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Autore: ToKiO hOtEl    19/08/2008    1 recensioni
Ero vittima del mio stesso carattere.
La mia indole ribelle mi aveva portato solo dolore.
Eppure erano state tutte decisioni mie.
Perché mai ero così capace di farmi del male da sola?
Una storia d'amore tanto forte quanto impossibile.
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sleep

Sleep

Heading 2

Normal

Il sogno

After my dreaming,

I woke with his fears,

What am I leaving,

When I'm done here.


- Leave Out All The Rest, Linkin Park -


Dunque?” chiese impaziente, tamburellando le dita sul volante dell'auto, naturalmente elettrica. Non potevamo permetterci di inquinare. Le ultime risorse di petrolio erano troppo importanti per essere esportate dai paesi che possedevano dei giacimenti. Meglio così. Nessuno ne sentiva realmente la mancanza.

Guardai gli occhi di Dreive, concentrandomi sui riflessi verdi del Sole. Aveva lo sguardo fisso sulla strada, ma di tanto in tanto, con la coda dell'occhio controllava le mie espressioni. La strada si distendeva lunga davanti a noi, mentre un Sole accecante abbracciava con il suo calore ogni cosa, dando l'impressione di essere in primavera.

Calcolai che mancavano più o meno dieci minuti per arrivare a casa.

Troppo per ritardare ciò che dovevo dire.

Presi fiato lentamente, contando i secondi. Uno, due..tre..quattro...

Vega, non puoi stare zitta per sempre. Prima o poi dovrai dirmi cosa ti turba così tanto” mi minacciò Dreive. “Okay, va bene”. Lo sentii sorridere soddisfatto.

Mia madre ha deciso di trasferirsi” dissi tutto d'un fiato, premendo sull'ultima parola, come se fosse un insulto.

Alzai piano gli occhi per vedere la sua reazione. Era una maschera di indifferenza.

Dove?” chiese con voce pacata.

A...N-New York” balbettai a malapena.

Rallentò poco a poco fino ad accostare la macchina sul bordo della carreggiata, tirando il freno a mano. Si voltò verso di me. Il cuore mi batteva all'impazzata.

Ebbi un sussulto. I suoi occhi era velati di malinconia. Troppa per un volto bello come il suo. “Ehi” provai a dire “Non devi essere così triste”.

Ignorò completamente il mio banale tentativo di consolazione.

E' per via..”. Sembrava in difficoltà con le parole. “E' per via..di tuo padre?”.

Deglutii.

Sì” sussurrai. “Mia madre non vuole più abitare qui; c'è troppo dolore per lei”.

E tu?”.

Io?”. Lo dissi come se mi stessi beffando di me stessa, azzardando un sorriso.

Io voglio restare. Ho messo le radici su questo posto meraviglioso e qualcuno me le vuole sradicare. Ho cercato di capire...”. Abbassai le palpebre per un istante.

Ma non ci riesci vero?”. Non aspettò la mia risposta, perché già la conosceva.

Mise una mano dietro la mia nuca e mi avvicinò al suo petto, stringendomi forte.

Allungai le braccia sul suo busto per ricambiare l'abbraccio.

Di colpo, mi sentii meglio, più rilassata. Una sensazione piacevole, di conforto mi pervase. Le braccia forti di Dreive mi piacevano, mi davano calore. Non che nell'abitacolo della macchina vi fosse freddo. Solo dentro di me.

Finalmente mi ero tolta di dosso quel peso che percepivo enorme. Anche se solo in parte.

Dreive mi diede un bacio sui capelli, poi mi allontanò dolcemente.

Mi accorsi delle lacrime solo quando lui me ne tolse una dalle ciglia con il dito.

Non piangere” mi sussurrò all'orecchio. “Sarà più difficile per noi fare a meno di te”. Sentii un risolino soffocato. Mi staccai troppo bruscamente e con un finto broncio mi voltai verso il mio finestrino, le braccia conserte.

Ehi, dolcezza, non intendevo in quel modo. Non ti offendere”.

Mi rannicchiai ancora di più. Poi sentii una mano sulla spalla.

Sai che tutti ti vogliono bene. Non possiamo stare senza la tua allegria, ci porti sempre fortuna...”.

Sì, certo. Adesso dici queste cose.” replicai. “Ti devo ricordare tutte le volte in cui mi dite che sono pazza, che probabilmente vengo da un pianeta sconosciuto? Ora mi vieni a dire che sono.. allegra?!” dissi con un po' di isteria nell'ultima parola. Ero davvero una brava attrice. Mi dovevo dare al teatro.

