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Autore: callas d snape    21/06/2014    1 recensioni
L'infanzia di Maya può essere sintetizzata in un'unica parola: inferno. Senza genitori, sfruttata e maltrattata dal nonno per le sue doti, non si è mai sentita amata. Anzi, non si è neanche mai sentita umana. Spesso desidera di non essere mai nata o, addirittura, di morire!
Ma il Destino ha in serbo altri piani per lei, piani che sembrano tutti racchiusi nella D. del suo nome. E così affiancata da una "sorella" combinaguai dalle origini misteriose, una ciurma di pirati sconclusionata e un ragazzo di fuoco con cui condivide lo stesso dolore, Maya scoprirà la bellezza e la gioia dei sentimenti e inizierà una lotta contro il suo passato per cambiare il suo futuro ed essere felice.
N.B. Il rating potrebbe subire variazioni!
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace, Trafalgar Law, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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WHERE THE DEMONS HIDE


 
Passarono tre giorni prima che Maya si riprendesse dal forte raffreddore che l’aveva colpita: l’ingente spreco di energie di quella sera e la pioggia gelata avevano fatto avverare le congetture di Ace.
La malata non aveva voluto nessuno al suo ‘capezzale’ a parte Syri e solo durante i pasti e la notte.
Quest’ultima dopo una bella dormita si era ripresa subito dalle ferite fisiche ed emotive. Aveva raccontato ai due uomini cos’era successo evitando di soffermarsi troppo sui dettagli, specie su quelli avvenuti nel vicolo. Ciò nonostante non riuscì a sfuggire alla ramanzina dello zio che la mise in punizione: non sarebbe uscita di casa per due settimane a meno che non fosse stato lo stesso Kerr ad autorizzarla! Ace, dal canto suo, dopo essersi fatto raccontare nuovamente la storia senza censure, aveva semplicemente commentato: “Tsk! Avrei dovuto aiutare Maya invece di fermarla!”
Il mattino del quarto giorno la tempesta si era calmata e Maya era tornata ad aiutare alla locanda. Grazie al brutto tempo non c’erano stati molti clienti in quei giorni ed era avanzata abbastanza carne da non dover andare a caccia. Impiegarono poco tempo a preparare il locale, così a metà mattina tutte le faccende erano  già state portate a termine. Ace e Kerr, a quel punto, uscirono dal locale lasciando le ragazze sole in casa: il primo per portare le bottiglie usate del locale al centro di smistamento rifiuti, il secondo per andare a rivendere la pelle dell’orso che avevano cacciato.
Quando il moro rientrò, Maya era sparita. Chiese spiegazioni a Syri che era intenta a disegnare qualcosa su uno dei suoi quaderni per ingannare il tempo.
“Penso sia andata alla spiaggia: voleva stare un po’ sola.” disse lei senza staccare gli occhi dalla sua opera. Il ragazzo sbuffò esasperato, prese uno scialle dall’appendiabiti ed uscì senza accorgersi del sorriso dipinto sul volto della bionda.
 
Maya era seduta sulla sabbia umida e osservava in silenzio il mare che stava ritornando calmo dopo quella lunga burrasca. In quei momenti si sentiva molto simile all’oceano, perché anche lei a volte veniva scossa dalla tempesta del suo potere e non poteva fare niente, solo aspettare che passasse e che non lasciasse dietro di sé una lunga scia di distruzione.
“Penso di non aver mai conosciuto una ragazza così menefreghista nei confronti della propria salute come te!”
La bruna sorrise senza staccare gli occhi dal mare: aveva riconosciuto subito quella voce.
“Non sapevo che fossi diventato la mia nuova mamma, Ace!”
Era la prima volta che gli parlava dopo quella sera. Sentì il ragazzo sedersi sulla sabbia al suo fianco, ma non lo degnò di uno sguardo, neanche quando le posò delicatamente uno scialle di lana sulle spalle.
“Scusa, se mi preoccupo di non farti prendere una polmonite!”detto questo tra i due calò il silenzio più totale. Ace aveva un milione di domande, ma non voleva essere invadente: era una scelta di Maya se renderlo o meno partecipe della sua storia. La ragazza dal canto suo, voleva liberarsi dal peso che la opprimeva, ma aveva paura che lo avrebbe perso per sempre se avesse saputo.
