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Autore: coffeeANDwords    22/06/2014    0 recensioni
"[...] Mentre scriveva lanciò un’occhiata al ragazzo e vide le sue mani grandi. La sua pelle era di un colore delicato e punteggiata da migliaia di imperfezioni che lo facevano somigliare ad un prato fiorito."
"[...]Quello era un silenzio diverso: era piuttosto un’assenza di rumore che si stagliava tra di loro come un sottile muro di carta, intimo e piacevole. Era come le gentili note di un pianoforte, come se tra loro ci fosse una comunicazione muta costellata da una forte empatia."
"[...]Rimase a fissare quel pezzo taciturno di marmo e il suo viso si ricoprì di un velo. Era di una bellezza rara, anche con quell’ombra dipinta sul viso. I suoi occhi chiari sembravano raccogliere l’acqua di tutti i mari della terra."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Occhi nudi
 
Per un attimo. Solo un attimo. Trattenne il respiro e poi guardò fuori dalla finestra dello studio. Aveva una cravatta stretta al collo, e la primavera stava arrivando. Le strade davanti all’ospedale di Trieste si stavano colorando di un verde mela molto intenso, che nascondeva ogni vecchia traccia di neve e freddo. Febbraio era passato silenziosamente, come se nessuno si fosse accorto dell’arrivo di una neve fredda, una nebbia fitta e di tante piogge scroscianti. Nessuno aveva capito che il mese di Febbraio era scorso con una velocità inaudita ed era stato snobbato da tutti perché gli mancava qualche giorno. Manlio era invecchiato. Si guardò allo specchio e vide delle profonde e violacee occhiaie che gli contornavano gli occhi chiari. Era talmente stanco di quell’inverno che gli sembrava non finire più. Era stanco di quel lavoro sfiancante. Era sempre pronto a dare il meglio di sé, ma stava diventando un dramma. Aveva talmente voglia di cambiare, che avrebbe fatto di tutto. Quella fu l’ultima notte in cui pensò ad Evita. Dopo di essa la smise per un po’. Smise di pensare a lei fino a quando lei non gli si presentò di fronte, completamente diversa, a piedi scalzi. Aveva aspettato che il suo turno di notte lo costringesse a restare in ospedale da solo e poi aveva agito. Si era levata tutto quello che aveva addosso nel suo studio, mentre l’ospedale era buio e vuoto di personale. Si era infilata nel suo studio, mentre lui era seduto sulla poltrona imbottita, che dava le spalle all’ingresso. Guardava fuori, pensieroso. Si sgranocchiava le unghie, in un silenzio assorto e buio. La donna era entrata nel suo studio con una quiete incredibile, posando lentamente i piedi l’uno davanti all’altro senza fare rumore. Gli era comparsa alle spalle e gliele aveva artigliate con le sue mani magrissime. Manlio si era spaventato e girato di soprassalto ed era rimasto esterrefatto da quella visione. I suoi occhi erano spalancati e umidi, in uno sguardo d’incomprensione e di confusione. Vide la donna, in piedi dietro alla sua poltrona, completamente nuda. Poteva vedere le sue clavicole sporgenti, i suoi piccoli seni bianchi e le sue braccia scheletriche. Era letteralmente sconvolto, non riusciva nemmeno a chiedersi cosa stesse succedendo, che lei gli si era avvicinata senza alcun indugio. Lui aveva istintivamente alzato le mani in segno di difesa, seppur quella donna avesse la consistenza di un foglio di carta velina. Lui era stato letteralmente colto di sorpresa e non aveva nemmeno avuto il tempo per riflettere su quella follia. Lei gli si era lanciata contro, fredda come un cadavere, e lui non aveva saputo come reagire. Lui aveva cercato di comporre qualche parola ma era terrorizzato.
«Ma come, ti tiri indietro?» Disse lei, accostando le labbra al suo orecchio. Lui deglutì con fatica. Si sentiva come ingabbiato tra un mucchio di ossa viventi. Non sapeva cosa dire. Era atterrito.
«Cosa stai facendo?» Chiese lui, con voce tremante, bassa e quasi preoccupata. Iniziava a sudare. «Non si vede?» Rispose lei, con la stessa voce di prima. Manlio era pietrificato davanti a quello spettacolo squallido.
