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Autore: feenomeniall    21/06/2014    3 recensioni
Lanciò un piccolo urlo, prima che Niall le afferrasse entrambe le braccia guardandola dritta negli occhi. La paura si era completamente impossessata di lei. Lennon aveva smesso di ascoltare la parte razionale del suo cervello e si era lanciata tra le sue braccia, affondando il viso nel suo petto, perché era quello l’unico modo che aveva per sentirsi protetta. Sentì Niall avvolgerle le spalle con entrambe le braccia, mentre urlava ai suoi amici qualcosa che non riuscì a captare. Svenne.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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D E M O N S
 


Lennon alzò gli occhi al cielo, riempiendoli di quelle nuvole grigie che da giorni minacciavano Mullingar. Una, due, tre gocce cominciarono a cadere sul suo viso. Aveva aspettato la pioggia per non piangere da sola, eppure nemmeno in quel momento riusciva a versare lacrime per tutta quella merda che la circondava. Chiuse gli occhi e lasciò che la pioggia levigasse la sua pelle, sperando che portasse via con se anche i ricordi. Prese un respiro profondo, per poi rimanere in silenzio, ad ascoltare i suoni della natura. Era sola, completamente. Aveva raggiunto la radura senza nemmeno accorgersene.

Jude se ne era andata per sempre quella mattina, chiedendole di non piangere per lei. E mentre tutti quelli che la circondavano nel corridoio dell’ospedale si disperavano per la loro perdita, Lennon fissava la porta della sua stanza piena di infermieri e dottori che cercavano di rianimarla, per poi confermare l’ora del decesso. Si morse il labbro inferiore e – senza incrociare lo sguardo di Simon – s’incamminò verso le scale. Uscì dall’edificio, cominciando a vagare senza una meta precisa.
Il cellulare squillava continuamente e aveva impostato il silenzioso appena arrivata in centro città, pur di non essere disturbata. Era la punizione che meritava, quella di rimanere da sola. Se solo non si fosse fatta abbindolare da quegli occhi color del ghiaccio. Se solo avesse prestato attenzione alle parole che le aveva detto Simon. Non doveva fidarsi di lui, perché lui non portava altro che guai.
Sorrise amaramente continuando a guardare quel cielo pieno di nuvole. I Coldplay cantavano di un cielo pieno di stelle, ma lei non meritava più di vederle. Perché guardarle significava immergersi nuovamente nei profondi occhi di Jude, solo per osservare la vita abbandonarli ancora una volta, per l’eternità. Come si faceva a dimenticare qualcosa che alla fine c’era sempre stato?

Si sedette sul blocco di marmo dove c’era inciso il nome di lui. Si erano ritrovati così tante volte in quel luogo – anche quando non si conoscevano – che ormai ci andava tutte le volte che aveva bisogno di stare sola. Le prime volte non si parlavano nemmeno. Lennon prendeva un libro dalla sua stanza e andava lì a leggere, lui intanto si fumava una sigaretta e si allenava.
La prima volta che si parlarono, Lennon gli chiese semplicemente il suo nome, più per formalità che per curiosità. «E perché una puttanella come te vorrebbe saperlo?» le aveva chiesto lui per poi rimettersi le cuffiette e continuare ad allenarsi. Lei abbassò di nuovo lo sguardo sul suo libro e riprese a leggere, promettendosi di non rivolgergli più la parola, nemmeno fosse stata l’ultima persona presente sulla faccia della Terra.

Era passato un mese da quel misero dialogo avvenuto tra di loro, ma nonostante tutto si ritrovavano sempre nello stesso posto entrambi. Lennon ne aveva parlato con Jude e Simon. Loro avevano alzato le spalle e le avevano detto che era meglio non fidarsi di una persona simile. Però quel giorno, mentre aveva lo sguardo chino sul nuovo libro, lui si era avvicinato e aveva tolto le cuffiette. «Niall» disse senza porgerle la mano. Lennon alzò lo sguardo e quasi gli venne voglia di sbattergli il volume in faccia. «Non pensavo che una puttanella come me fosse degna di saperlo» e detto questo chiuse il libro, si alzò afferrando la borsa e andò via, lasciandolo a bocca aperta.

