vorrebbe parlarti. Io sto andando via, lo faccio entrare?-
Qualsiasi cosa volesse Jason da me e qualunque fosse la ragione per cui si era persino fatto annunciare io non avevo assolutamente la forza per darmi una risposta e mi limitai ad annuire, mesta, pregustando già la calma di casa mia cui avrei, forse, fatto ritorno di lì a poco.
Un lieve bussare precedette l’ingresso di quello che, erroneamente, pensavo essere Jason.
-Permesso.-
Richard Russell entrò nella stanza con il suo solito passo elegante, le mani affondate nelle tasche e un portamento fiero che ricordava tremendamente quello del figlio.
-Avvocato Russell.- scattai in piedi e feci cenno alla poltrona che avevo liberato, invitandolo a prendere il mio posto come era usanza fare quando si riceveva un collega o, in questo caso, un superiore o presunto tale.
-Stia comoda, non scalpito all’idea di tornare dietro una scrivania. Avrei continuato ad esercitare se avessi voluto farlo.-
Si sedette di fronte a me che per l’ennesima volta nelle ultime settimane mi ritrovai incapace di dire alcunché; ero sempre stata una gran chiacchierona, persino petulante e potenzialmente pericolosa armata della temibile lama dell’oratoria ma tutte le cose che mi erano successo e le assurdità di cui ero venuta a conoscenza mi impedivano di agire o pensare razionalmente.
Per quel che ne sapevo quell’uomo che per tanto tempo mi era sembrato solo un avvocato bastardo e incredibilmente cinico avrebbe potuto sfoderare una bacchetta e farmi fuori senza neanche il tempo di dire “magicabula”.
-In cosa posso aiutarla, avvocato?- chiesi cercando di nascondere quel tumulto di emozioni che infuriavano nel mio petto, prima fra tutte la paura.
-Ci tenevo a scambiare qualche parola con lei, avvocato Kane, è una donna intelligente e brillante e questi sono tempi difficili.-
-Sono lusingata dai suoi complimenti ma non credo che sia questo il fulcro della questione.- ribattei, diretta.
-No, non lo è. E questi complimenti non provengono da me, bensì da mio figlio. Ritengo che l’amicizia di Jason sia per lei un gran vantaggio e le assicuro che se non fosse per lui non sarebbe ancora dietro questa scrivania.
Furbo, il boss. Nonostante a chiunque quelle parole avrebbero fatto pensare ad una sfiducia di carattere professionale e ad un potenziale licenziamento era chiaro come il sole che, fosse stato per lui, io non sarei stata né dietro quella scrivania né in nessun altro posto se non tre metri sotto terra.
-Dovrei ringraziarlo, allora? O forse è la mia buona stella che devo..-
-Non so come abbia fatto ma ho i miei sospetti e scoprirò cosa c’è sotto, quant’è vero che mi chiamo Richard Russell.-
-Non sono più tanto certa neanche di questo.-
-Le consiglio di tenere la bocca chiusa e di tenersi strette le giuste amicizie.- disse alzandosi e raddrizzando il mio tagliacarte con fare casuale.-La ruota gira e la fortuna non sarà sempre dalla sua. C’è chi la vuole qui ancora meno di quanto non la voglia io.-
-La ringrazio per i preziosi consigli, avvocato. E’ sempre utile il parere dei più saggi.-lo liquidai, gelida, senza sollevare altro che lo sguardo.

Quando quella sera rientrai a casa Sirius non era ancora tornato e dopo aver trangugiato mezza vaschetta di gelato mi abbandonai sul letto senza curarmi di disfarlo. Il verso delle cicale fuori dalla finestra socchiusa mi cullò e mi ritrovai in uno stato di dormiveglia confuso ed agitato. Ombre scure vorticavano davanti ai miei occhi cercando di afferrarmi ed io tentavo di evitarle ma sentivo le mie mani bloccate contro il materasso come avvolte da grosse catene.
Non sembrava più un sogno ed una delle ombre si stava avvicinando, la sentii ridere, crudele, e cominciai a scalciare per allontanarla, sferrando goffi pugni con le mani magicamente libere.
