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Autore: Manny_chan    23/06/2014    2 recensioni
Amastra, città oscura colma di magia e di creature misteriose.
Ci sono persone che sognano di abitarci, persone che desiderano scappare da essa e persone che vorrebbero solamente poterla visitare per una volta.
Raven è uno di loro. Quando l'occasione di coronare il suo sogno è a portata di mano la coglie al volo.
Ciò che non sa però è che non tutte le creature che popolano Amastra sono degne di fiducia e quello che sembra un sogno potrebbe presto assumere tinte ben più cupe...
Tra fate, naga e un grosso inganno, l'avventura di Raven rischia di trasformarsi in un incubo... o forse no?
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era una routine consolidate ormai. Uscire da camera sua, andare a prendere la colazione per Yaksha e portarla al principino, cercando di svegliarlo senza scatenare il suo malumore mattutino. Non era poi così male.
Raven prese il vassoio che Mashe gli aveva indicato. Gli sembrò più pesante degli altri giorni, ma non ci fece troppo caso.
Non era ancora riuscito ad identificare la provenienza di quelle orride uova di cui i naga sembravano ghiotti. Yaksha gli aveva accennato qualcosa su delle creature metà anfibi e metà volatili che popolavano le paludi dietro il castello; ma non era sicuro che parlasse sul serio. “Yaksha?”, lo chiamò entrando .
“Nh… lasciami dormire, ho sonno…”, brontolò in tutta risposta il naga.
“Non hai fame?”
“Nh… ti odio…”
Raven ridacchiò, appoggiando il vassoio sul comodino e andando a spalancare le finestre, prima di tornare dal naga che nel frattempo si era alzato controvoglia. “Su, fai colazione e poi…” si fermò, ammutolendo di colpo quando, nel togliere il coperchio colse un movimento e, per un attimo, il suo cervello si rifiutò di mettere a fuoco quello che aveva davanti. “Cosa..?”
Accucciati l’uno contro l’altro stavano dei piccoli roditori. Ed erano tutti indubbiamente vivi.
“Che cosa significa?” , balbettò. Doveva esserci un errore. “Che cosa sono quelli?”
“Sono Lemming”, rispose il naga, stiracchiandosi. “Non ne hai mai visto uno?”
“N…non intendevo… Hai intensione di fare colazione con quelli?!”
Yaksha aggrottò le sopracciglia, sembrava incupirsi ad ogni secondo che passava.
“Esattamente”, sibilò sollevando una delle bestiole che, svegliata così bruscamente, iniziò ad agitarsi e squittire, terrorizzata.
Era straziante al punto che Raven indietreggiò fino alla porta. “B… bene… Posso andare allora?”, chiese, con lo stomaco contratto.
“No.”
“C… Come sarebbe?”
Gli occhi di Yaksha erano due pozze di collera. “Ho detto no. E se solo provi a disubbidirmi mi occuperò personalmente di frustarti fino a levarti la pelle.”
Raven sbatté le palpebre, sbigottito. Era la prima volta che lo sentiva rivolgersi a lui con quella ferocia. Tale era lo sbalordimento che quando Yaksha diede sfoggio di quanto potesse essere ferino, spalancando le mascelle staccando con un morso la testa alla bestiola che aveva tra le mani, non riuscì a chiudere gli occhi. Il suo intero corpo reagì con qualche secondo  di ritardo, dandogli modo di vedere lo spettacolo raccapricciante che gli veniva offerto.
Il suo stomaco, già contratto, si rovesciò completamente. Ignorando del tutto le parole del naga di poco prima, girò i tacchi e corse fuori dalla camera con entrambe le mani premute sulla bocca. Corse fino alla prima finestra che trovò, spalancandola e sporgendosi oltre il davanzale per liberare lo stomaco. Dea, pensò, non si sarebbe più ripreso…
Quasi in trance percorse il corridoio fino alla propria camera, per stendersi poi sul letto.
Faticava ancora a capacitarsi di quello che aveva appena visto.
Dopo l’episodio con il padre sembrava che i suoi rapporti con Yaksha fossero migliorato molto, e invece, tutto ad un tratto..
Si raggomitolò, stringendo il cuscino, cercando di scacciare quell’immagine orripilante…
 
                                                                       *   *   *
 
Si svegliò di soprassalto quando la porta della camera venne sbattuta con forza. Per un attimo temette di trovarsi davanti Yaksha ancora furente e pronto a tenere fede alle sue minacce. Invece era Mashe che si guardava intorno, accigliata. “Che succede?”
La nagini sibilò rabbiosa. “Dov’è il principe Yaksha?”
Raven si alzò dal letto, massggiandosi la fronte. “Non ne ho idea, nelle sue stanze forse”
“No, non c’è. Avrebbe dovuto rimanerci tutto il giorno ed invece non c’è e non riesco a trovarlo!”