Altre due settimane erano passate e si stava avvicinando la stagione invernale. Stretta nel suo cappotto – e con un altro libro tra le mani – si era recata di nuovo alla radura. Quel giorno sperò di non vederlo. Aveva già abbastanza problemi. Suo padre aveva ottenuto l’affidamento esclusivo, mentre lei pregava per andare con la madre. L’avevano fatta passare per un mostro, quando il vero mostro aveva vinto il processo. La sera prima era tornato – ancora una volta – a casa ubriaco e l’aveva spinta contro il muro. Non pianse; quell’uomo non era più suo padre e non meritava le sue lacrime. Si medicò da sola come al solito prima di andare in camera sua.
Si sedette sul solito blocco di marmo e cominciò a leggere il libro, mentre attorno a lei non sentiva altro che i rumori della natura. Alzò lo sguardo con gli occhi chiusi, beandosi di quella tranquillità che non avrebbe trovano da nessun’altra parte. Un respiro caldo di menta e fumo gli batté sul volto, costringendola a riaprire gli occhi. Si ritrovò immersa in un oceano di ghiaccio. Sbatté un paio di volte le palpebre prima di distogliere lo sguardo.
«Cosa hai fatto alla faccia?» le chiese. Nessuna presa in giro, nessun tipo di insulto e nemmeno il solito ghigno stampato sulle labbra. Solo lui e il suo dito che indicavano la piccola cicatrice sopra il sopracciglio. Lennon si morse il labbro continuando a guardare altrove. Non doveva dare conto a nessuno di quella cosa. «Allora?» domandò ancora prendendole il mento con due dita per riportare i suoi occhi nei suoi. Indossava un giacchetto leggero che ricopriva le braccia toniche e coperte di tatuaggi. Uno di loro però spuntava lo stesso dal colletto della maglia bianca. Mordeva l’anellino sul labbro inferiore, mentre aspettava una risposta.
«Sono andata a sbattere contro una porta» rispose Lennon tirandosi indietro per liberarsi dalla presa. Il ragazzo alzò un sopracciglio, rimettendosi dritto. Mormorò un «farò finta di crederti» e cominciò ad allenarsi come sempre. Lasciò andare un respiro profondo e tornò a leggere il suo libro, domandandosi cosa importasse a lui. Scrollò le spalle.
Raccontò della piccola chiacchierata a Simone e Jude. Lui partì con una descrizione dettagliata del ragazzo e quando Lennon annuì, chiedendogli se anche lui lo conoscesse, Simon disse: «Stai alla larga da quel ragazzo, è il diavolo fatto a persona». Mesi dopo, Lennon avrebbe dato ragione a quelle parole. Niall era il diavolo fatto a persona. Ma non era un piccolo ometto con le corna e la coda, no. Lui era bellissimo, perché era un angelo caduto.