-Hannah, svegliati.-
Aprii di scatto gli occhi e mi ritrovai davanti quelli turbati di Sirius che mi aveva bloccato i polsi e li teneva stretti senza farmi male.
-Era solo un incubo.-
Strinsi gli occhi e mi portai a sedere, a gambe incrociate, al centro del letto passandomi le mani un po’ tremolanti tra i capelli e notando che la mia fronte era imperlata di sudore freddo.
-Scusami.- borbottai, afflitta, e lui posò una mano sulla mia spalla.-Quando sei tornato?-
-Poco fa. Ero di là a guardare un po’ di roba su quello schermo magico quando ho sentito dei rumori e ti ho trovata..così.-
Sembrava sinceramente dispiaciuto e mi sforzai di sorridere, voltandomi verso di lui.
-E’ successo qualcosa, mentre non c’ero?-
-Niente di che. Sono solo troppo tesa.-
Non volevo fare la parte della fifona, la scenetta della sera prima bastava e avanzava per farmi sembrare una sciocca ragazzina influenzabile ed esagerata.
-Stai mentendo.-
Corrugai la fronte, rivolgendogli un’occhiata interrogativa.
-Quando dici una bugia fai una smorfia strana, lo fai sempre.- si giustificò, sorridendomi rassicurante.-Sarò pure stato un ammasso di pelo per la maggior parte del tempo ma mi divertivo ad osservare le tue espressioni quando parlavi al telefono con i tuoi.-
Emisi un piccolo sbuffo divertito, incredula, scuotendo il capo e puntando lo sguardo alla parete di fronte nella speranza che il discorso cadesse lì e non mi chiedesse nient’altro.
-La verità?-
-Oggi ho ricevuto una visita da parte di Richard Russell che mi ha neanche troppo velatamente minacciata. Sospetta qualcosa, forse faresti meglio a..- le parole mi morirono in gola. Non volevo che andasse via.
Era già abbastanza triste trovare di nuovo la casa vuota quando spariva per andare chissà dove mentre quando c’era mi teneva compagnia, rallegrava e riempiva quel posto rendendolo mille volte più accogliente e caldo.
-Che cosa ti ha detto? Che voleva da te?-
-Informarmi che se ho ancora la testa attaccata al collo è solo grazie alla mia amicizia con suo figlio e qualche strano aiuto esterno di cui scoprirà presto la natura.
-Non permetterò che ti facciano del male, Hannah.-
-E’ proprio questo il punto, Sirius. Per il momento nessuno di loro mi associa a te ma non voglio che tu ti esponga rischiando di essere scoperto per colpa mia.-
-Neanche i Mangiamorte sanno che sono un Animagus, al momento. Ho ancora il mio travestimento pulcioso.- mi zittì cercando di alleggerire la tensione.
Fuori dalla finestra il cielo era ancora scuro sentii di nuovo il corpo pesante ed abbandonato.
-Dormi, adesso.-
Fece per alzarsi ma io lo bloccai, tirandolo per una manica della camicia. Si voltò immediatamente come se avesse previsto già quel mio gesto: non sapevo come chiedergli di restare, ero sempre stata troppo orgogliosa e rigida per richieste come quella ma il pensiero di ripiombare in quegli incubi da sola mi faceva rabbrividire.
Fortunatamente non ci fu bisogno di parole, fece il giro del letto e si stese accanto a me, rigorosamente senza sfiorarmi e lo ringraziai infinitamente per quel riguardo che mi dimostrava.
Sorrisi, la testa premuta contro il cuscino, e l’ultima sensazione che provai prima di addormentarmi fu la sicurezza che il suo corpo adagiato a pochi centimetri da me mi trasmetteva.

Non appena riaprii gli occhi lo sguardo mi cadde sulla sveglia che segnava le dieci passate e mi tirai a sedere, allarmata.
-Cazzo.
Sgambettai sul letto scavalcando la sagoma dormiente di Sirius e gettandomi all’impazzata sui cassetti alla ricerca di un abbinamento veloce meno improbabile possibile.
-Che diavolo t’è preso?- biascicò l’uomo rotolando sulla schiena e strofinandosi gli occhi arrossati dal sonno.