“Ehi, sta calma, perché tutta questa agitazione?”
“Yaksha deve riposare!”
“Non mi sembrava poi così stanco”.
Mashe lo fulminò con lo guardo. “Lo sarà domani. E lo sarà parecchio. Ha un incontro con gli striscianti.”
Raven boccheggiò, colto alla sprovvista. “Co..cosa?!”, balbettò, mentre lo stomaco gli si contraeva per il terrore.
Gli striscianti. Esseri amorfi dalla pelle pallida e deboli occhi iniettati di sangue che vivevano sotto terra. Dotate di bocca esclusivamente per dilaniare i loro nemici e le loro prede. Incapaci di parlare, ma in compenso dotate della facoltà di poter trasmettere telepaticamente  tutto ciò che pensavano. Ed il più delle volte pensavano solamente a torturare ed uccidere la  persona che avevano davanti. “Per quale motivo avete a che fare con loro?”
Mashe scrollò le spalle. “Perché noi naga siamo gli unici che loro temono. E di conseguenza gli unici che riescano a gestire le trattative di pace con loro. E’ per questo che, dietro pressioni di tutti i popoli che hanno aderito ai trattati di pace, Yaksha ha deciso di occuparsene.”
Il suo sguardo si velò di tristezza. “E’ dura per lui. Non è per niente facile condurre una trattativa quando le creature che hai di fronte stanno immaginando come torturarti e farti a pezzi se solo ne avessero la possibilità. Ogni volta ne esce a pezzi…”
Raven rabbrividì. Dea, non lo invidiava per nulla. E quello spiegava anche il perché della reazione di Yaksha di quella mattina. Il suo nervosismo doveva sfiorare livelli stratosferici…
“Non posso aiutarti… Mi dispiace. L’ultima volta che l’ho visto è stato questa mattina. Abbiamo avuto un piccolo diverbio su… la colazione.”
Mashe inarcò un sopracciglio. “La colazione?”
“Si. La colazione di stamattina, i roditori o quello che erano, al posto delle solite uova. Non sono abituato a vederli squartare così, come se niente fosse.”
“Capisco”, sospirò la nagini. “E’ comunque necessario. Yaksha ha bisogno di tutte le energie che riesce ad immagazzinare. E deve riposare, soprattutto. Se dovesse crollare durante l’incontro sarebbe come sbandierare agli striscianti che siamo deboli, manderebbe in fumo anni di trattative e ci potrebbe persino portare sull’orlo di una guerra.” Sul suo volto si alternavano preoccupazione e ansia. “Qualsiasi cosa tu gli abbia detto, deve averlo turbato parecchio. Trovalo, e riportalo nelle sue stanze. Muoviti”, concluse imperiosa, prima di andarsene.
Raven sospirò, prendendo la giacca ed uscendo dalla stanza. Se nemmeno Mashe era riuscita a trovarlo dopo aver setacciato il palazzo, che speranze poteva avere lui?
Quel pensiero lo bloccò lì sul posto. Si invece. Lui sapeva dell’esistenza di un posto che tutti gli altri ignoravano…
 
                                                                       *   *   *
 
Come sospettava, Yaksha era al laghetto. Un’ombra scura sotto il pelo dell’acqua.
“Sapevo che eri qui”, disse, quando il naga riemerse per riprendere fiato.
Yaksha gli lanciò un occhiata torva. “Che vuoi?”, sibilò, issandosi su una roccia ed uscendo dall’acqua.
“Mashe ha detto di riportarti in camere. Non è saggio che tu stia in giro, visto quello che ti aspetta domani.”
Il naga sembrò trasalire, ma non rispose. Gli rivolse solamente un occhiata sprezzante.
Raven sospirò, avvicinandosi. “Senti… Perché non  mi hai detto dell’incontro di domani, invece che … che comportarti così?”
Yaksha si strizzò i capelli, buttandoseli dietro una spalla. “Sarebbe cambiato qualcosa?” chiese serio. “Avresti detto -Oh, povero Yaksha, fa pure colazione con dei graziosi roditori vivi, hai bisogno di essere in forze-?  Io credo di no, avresti reagito nella stessa identica maniera!”
Raven deglutì, scacciando con forza l’immagine che gli era tornata alla mente. “Stammi a sentire. Non ho nulla in contrario al fatto che ti piaccia mangiare animaletti vivi. Ma non è stato per niente corretto obbligarmi a guardare mentre lo facevi.”
“Non ti ho obbligato a guardare un bel niente Sei scappato dopo due secondi,.”
”Chiediti il perché.”
