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Autore: Calenzano    21/06/2014    1 recensioni
Keana, intellettuale del distretto 5, introversa e inquieta. Con tanta passione per i grandi ideali quanta sfiducia in sé stessa. E con il tacito desiderio di una sorella minore. Non certo il tributo ideale per i Giochi. Ma quando Capitol City va a colpire nel profondo, non può più permettersi di restare a guardare.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Pareva che andassero a sud. Il sud è dove il sole

all’ora di mezzogiorno proprio ti sta davanti. [..]

(B. Brecht, “Poesie e canzoni”)


 

 

 

Ci piombano addosso all'improvviso, silenziosi, letali. Non ho sentito nulla, la stanchezza mi ha ottuso i sensi. E ora mi ritrovo il pugnale di Retia a un millimetro dagli occhi. Ma quello che mi paralizza è vedere Codrina immobile, pietrificata dalla paura, con Hebi che la sovrasta soddisfatto. Il terrore mi corre nelle vene come neve di ghiacciaio sciolta, vorrei supplicare che la lascino andare, pur sapendo benissimo che è inutile, ma la voce non esce. Hebi, che stranamente non ha in mano la sua balestra, bensì gli shaken di Absinth, ne solleva uno. Poi lo scaglia contro Codrina con tutta la forza che ha. Non vedo sangue uscire dalla ferita, ma so che è profonda, e lei si raggomitola cercando istintivamente di ripararsi. I suoi occhi terrorizzati mi cercano, ma sono terribilmente impotente, e non posso fare altro che assistere in preda all'orrore. E' stato tutto inutile, ho fallito. E ora non mi resta che guardarla morire. Mentre Retia la finisce a pugnalate mi sento come se mi stessero strappando via il cuore. Finalmente qualcosa dentro me si spezza per sempre, e mi sento urlare da squarciare la gola, pazza di dolore. Poi tutto si fa incerto.

“Kea...!” La sua voce mi arriva da lontano. Sbatto gli occhi confusa. Il locale desolato attorno a noi riprende consistenza nella luce rosata dell'alba che penetra dalle finestre in alto, e così il duro pavimento sotto di me. Codrina è qui accanto a me, che mi fissa spaventata, ma indubbiamente viva. Mi tiro su ansimando, e per poco non ricado subito giù per la debolezza, ma pure per il sollievo. Le immagini dell'incubo però sono ancora vivide, e il cuore mi galoppa nel petto. “Niente, niente, tutto ok...” La rassicuro, mentre mi tranquilizzo poco a poco. Non mi chiede cosa ho sognato, non c'è bisogno di fantasia per immaginarlo.

La notte non può essere durata più di un paio d'ore. Fatico a raccogliere le idee e mi sento indolenzita ovunque dopo il volo di ieri. Anche Codrina ha gli occhi spenti, e rimane seduta sull'impiantito polveroso, le ginocchia al petto. L'urgenza improcrastinabile di trovare acqua si ripresenta prepotente. Avverto la lingua gonfia, e le labbra spaccate rendono fastidioso anche parlare. Mi alzo mentre il sole spunta all'orizzonte e spezzo le frecce rubate a Hebi, una ad una, con forza, in una sorta di rito liberatorio, ma continuo a sentirmi insopportabilmente spiazzata. Finora sono sempre riuscita a tirare fuori una soluzione ad ogni ostacolo, stavolta però non so davvero che pesci pigliare. Sbircio il cielo già bianco e arroventato come metallo al punto di fusione, sperando vagamente di vedervi una nuvola. Che spettacolo pensano che possiamo offrire gli Strateghi, se moriamo tutti di sete? L'unico posto con l'acqua, che io sapessi, era il centro commerciale, ma anche quello è rimasto tagliato fuori dal muro elettrico. Possibile che ci sia dell'acqua nascosta da qualche altra parte? Ripasso per l'ennesima volta tutti i posti che conosco dell'arena, ma da nessuna parte mi sembra di aver notato indizi. Siamo in un vicolo cieco. Forse potremmo provare comunque a dare un'occhiata in giro. Di certo, più aspettiamo e più la temperatura sale, e la sete con lei.

