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Autore: Lady Aquaria    23/06/2014    1 recensioni
"La verità è che io faccio fatica a non pensarci, alla fine mi sono arreso. Ho smesso di provare a liberarmi un po' la testa ma non riesco perché lei c'è. C'è sempre. Con il suo sorriso e i suoi occhi, perfino col suo caratteraccio. E quando non c'è la cerco. La cerco in casa, a Rodorio, la cerco nelle canzoni dei Kiss che ho imparato ad apprezzare e dentro le frasi dei pochi libri che ha letto qui. E sai cosa? C'è ancora. E' ancora dappertutto. L'ho cacciata, ma non riesco a levarmela dalla testa."
E tutto questo, a partire da quel giorno al Goro-Ho.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le vie del Destino'
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capitolo 20 rivisto prequel
20.
Trying not to love you.

 

‘Cause trying not to love you, only goes so far
Trying not to need you, is tearing me apart
Can’t see the silver lining, from down here on the floor
And I just keep on trying, but I don’t know what for
‘Cause trying not to love you
Only makes me love you more
[Trying not to love you, Nickelback]
 
"Che maledizione hai combinato?"
Camus sollevò fugacemente lo sguardo dal proprio braccio.
"Allegro Chirurgo Live Edition." replicò ironico, iniziando a darsi i punti. "La missione di oggi è una sutura, quella di domani un'appendicectomia."
L'amico lo guardò con un sopracciglio inarcato.
"Hai già provveduto alla lobotomia, a quanto vedo." replicò Milo, ricevendo in risposta il dito medio. "Non prendertela con me, sei tu che mi servi le battutacce su un piatto d'argento. Mi spieghi che cos'è successo?"
Era tornato indietro non appena aveva avvertito il suo Cosmo agitarsi come raramente accadeva, quindi s'era trovato di fronte a quello spettacolo: schegge di vetro nel lavandino per metà pieno d'acqua insanguinata e Camus chino sul lavabo, intento a ricucirsi l'avambraccio.
Milo afferrò un asciugamano dal mobiletto e lo dispiegò.
"Guarda che macello… chi cavolo credi di essere? John Rambo? Ricucirsi il braccio da solo… ma dai, che cavolata. Muoviti, andiamo da Aphrodite." lo esortò, riuscendo a levargli di mano l'ago, mentre Camus s'avvolgeva il braccio nell'asciugamano. 
"Credevo di dare un pugno al muro, invece l'ho dato al vetro."
"Bravo." disse Milo, sbirciando i pochi punti messi un po' a sghimbescio e piuttosto distanziati tra loro. "Comunque come ricamatore fai davvero pena."
"Sai com'è, non stavo rammendando un calzino." rispose Camus, mentre entravano di soppiatto nella dodicesima casa, trovando Aphrodite intento a studiare.
"Avete una buona scusa per il vostro disturbo, immagino. Vi avverto: per studiare non sto dormendo da diverse notti, ho dato buca alla sosia di Anne Hathaway e ho l'esame a breve." li avvisò. "Se a causa vostra non riuscirò a studiare abbastanza e mi rovinerò la media con un voto scarso, potete anche dire addio alle vostre miserabili esistenze."
Milo sospinse Camus verso di lui, scostando l'asciugamano.
"E' una scusa abbastanza buona?" domandò, indicandogli il disastro con un cenno.
Gli occhi di Aphrodite s'illuminarono come per magia, come quelli di un bambino davanti ai cancelli di EuroDisney. Dopo qualche attimo di estatico silenzio nel quale aveva guardato rapace l'asciugamano che aveva praticamente cambiato colore, posò il libro sulla poltrona e gli dedicò subito attenzione.
"In bagno, subito." ordinò, gli occhi sgranati che brillavano di una luce che Camus definì agghiacciante.
"Comincio a pensare d'aver sbagliato a portarti qui." sussurrò Milo, ricevendo un'occhiataccia gelida.
"Ma che meraviglia! Una ferita da taglio!" continuava l'altro, sempre più su di giri, legandosi i capelli in una coda e iniziando ad armeggiare con i mobiletti del bagno. "Dal vivo è tutta un'altra cosa rispetto ai manichini con il sangue finto!"
"Anche io sono differente dai manichini: se mi fai male, ti sferro un gancio che te lo ricordi."
"Manichini?!"
"Ovviamente, sono ancora uno studente, i pazienti veri non li vedrò prima di anni." rispose Aphrodite.
Rincuorante.
"Aphrodite, devo iniziare a preoccuparmi?" fece Camus, guardando la miriade di oggetti che l'amico stava estraendo da una grande borsa nera per riporli ordinatamente su un asciugamano pulito.
"Per caso ho una bloody rose in mano?"
"No."
"Allora non hai nulla per cui preoccuparti." rispose Aphrodite, iniziando a detergere delicatamente l'area intorno alla ferita con i gesti quasi automatici e sicuri di un chirurgo in sala operatoria. "Okay… scherzi a parte, cos'è successo?"
"Il vetro della mia finestra."
"Incidente domestico?"
Camus inarcò un sopracciglio.
"No. Ero annoiato e non sapevo che fare."
Aphrodite gettò l'asciugamano sporco e sbuffò quando si accorse dei pochi punti messi da Camus.
"Odio quando voi profani tentate imprese che vanno palesemente oltre le vostre limitate capacità." commentò, esaminando la ferita. "Quanto sangue è uscito?"