Yaksha scrollò elegantemente le spalle, poi il suo sguardo si fece malinconico. “Posso anche capire che mi trovi repellente, ma  vorrei solo che la smettessi di guardarmi come se lo fossi…”
“Io non ho mai detto che…”
“Tu no!”, lo interruppe il naga, stizzito. “Tu non lo hai mai detto. Ma lo vedo nei tuoi occhi, quando mi guardi! Il modo in cui mi guardavi, stamattina,  mi ha fatto ribollire il sangue!”
Avvicinandosi al bordo del laghetto Raven si rese conto che aveva ragione. Doveva averlo guardato proprio in quel modo. “Ascolta, sei arrabbiato ora, e lo capisco. Ma non è te che trovo repellente, è quello che hai fatto. Il gesto in sè che mi ha nauseato.”
“Cambia qualcosa?”
“Cambia che non ti trovo repellente. Non so come fartelo capire… Guardami negli occhi  Guardami ora e dimmi se ti sto mentendo.”
Aveva reagito male quella mattina, ma in quel momento Yaksha gli ispirava un sacco di aggettivi e, di certo, repellente non era tra quelli. Triste, malinconico, vulnerabile. Delicato. Bello…
Si rese conto che lo pensava sul serio, che davvero lo trovava bello. Su quella roccia, statuario con la sua ossatura delicata e i capelli corvini che sembravano costellati di piccoli diamanti, era la cosa più bella che avesse mai visto. “Sei meraviglioso”, disse.
Yaksha aggrottò la fronte e strisciò giù dalla roccia, per avvicinarsi. “Nonostante quello che ho fatto?”, chiese, guardingo, pronto a cogliere anche un minimo segnale che gli confermasse che in realtà quelle erano solo menzogne.
Raven si morse l’interno delle guance, ma non vacillò. “Penso anche che tu sia uno stronzo, e che non è leale continuare a tirare in ballo questa storia”, disse, accennando un sorriso. Era come avere a che fare con un bambino alle volte.
Yaksha sembrò rilassarsi, sorridendo appena. “Ti adoro, non che mi piaccia essere insultato, sia chiaro, ma è davvero soddisfacente trovarsi davanti qualcuno che dice le cose come stanno.”
Si avvicinò ancora, annullando quella distanza che aveva lasciato tra loro. “Sei perdonato.”
Raven inarcò un sopracciglio, Non era lui quello in torto! Tuttavia non stette a questionare ed allungò una mano, per dimostrargli che non gli serbava rancore. Gli accarezzò la guancia, lentamente, ritraendo però la mano con un gemito. “Per la Dea, Yaksha!” esclamò “Sei gelato!”
Yaksha fece un sorriso mesto, scrollando le spalle. “Siamo creature a sangue freddo, che vuoi farci?” Il suo tentativo di apparire noncurante però venne reso vano da un brivido che si rifletté nelle se parole, che suonarono deboli e tremanti.
“Da quel che so alle creature a sangue freddo non fa per niente bene sguazzare con questo clima”, brontolò Raven, sfilandosi la giacca ed avvicinandosi per mettergliela sulle spalle. “Da quanto diavolo è che sei qui fuori?”
Yaksha sospirò, quasi divertito. “Mi stai sgridando?”, chiese, inarcando un sopracciglio.
“Puoi giurarci che lo sto facendo”, sospirò esasperato, nel sentirlo rannicchiarsi in quel misero riparo che era la sua giacca. “Forza, vieni dentro.”
Il naga non oppose resistenza, lasciandosi condurre all’interno del palazzo, fino alle sue stanze, accoccolandosi poi su una poltrona, senza accennare a smettere di tremare.
Raven gli ravvivò il fuoco del caminetto e poi andò a prendergli alcune coperte. Mashe non fece domande, si limitò a consegnargliele.
Tornato in camera trovò Yaksha davanti al caminetto, le mani che quasi lambivano le fiamme, nel tentativo di scaldarsi.
“Finirai per bruciarti”, lo riprese dolcemente, prendendogli le mani per allontanargliele.
Yaksha mugugnò qualcosa, poi sospirò. “Vorrei essere certo che continuerai a comportarti così nei miei confronti, senza più guardarmi come questa mattina.”
“Lo farò”
“Posso esserne sicuro? Dimostramelo, Raven. Dimostrami che  è così!”
Raven sbuffò, esasperato. Poi lo prese per le spalle e lo baciò. Non era premeditato, non lo era affatto. Era l’unica cosa che gli era venuto in mente i fare, ma, riflettendoci, si rese conto che forse voleva farlo da un po’.
Allontanandosi qualche attimo dopo, poté assistere ad uno spettacolo più unico che raro. Yaksha lo fissava, le labbra dischiuse come se volesse ribattere qualcosa, ma non ci riuscisse. Lui, il principino dalla lingua tagliente come una lama –come era apostrofato dalle guardie- era rimasto senza parole.