I minuti passavano e l’unico rumore udibile nella piccola baia era quello delle onde dell’oceano. Ace continuava a guardare Maya che, però, non aveva il coraggio di ricambiare lo sguardo. Il ragazzo sospirò sonoramente e si rialzò in piedi: doveva rispettare la privacy della castana anche se lo faceva stare male essere tagliato fuori dal suo mondo e non poter far niente per aiutarla.
Se ne stava per andare quando sentì la voce di Maya chiamarlo. La ragazza lo stava finalmente fissando piena di ansia.
“Avevi detto che non mi avresti lasciata!” disse quasi implorante. Il moro sorrise dolcemente e tornò a sedersi al suo fianco.
Lei sapeva che era giunto il momento della verità: gli avrebbe raccontato tutto e se poi lui se ne sarebbe voluto andare, lo avrebbe lasciato libero, ma almeno non avrebbe avuto rimpianti. Chiuse gli occhi un attimo, respirò profondamente e si voltò nuovamente verso il ragazzo.
“Vuoi… vuoi sentire la mia… storia?” disse titubante.
“Mi farebbe molto piacere.” rispose lui serio. Maya deglutì sonoramente e si preparò a rivivere quell’incubo che era la sua infanzia.
“Io non sono nata qui, ci sono arrivata per caso cinque anni fa. Syri e Kerr mi hanno salvato da morte certa e mi hanno preso con loro senza sapere nulla di me. Mi hanno insegnato cos’è una vera famiglia e che ogni vita vale la pena di essere vissuta: tutte cose elementari che però io non avevo mai conosciuto prima. Ma è meglio se inizio dal principio per evitare di confonderti le idee.
Io sono nata in una piccola isola del Mare Occidentale di cui non ricordo neanche il nome. Mio padre era un pirata. Conobbe mia madre, la sedusse e poi l’abbandonò. Poco dopo lei scoprì di essere incinta di me e nonostante fossi la figlia dell’uomo che l’aveva illusa, portò a termine la gravidanza e mi diede alla luce.
Rimasi con lei per i primi tre anni della mia vita: non mi ricordo niente di quel periodo o di lei. Di suo ho solo questa collanina a forma di rosa dei venti e la memoria di una melodia che mi cantava sempre. Comunque, alla fine, le calunnie a cui era sottoposta a causa mia, la distrussero e si tolse la vita.”
Maya fece una pausa giocherellando con la catenina che aveva al collo perennemente nascosta dentro felpe, golf o magliette. Ace la guardava con il cuore già lacerato e la consapevolezza che il peggio doveva ancora arrivare. La ragazza rimise la collana al suo posto e riprese a raccontare.
“Appena mia madre morì, io fui affidata ai parenti più prossimi: i suoi genitori. Lasciai quel paesino dimenticato da Dio e mi trasferii dai miei nonni: la mia vita cambiò drasticamente. Devi sapere che mia madre se ne era andata di casa a sedici anni proprio a causa dei suoi genitori. Povera ingenua! Non poteva scappare dalla sua vera natura, dal suo nome!”
Ace guardava l’amica perplesso non riuscendo a capire cosa stesse cercando di dirgli. Lei gli sorrise con cinismo e poi riprese: “Quasi nessuno conosce il mio nome completo fortunatamente, altrimenti sarei già stata uccisa o peggio, rispedita in quell’inferno! Devi sapere che io non ho preso il cognome di mio padre, ma mi è stato dato quello di mia madre, o meglio, quello di mio nonno. Mia madre si chiamava Emi e il mio nome è Vane D. Maya. Mio nonno è Vane D. Matica.”
“E allora?” chiese perplesso Ace.
“Tu non sai chi sia mio nonno?! Ma dove hai vissuto finora?!” rispose sbalordita la bruna. Tutti, almeno una volta nella vita, avevano sentito quel nome.
“Dovrei conoscerlo?” ribattè il moro un po’ imbarazzato per la sua ignoranza.