"Beh, dovresti vedere il suo bagno com'è ridotto."
Camus riservò l'ennesima occhiataccia a Milo.
"Hey, guarda che la lingua per rispondere mi funziona ancora bene."
"Sei sicuro di sapere che cosa stai facendo, vero?" interloquì Milo, preoccupato.
"Sicuramente ne so più di te e di Rambo." replicò Aphrodite, indicando Camus con un cenno. "Vedo che hai usato banale filo di cotone e un ago da cucito, scommetto non sterilizzato. Ad ogni modo… non pare nemmeno profonda."
"Mi spiace averti deluso in tal modo, la prossima volta cercherò di trapassarmi il braccio da parte a parte."
"Sì, ti prego. Una ferita lacero-contusa con qualche tendine reciso sarebbe stata più gradita alla mia sete di conoscenza medica." convenne Aphrodite, inarcando un sopracciglio, contrariato da quel sarcasmo insolito e fuori luogo.
"Ma tu senti questo…"
"Milo, che cosa gli hai dato per renderlo così chiacchierone? Quasi lo preferisco quando è il solito insopportabile ghiacciolo."
"Ne dubito. Camus è ingestibile in entrambi i casi se decide di fare lo stronzo." rispose Milo.
Camus fece una smorfia sentendo il pizzicore del filo strusciare nelle carni, ma dopo qualche secondo, tornò subito serio.
"Mi dispiace, sono un po' lento con le suture. Se vuoi ho dell'anestetico nella borsa."
"Va bene così."
Aphrodite fece un mezzo ghigno.
"Però, quanta stoicità."
Per tutta risposta, Camus scostò i capelli dalla schiena e con la mano libera tirò su la maglietta, scoprendo il dorso e la cicatrice che l'attraversava.
"Ho passato di peggio."
"D'accordo, non parlo più."
"A proposito di ghiacciolo… se questa cosa arrivasse alle orecchie degli altri…"
"Fammi indovinare… mi congeli le chiappe?"
Camus assottigliò lo sguardo.
"So diventare più ingestibile di quel che pensa Milo."
Aphrodite diede volutamente uno strattone al filo e fece sobbalzare Camus, quindi si sporse verso l'amico.
"Anche io."
"Io non scherzerei con uno che ha dei bisturi a portata di mano." interloquì Milo, dalla parte opposta della cucina.
"Sei proprio uno stupido. Mai sentito parlare di segreto professionale?"
Milo intanto girovagava curiosando qua e là.
"Parlavi di lei, prima?" domandò, continuando a guardare la foto che l'amico aveva fissato al frigo con un paio di magneti, che lo ritraeva insieme a una gran bella ragazza.
"Ja." rispose Aphrodite, continuando a suturare senza distogliere lo sguardo. "Iris."
"Non esageravi quando dicevi che assomigliava all'attrice." commentò Milo.
Aphrodite ghignò appena, controllando la continuità dei punti appena messi. "Frequentiamo lo stesso corso."
"Visto che siamo in argomento, in che cosa vorresti specializzarti?"
"Sono indeciso tra pediatria e traumatologia." rispose Aphrodite. "E no, non fatemi battute squallide come Death, che vorrebbe spingermi verso ginecologia."
"Tipico di DeathMask." Camus alzò gli occhi al cielo.
"Lungi da me." rispose invece Milo.
"Secondo me, traumatologia. Senza dubbio traumatologia. Ti sei eccitato davanti al mio braccio, non mi è difficile immaginarti al settimo cielo un domani alle prese con addomi squarciati e fratture esposte." rispose Camus.
"Ecco, tu viaggi sulla mia stessa lunghezza d'onda. Traumatologia è la mia prima scelta, se dovessi fallire, cosa che non succederà mai, ho comunque pediatria." rispose Aphrodite. "Camus, qui ho finito. Mettiti l'anima in pace, ti rimarrà una cicatrice."
"Non m'importa."
"Sembra di vedere la cucitura dei tacchini ripieni che negli USA cucinano per il ringraziamento." commentò Milo.
"Quelli messi da Rambo invece erano più belli? Posso chiamarti Rambo, sì?"
"No, se vuoi che ti risponda." replicò Camus.
"Piuttosto, ragazzi… mi sembra superfluo dirvi di tacere, riguardo Iris. Finché questa situazione d'emergenza non si sarà risolta, è meglio che nessuno sappia della sua liaison con me."
"Sai che non sono tipo da pettegolezzi."
"Di te mi fido, infatti." Aphrodite guardò prima Camus, quindi Milo. "Temo la lingua lunga dell'aracnide."
"Sarò muto come un pesce." giurò Milo.
"Ti converrà esserlo o diventerai davvero muto. Come un uomo morto, però." minacciò l'altro, facendo comparire una rosa tra le sue dita. "Perché fonti certe mi dicono che non è una bella cosa morire grazie a una di queste. "
Milo deglutì nervoso alla vista della rosa nera.
"Io lo prenderei in parola." interloquì Camus, sistemando qua e là il bendaggio appena fatto da Aphrodite. "Grazie, comunque."
"Di niente. Ah, finché non guarisce, io mi fascerei l'altro braccio, come si faceva durante l'addestramento, sai. Da' meno nell'occhio rispetto a una fasciatura singola."
Camus si alzò dallo sgabello.
"Ci penserò, grazie."
"Non far cedere i punti o dovrò rimetterli da capo." si raccomandò Aphrodite. "Adesso fuori dai piedi, che se riesco a finire il capitolo in tempo forse riesco a chiamare Iris e fare del buon sesso telefonico."
Milo corrugò la fronte.
"Tu fai sesso telefonico?"
"Sì, ed è molto più eccitante di quel che credi." replicò Aphrodite.