 

Il guerrigliero […] deve poter compiere sempre ancora un gesto, traendolo dalla convinzione che potrà poi compierne ancora un altro, fino a raggiungere la meta. In realtà avrei solo voglia di gettarmi a terra in qualche scampolo d'ombra che ripari almeno la testa e restare così, dando riposo agli occhi abbacinati dalla luce e indifferente a tutto il resto. Camminiamo a passo di lumaca tra i palazzoni diroccati e anneriti, rigirandoci in bocca un sassolino: un espediente per attenuare il senso di sete producendo saliva, che ricordo di aver letto in un libro scritto da un montanaro del distretto 7.
Ho scarsa fiducia in questa perlustrazione, ma non so davvero che altro fare. La responsabilità mi grava addosso più della cappa di caldo. La cosa peggiore della sete, scopro, è l'ossessione che provoca per l'acqua. E' anche peggio della fame. Per quanto ci si sforzi di escluderne il pensiero, questo ritorna continuo, assillante, insopportabile. Sembra in continuazione di sentirne la sensazione liquida e fresca nella bocca riarsa, lo sciacquìo morbido nelle orecchie, persino l'odore umido e invitante. Credo che in questo momento mi getterei senza ritegno anche sull'acqua proveniente da una fogna. Individuiamo una tubatura semisepolta tra le macerie, ma dopo un lungo e tedioso lavoro per forzarla dentro troviamo solo polvere. Il sole è allo zenit, e l'arena intera, priva di ombre, sembra un miraggio tremolante sotto i suoi raggi.

“Dovremo per forza tornare verso il centro commerciale,” borbotto “magari c'è un modo per aggirare la recinzione... Ci deve essere.” E se non c'è, lo creeremo. Non mi interessa la presenza dei manichini killer. Non possono essere peggio di questo tormento. Sto ancora parlando, quando mi rendo conto che Codrina non mi è accanto. Mi volto, e il cuore salta un battito. E' poggiata al muro di una casa, e si stringe una gamba con entrambe le mani. La raggiungo di corsa. “Codri, cos'hai?”

E' rossa in viso, gli occhi sottili ridotti a fessure. “Le gambe... Ho dei crampi fortissimi...” Le sfugge un gemito. “Non riesco a camminare.”

La faccio sedere per terra, lo stomaco stretto nel vederla contorcersi per il dolore. “Stai tranquilla, ora passano.” Provo a dire, accosciandomi accanto a lei, ma il rossore del volto mi fa venire un brutto sospetto. Le poggio una mano sulla fronte, la pelle è caldissima. Ricordo perfettamente la pagina dell'enciclopedia medica alla voce “colpo di calore”, i sintomi corrispondono. “Dobbiamo andare in un posto più fresco, ce la fai a tornare al seminterrato?”

Lei annuisce, e io la aiuto a rialzarsi. Cerca di mostrarsi forte, ma dopo pochi metri è di nuovo ferma, piegata in avanti. Non c'è tempo da perdere, la devo portare all'ombra. Mi metto di spalle davanti a lei, mi faccio mettere le braccia intorno al collo e me la carico sulla schiena. Ma quando cerco di raddirizzarmi le gambe mi vengono meno, barcollo e a momenti cado in avanti sull'asfalto bollente. Andiamo bene, penso. Ma non posso permettermi di essere debole, non posso e basta. Serrando i denti mi costringo a tirarmi su, e muovo i primi passi, attenta a non sbilanciarmi. Fortuna che non è troppo lontano.

Strada facendo parlo a vanvera, cercando di tranquillizzare me stessa prima ancora che Codrina. Il suo respiro affannoso moltiplica le mie forze, ma quando finalmente arriviamo al nostro rifugio vedo danzare ombre nere davanti agli occhi e devo aspettare un attimo, prima di far stendere la mia amica sul pavimento di cemento. Non sarà fresco, ma almeno, sottoterra, il calore infernale è un po' smorzato. Le sistemo lo zaino sotto la testa, l'aiuto a togliere le scarpe e tento di farle vento alla meglio.