«La situazione ti sta sfuggendo di mano, Evi»
«Chiamami ancora così» Gli disse lei, nello stesso orecchio. Aveva un tono suadente e caldo, un tono provocatorio ed eccitante. Le sue labbra erano gonfie di parole da dire, rosse come il sangue, appiccicose di rossetto. Il suo alito era dolce, come se avesse mangiato delle ciliegie. Manlio, immobile di fronte alla sua pazzia, stava immobile e guardava dritto davanti a sé. Sentiva le sue gambe sulle sue. Per un secondo un pensiero losco lo sfiorò.
«Senti, ragiona, togliti, dai» Disse lui, distogliendo lo sguardo e posandolo su di lei. Evita si morse il labbro, ed emise un lungo e sottile gemito. Manlio, a quel punto, la guardò.
«Non stai bene» Aggiunse lui, alzando la voce.
«Sto benissimo» Rispose, mettendosi cavalcioni su di lui. Lui si tirò indietro improvvisamente, schiacciandosi contro la poltrona, ma non riuscendo a scansarla. Sentì un brivido percorrergli la schiena, ed improvvisamente si sentì svenire. La donna gli toccò la gamba e poi portò la bocca sul suo collo, sudato. La situazione non gli sarebbe sfuggita di mano. Evita lo immobilizzò con un bacio umido sul collo. Un bacio lungo e al quale lui non seppe più di tanto resistere. Cercò di spostare il capo, ma la donna continuò a baciarlo ardentemente senza mai staccare le labbra dalla sua pelle. Il suo cuore galoppò nel petto così forte che lei poteva sentirlo. Cercò di staccarla, di spostarla da sé, ma lei lo desiderava impetuosamente. Alla fine Manlio fece forza sulle braccia e la spinse via, quasi disgustato. La guardò con occhi spaventati e allucinati, mentre lei si dimenava sulla poltrona per coprirsi.
«Adesso hai esagerato. Io me ne vado» Disse lui. Prese la giacca e scivolò fuori dallo studio. La donna rimase a guardarlo, senza dire una parola. Lui abbandonò l’ospedale nel bel mezzo del turno, sentendosi un idiota. Si accese una sigaretta mentre camminava verso casa, innervosito dal suo atteggiamento, provando una sordida insofferenza per ciò che era appena successo. Fuori era buio pesto, e quando arrivò a casa salì di corsa le scale e si gettò in doccia, per sciacquarsi via quelle sensazioni. Quando uscì dalla doccia Myriam era sveglia, in piedi davanti a lui, che lo aspettava. Aveva gli occhi di chi si è appena svegliato ed indossava solo dei sottili slip. Gli occhi di lui erano avviliti, tristi, stanchi.
«Perché sei a casa?» Domandò lei, grattandosi un braccio.
«Io non voglio più tornare in quel posto» Disse lui, asciugandosi i capelli con un asciugamano. Myriam sgranò gli occhi.
«Di cosa stai parlando?» Gli occhi di Manlio erano stralunati. Guardava la donna come se fosse ovvio tutto. Poi si passò una mano sugli occhi, sfinito.
«Mi ha sorpreso alle spalle. Cercando qualcosa da me» Gli tremò la voce.
«Non ti seguo»
«Mi ha baciato» Myriam s’irrigidì. Arretrò, coprendosi il petto nudo con le braccia. I due si guardarono, e lui attendeva impazientemente una risposta.
«Scusa?»
«Non riuscivo nemmeno a scansarla, si è avvinghiata a me come un polipo»
«Però ti ha baciato» Manlio non capiva. Non capiva se quello fosse un interrogatorio, un terzo grado o una sorta di sfida.
«Ascolta, adesso, non è che io sono sempre lo stesso idiota, se ti dico che una cosa è andata nel tal modo significa che è così» Manlio le parlava con gli occhi che sembravano due palline da golf. Erano rotondi ed esplosivi, come se gli potessero uscire dalle orbite da un momento all’altro. Non sapeva nemmeno cosa dire. Poi i suoi occhi ebbero un moto di disperazione, si annebbiarono di lacrime e si sentì improvvisamente in crisi. Sbuffò, allargando le braccia. Si passò una mano sulla fronte, poi uscì. Ne aveva abbastanza di incomprensioni. Forse era troppo stanco, troppo finito, troppo ridotto al silenzio per poter continuare quella vita. Era una vita felice e ridondante, ma c’era sempre qualche problema, e lui cercava di essere sempre sincero ma otteneva solo degli enormi interrogatori che lo figuravano come quello che aveva sbagliato. Si sentiva un idiota ad aver quasi pianto di fronte a Myriam. Si sentiva uno stupido bambino triste, affranto e scontento della propria vita. Non provava più, di colpo, quell’eccitazione e quella gaiezza che lo pervadeva da quando stavano insieme. Si sentì imprigionato in una gabbia di fraintendimenti. Chiuse la porta alle sue spalle, alzandosi il bavero della giacca sul collo, e si accese una sigaretta inspirando profondamente. Ebbe un pensiero ribelle, rivoluzionario, solo rivoluzioni correvano nella sua testa. Fece tanta strada a piedi, camminando stretto nelle spalle. Avrebbe voluto recarsi al cimitero, perché solo là nessuno lo incolpava di qualcosa o lo sgridava o lo trattava male. Eleonora lo guardava dalla foto sulla lapide. Il suo sguardo vitreo era così dolce che Manlio pensò alla canzone dei Good Old War, in silenzio.