"Bah." si lasciò sfuggire Camus.
"Uh?"
"Bah." ripeté. "Io sono un tipo all'antica, preferisco avere Mei tra le braccia piuttosto che dall'altra parte del filo."

Mei.
Serrò gli occhi. Perché era così complicato levarsela dalla testa?
"Hai detto…?"
"Sì, l'ho detto. E non ne voglio parlare." rispose a Milo, prima di tornare nella quiete di casa sua.

Andava tutto bene. Non c'era nulla per cui preoccuparsi: tutto procedeva per il meglio, così come sarebbe dovuto essere, andava tutto estremamente bene.
Varcò la soglia della sua casa con l'intenzione di spegnere momentaneamente il cervello e dormire, ma le sue intenzioni, l'avrebbe scoperto di lì a breve, sarebbero state stravolte.
"Chiunque tu sia, hai pochi secondi per uscire vivo da qui." sibilò, avvertendo una presenza in casa e sentendo la propria rabbia ritornare prepotente, come quel pomeriggio al tredicesimo tempio. Intravide dei movimenti in bagno, raggiungendo il malcapitato con ampie falcate. "Ti avevo avvisato!" aggiunse, fermandosi alla vista della ragazza tremante accanto al lavandino macchiato di sangue.
"Maledizione." imprecò, scaricando la Diamond Dust contro la vasca da bagno e congelandone il rubinetto. "Avrei potuto ucciderti! Che cosa ci fai qui?"
Tentando di calmarsi, Cora alzò lo sguardo e balbettò qualcosa in risposta.
"Mi hanno assegnata a voi."
"Oh, bene." mormorò Camus tra sé e sé, invitandola ad uscire dal bagno con un ampio gesto del braccio.
Assurdo. Aveva più volte detto che non aveva bisogno di un attendente, poiché perfettamente in grado di provvedere a sé stesso.
"Chi?" le domandò. "Chi ti ha mandata?"
Lei fece il nome di Fedra, l'anziana governante di Ares che, tra le tante mansioni, si occupava anche di coordinare le varie ancelle del Santuario.