Quando avvenne il fatto mancavano pochi giorni al nuovo anno. Lennon aveva cominciato a leggere un nuovo libro, assegnatole dalla professoressa di letteratura inglese per le vacanze. Quel giorno non sarebbe nemmeno dovuta andare alla radura, ma ci andò lo stesso, proprio come se i suoi piedi si fossero mossi da soli. Quando arrivò stava per sedersi sul solito blocco, ma sentì delle voci, tra queste quella di Niall. Non aveva mai portato nessuno prima di quel momento. Si nascose come meglio poteva, cercando comunque di guardare quello che stava succedendo.
Vide Niall guardarsi attorno. Magari voleva assicurarsi che lei non ci fosse, poi si voltò e annuì verso altri tre ragazzi. Due di loro trasportavano per le braccia il corpo di un ragazzo che si dimenava con le gambe, mentre quello rimasto un po’ più indietro si fumava una sigaretta ridacchiando. Lennon spalancò gli occhi, trattenendo il respiro. Li guardò buttare il ragazzo addosso ad un altro blocco ci marmo, prima di tirargli un calcio nello stomaco. Si voltò di scatto, premendo la schiena contro il tronco dell’albero. Si portò una mano alla bocca e cercò di regolare il respiro.
Una mano si posò una sua bocca, mentre due grandi occhi di ghiaccio la imprigionarono. Spalancò i suoi, trattenendo un’altra volta il respiro. «Che diavolo ci fai qui?» ringhiò lui. La mascella dura e gli occhi che sembrava volessero trafiggerle l’anima. Guardò in basso, notando il libro che stava stringendo tra le mani. Alzò gli occhi al cielo. «Non ti muovere da qui – le disse facendola immergere ancora una volta nei suoi occhi – Resta. Qui.» e se ne andò, fingendo di rimettersi il telefono in tasca dopo una telefonata.
Lennon uscì dal suo nascondiglio quando ormai se ne erano andati da una buona mezz’ora, si guardò attorno, abbassò lo sguardo e decise che per quel girono sarebbe tornata a casa senza fare storie. Uscì sulla strada, l’attraversò guardando attentamente da una parte all’altra e arrivò nel vialetto di casa sua, entrando. Salì velocemente le scale, andando a chiudere la finestra in camera di suo padre, che stava dormendo profondamente. Andò nella sua stanza e quasi non le venne un infarto.
«Che cosa ci fai tu qui?» domandò sconvolta mentre guardava il ragazzo sdraiato sul suo letto che giocava con il suo cellulare. Era entrato dalla finestra della camera da letto del padre? Si portò una mano sul petto e indietreggiò, chiudendo la porta alle sue spalle. Se l’avesse trovata con un ragazzo in casa, le avrebbe fatto vedere le stelle, letteralmente.
«E’ stato lui, non è vero?» chiese portando il telefono dentro la tasca destra per poi mettersi in piedi. Si avvicinò a lei, sovrastandola nuovamente con la sua altezza. Portò una mano sul suo sopracciglio e lo accarezzò piano con il pollice in modo che lei non sentisse dolore. Lennon guardò altrove, incrociando le braccia al petto. Perché era nella sua stanza? Chi gli aveva dato quel tipo di permesso?
«T’importa?» domandò lei alzando le spalle. «Tanto sono una semplice puttanella» aggiunse sottraendosi alla sua presa per poi spostarsi da lui e togliersi le scarpe, portandole nella scarpiera del suo bagno. Quando tornò, lo trovò in piedi accanto alla finestra con le braccia incrociate al petto. Studiò il suo profilo perfetto. Il naso dritto, la mascella dura e gli occhi brillanti, nonostante la luce del sole fosse coperta dalle nuvole invernali.
«Lennon – disse attirando completamente la sua attenzione. Come sa il mio nome?Quello che hai visto oggi, non devi dirlo a nessuno, altrimenti saranno guai per te, capito?». Si era voltato verso di lei, incastrando i suoi occhi senza darle possibilità di fuga. Deglutì ed annuì lentamente. Sul volto di lui si formò un ghigno. «Molto bene» mormorò prima di andare verso di lei.
Lennon indietreggiò fino a finire contro il muro, mentre il respiro di menta e fumo batteva sul suo volto in modo sempre più insistente. Piegò la testa di lato, posando le labbra sulla base del suo collo. Vi lasciò un bacio, prima di incominciare a mordicchiare e succhiare avidamente quel pezzo di pelle. Portò le mani sul suo petto cercando di allontanarlo, ma non ci riuscì. Quando finì, tracciò una linea con la lingua fino alla mascella e poi alla sua bocca, dove lasciò un leggero bacio.
«Ora sei mia, piccola» mormorò rimanendo sulle sue labbra. Lennon cercò di regolare il respiro per riprendere forze e spingerlo via. Le fece l’occhiolino, aprì la finestra della sua camera ed uscì, camminando sul tetto della veranda sul retro. Lei corse in bagno e si guardò allo specchio. La grossa macchia violacea era lì, circondata da segni di morsi. Si accasciò contro il muro, ma non pianse.