You have amazing eyes
Che senso aveva, ora come ora, continuare a barcollare tra l’ospedale e casa? Due donne che lo facevano impazzire in maniere opposte ma ugualmente terrificanti. Si sentì in colpa per aver abbandonato Myriam dopo il litigio, si sentì così bieco da non voler fare ritorno. Si sentì cattivo per aver respinto Evita, che aveva capito essere interessata a lui da un bel po’ di tempo. Si sentì male per non aver sbrigato i suoi obblighi ospedalieri in tempo per evitare quella situazione, si sentì bastardo dentro, per non aver saputo scegliere. Si fermò davanti al Tagliamento agitato per il freddo Febbraio. Chiuse gli occhi e desiderò di galleggiare in una vita più semplice e meno articolata, di ricevere, un giorno, un’Eleonora. Pensava a quanto amore aveva ricevuto da lei, a quanta rabbia aveva provato per averla persa e a quante persone erano troppo diverse da lei. Pensò ad Evita, che gli piaceva, ma che lo spaventata. Pensò a Myriam, che lo amava, ma non abbastanza da credergli. La sigaretta finì lentamente. Se ne accese un’altra, e la fumò tutta, fino all’ultimo tiro. I suoi occhi erano fissi sull’orizzonte lontano, e sembrava che non avessero vita. Erano occhi nudi. Spogliati di ogni emozione, di ogni sensazione. Passò quasi metà della notte fuori casa, seduto insonne su una panchina davanti al fiume. Aveva le mani incrociate, fredde, ed era immobile, pensieroso, davanti allo scorrere inesorabile dell’acqua. Inspirava senza sentire il tempo passare e poi, dopo un paio d’ore, si alzò, quando l’aria era troppo fredda per resistere. Tornò a casa, sfinito. Quando ebbe raggiunto la cima delle scale, entrò dalla porta e si spogliò per infilarsi a letto. Poco dopo, quando si fu sdraiato accanto a lei, cadde in un sonno profondo ed improvviso. Gli sembrò di morire.
Evita rimase chiusa nello studio dell’ospedale a pensare a quello che era successo. Era decisa a dare una svolta alla propria vita, e voleva quell’uomo. Si presentò qualche settimana dopo da lui, quando forse Manlio si aspettava che la sua follia si fosse placata. Lui, cosa pensava che non diceva?
La vera unica differenza tra due persone è il modo in cui pensano. Non conta come agiscono o come presumono di agire, ma come pensano. Non cosa, non perché, ma come. L’unica differenza tra Evita e Manlio, è che pensano in modo differente, ma pensano le stesse cose. Hanno gli stessi bisogni, le stesse idee, gli stessi impulsi. La vera unica differenza tra lui e lei, è che entrambi sono perfettamente consci di essere un bastardo incastro. Due pezzi di puzzle, la banalità di due cose fatte per incastrarsi. Senza altri sostituti. Avevano ucciso i loro impulsi. Lei era la bambina, lui l’adulto. Oppure lui il bambino e lei l’adulta. O ancora, lui il padre, lei la figlia. Lui il padre affettuoso, lei la figlia innamorata di lui. Oppure lui agiva inconsapevolmente. Lui viveva ingenuamente da ragazzino, mentre lei, poi, era succube senza che lui, neanche se ne accorgesse. Manlio era sul chi va là, stava sulla difensiva, stando insieme ed andando a letto con una ragazza bella ed amorevole, ma qualcosa mancava.