-Sono in ritardo! Più che in ritardo!- la mia voce aveva un non so che di disperato mentre immaginavo lo sguardo di rimprovero che Joanne, Jason e Kate mi avrebbero rivolto una volta entrata allo studio, in ritardo per l’ennesima volta e con un sacco di scartoffie impunemente ignorate ed impilate sulla scrivania.
-E’ sabato, razza di psicotica babbana bionda.- sbottò, indignato, prendendo un cuscino e premendoselo sulla faccia.
Mi bloccai con in mano una maglietta azzurra che prontamente rigettai nel cassetto, richiudendolo con un tonfo e tirando un sospiro di sollievo.
-Hai ragione.
Un grugnito mi giunse in risposta da sotto il cuscino e senza smettere di sorridere mi riavvicinai al letto, decisa a riprendere il mio riposino da dove l’avevo interrotto.
-Non ci provare.
-Prego?
Gettò di lato il cuscino e si sollevò sui gomiti. Notai che aveva tolto la camicia, probabilmente per la temperatura troppo calda che continuava a tormentare gli abitanti del quartiere, e percorsi con lo sguardo il suo petto non esattamente scolpito ma definito, non aveva neanche un filo di pancetta di troppo, le spalle magre erano ampie e la pelle scura.
-Quando avrai finito di consumarmi con lo sguardo per ragioni a me ignote, gradirei che preparassi qualcosa per colazione. E’ il minimo che tu possa fare dopo avermi svegliato passeggiandomi addosso di sabato mattina.
-Despota. Se non fosse per me vivresti sotto un ponte in mezzo ai ratti.
-Almeno non loro mi avrebbero svegliato con l’irruenza di una ruspa fuori controllo.
Feci schioccare la lingua sul palato e sparii in cucina per preparare la colazione. Preparai alcune fette di pane tostato e quando Sirius entrò in cucina ne tenevo già una stretta tra i denti mentre armeggiavo con la caffettiera.
-Grazie per avermi aspettato, avvocato.-
-Non è mica colpa mia se sei di una pigrizia inaudita, si stavano raffreddando. Toh.- gli porsi un barattolo di marmellata e poi zuccherai il mio caffè, lui lo prendeva amaro e ormai lo sapevo bene.
Facemmo colazione in silenzio e l’atmosfera che si era ricreata aveva un non so che di familiare ed intimo, complici l’aroma di caffè che invadeva l’aria, mescolandosi a quella del pane tostato, e il continuo ronzio del frigo che, come ripetevo da giorni, avrebbe avuto bisogno di un pizzico di magia. Agli occhi di chiunque ci avesse visti in quel momento saremmo sembrati una coppia serena intenta nelle ordinarie faccende quotidiane.
Il rumore del campanello ruppe l’idillio del momento e scattai in piedi, non avevo idea di chi potesse essere e ringraziai il cielo di aver indossato una tuta, quella mattina, invece che una delle solite t-shirt.
-Jason! Che ci fai qui?-
Jason Russell mi fissava oltre la soglia con un sorriso ammiccante dei suoi e le mani occupate: in una stringeva una carpetta di lavoro e nell’altra una busta dello Starbucks.
-Ho ritirato una copia della perizia giudiziale del caso Barnes e dato che alla prossima udienza dovrai sostituirmi ho pensato di portartela.-
-Di sabato mattina?-
-L’udienza è lunedì, Kane.-
Non avendo altre obiezioni da opporgli mi feci da parte per farlo entrare e immediatamente il pensiero di Sirius comodamente seduto al tavolo in cucina mi fece raggelare.
-Ehm.. potremmo sederci qui!- proposi indicando il salotto.-
-Non fare la formale, Kane, ho portato i muffin dello Starbucks. Non vorrai sporcare ovunque?-
Continuò imperterrito a procedere verso la cucina ma fulminea mi parai davanti a lui simulando un sorrisino innocente.
-C’è un sacco di confusione, ieri ho fatto tardi e..-
-Ho visto la tua cucina in condizioni disastrose, si può sapere che ti prende?
-Non è gentile farmelo notare, Russell, sai?- non potei trattenermi dal rispondergli con tono piccato rimuginando su quella affermazione a mio parere profondamente ingiusta quando Rain corse verso di me per poi darmi un colpetto con i muso, come a volermi tranquillizzare.