Finì per isolarsi completamente. Restava alla larga dai suoi migliori amici perché aveva paura che potesse succedere loro qualcosa di brutto. Stava con loro alla pausa pranzo, alle lezioni, ma appena usciva da scuola, tornava a casa e andava alla radura. Quasi ogni sera Niall saliva sul tetto della veranda e si sedeva sul bordo della finestra che Lennon lasciava aperta e la guardava. Mentre leggeva un libro, mentre faceva i compiti, mentre studiava. E lei lavorava più tranquillamente, senza aver paura che da un momento all’altro irrompesse sue padre nella stanza. In un modo o nell’altro, la presenza di Niall la faceva sentire al sicuro.

In un giorno di aprile, gli amici di Niall decisero di andare a fare un giro alla radura. Lennon era lì che leggeva il suo libro tranquillamente, come ogni volta. Erano passati mesi da quando lui le aveva lasciato quel marchio, eppure c’era ancora. Sbiadito, certo, ma era ancora lì, come una cicatrice. Alzò lo sguardo di poco, scontrandolo con altri tre. La osservarono prima senza battere ciglio e poi avvicinandosi come se avessero avvistato la loro preda.
Si scambiarono diversi sguardi prima di cominciare a dirigersi verso di lei. Rimase immobile, la paura le impediva di fare qualsiasi movimento. Ma che avrebbe potuto fare? Tre contro uno, non ne sarebbe uscita per niente bene. Prese un respiro profondo e si alzò dal blocco di marmo, raccolse tutto il suo coraggio e cominciò a correre a perdifiato, mentre gli altri tre le stavano dietro come un lupo con la sua lepre. Continuò a correre finché non andò a sbattere.
Lanciò un piccolo urlo, prima che Niall le afferrasse entrambe le braccia guardandola dritta negli occhi. La paura si era completamente impossessata di lei. Lennon aveva smesso di ascoltare la parte razionale del suo cervello e si era lanciata tra le sue braccia, affondando il viso nel suo petto, perché era quello l’unico modo che aveva per sentirsi protetta. Sentì Niall avvolgerle le spalle con entrambe le braccia, mentre urlava ai suoi amici qualcosa che non riuscì a captare. Svenne.

Quando si risvegliò era nella sua stanza e suo padre era seduto accanto a lei. Sembrava completamente un’altra persona. Aveva tagliato i capelli, rasato barba e baffi e le stava sorridendo. Le spiegò com’era tornata a casa e – prima di uscire dalla stanza per andare a chiamare Niall – le lasciò un bacio sulla fronte, scusandosi di tutto il male che le aveva fatto, promettendole che non avrebbe più commesso quell’errore.
«Niall» mormorò non appena il ragazzo oltrepassò la porta della sua camera. Si sedette sul letto accanto a lei e portò una mano tra i suoi capelli. Lennon si lasciò accarezzare e chiuse gli occhi, sentendo quasi un calore famigliare sulle sue labbra. Li riaprì leggermente, trovando le labbra di Niall sulle sue. Per la prima volta, rispose al suo bacio, portando una mano sulla sua guancia. Non lo aveva mai toccato in quel modo, la sua pelle morbida quasi sembrava un paradosso in confronto al suo carattere duro.
Le mani di lui incorniciarono il suo viso, mentre il bacio veniva approfondito e Lennon riuscì a catturarci tutto. Rabbia, dolore, disperazione, paura. Portò la mano tra i suoi capelli per attirarlo maggiormente; voleva quei sentimenti per se, voleva alleviarlo. Si scostò da lei per riprendere fiato, illudendola che non sarebbe stato il loro primo ed ultimo bacio.

Era appena finita la scuola quando Niall scomparve dalla sua vita. Lo aveva aspettato per intere notti affacciata alla sua finestra. Era andata alla radura sperando di trovarlo a fumarsi una sigaretta oppure ad allenarsi, ma di lui non c’era traccia. Allora si era chiusa ancora più in se stessa, mentre il padre cominciava un nuovo stile di vita. Era felice per quello che stava accadendo, non poteva essere più soddisfatta di così, ma sentiva quel vuoto dentro al petto che le provocava dolore.