“Come ti senti?” Le chiedo dopo qualche minuto.

“Un po' debole... Ho la nausea.” Mormora.

Un po' debole, minimizza persino ora, penso con tenerezza. Poi mi però mi nasce un sospetto. “Quando abbiamo finito la borraccia, ieri... Hai bevuto veramente?” Le chiedo, fissandola. Sul momento non ci ho fatto caso, ma ora mi torna in mente la solerzia con cui mi restituito il contenitore, un po' troppa.

“Solo un poco...” Confessa. Di fronte alla mia espressione, si affretta ad aggiungere: “Tu ne avevi più bisogno, fai sempre tutte le cose più rischiose... Volevo fare qualcosa io per te.”

Vorrei dirgliene quattro e anche otto, ma come potrei? Tutta l'arrabbiatura svanisce come acqua al sole di fronte a un gesto del genere. “Codri...” Scuoto la testa, non trovo le parole. Ci rinuncio. “Non ci riprovare, o la prossima volta ti strozzo. Ora non parlare, non ti devi sforzare.”

Le faccio una carezza con la scusa di sentirle di nuovo la fronte: scotta. So cosa ci vorrebbe. Ma non ne abbiamo neppure una goccia. Mi sento terribilmente impotente. Penso agli sponsor, sono gli unici che ci possono soccorrere.

“Elder... “ Invoco “Ci serve un po' d'acqua.” Alzo gli occhi verso l'esterno, e nella voce mi sento tutta l'urgenza. “Per favore... Non per me, per lei! Faccio quello che volete, tutto. Ma tu mandaci un po' d'acqua!”

Attendo, ma non accade nulla. Sto sprofondando nello sconforto, quando percepisco un suono elettronico a intermittenza. Poi qualcosa atterra con un fruscio fuori dalla finestrella del seminterrato. Euforica, corro fuori.“Codri, abbiamo l'acqua!” Esulto, ma quando tiro su il piccolo paracadute mi ritrovo in mano qualcosa di pesante, lungo e stretto. Sfilo il rivestimento di stoffa, e fisso la katana nera, del tutto simile a quella che aveva con sé Absinth alla sua irruzione. Lo sconcerto si trasforma rapidamente in rabbia. Mi prende in giro?
“Avevo chiesto acqua!” Mimo con veemenza il gesto di bere. “Codrina sta male! Cosa me ne faccio di questa?!? Ci scavo per terra finché non trovo l'acqua? O è un suggerimento ad ammazzarsi tutte e due???” Sto praticamente urlando, e la voce mi si è fatta stridula. Aspetto, ma naturalmente non c'è risposta. Rientro furibonda, e più disperata di prima. Getto in un angolo la spada, che rotola con un rumore metallico. Deve essere costata una cifra astronomica, ma in questo momento non me ne può fregare di meno. Cerco il coraggio per dire a Codrina cosa abbiamo ricevuto, e soprattutto che di acqua non ce n'è nemmeno l'ombra.

“Attenzione, tributi.” La voce amplificata di Templesmith rompe il silenzio, facendomi sobbalzare. “Sappiamo che vi trovate, come dire... Un po' a secco. Quindi vogliamo offrirvi un'opportunità di rinfrescarvi. Alla Cornucopia è già pronto un brindisi alla vostra salute. Ma dovete affrettarvi, le bevande non basteranno per tutti... Non tardate, e possa la fortuna essere sempre a vostro favore.” La voce tace. Ora è chiaro a cosa mi servirà la spada.

 

“Kea, non andare. Adesso mi passa.” Codrina ha la voce impastata, ma ha capito perfettamente la situazione. Mi inginocchio accanto a lei e le stringo delicatamente una mano tra le mie. La pelle è secca in modo allarmante, quasi rugosa in certi punti, deve essere più disidratata di quanto non credessi. Come ho fatto a non accorgermene prima?

“Codri...” Tiro un respiro profondo. “Abbiamo bisogno di quell'acqua. Senza, moriremo tutte e due. E non siamo arrivate fin qui per fare questa fine. Mi tocca lasciarti sola un'altra volta, ma solo per poco. Tu intanto stai tranquilla, e cerca di dormire un po', d'accordo?” Lei non risponde, e le leggo l'angoscia negli occhi. “Ci saranno gli altri due...”