Dreive mi guardò perplesso, poi sorrise, cautamente. Credeva che veramente mi ero arrabbiata per così poco?

Okay, va bene. Sei più che allegra. Folle, direi. Ma..” si fermò un attimo per mettere in ordine ciò che doveva dire. “Proprio per questo lascerai un grande vuoto dentro di noi”.

Un grande sorriso si allargò sul mio volto.

Era questo che volevo sentirti dire!” strillai, buttandogli le braccia addosso. Appoggiai la testa sulla sua spalla.

Anche voi mi mancherete.” sussurrai, con un velo di tristezza nella voce. “Vi penserò sempre”.

Lo so, ne sono sicuro...”. Sospirai e mi ritrassi di nuovo.

Ora che ne dici se ti riporto a casa?” chiese.

Andiamo!”.

Effettivamente mi sentivo più leggera; più incline al buon umore. Insomma, ero me stessa. La figura dell'imbronciata depressa non mi stava affatto bene, e talvolta le persona adoravano il mio sorriso spontaneo. Se no, chi avrebbe portato l'allegria in quelle povere campagne afflitte dalle preoccupazioni per la sicurezza, per la salute?

Finii per sentirmi stranamente importante. Che sciocca che sono, pensai con un risolino.

Come mai quel sorriso ora?”.

Niente. Stavo riflettendo”.

Aveva un che di malizioso.” convenne Dreive con aria pensierosa. Sempre ben appoggiata allo schienale dell'auto, socchiusi gli occhi. Avevo bisogno di stiracchiarmi un po' le braccia che per la tensione si era intorpidite.

Scommetto che escogitavi un altro dei tuoi malefici piani per conquistare il mondo” disse Dreive.

..mmh..” cercai di fare la seriosa, ma mi scappò una risata. Allungai le braccia, sentendo i muscoli tendersi sotto la pelle, in seguito rilassarsi.

Posso sapere l'argomento?” domandò Dreive, ostentando pacata curiosità.

Sempre la mia indiscutibile superiorità”, scandii bene l'ultima parola.

Oh..e stavolta su che cosa, sua Grandezza reale?”.

Pensavo. Sai, qui sono davvero importante per la comunità.” risposi con un aria disinvolta, come avrebbe parlato una vera principessa.

Dreive rise di gusto, poi riprese il controllo e disse:

Certo, come no. A infestare le menti di noi poveri, comuni, esseri umani”.

Ehi!” esclamai dandogli un pugno leggero sul braccio.

Dai, non te la prendere”.

Poi sospirammo all'unisono.

Ti voglio bene” gli dissi a bassa voce, come se fosse un segreto.

Anch'io”. Rimase con le labbra socchiuse, come se volesse aggiungere qualcos'altro.

Mi mancheranno questi giochi”.

Troverai qualcun altro a sostituirmi”. Sussultai al suono di quelle parole. Distolse lo sguardo dalla strada per rivolgere su di me.

Non devi dire così.” mormorai. “ Assolutamente”. Strinsi le mani in pugni. Sentii le unghie premere sulla pelle.

E' normale conoscere gente nuova, soprattutto per una bella ragazza come te”.

Ritornò sulla strada. Per fortuna, pensai tra me e me. Infatti, ero arrossita improvvisamente. Mi prendeva sempre alla sprovvista. Non sapevo più che dire, quindi rimasi in silenzio, mordicchiandomi il labbro inferiore.

E' stato il mio complimento a zittirti?” chiese Dreive dopo qualche minuto. Eravamo vicini alla meta.

Sai...”. Ero in difficoltà con quello che dovevo dire.

Dimmi”.

Stavo pensando a oggi, a pranzo. Cosa volevi dirmi?”.

Aggrottò le sopracciglia per un attimo poi il suo viso si rilassò in un sorriso.

Niente, lascia perdere”.

Ma hai detto che era importante!” lo implorai.

Ora non più”. Quando mi vide intenta in una smorfia di supplica, sospirò.

Ti ho detto di lasciar perdere. Non è più importante”.

Ma per me lo è” replicai.

Ignorò quella risposta per girare a sinistra, verso casa mia. Riconobbi i bei cipressi ai suoi lati. Mi sarebbero mancati. Dubitavo che a New York il verde regnasse come lì.

Per un attimo mi scordai della conversazione con Dreive. Anzi, di quello che lui mi doveva dire. Evasi dalla realtà per ammirare il paesaggio. Dreive parcheggiò accanto alla veranda e spense la macchina.