Ares. Sicuramente era tutta opera sua.
"Ha detto che avrei potuto esservi d'aiuto con la vostra casa poiché siete solo."
"Con la mia casa o con me?" le domandò, secco, facendola arrossire. Chissà quanto si era divertito Ares a immaginarlo con una delle sue ancelle: molto probabilmente era tutto un piano per vederlo capitolare e poter avere qualcosa col quale ricattarlo.
Hey calma, non sei mica in un film di 007…
"Fedra sa molto bene che riesco a provvedere egregiamente a me stesso." aggiunse, incrociando le braccia sul petto. "E sa anche che fiuto una menzogna a chilometri di distanza, quindi te lo chiederò ancora una volta. Chi ti ha mandata davvero? Ares?"
"Vi ho già detto che è stata Fedra!" esclamò Cora, esasperata. "Ho scelto questa casa perché l'alternativa era la quarta."
Non era la prima volta che sentiva di ancelle terrorizzate all'idea di finire da DeathMask: tre di loro erano scomparse dopo essere state assegnate a lui e naturalmente la cosa, unita alla sua pessima fama di assassino senza morale, aveva scatenato una sorta di terrore cieco nei suoi confronti.
"Anzitutto non rispondermi con questo tono." l'ammonì. "Ad ogni modo non ho tempo né voglia di discutere. Torna da Fedra, non so come… impiegarti."
"Non voglio finire alla quarta casa… vi prego, non so dove altro andare!" con un gesto che Camus trovò fin troppo teatrale, Cora si prostrò di nuovo ai suoi piedi, piangendo.
Si massaggiò l'attaccatura del naso, domandandosi che cosa potesse aver mai fatto nelle sue precedenti vite per meritare simili grane in questa: doveva pur esserci un motivo. Aveva forse insultato o mancato di rispetto qualche divinità?
"Rialzati." sibilò. "Imparerai presto che con me queste patetiche scenette strappalacrime non attaccano. Vuoi restare? E sia. Ma ti avverto: se quanto accaduto oggi al tredicesimo tempio dovesse mai ripetersi, e spero per te che ciò non avvenga, sarò io stesso a portarti alla quarta casa."
Cora annuì, inchinandosi e seguendolo.
"Dunque… visto e considerato che sono obbligato ad averti tra i piedi, sono costretto a porre dei limiti. Puoi girare liberamente per casa e renderti utile come meglio credi. Ma la' in fondo c'è il mio studio e, poco prima, la mia stanza. Entrambe ti sono proibite." le spiegò Camus, perentorio. "Te lo ripeterò una volta soltanto: qualsiasi atteggiamento ambiguo nei miei confronti ti faranno guadagnare un viaggio di sola andata per la casa del Cancro."
"Va bene."
"E' tutto chiaro?"
"Molto chiaro, sign-…"

"Bene. Benvenuta all'inferno."
 
Nei giorni che seguirono, l'atteggiamento di Camus nei confronti di Cora non migliorò, anzi. Da qualche parte dentro di sé sapeva benissimo che quella povera ragazza non aveva fatto nulla per meritarsi il suo trattamento, eppure non riusciva ancora a levarsi dalla mente l'idea che Ares, attraverso di lei, stesse per giocargli un tiro mancino: era diventato così insofferente a quell'imposizione che Cora aveva imparato a rendersi invisibile, evitando di rimanere nella stessa stanza ed evitando persino, se possibile, di incrociare il suo cammino.
"Ehilà."
"Ciao."
Milo posò un telo su una panca e decise di iniziare l'allenamento quotidiano facendo qualche vasca in piscina.
"Come va il braccio?"
"Benone." rispose Camus, mentre Milo si liberava dei vestiti rimanendo con i calzoncini da bagno. "Chi ti ha fatto quel livido sulle costole?"

Di riflesso Milo si toccò la parte interessata con una smorfia.
"Lascia perdere. Qualche notte fa ho avuto un incubo, mi sono svegliato di soprassalto scivolando giù dal letto e ficcandomi l'angolo del comodino nelle costole. Non ti dico il dolore."
"E che hai sognato di tanto pauroso?"
L'altro fece mente locale.

"Ehm… sognavo di essere il Re Scorpione, sai, quello del film."
"Non mi dire."
"Credimi! "
"wefergserA un certo punto, mentre guidavo l'Armata di Anubi su Tebe…"
"Addirittura? Ehi, modera un po' il tuo Ego."
"…scoprivo di essere diventato una donna! Al che inizio a gridare e correre così forte che l'ambiente intorno a me diventa sfocato fino a diventare nero e sento la tua voce che mi dice Milo, tu sei l'Eletto!"
Camus sollevò entrambe le sopracciglia.
"Che cosa?"
"Io, l'Eletto? Non è possibile ti dico, così ricomincio a correre e salto da un tempio all'altro finché il programma si dissolve e io cado nel vuoto, che in realtà non era vuoto, ma solo il mio pavimento."
Un silenzio imbarazzante riempì ben presto lo spogliatoio della palestra.
"Quant'era forte lo spinello che hai fumato?"
"Giuro, nessuna canna. Facevo zapping ieri sera mentre ero mezzo addormentato dalla noia, saltando da un canale all'altro e niente, mi sono risvegliato proprio mentre Linda Blair vomitava in faccia al prete."
"Miei dei, ricordami di non venire mai a casa tua a guardare la tv." Camus rispose con una smorfia.  
"In verità, volevo parlarti di altro. Stamani sono stato al mercato."
Camus sollevò le braccia sulla testa allungandosi il più possibile, quindi iniziò a piegarsi verso destra e verso sinistra ritmicamente.