Sento un'ondata travolgente di affetto, e penso che non c'è Favorito che in questo momento non affronterei. “Non ti preoccupare: Elder ci ha mandato questa,”e faccio segno verso la katana “per cui quei due faranno bene a girare al largo. E poi, ho promesso o no di fare di tutto per riportarti a casa? E allora mi tocca tornare per forza.”

Mi chino per abbracciarla, le do un bacio sulla guancia e le sussurro all'orecchio “ti voglio bene”. Quindi mi sciolgo a malincuore, raccolgo la spada e infilo rapida le scale.

 


Camminando il più velocemente possibile arrivo in prossimità dell'ormai familiare piazza. Vorrei correre, ma le gambe sembrano pesare più del piombo, e non voglio consumare tutte le energie residue, soprattutto in vista di uno scontro. In realtà la sicurezza che ho ostentato con Codrina è piuttosto labile, ma mi basta pensare al suo viso provato per avvertire un senso di feroce determinazione. Ho detto che le porterò quell'acqua, e se “quei due” si metteranno nel mezzo, peggio per loro. Aggirate le strade sbarrate, mi affaccio con cautela all'angolo.
A sei o sette metri della Cornucopia semidistrutta è comparso un grande cubo di granito scuro, coronato da una tettoia metallica. Sul cubo, riparata dall'ombra, troneggia un'enorme borraccia. Nella piazza nulla si muove, ma posso ben immaginarmi cosa succederà non appena uscirò allo scoperto. Di certo i due compari stanno aspettandomi in agguato dietro a ciò che resta della Cornucopia, come prima. Ma non posso permettermi di indugiare. Tenendomi pronta a sfoderare la spada, mi approssimo alla struttura. Mi addosso alle pareti di metallo bollente. Lentamente, la mano serrata fino a sbiancare sull'impugnatura della katana, guardo dietro alla Cornucopia. Nessuno. E se stessero facendo il giro per prendermi alle spalle? Mi volto, pronta a scattare. Ma tutto tace, e mi rendo conto di essere sola nella piazza. A meno che....
Con circospezione, mi avvicino al grande cratere creato dall'esplosione di Absinth, e sbircio dentro ingobbendomi per timore che da là possa partire una freccia. Ma non vedo altro che polvere e detriti. Dove sono finiti quei due? Forse sono stati trattenuti da qualcosa. Ottimo, tanto meglio. Corro al cubo e afferro la borraccia. Lo sciaguattìo che viene da dentro mi rende impossibile resistere, ne svito il tappo e bevo a lunghi sorsi. La sensazione è paradisiaca, l'impressione di benessere indescrivibile, e devo obbligarmi a smettere. Non resisto però al desiderio di passarmi la mano sul viso e tra i capelli impiastrati di polvere e sudore, dopo averla bagnata premendola contro l'imboccatura, in modo da disperdere meno acqua possibile. Ne rimane comunque una grande quantità, e richiudo bene il recipiente. Mi sento rinata, e mi rimetto in marcia con un senso di euforia. Forse possiamo davvero farcela. Finora mi ero proibita di confidarci davvero, ma adesso sento la speranza che mi scorre nelle vene, fresca e meravigliosa come l'acqua di un attimo fa. Ora di corsa da Codrina.

Attraverso la piazza e imbocco la via del ritorno. Sto immaginando già la gioia della mia amica nel ritrovarci, il suo piacere nel potersi finalmente dissetare. Per l'impazienza accelero il passo fino a un piccolo trotto. Ora mi sto approssimando alla barriera elettrica. Di là, basterà piegare a sinistra, e percorrere poche altre strade. Sento l'elettricità permeare l'aria, mentre svolto l'angolo, tenendo sotto controllo il tremolio dell'aria. Ma quando torno a voltare la testa in avanti, qualcosa riempie completamente il mio campo visivo. Poi tutto esplode in una dolorosa miriade di lampi colorati.

 

  
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