“Sì, visto che è uno dei Cinque Astri di Saggezza!” disse con fervore la ragazza.
“Davvero?” Ace aveva allargato leggermente gli occhi.
“Già e io sono la sua unica erede!” concluse la bruna con tono sommesso.
Il silenzio piombò imponente sui due ragazzi. Maya osservava Ace alla ricerca di qualche segno di paura o ribrezzo, ma dopo lo stupore iniziale, l’espressione del ragazzo era tornata seria e concentrata sul racconto. Quindi riprese la sua storia.
“Ho passato la mia infanzia nella nebbia di Marijoa circondata solo da marines e draghi celesti: uno peggio dell’altro. Vivevo rinchiusa in quel palazzo immenso, sempre sorvegliata a vista: non mi era permesso uscire né avere contatto con altre persone. Mi tenevano nascosta per evitare lo scandalo: in fondo ero la figlia di una fuggitiva, benché nobile, e di un pirata!
All’inizio fui affidata a mia nonna, o meglio, alla sua schiava: era lei che mi accudiva. Mia nonna si limitava ad urlarmi contro che ero un mostro, che non sarei dovuta nascere, che mia madre era morta per colpa mia e altre cose del genere. Questa tortura psicologica durò circa due anni nei quali io non vidi mai mio nonno. Poi la vecchia morì e di me non sapevano che farsene. Fu allora che a mio nonno venne la brillante idea di addestrarmi per farmi entrare in marina: avevo cinque anni. Che idiota!
Alla mattina un precettore mi insegnava l’etichetta, a leggere, a scrivere e altre cose. Al pomeriggio ero diventata il giocattolo di quel vecchio pazzo: mi allenava fino a ridurmi in fin di vita quel bastardo! Mi marchiò anche, per farmi ricordare sempre che sono indissolubilmente legata a lui!”
Maya diede la schiena al suo ascoltatore, si slacciò la camicetta lasciandola scendere e scostò i capelli dal collo. Ace rimase basito: appena sotto il collo dell’amica c’era un drago blu e grigio, di profilo che con gli artigli stringeva il mondo. Sembrava un tatuaggio, ma appena il moro lo sfiorò, sentì la pelle raggrinzita come per una scottatura: quei bastardi l’avevano marchiata a fuoco! Strinse forte entrambi i pugni per evitare di esplodere e incendiare tutta l’isola.
“Carino, no?” la voce della mora lo riscosse dalla sua furia. “È il simbolo degli Astri: sembra un tatuaggio, ma è fatto a fuoco usando degli appositi strumenti per evitare che venga cancellato o anche solo modificato, perché quando diventi uno di loro, lo rimani per sempre. Credo lo avesse anche mia madre.” e detto questo tentò di risistemarsi la camicetta, ma venne fermata da Ace.
“E queste?” chiese il ragazzo passando leggero il dito sopra una delle innumerevoli cicatrici che ornavano la schiena dell’amica.
Maya rabbrividì al contatto con le dita di Ace, si riallacciò la camicetta e si voltò verso il moro: “Altri regali del mio caro nonno! Quando pensava che non mi stessi impegnando a sufficienza o quando facevo intravedere anche solo un poco di fatica o dolore, mi frustava o mi picchiava col bastone finchè non perdevo i sensi. Ma non era certo l’unico a picchiarmi.” e protese le mani verso Ace. “Anche il tutore non ci andava leggero: ogni volta che non prestavo attenzione o sbagliavo qualcosa , mi colpiva le mani con una bacchetta di giunco fino a farle sanguinare. Almeno queste cicatrici sono quasi del tutto scomparse.”
La bruna si fermò per riprendere fiato e coraggio. Sentiva la stretta del ragazzo di fuoco infonderle forza e sicurezza. Prese l’ennesimo respiro e proseguì.
“Poi avvenne il dramma. Per il mio settimo compleanno mio nonno decise di regalarmi uno schiavo personale.”
“Credevo che la tratta degli schiavi fosse stata abolita molti anni fa.” la interruppe confuso Ace.