Mi permisi di respirare e seguii Jason, che non aveva minimamente accennato ad ascoltare neanche una mia parola, in cucina.
-Et voilà!-
Aprì la busta e tirò fuori tre tipi di muffin dall’aria incredibilmente soffice che sembravano urlarmi “mangiaci, siamo tuoi!”. –Quello al cioccolato è mio, attento a quello che fai!
Rise e prendendolo con un tovagliolo mi porse l’oggetto dei miei desideri.-A lei.-
-Avresti potuto darmela ieri, la perizia, avrei avuto più tempo per leggerla e dubito che tu l’abbia ritirata di sabato mattina. Sbaglio?-
Il mio tono vagamente inquisitorio dovette infastidirlo perché sbuffò sonoramente rivolgendomi un’occhiata scocciata.
-Frena le seghe mentali, Kane. E’ vero, l’ho ritirata ieri ma non sono passato affatto dall'ufficio, avevo un sacco di faccende da sbrigare. Non ogni mia azione è diretta a circuirti o sabotarti, sai?-
-Il più delle volte. Non dovrebbe sorprenderti la mia diffidenza.-
-Se avessi voluto circuirti davvero ci sarei già riuscito da un pezzo. Peccato che io sia un uomo così corretto.- sospirò, passandosi un tovagliolo sulle labbra.
Mi limitai ad una smorfia poco convinta e afferrai uno strofinaccio per togliere le briciole dal tavolo.
-Esci con me stasera.-
-Ecco, non avevo dubbi che ci fosse qualcosa sotto questa inaspettata visita mattutina.- ribattei, rassegnata, mantenendomi ad una certa distanza da lui.
Non potevo negare che il suo corpo esercitasse sul mio una attrazione non indifferente e che mi era capitato più di una volta di pensare a cosa sarebbe successo, quella sera, se le cose fossero andate diversamente.
-Ti porto a mangiare indiano. Ci stai?-
-Ne abbiamo già parlato..-
-Se davvero ritieni che qualsiasi cosa ci sia tra noi sia sbagliata e soprattutto se sei certa di poterne fare a meno non avrei alcun problema ad uscire con me. Mi comporterò bene.-
-Perché sei così ostinato?- lo chiesi abbassando lo sguardo e dondolandomi da un piede all’altro, ripetutamente, combattuta e infastidita dalla forte voglia di accettare che premeva all’altezza della gola per uscire sotto forma di assenso.
Era parecchio egoista da parte mia ma probabilmente si trattava di un ragionamento in linea con la logica femminile: Jason mi faceva sentire desiderata e non solo per il mio corpo. Ogni donna ha continuamente bisogno di essere rassicurata riguardo la propria femminilità, la propria capacità di attrarre con la mente e con tutto il resto ed io non facevo di certo eccezione.
-Perché per me qualcosa è cambiato e vorrei tanto farti capire che può cambiare anche per te. Esci con me. Dopotutto quante volte siamo usciti insieme in anni ed anni di amicizia?-
-Hai detto bene, amicizia. Non mi sembra che sia questo che hai in mente.-
Mi strinsi le braccia intorno al petto come a volermi proteggere dal suo sguardo indagatore mentre ponderavo la possibilità di accettare o meno.
-D’accordo ma ricordati che hai promesso di comportarti bene!- lo minacciai puntandogli contro l’indice e a quel gesto lui alzò le braccia in segno di resa con un gran sorriso stampato sul volto.
-Sono un uomo di parola.-

La sera arrivò troppo velocemente per i miei gusti e mi trovavo di nuovo immersa in quel silenzio pesantissimo che governava tra le mura di casa; Sirius si era di nuovo volatilizzato e vanificando la mia aspettativa di un battibecco epico riguardo il mio appuntamento con Jason, magari non aveva neanche ascoltato la conversazione.
Passai le mani sulle pieghe del leggero vestito che indossavo e agitai le dita dei piedi fissando le scarpe basse che avevo scelto e chiedendomi se la dimensione hobbit avrebbe scoraggiato Jason; afferrai una catenina per metterla al collo e cominciai ad armeggiare con la chiusura contorcendomi e cercando di beccare l’anellino.