Un dolore che diventò un buco nero quando Jude le confessò della sua malattia. Le aveva dato appuntamento al parco dove erano solite andare quando erano piccole. Si erano sedute sulle altalene, la loro giostra preferita, e avevano cominciato a parlare del più e del meno. Jude si era voltata verso di lei e l’aveva osservata per imprimerla nella sua memoria. Lennon se ne accorse e voltò la testa verso di lei, sorridendole. Una lacrima rigò il viso dell’amica, mentre un sorriso amaro si forava sul suo volto.
«Io sto morendo, Lennon» mormorò abbassando lo sguardo. E Lennon si sentì il mondo cadere addosso. Portò una mano al petto e riprese a respirare, non accorgendosi di aver trattenuto il respiro. Niall era scomparso dalla sua vita, Jude se ne stava per andare e Simon si era trasferito in un’altra città.

E così si era ritrovata nella radura quel pomeriggio, completamente sola. La pioggia di settembre le bagnava il volto e le lacrime incominciarono a scendere sulle sue guance. Pianse tutto il suo dolore, sperando che se ne sarebbe andato da solo, così com’era venuto. Pianse la morte della sua migliore amica anche se lei le aveva detto di non farlo; pianse per il trasferimento di Simon perché l’aveva lasciata da sola, anche se lui non avrebbe potuto farci niente. Pianse per l’affidamento esclusivo a suo padre, ma anche perché lui si stava impegnando così tanto per regalarle una vita migliore.
Ed infine pianse anche per Niall, perché se ne era andato senza nemmeno salutare, lasciandola con un vuoto dentro che non riusciva a colmare. Nonostante fosse un ragazzo pericoloso, nonostante l’avessero avvertita che bisognava stare lontana dai tipi come lui, nonostante tutto, quei mesi di lontananza le avevano fatto capire che tutto quello che voleva era proprio lui e non poteva fare nulla perché tornasse indietro. Si era innamorata della persona sbagliata, nel momento sbagliato e non poteva farci assolutamente niente.
Aprì gli occhi, ritrovandosi in un oceano ghiacciato che fino a pochi secondi prima aveva creduto non avrebbe mai rivisto. E mentre lui portava le mani sulle sue guance per asciugarle le lacrime, mescolare alla pioggia, lei rimaneva immobile per catturare ogni singolo particolare di quello che si era trovata davanti. Aveva cambiato colore ai capelli e aggiunto diversi tatuaggi, fino a coprirsi interamente le braccia. Si chiese se non stesse sognando e portò una mano sul suo viso, appurando che fosse più che reale.
«Sei tornato» mormorò mordendosi l’interno guancia. Aveva paura; paura di dire qualcosa di sbagliato che lo avrebbe portato via ancora una volta da lei.
«Sono tornato – confermò guardandola attentamente gli occhi – per te».
Lennon deglutì, sbattendo un paio di volte le palpebre. La gola si seccò improvvisamente e la voglia di baciarlo s’impossessò di lei, ma riuscì a reprimerla.
«Non aspettarti nulla da me» cominciò Niall.
«Voglio solo che resti con me» disse lei guardandolo intensamente. Posò le labbra sulle sue mettendosi in punta di piedi e sentì il vuoto dentro di lei colmarsi improvvisamente. Si scostarono l’uno dall’altra prima che il bacio potesse essere approfondito e, facendo passare un braccio sulle spalle di lei, se ne andarono.









Here I am!
Prima di tutto vorrei dedicare questa shot a Giorgia perché è la prima a cui l'ho fatta leggere.
Siamo ancora con le shot e ancora una volta è su Niall, è preoccupante il fatto che io scriva così tanto su di lui. Maledetto cwc
Non so mai che diavolo dire negli spazi autrice, solo ringraziarvi se passate a leggere e lasciate quello che pensate. 
Alla prossima,
love ya ♥
   
 
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