“Teoricamente lo è. In realtà è ancora ampiamente praticata sulla Grand Line e il Governo ne è ben informato, ma fa finta di niente visto che gli schiavi fanno comodo ai Nobili Mondiali. Comunque, fui portata dal tutore in una casa d’aste scortata anche da alte cariche della Marina. È inutile che ti dica che non avevo la minima intenzione di comprare un essere umano, così tentai di oppormi. Risultato: il tutore mi iniziò a picchiare in pubblico piuttosto violentemente. Poi i ricordi si fanno un po’ confusi… probabilmente devo essere svenuta. Fu il Grande Ammiraglio in persona ad aiutarmi a rimettermi in sesto e a pregarmi di non attirare ulteriormente l’attenzione su di noi. Così fui costretta ad acquistare uno schiavo: era una ragazza di circa vent’anni, si chiamava Gaza, stavo bene con lei. Il difetto di Gaza, purtroppo, era di essere troppo bella… e troppo testarda. Visto che ero solo una bambina, era sempre il mio tutore che mi aiutava ad “addestrarla”; ma Gaza non gli dava retta.
Un giorno lui tentò di approfittarsi di lei, ma si dovette solo accontentare di un calcio nelle parti basse! Il tutore era fuori di sé dalla rabbia, disse a mio nonno che Gaza era un pericolo e che era meglio eliminarla. Mio nonno acconsentì e mi fu imposto di far esplodere il collare della mia schiava.”
“Collare?”
“Sì. Tutti gli schiavi hanno un collare con una carica esplosiva. Se tentano di scappare o si ribellano al padrone, questi lo fa saltare in aria. Io mi ero affezionata a Gaza e non sarei mai stata in grado di attivare il collare e così lo fece il mio tutore. E mentre lo faceva sorrideva divertito. Io non resistetti oltre: i miei occhi si tinsero di nero e persi completamente il controllo di me stessa; mi scagliai contro di lui e iniziai a picchiarlo senza che qualcuno riuscisse a fermarmi. Quella fu la prima volta che usai il mio potere e la prima volta che uccisi qualcuno. Paradossalmente ho ucciso una persona perchè non volevo ucciderne un’altra!
Mio nonno aveva assistito a tutta la scena impassibile. Solo alla fine, quando riuscirono ad allontanarmi dal cadavere di quel fetente, mi si avvicinò e mi disse ghignando: ‘A quanto pare non sei inutile come pensavo. Vedrai, farò di te una perfetta macchina da guerra!’”
Maya si ammutolì tentando di trattenere le lacrime. Sentiva ancora la stretta rassicurante di Ace sulle sue mani, il calore che le trasmetteva riusciva a lenirle il dolore che sentiva esplodere nel petto. Tuttavia non riusciva a guardarlo negli occhi: lui era fuoco puro e lei solo una sporca assassina. Fu lo stesso Ace a prenderle il volto tra le mani e a farle alzare lo sguardo. La bruna rimase spiazzata: nei suoi occhi c’era solo comprensione, come se il dolore di Maya si fosse riflesso in lui, come se anche lui avesse portato dentro di sé un pesante fardello. La ragazza si diede della stupida. Doveva essersi sbagliata: come poteva quel ragazzo capire cosa provava?
Questa volta fu il moro a prendere la parola: “Posso farti una domanda?”
Maya trattenne il fiato preoccupata.
“Mi spieghi esattamente in cosa consiste il tuo potere?” continuò Ace.
La bruna sgranò gli occhi: aveva pensato che dopo tutto quello che gli aveva raccontato le avrebbe fatto domande più profonde del tipo ‘ cos’hai provato ad uccidere un uomo’ o, peggio, ‘hai dei rimorsi’. Invece non aveva fatto commenti, voleva solo che gli parlasse del suo potere.
Si riscosse da quei pensieri e rispose: “ Sinceramente neanch’io so ancora bene come funzioni. Io non ho mangiato un frutto del diavolo, è una ‘dote’ che ho fin dalla nascita. Quando si attiva, io non sono più io: mi trasformo in una macchina per uccidere, non provo più pietà e non mi fermo davanti a niente. La mia forza si quadruplica, divento molto più veloce ed agile e riesco a liberare la mia energia interna attraverso micidiali onde d’urto che posso applicare ad altre armi come il mio arco.