-Lascia, faccio io.-
Sirius avanzò verso di me, stranamente pacato, e si posizionò alle mie spalle scostandomi i capelli e adagiandoli su una spalla per poter agganciare la collana.
-Grazie. E’ inquietante il fatto che tu possa entrare in casa senza preavviso comparendo dal nulla.-tentai di fare conversazione, a disagio sotto il suo sguardo insolitamente freddo.
-Non sbucherò dal nulla in momenti poco opportuni, se è questo che temi. –ribattè, con nonchalance, sedendosi sul bordo del letto.-Anzi stanotte sarò fuori per occuparmi di alcune cose così non dovrai..-
-Stanotte? Ma sei appena tornato!- mi voltai per fronteggiarlo, allargando le braccia e sentendomi infinitamente stupida. Non doveva rendere conto a me dei suoi spostamenti, questo era certo.
-Dubito che tu voglia trovarmi in giro per casa quando tornerai con Russell.-
Aveva pronunciato quelle parole con tono spaventosamente acido ed irruento spostando lo sguardo al pavimento per non incrociare i miei occhi, increduli.
-E’ questo il problema? E poi.. da quando lo chiami con il suo nome e non.. cretino, femminuccia, damerino o che so io?-
-Da quando ho capito che a te importa e che non sono nessuno per sbucare dal nulla e giudicare la gente che ti circonda.-
Restai spiazzata dalle sue parole e in qualche modo mi resi conto che quella convivenza aveva creato un legame particolare, tra di noi, che non aveva niente a che fare con qualsiasi cosa mi fosse mai capitata prima. Mi piaceva condividere i miei spazi con lui e questo, indubbiamente, era strano per una persona schiva e intollerante come me.
Ero contenta che fosse sbucato dal nulla, come aveva appena detto, e non potevo dimenticare che era stato lui a salvarmi la vita e avrebbe dovuto ricordarsene anche lui.
Il campanello suonò interrompendoci, per la seconda volta in un solo giorno, e Sirius alzò lo sguardo su di me, stirando le labbra in un sorriso.
-Non fare aspettare il principe azzurro o gli scoppierà un embolo per lo stress.-
Accennai una risata e scossi la testa, afferrando la borsetta e avviandomi verso l’ingresso.
-Hannah?-
Mi voltai e notai che il sorriso si era allargato un po’.
-Stai benissimo, con quel vestito.-

Joanne beveva il suo thè freddo, seduta all’altro capo della scrivania, mentre io ruotavo in modo molto infantile sulla mia sedia girevole, le mani arpionate ai braccioli.
-E così esci con Jason. Se me l’avessero detto quando ho cominciato a lavorare per voi non ci avrei creduto neanche un po’.- buttò lì cercando di celare la curiosità che da giorni vedevo brillare nei suoi occhi indagatori.
L’appuntamento con Jason, quella sera, si era rivelato abbastanza piacevole e come promesso si era comportato bene, non una parola né un gesto di troppo e questo mi aveva convinta che, forse, concedermi una cena con lui, una volta ogni tanto, non era poi un’idea così malvagia.
Sirius spariva più spesso del solito e per tempi più lunghi, approfittando dei fine settimana che la scuola concedeva agli studenti di trascorrere ad Hogsmeade per dare tenere d’occhio Harry nonostante i tempi non fossero ancora maturi per incontrarlo a quattr’occhi come avrebbe disperatamente voluto. Ogni volta che parlava del figlioccio il suo sguardo era insieme entusiasta e malinconico, due emozioni così diverse ma che, nei suoi occhi, convivevano costantemente in mezzo a ricordi di cui non era ancora pronto a parlare.
Le sue prolungate assenze mi avevano ricordato cosa significasse la solitudine e mi ero resa conto che non ero psicologicamente pronta ad accettarla, non più, e Jason era ben felice di occupare il mio tempo libero.