Alla fine il naga parve riprendersi. “Suppongo che possa andare bene, come prova”, borbottò, strisciando ad accucciandosi sul letto.” Ho freddo, dammi una coperta”, mugolò rabbrividendo. Raven non ne era sicuro, ma poteva giurare di averlo visto arrossire.
“Sai”, sospirò. “Non avresti cos freddo se non te ne fossi andato a nuotare in pieno inverno.” Disse, gettandogli una delle coperta addosso.
“Sai”, lo rimbeccò il naga.“A voler ben vedere è colpa tua…”
Raven socchiuse gli occhi, indispettito. “Ah, davvero? Non sono io quello a essere stato meschino, Yaksha”, disse, rabbioso. “Sei stato tu. Io forse non sarò un esempio di tolleranza, e forse la storia delle squame e delle code mi disturba, ma vederti decapitare un roditore vivo con le zanne non aiuta!”
Quella volta non distolse lo sguardo da quello ametista del principe. Non era tutta colpa sua, e ne era convinto.
Alla fine Yaksha sospirò. “Cosa vuoi che ti dica? Ero arrabbiato, volevo…”, mugugnò senza finire la frase.
Raven capì che quelle erano ciò che si avvicinava di più a delle scuse che avrebbe potuto ottenere. “Volevi farmi male? Ferirmi? Ci sei riuscito”
“Mi dispiace”
Le sopracciglia di Raven schizzarono verso l’altro. “Come hai detto?”
Yaksha soffocò un ringhio. “Vuoi farmelo ripetere? Ho detto che mi dispiace, m-i d-i-s-p-i-a-c-e! Contento?!” sibilò, rannicchiandosi ancora di più tra le sue spire.
Raven boccheggiò come un idiota per qualche secondo, prima di riprendersi “No… Te lo assicuro, è solo che…. Non mi aspettavo delle scuse, tutto qui…”
Yaksha scrollò le spalle “Non voglio allontanarti…” Sospirò “Ci tengo a te, non … non voglio che torni ad essere distante come tutti gli altri…”
Raven inarcò un sopracciglio. “Non vuoi allontanarmi? Be, minacciarmi, inveirmi contro e darmi dimostrazione di come tu possa staccare la testa ad un lemming non è esattamente il metodo migliore per farlo.”
Yaksha si morse il labbro fino a farlo sanguinare. “Lo so! Maledizione!”, sbottò. Fece un lungo sospiro dolente. “Ho reagito male perché sono spaventato, Raven, davvero tanto. Odio questi incontri, mi uccidono. Ma sono costretto a farli perché una guerra contro gli striscianti ci costerebbe troppo in termini di vite. Tu non ai idea di cosa quelle creature possono arrivare a pensare. Ti ha sconcertato vedermi divorare un animaletto morto? Quello che dovrò passare io sarà cento volte peggio!”
Smise di parlare perché la voce gli si era incrinata, aveva le pupille dilatate e il respiro ansante. “Resta con me…”, mormorò infine.
Raven poteva essere arrabbiato, ferito, offeso…
Ma non lo era al punto di infierire ulteriormente. “Diciamo che abbiamo sbagliato entrambi”, disse, per farlo contento, anche se in cuor suo pensava che Yaksha fosse comunque in torto marcio e che avrebbe potuto agire in un altro modo. “Posso passarci sopra… Non sono una ragazzina…”, aggiunse, cercando di auto convincersi.
Yaksha accennò un pallido sorriso. “Lo spero”. Disse, avvicinandosi e raggomitolandosi sul materasso. “Resta con me, questa notte, ti spiace?”, mormorò, stringendosi nella coperta. “Sei… Be, può suonare teatrale, ma sei l’unico con cui posso permettermi di apparire debole. E non è una cosa da poco…”, fece una pausa, prima di concludere. “Perché sei l’unico a cui posso chiedere conforto…”, sussurrò, spazzando via di colpo tutta la corazza di arroganza e sicurezza che aveva fino ad un attimo prima. Allungò una mano per cercare quella del ragazzo, sperando che non la allontanasse.
Raven accennò un sorriso, lasciandogliela trovare ed intrecciando le dita alle sue. Sorprendendosi un poco nel notare quanto gli venne naturale farlo. “Sono qui”, sussurrò,  sfiorando dolcemente i ricci neri del naga.
“Grazie.”
Quel ringraziamento, al pari delle scuse e di tutto il resto, gli rivelò che Yaksha ormai lo considerava al suo livello, non più solo un ladro ed uno schiavo. Quella consapevolezza gli smosse qualcosa, dentro. Un moto di affetto, un affetto che non si era reso conto, era cresciuto parecchio, verso quel principe insospettabilmente umano…
   
 
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