"…e hai bisogno di allenamento extra perché hai svaligiato di nuovo la bottega del pasticciere." ridacchiò. "D'accordo, fatti sotto."
Milo lo guardò.
"Come fai?"
"A fare cosa?" Camus corrugò la fronte, continuando il riscaldamento.

"A passare da stati di estrema bastardaggine a questi stati pseudo simpatici."
"Ho fatto qualcosa che può giustificare quest'affermazione?"
"Non a me. Come stavo dicendo, stamani sono stato al mercato e… mentre il fruttivendolo sceglieva le mie mele, ho sentito un certo discorso tra Asha e le altre ancelle." rispose Milo. "Sai, subito non ho capito di chi stessero parlando, ma a un tratto una di loro, credo si trattasse dell'ancella che si occupa della settima e della nona casa, ha detto qualcosa tipo gelido bastardo senza cuore e ho capito che stavano parlando di te."

Camus annuì.
"Gelido bastardo senza cuore. Avrei preferito: il francese dagli occhi di ghiaccio, ma non si può pretendere tutto dalla vita." replicò.
"Che hai combinato a quella povera ragazza?"
"All'ancella della nona casa? Niente, nemmeno la conosco!"
"Parlo della tua attendente. Ho sentito dire che l'hai trattata male."

Camus cambiò espressione.
"Ciò che succede dentro le mura della mia casa riguarda solo me." rispose. "Cora ha tendenze melodrammatiche, per lei anche uno sguardo equivale a un maltrattamento."
"Sì, li conosco i tuoi sguardi. Altro che maltrattamento, tu sei capace di uccidere con uno sguardo."
"Magari fossi capace di farlo." ribatté Camus. "Non ho più voglia di tirare pugni, credo che andrò a correre."
"Sai, esiste un luogo chiamato aggressività passiva e tu sei il suo re." disse Milo. "Ma so che da qualche parte lì dentro, dietro quella maschera, c'è ancora il mio migliore amico, l'uomo che stimo più di chiunque altro al mondo. Lascialo uscire, non lasciarlo sotto chiave per sempre."
"Il problema è, Milo, che la chiave che tiene chiusi il vecchio Camus e il suo cuore… quella chiave… non ce l'ho io." rispose, prima di lasciarlo solo nella grande palestra.
 
*
 
Seduta in compagnia di Mu, Mei stentava ancora a credere a quello che le stava succedendo.
Quando quella mattina si era presentata in ospedale, era sicurissima di dover essere operata di appendicite o di essere schiaffata in quarantena grazie al nuovo terrificante ceppo influenzale che stava terrorizzando mezzo mondo. Invece la realtà dei fatti l'aveva colta di sorpresa come un temporale improvviso: dopo quasi un'ora di attesa preda di sudori freddi, nausea e capogiri e un altro paio d'ore di esami e visite, il medico che l'aveva visitata aveva escluso l'aviaria e, soprattutto, l'appendice infiammata.
"Mi dispiace averti disturbato e averti costretto ad aspettare quasi quattro ore, ma il Maestro non può muoversi e se avessi portato Shunrei con me, Shiryu avrebbe iniziato a fare troppe domande." spiegò Mei. "E sei il solo di cui possa fidarmi, in questo momento."
"Nessun disturbo." rispose Mu, sorridendo. Quando Mei l'aveva chiamato si era stupito non poco, soprattutto per la richiesta che gli aveva fatto. "Sono contento di sapere che non hai nulla di grave, stamattina eri…"
"Stamattina ero in uno stato pietoso." l'interruppe Mei.
"Stavo per dire che stamattina non eri per niente in forma." proseguì Mu. "Per fortuna non si tratta né di aviaria né di appendicite, come pensavi. Scusa se mi permetto, ma alla fine che cos'era?"
"Un brutto calo di pressione, ha detto il medico. Ha anche aggiunto che sudori freddi, nausea e capogiri sono sintomi piuttosto comuni e che comunque tendono a scemare dal secondo trimestre in poi."
Mu sgranò gli occhi.
"Sei…?"
"Già. Il che mi risolleva il morale, ero terrorizzata dall'idea di morire sotto i ferri."
"E ti ha detto da quanto tempo sei incinta?"
"Cinque settimane." rispose Mei, un po' brusca, fulminandolo con lo sguardo. "Credo proprio sia di Camus, visto che non ho avuto uomini al di fuori di lui, né prima né soprattutto dopo averlo conosciuto."