-Mh.-
-Mh? Dov’è finita la Hannah logorroica che conosco?-
Mi strinsi nelle spalle. –Che posso dirti, Jo? Ci vediamo spesso ma non abbiamo una relazione. Finché dura vediamo come va.-
-Il tuo punto di vista non costituisce un buon presupposto sui cui costruire un rapporto, lo sai vero?-
Tacqui, mordendomi la guancia dall’interno ben consapevole che di non poter darle torto ma avevo deciso di prendere le cose in modo tranquillo, di accettare il corso degli eventi senza troppe aspettative né paure. Ero continuamente in pericolo e ogni volta che mi ritrovavo sola, per strada, a casa o a lavoro, paranoie infinite mi perseguitavano ed erano per me intollerabili: non avevo propriamente paura ma avvertivo un profondo senso di impotenza, non ero così sciocca da credere di poter fare qualcosa contro la magia di cui disponevano i miei aguzzini ma per ogni evenienza avevo cominciato a spostarmi con la pistola e il caricatore in borsa. Non mi avrebbero colta del tutto impreparata.
-Io credo che lui sia davvero preso da te.- continuò, imperterrita, stringendo la tazza tra le mani.
-Sa perfettamente come la vedo io, non lo sto illudendo se è questo che insinui.-
Avevo usato un tono troppo brusco e la vidi abbassare lo sguardo, intimorita dalla mia veemenza.
-Scusami, non stavo insinuando niente.- si alzò e afferrò un fascicolo che le avevo preparato sul bordo della scrivania. –Vado a farti queste fotocopie e te le porto già timbrate.-
Quando uscì dalla stanza mi rigettai pesantemente con la schiena contro la spalliera, esasperata dai toni accusatori che i miei stessi pensieri stavano assumendo dando voce alla mia petulante e retta coscienza che non accettava simili atteggiamenti da parte mia.
Il cellulare squillò e risposi senza neanche guardare dal display chi fosse, portandolo direttamente all’orecchio.
-Si?-
-Hannah, sono io.- era la voce di Sirius e mi tirai istintivamente su, preoccupata. Erano tre giorni che non si faceva vedere.
-Sir..-
-Non dirlo, sto chiamando da una.. tambina telefonica.-
Malgrado la preoccupazione non riuscii a trattenermi dal ridere sentendolo storpiare l’ennesimo nome.-Si dice cabina.-
-Fa lo stesso. Sei a lavoro?-
-Si. Che fine hai fatto tu, piuttosto?-
-La stessa di sempre, Han. A che ora finisci di lavorare?-
Tutte quelle domande mi insospettirono non poco e nonostante cercasse di apparire tranquillo sentivo che qualcosa non andava. Che gli fosse successo qualcosa? Che l’avessero scoperto?
-Perché me lo chiedi? Che sta succedendo?-
-Ti spiego tutto dopo. Dimmi a che ora finisci di lavorare e mi farò trovare fuori dal tuo Studio.-
-Ci vediamo alle sei, allora.-

Alle sei in punto trovai Rain seduto accanto al portone principale e quando mi vide abbaiò, contento, ed io mi chinai per accarezzarlo; si irrigidì per un istante mentre lo coccolavo e mi preparai una scusa plausibile nel caso mi avesse chiesto il perché di quelle carezze affettuose che avrei giustificato con la necessità di salvare le apparenze perché, ufficialmente, lui era il mio cane.
Mi seguì fino alla macchina e quando ebbi aperto lo sportello saltò su prendendo posto davanti al sedile del passeggero e agitandosi un po’ per via del poco spazio disponibile per poi abbaiare di nuovo, contrariato.
-Il sedile non si sposta più di così, sei tu ad essere troppo grosso.
Mi misi in marcia verso Little Whinging ormai rassegnata al fatto che non si sarebbe trasformato finché non fossimo stati soli e al sicuro a casa e che non avrei avuto alcuna risposta.
Durante il tragitto, giunti in una strada totalmente deserta che normalmente imboccavo per accorciare il percorso, notai un posto di blocco e l’agente, sollevando la paletta, mi ordinò di fermarmi.
Era solo e la cosa mi sembrò parecchio strana.
-Documenti, prego.-
Mi allungai verso la borsa per estrarre la patente e poi presi la carta di circolazione dal cruscotto, porgendogli entrambe le cose.