Per quel poco che mi ha detto mio nonno è una caratteristica di tutta la mia famiglia: di solito resta latente, ma in me si è manifestata ed erano secoli che non accadeva. Per questo il vecchio pazzo era così elettrizzato all’idea di addestrarmi, ma anche lui non sapeva bene da che parte cominciare. Innanzi tutto non riuscivo ad attivare il mio potere a comando, ma quel bastardo scoprì quasi subito che bastava farmi arrabbiare o farmi odiare qualcosa per ‘azionarmi’.
Così oltre alle torture fisiche, ricominciarono anche quelle psicologiche. L’unica cosa positiva fu che riuscii a scoprire il nome di mio padre: lui era uno degli argomenti preferiti di mio nonno per farmi arrabbiare e l’unico su cui io e il vecchio siamo d’accordo. Odio mio padre e uno dei motivi per cui voglio prendere il mare è proprio quello di poterlo incontrarlo e fargliela pagare.”
“Ti capisco…” sussurrò il moro.
“Come?” chiese la ragazza, non essendo sicura di aver sentito bene.
“Ehm… Uno, hai detto? Quali sono gli altri motivi per cui vuoi diventare un pirata?”  chiese curioso Ace tentando di sviare il discorso dall’affermazione che si era fatto sfuggire.
Maya si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e abbassò gli occhi imbarazzata: non aveva mai parlato a nessuno del suo sogno segreto, neanche a  Syri.
“Beh… quando ero a Marijoa le uniche cose che mi distraevano da tutto quello schifo erano la fotografia e la lettura. La sera, quando non ero troppo stanca, sgattaiolavo di nascosto in biblioteca e leggevo fino all’alba anche se in teoria non mi era permesso entrarci da sola. Con il fatto che quella era la biblioteca personale di mio nonno e degli Astri potevo trovare di tutto e di più; così un giorno mi imbattei nelle biografie dei più grandi e pericolosi pirati della storia.
Adoravo quei personaggi e invidiavo i loro compagni perché avevano potuto assistere alla nascita di quelle leggende ed affiancarle in tutte le battaglie che li avevano resi celebri. E così decisi che un giorno avrei preso il mare, non come capitano di una ciurma, ma come compagna di un uomo che sarebbe diventato un grande pirata per poterne poi raccontare la storia. Voglio diventare la biografa del futuro Re dei Pirati, voglio poter scrivere la sua vita per poi affermare orgogliosa ‘io c’ero’!”
Maya era diventata rossa come un peperone un po’ per la vergogna e un po’ perché si era molto infervorata nell’ultima parte del discorso. Ace la stava guardando sorridendo: “Sai che sei proprio incredibile? Molti sognano di essere i protagonisti della storia, di avere tutto o niente. Tu invece vuoi solo farne parte e aiutare gli altri a raggiungere il loro obiettivo. Sei proprio unica!”
“Pensi che sia un sogno stupido?” chiese la bruna visibilmente preoccupata per il giudizio del compagno.
“No, assolutamente!” si sbrigò a spiegare Ace. “Al contrario, penso sia bellissimo!”
Maya sorrise rilassata per tornare subito seria: “Comunque per terminare il racconto, mio nonno mi continuò ad allenare fino alla vigilia del mio decimo compleanno quando mi disse che il giorno seguente sarei entrata all’accademia militare per diventare un marine. Non provai minimamente ad obbiettare: tutti quegli anni di torture mi avevano fatto perdere la voglia di combattere e di oppormi. Ero rassegnata al mio destino.
Invece il cielo mi mandò un angelo salvifico: la schiava di mia nonna, che aveva continuato ad occuparsi di me anche dopo la sua morte e che era stata anche la nutrice di mia madre. Quella notte venne nella mia stanza e mi riscosse dal mio torpore: aveva intenzione di farmi scappare come aveva aiutato mia madre anni prima. Essendo stata a lungo al servizio della nostra famiglia aveva più libertà di azione a palazzo. Purtroppo le cose non andarono come aveva pianificato: mentre scendevamo verso l’uscita di servizio  venimmo intercettate da un drappello di marines di ronda. Ci mettemmo a correre inseguite da quegli uomini ai quali presto se ne aggiunsero altri.