"Non metterti sulla difensiva, non intendevo insinuare nulla. M'interessava sapere quand'è prevista la nascita." rispose Mu, paziente.
"Prima settimana di febbraio, probabilmente intorno al sei."
Mu sorrise.
"Pensa un po'. Alla vigilia del suo compleanno."
"Sì, sembra fatto apposta." rispose Mei. "Come se avessimo studiato a tavolino quando concepirlo."

"Beh, un dono piuttosto insolito per festeggiare, ma pur sempre un dono. Camus ne sarà contento."
"No." Mei scosse la testa. "No. Lui non lo deve sapere."
"Come?"
"Camus non deve sapere di questo bambino. Dati gli ultimi sviluppi, penserebbe chissà cosa, che magari la mia intenzione era quella di farmi mettere incinta e di intrappolarlo con una gravidanza."
"Se parliamo della stessa persona dubito seriamente che possa raggiungere tali livelli di malignità." la corresse Mu.
Mei scosse la testa.
"Tu non hai sentito le sue parole né hai visto la sua espressione gelida mentre mi sputava addosso ogni sorta di veleno." rispose. "Non sai che cos'ho dovuto sentire."
Guarda in che guaio mi sono cacciato solo per aver cercato un po' di compagnia.
Scacciò quelle parole e sbuffò: chissà che cosa le avrebbe vomitato addosso scoprendo della sua gravidanza.
"Posso solo immaginarlo, ma quello che c'è stato tra voi due non c'entra nulla con questa creatura. Devi permettere loro di conoscersi, permettere a Camus di conoscere suo figlio e viceversa. Non puoi davvero pensare a una cosa del genere, è una crudeltà gratuita che Camus non merita, qualunque cosa ti abbia detto."
"Non voglio impedirgli di conoscere suo figlio, ma prima che ciò avvenga intendo dimostrargli che so cavarmela benissimo da sola, senza il suo aiuto… che tra l'altro non voglio." puntualizzò ancora Mei. "Vorrà dire che rimanderò l'università e nel frattempo cercherò un lavoro per mantenermi. Ma da lui non voglio nemmeno uno yuan."
Mu scosse la testa.
"E' una pessima idea."
Mei annuì.
"Sì. E' stata davvero una pessima idea. Dovevo arrangiarmi da sola come ho sempre fatto, non so perché ti ho chiamato."
"… non essere testarda come tuo fratello." la fermò. "Non ti sto dicendo di dirglielo perché voglio importi la mia volontà, ma perché Camus prima o poi lo verrà a sapere, e saperlo da qualcun altro lo manderà in bestia."
Mei si riavviò i capelli in un gesto nervoso.
"Sarebbe una cosa che sono in grado di gestire."
"Ah no, ne dubito." rispose Mu, alzandosi a sua volta, comprendendo che Mei stava per congedarlo. "Non dirò nulla come vuoi, ma quando Camus si arrabbierà al punto da ghiacciare l'intero Santuario per settimane e verrà qui furioso a chiederti spiegazioni…!"
"…non dire che non te l'avevo detto." Mei concluse al posto suo. "Non succederà. Camus arrabbiato è l'ultimo dei miei problemi, so come gestire la cosa. Grazie per avermi accompagnata in ospedale, l'ho apprezzato molto."
"Di nulla. Abbi cura di te." replicò Mu, prima di sparire per tornare in Jamir.
Sgattaiolò silenziosamente in casa rintanandosi nella Stanza degli Avi e, una volta chiusa a chiave, s'inginocchiò sull'enorme cuscino di fronte al piccolo altare, l'ecografia in mano e tanti, troppi pensieri in mente.
Superata la sorpresa iniziale, ecco che erano subentrati i dubbi, più forti delle sue certezze e dei suoi buoni propositi: che cosa avrebbe fatto da quel momento in poi?
"Ecco una lista di integratori da assumere lungo tutto l'arco della gestazione." aveva detto il ginecologo del policlinico poco prima di congedarla. "Ci rivediamo per la seconda ecografia tra un mese e mezzo. Ammesso che lo voglia tenere, altrimenti può anche cambiare medico."
Aveva risposto scioccata e anche sgarbata all'uomo, ribattendo seccamente che non aveva alcuna intenzione di rinunciare a quel bambino.
Ma una volta esaurita l'adrenalina e la determinazione con la quale aveva risposto al dottore, ecco che altri dubbi l'avevano assillata: come avrebbe affrontato quell'esperienza senza nessuno accanto? Come avrebbe fatto a tirar su una creatura da sola, senza un riferimento paterno? Sarebbe stata una buona mamma come lo era stata sua madre per lei, e sua nonna ancora prima?
Posò l'ecografia accanto a sé e accese tre incensi verdi, quindi si chinò fino a toccare con la fronte il pavimento rivestito di tatami iniziando a pregare i suoi avi affinché l'accompagnassero benevolmente lungo i sette mesi e mezzo che sarebbero seguiti.
Mai come in questo momento ho bisogno del tuo aiuto, mamma. Tu hai allevato me e Shiryu, aiutami ad allevare questo bambino.
Sì, ma sua madre aveva cinque anni più di lei quando l'aveva avuta, anche lei era stata una giovane mamma, ma aveva cresciuto una bambina insieme a suo marito.
Per un solo breve istante, colta da un'ondata di sconforto insolita per lei, pensò che, forse, aveva ragione Mu, Camus avrebbe dovuto sapere di quel bambino e aiutarla, forse doveva mettere da parte l'orgoglio e assicurare a suo figlio, al loro figlio, un futuro con entrambi i genitori…
"Miei Dei, che cos'ho fatto?"
…questo, finché non avvertì la presenza di qualcuno accanto a sé.
"Degél." disse, a mo' di saluto.
"Mei." le rispose lo spirito, cordiale. "Temo di essere ambasciatore di cattive novelle."
Oh, bene. Quella giornata prometteva di terminare così com'era iniziata: in maniera memorabile.
"Si tratta di Camus?" gli domandò, sentendosi una sciocca subito dopo: avrebbe voluto prendersi a schiaffi sia per la domanda che aveva appena rivolto a Degél, sia per il tono da ragazzetta sentimentale che aveva usato.
Degél sorrise.