Le osservò con sguardo vacuo e movimenti lenti per poi restituirmele. –Scenda dalla macchina.-
Rain abbaiò, guardandomi dritto negli occhi ed io capii che doveva esserci qualcosa di strano in quel fermo.
-Vado di fretta.-
-Non me lo faccia ripetere, abbandoni la vettura.-
Lo vidi portare la mano alla cintura, con gli stessi movimenti lenti e meccanici di poco prima.
-I miei documenti sono perfettamente in regola, sono un avvocato e..-
-Le ho detto di scendere!- sfoderò la pistola e me la puntò contro mentre Rain cominciava ad abbaiare come un forsennato, premendo contro lo sportello per uscire.
-Lentamente.- mi ordinò mentre prendevo la borsa ed aprivo lo sportello per poi sollevare le mani in alto sotto il suo sguardo perso. Sembrava in trance e, pensai, probabilmente lo era davvero.
Sirius, o meglio Rain, mi seguì, fulmineo, avventandosi alla gamba dell’agente e dandomi il tempo di estrarre la pistola ed inserire il caricatore.
-Spostati. – gli ordinai puntando la pistola contro il mio aggressore e quando Rain si fece da parte sparai un colpo in modo da colpire la gamba sana senza centrarla in pieno ma abbastanza da fargli perdere l’equilibrio e cadere a terra.
-Andiamocene!-
Corsi di nuovo verso il posto del guidatore facendo prima salire il mio grosso cane nero e quando misi in moto, sgommando, vidi dallo specchietto retrovisore una figura incappucciata che emergeva appena dietro il tronco di un albero dopo essersi evidentemente goduto la scena da quella posizione privilegiata.
-Bastardi.-
Le mani mi tremavano sul volante e governare i movimenti dei miei piedi era quasi impossibile troppo deconcentrata nel timore che i lampi di luce ricominciassero come quella notte in metropolitana e che quei pazzi mi fossero alle calcagna.
Fortunatamente nessuno parve seguirci e quando mi fui richiusa la porta alle spalle Sirius riprese le sue sembianze umane.
-Adesso hai capito perché non volevo che tornassi da sola?- chiese passandosi una mano tra i capelli, avvilito, e passeggiando avanti e indietro per l’ingresso un paio di volte mentre io cercavo di smaltire la tensione per riprendere il dono della parola.
-Come lo sapevi?-
-Lucius Malfoy era ad Hogsmeade oggi e l’ho sentito parlare con un altro dei loro. Non ero certo di cosa avrebbero escogitato ma era chiaro che volessero muoversi.-
-Quell’agente..- boccheggiai pensando all’uomo che avevo lasciato steso in mezzo alla strada, ferito ad entrambe le gambe prima dal morso di Rain e poi dal mio proiettile.
-Era solo la Maledizione Imperius. Permette di controllare le persone.-
Cercai di regolarizzare il mio respiro ma più ci provavo più sembrava che lo spazio intorno a me fosse totalmente sotto vuoto e mi portai una mano alla bocca, colta improvvisamente da una paura più razionale e, purtroppo per me, più che plausibile.
-Troveranno l’agente ferito e tramite il proiettile della mia pistola non ci metteranno molto ad arrivare a me e..-
Si fece vicino e mi prese il viso tra le mani con quel suo tocco così rassicurante per poi parlare con tono grave.
-Pensi davvero che lasceranno vivere quell’uomo, Hannah? Non hai ancora capito di che gente si tratta.-
Inspirai più forte rompendo le barriere che per la tensione avevano occluso le mie vie respiratorie e strinsi gli occhi per qualche istante per poi puntarli di nuovo in quelli di Sirius.
-Mi hai salvato la vita, di nuovo.
Appoggiò la fronte contro la mia e con le mani calde scese fino al collo e poi alle spalle stringendole un po’ e sospirando. –Sei in gamba con la pistola. L’ho scampata bella, l’ultima volta.-
Sorrisi, sentendo il cuore rallentare e riprendere a battere ad un ritmo accettabile.
-Tu hai i tuoi Abracadabra ed io ho i miei.-
-Siamo una bella squadra, noi due.-

Song: Goodnight moon - Shivaree

Artwork: HilaryC

  
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