La notizia della mia tentata fuga venne subito riferita a mio nonno che diede l’ordine di uccidere chiunque mi volesse aiutare. E così quelli stronzi aprirono il fuoco e uccisero la mia tata. Le volevo molto bene: era l’unica in quell’inferno che mi trattasse con affetto, mi curava le ferite, mi copriva durante le mie ‘fughe’ in biblioteca, mi stava accanto la notte quando mi svegliavo in preda agli incubi. Alla vista del suo corpo privo di vita, persi il controllo e uccisi tutti i marines lì presenti. Poi mi misi a correre verso il giardino, scavalcai il muro di cinta e mi diressi verso il porto. Mi nascosi in una cassa che doveva essere imbarcata su un mercantile, giunsi qui nel Mare Orientale dopo un paio di mesi di navigazione e non mi sono più mossa da allora!”
Maya concluse il suo racconto e tornò a fissare il mare attendendo i commenti del suo amico. Le reazioni potevano essere tre: se ne sarebbe potuto andare disgustato, avrebbe potuto bombardarla di domande di carattere morale ed esistenziale alle quali non aveva voglia di rispondere oppure avrebbe potuto compatirla e dispiacersi per lei (Syri aveva scelto quella strada aggiungendoci pure lacrime e una decina di abbracci!). Ma non avvenne niente di quello che aveva previsto.
Ace le si avvicinò e le prese delicatamente la mano facendo intrecciare le loro dita. Quando lei si voltò a guardarlo stupita, le rivolse un sorriso dolce e comprensivo che le riscaldò il cuore. Poi, voltandosi a guardare l’oceano che scintillava sotto i raggi del sole, il moro disse: “Adoro il mare. Dopo la tempesta è ancora più bello, non trovi?”
Maya sgranò gli occhi tentando di trattenere le lacrime. “Sì è bellissimo!” rispose tornando a concentrarsi su quella superficie di luce e stingendo ancora di più la mano di Ace, beandosi del calore che emanava.
 
Rimasero così, mano nella mano, a fissare quell’immensa distesa di acqua cristallina finchè uno starnuto di Maya li riportò alla realtà.
“Accidenti! Mi ero scordato che sei ancora convalescente! Meglio rientrare prima che ti ammali di nuovo!” Ace si alzò sbattendosi via la sabbia dai pantaloni.
Anche Maya si era alzata, un po’ dispiaciuta di dover interrompere quel momento di intimità che si era creato con il moro. Il suo sguardo tornò a posarsi un’ultima volta sul mare ormai completamente calmo che sfavillava sotto i raggi del sole.
Poi si voltò verso Ace: le stava sorridendo dolcemente con la mano protesa che attendeva la sua. Maya ricambiò il sorriso, afferrò senza esitazioni la mano e finalmente capì. Si stava innamorando di Ace: aveva trovato il suo sole che la faceva sentire migliore con la sua sola presenza! Ma nello stesso momento realizzò anche un’altra cosa: il sole rimaneva immobile sempre pronto ad illuminare il mare, ma Ace era fuoco vivo che non poteva essere fermato e presto o tardi l’avrebbe di nuovo lasciata sola nel buio della tempesta.
 



 
 
 
N.d.a.
Saaaaaaaaaaalve. Ok, è vero: sono in ritardo di una settimana. Vi chiedo scusaaaaaaaaaa!!!!!!!!
Comunque alla fine ce l’ho fatta: ecco a voi la triste storia di Maya! Ho esagerato? Naaaaah!!!!!
Visto che gli Astri nel manga non hanno nome me lo sono inventato. Per intenderci, il nonno della protagonista è quello più giovane che nell’anime è biondo.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto, recensito, inserito tra le preferite/seguite la storia o che lo faranno. Vi adoro tutti!!!
Ci vediamo a luglio! Vi consiglio di munirmi di insulina: sarà un capitolo ultra romantico… o almeno spero!
A presto. C.S.
  
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