"No. Lui sta… bene." disse, esitando sull'ultima parola. "Non preoccupatevi per lui."
"Avete esitato." gli fece notare Mei. "Lui non sta bene."
"Ci pensate ancora."
"Penso a lui ogni giorno." rispose Mei, senza esitazione. "Penserò sempre a lui. E d'ora in avanti anche questo bambino mi farà pensare a lui."
Il bambino che avrebbe cresciuto da sola, tra l'altro, ma non lo disse a voce alta.
"Non mi avete risposto, comunque." disse Mei. "E non vi lascerò in pace finché non mi avrete risposto."
Degél la guardò con occhi sgranati.
"Come, prego?"
"Mi avete sentito." replicò Mei. "E pazienza se vi manco di rispetto parlandovi in questo modo e che molto probabilmente inizierete col perseguitarmi, ma vi ho fatto una domanda e vorrei una risposta, se non vi dispiace. Lui come sta davvero?"
Degél annuì, incrociando le braccia sul petto.
"Vi ha mai detto nessuno che siete-…?"
"Irrispettosa, arrogante, insolente, sfacciata e sfrontata? Lo so."
"…insolita." rispose Degél. "Almeno per me. Non sono abituato ad avere a che fare con donne con il vostro carattere."
"Prima vorrei la mia risposta, poi parleremo delle donne che avete frequentato."
"Adesso siete insolente." disse Degél.
"D'accordo, ma state tergiversando. Come sta lui?"
L'espressione stupita di Degél si trasformò in un sorriso.
"Molto bene. Allora perché non iniziate a chiamarlo col suo nome, dato che dobbiamo parlare di Camus?"
"Certo. Allora come sta Camus, davvero?"
"Il suo umore è molto peggiorato. Sembra sia diventato insofferente a ogni cosa e, mi duole ammetterlo, anche sgradevole." rispose Degél, sempre ben attento a che cosa rivelare. "La corazza che sta erigendo per proteggersi diventa spessa di giorno in giorno."
Mei sospirò.
"A lungo andare quel freddo finirà con l'ucciderlo." mormorò. Scosse la testa come per cacciare via quei pensieri e sorrise a Degél. "Ecco. Adesso potete anche parlarmi di quelle cattive novelle."
"Oh, certo. Temo abbiate sollevato le ire di vostra madre."
Di bene in meglio.
"Cosa intendete dire?"
Degél parve scegliere con cura le parole da utilizzare, e nel mentre Mei lo vide girarsi più volte alla sua destra, come se qualcuno gli stesse suggerendo cosa dire.
"Madame Letizia… e vi prego di non serbare rancore nei miei confronti in quanto umile ambasciatore, mi manda a dirvi che si sente delusa dal vostro comportamento di poco fa. Dice che ha allevato una ragazza forte affinché diventasse una donna ancora più forte e che quanto successo si addice veramente poco a voi."