Manlio non aveva paura, ma non si fidava al cento per cento di lei. Un giorno, poi, lei arrivò nel suo ufficio, con un paio di scarpe alte e lucide, ticchettanti. Lui stava bevendo un latte macchiato super zuccherato, con una lunga cannuccia bianca. Stava guardando dei referti al computer, i suoi occhi chiari erano fissi sullo schermo, riflettevano le scritte. Lui aveva i capelli sistemati col gel, e la barba era appena fatta, corta. Lei entrò dalla porta trasparente in silenzio, con un vestito corto rosa, color pesca, grazioso e di quel genere che non scopre e non copre, quello che crea quel disagevole gioco tra ciò che si vede e ciò che non si vede. Lui, alla sua entrata, aveva alzato gli occhi verso di lei, continuando a succhiare la cannuccia. Aveva l’espressione dei bambini, sorpresi sul fatto.
«Ciao, mi dispiace. Sono stata cretina, ho agito senza pensare e mi dispiace, davvero, ma non so se posso dimenticarmi tutto quello che hai fatto per me, non so se mi spiego» Manlio la guardò, con occhi incerti, staccando le labbra dalla cannuccia, e rilasciando qualche bollicina nel bicchiere.
«Ciao, anche a me dispiace» Rispose lui, guardandosi le mani. Si vedeva nei suoi occhi un sottile canceroso sgomento.
«Mi porti sulla spiaggia?» Manlio la guardò con occhi sereni. Come se quella richiesta gli avesse quasi fatto piacere. Il suo sguardo rivelò un sentimento di piccola confusione.
«Non saprei, vedo che impegni ho, d’accordo?» Evita storse il naso, poi uscì, esibendo le sue lunghe belle gambe bianche. Manlio andò a casa, quella sera, pieno di pensieri. In quell’appartamento, Myriam lo aspettava. Quando entrò in casa lei iniziò ad arrabbiarsi con lui. Quali erano i motivi?
Era molto arrabbiata per ciò che era successo tra lui e la dottoressa. Manlio era perfettamente consapevole che la sua rabbia era giustificata e corretta, ma si ostinava a non vedere il problema. Ebbero un lungo litigio, un imponente scambio di urla e rabbia. Manlio non aveva mai urlato contro qualcuno prima, in vita sua. Dopo un’ora, lei gli diede una sberla in viso. Forte, schioccante, deleteria. Poi se ne andò, e lui rimase davanti alla finestra a darsi dell’idiota, con la sigaretta in bocca e il sudore che gli gocciolava dalla fronte. Non sapeva neanche spiegarsi tutto ciò. Aveva passato la notte in dormiveglia, in una fase di stallo, immobile, in bilico. Era come se non avesse capito cos’era successo, proprio come se la sua rabbia fosse stata un attacco isterico senza motivo, e lui, benché sapesse bene come stavano le cose, non voleva capire. Fu una notte insopportabile. Aveva i capelli sulla fronte, e il suo viso era riverso sul cuscino, chiudeva gli occhi, poi lasciava andare un sospiro e sperava di addormentarsi. Invece, per tutta la notte, il sonno fu ben lontano dalle sue aspettative. Aveva dovuto ridimensionare le sue previsioni di dormirci su, di chiudere gli occhi su quel giorno. Durante la notte una pioggia scrosciava pesantemente sui vetri di casa sua. Non pianse solo perché aveva un piccolo sentore di orgoglio che gli scorreva dentro. Lasciò cadere il capo sul cuscino accanto al suo, ed inspirò l’odore che Myriam vi aveva lasciato. Si sentì in colpa, preso da un senso di panico come se gli mancasse qualcosa. Non la mancanza adolescenziale, amorosa, corteggiante. Una mancanza intima, profonda, inutile e dolorosa.
La mattina si svegliò, preda di un incubo insostenibile. Si guardò nello specchio che c’era accanto al comodino, e vide occhi grandi e stanchi, con profondi solchi viola sotto alla palpebra inferiore. Sospirò, notando quel colorito cadaverico. Si mise a sedere sul letto, non pensando a tutto quello che era successo la sera prima. Guardò fuori, accendendosi una sigaretta. Gli sembravano troppe, le sigarette in quei giorni, ma il suo livello di stress era oltre il limite. Si vestì per andare al lavoro, con un bicchiere di carta pieno di caffè amaro tra le mani. Era lì, che l’ospedale sembrava una prigione.
Per un attimo desiderò che si spegnessero tutte le luci.
Che comparisse quella donna, sulla soglia, salvifica.
Che la sua vita cambiasse, solo poche rivoluzioni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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