"A chi lo dice…" commentò Mei, asciugandosi le guance col dorso della mano. "A volte vorrei prendermi a sberle."
Cosa le era passato per la mente? Tornare da Camus con la coda tra le gambe, implorando il suo aiuto e umiliandosi in quel modo di fronte a un uomo che l'aveva già umiliata e derisa abbastanza… che sciocchezza assurda.
"La sola persona verso la quale nutro un profondo rancore è la sottoscritta, nessun altro." sospirò Mei. "Mi sembra strano dire certe cose, ma… quando… ehm… vedete mia madre, ditele che non avrà più alcun motivo di sentirsi delusa."
"Lei vi sente già, Mei. E' qui, ma è uno spirito ancora troppo giovane e inesperto per essere in grado di palesarsi. Ora sono desolato, ma devo lasciarvi."

"Un'ultima cosa, poi prometto che cercherò di non darvi più fastidio."
"Ditemi."
"Quella volta che mi avete impedito di girare le ultime tre carte… era questo che mi avete impedito di vedere?"
"Come vi ho già detto, non posso rispondere a questa domanda."
"Alla prossima, allora." lo congedò Mei, senza insistere.
"Au revoir, Mei."
 
*
 
Quando rientrò dopo due ore di corsa, era fradicio e aveva i muscoli doloranti: aveva corso finché l'acido lattico non l'aveva costretto letteralmente in ginocchio, in spiaggia, costringendolo a fermarsi e pensare.
"Maledizione."
Così non poteva andare avanti, aveva bisogno di allontanarsi da tutto e da tutti, ma finché Ares non gli accordava il permesso di allontanarsi per il periodo che aveva richiesto all'ultima udienza, non poteva lasciare il Santuario.
Quando sarò abbastanza tranquillo potrò accordarti il permesso che desideri, Camus. Fino ad allora, sei necessario qui.
Pestò un pugno sulla sabbia, frustrato, ricavandone nient'altro che un dolore sordo al braccio, segno che con ogni probabilità i punti messi da Aphrodite s'erano staccati.
"Così non va bene. Non pensarci o va a finire che impazzisci."
Non pensare a lei, concentrarsi solo sul suo compito… cose semplici in apparenza, ma piuttosto difficili da portare a termine, se ogni angolo di casa gli ricordava Mei: sul cassettone gli oggetti che le aveva donato erano ancora dove lei li aveva lasciati quel pomeriggio, nel cassetto del comodino c'era ancora la maglietta dei Kiss che nella fretta aveva dimenticato sotto il cuscino e in bagno, sul lavandino, la matita nera che sicuramente non aveva visto mentre raccoglieva le sue cose.
"Sto già impazzendo." 

***

 

Lady Aquaria's corner
(Capitolo revisionato in data 20 giugno 2015)
Oh signur, ecco che la mia Grey's dipendenza ciccia fuori nei modi più imprevedibili... e se nelle sere estive con i palinsesti vuoti come Torino in agosto decidi di riguardare TUTTO Grey's Anatomy dopo aver rivisto la trilogia di Rambo per la miliardesima volta, capita anche questo, di scrivere di Camus che si ricuce allegramente da solo: manca solo il colonnello Trautman, poi avrei fatto l'en plein. XD
Povera me.
Poi, come se non bastasse, la notizia che Milo, in LoS, è donna. No, aspettate. Parliamone.
Ha fatto venire gl'incubi a me, figuratevi a lui.
Tornando seria… nonostante la mia lentezza, sono felice di vedere che qualche anima pia segue ancora le mie storie. A loro il mio grazie di cuore.
 
-Linda Blair interpretò la ragazzina indemoniata dell'Esorcista;
-"Esiste un luogo chiamato aggressività passiva e tu sei la sua regina" sarebbe la frase originale, simpaticamente rubata al bel Derek Shepherd;
-"…tre incensi verdi" secondo alcune credenze cinesi, l'incenso è un modo che i vivi hanno per comunicare con i defunti o con le potenze divine; a seconda delle varie culture, comunque, le regole impongono di accendere incensi in un determinato numero e/o colore a seconda di ciò che ci si appresta a fare: per onorare o comunicare con gli Dei si accendono incensi rossi (se la divinità è vegetariana gli incensi saranno gialli) e se invece ci si appresta a comunicare con gli spiriti, si accendono incensi verdi, di solito in numero dispari, uno o tre.
Grazie come sempre, alla prossima!

Lady Aquaria

   
 
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