Volevo soltanto dirti che ti voglio bene, come amica e più” disse all'improvviso stringendomi la mano.

Ma come vedi, tu ti trasferisci; non verrai neanche al ballo”. Avvampai subito, senza nemmeno dare il tempo necessario a cervello per decifrare quello che avevo appena sentito. Gli strinsi ancora di più la mano.

Mi dispiace” riuscii a dire.

Non sei tu quella a doversi dispiacere”. Mi accarezzò piano una guancia. Quel gesto mi fece venire le lacrime agli occhi. Di nuovo.

Ora... è meglio... che vada” riuscii a dire, trattenendo i singhiozzi.

Certo” rispose Dreive e mi diede un bacio di nuoco sui capelli. Asciugai in fretta le lacrime che mi avevano bagnato le gote, poi aprii la portiera. Mi voltai per un ultimo sorriso. “Ciao” sussurrai, facendo u gesto con la mano.

A domani”.

Annuii poco convinta.

Il freddo si era fatto improvvisamente pungente - o forse ero solo io che tremavo stravolta -, perciò mi strinsi nel cappotto accelerando il passo verso la veranda. Il fumo del mio respiro era bianco.

La macchina di Dreive rimase per qualche secondo lì dov'era. Stava riflettendo o era solo per precauzione? Aveva paura che io crollassi da un momento all'altro?

Trovai più probabile la prima ipotesi. Sapeva che non ero così emotivamente debole.

Mi intrufolai in casa, sperando che almeno la cucina fosse poco più accogliente e calda.

Passando davanti al salotto buio, con le persiane chiuse, mi accorsi della luce lampeggiante della segreteria telefonica. Premetti il tasto per ascoltare il messaggio.

Ciao piccola,” disse la voce di mia madre. “Stasera faccio tardi. Mi dispiace ma dovrai prepararti la cena da sola. Non abbuffarti troppo se no ti fa male la pancia.”, poi seguì una risata. “Che patetica battuta. Scherzavo, non ti arrabbiare. Preparati quello che vuoi. Ti voglio bene.”.

Sorrisi. L'unico vero motivo era perché sarei rimasta da sola per tutto il pomeriggio e la sera. Esultante, saltellai fino in cucina. Dovevo essere un po' su di giri visto che cambiavo umore ogni due secondi. Posai lo zaino su una sedia presa a caso e aprii il frigo. Non c'era granché dentro ma mi sarei accontentata.

Prima di tutto, pensai, mi sarei fatta un bel bagno. Era da tanto tempo che non mi rilassavo, e quello mi sembrava il momento più adatto. Andai al piano di sopra facendo le scale due a due. Entrai nella mia stanza, a sinistra del corridoi.

A destra c'era un armadio vecchio, con accanto alcune mensole in cui erano appoggiati tutti i miei libri e fumetti. In realtà appartenevano a mia madre, che li aveva collezionati durante la sua giovinezza. Ma, siccome non si trovavano facilmente dei fumetti in giro, me li aveva prestati. Ce n'erano di tutti i tipi, dal classico Topolino ai miei preferiti, i manga giapponesi.

Nella parete adiacente c'era una scrivania con il mio computer. Era una versione vecchia- quelle nuove erano in 3D- ma era veloce e funzionava bene.

Dalla parte opposta si allungava il mio letto. Le coperte erano di un viola chiaro, come le tende della finestra. Il mio osservatorio, mi divertivo a chiamarlo. Infatti, era lì che grazie al mio telescopio osservavo le stelle. Conoscevo a memoria tutte le costellazioni.

Ogni volta che mi soffermavo a osservare il cielo, ripensavo a mio padre, che in vita era stato un eccellente astronomo.

Nei primi tempi dopo la sua morte, mi rifiutavo di aprire gli occhi di notte. Andavo a dormire al tramonto e mi svegliavo all'alba. Certe volte stavo semplicemente sdraiata con gli occhi chiusi. Era assurdo, ma che ne poteva sapere una povera tredicenne a cui il destino si era rivoltato contro? Mi chiedo se il dolore non offuschi la mente umana a tal punto da renderla schiava del destino. Ho sempre pensato che fossimo noi a crearlo; certe volte però, bisogna lasciarsi andare. E io, a quel tempo ero troppo debole per guidare la mia vita. Mi raggomitolavo su me stessa, cercando di sopprimere quel dolore lacerante, e piangendo.

Ogni battito del cuore mi sembrava un peso troppo forte da sopportare nel vuoto gelido del mio corpo. Mi sentivo completamente svuotata dell'anima. Mi guardavo allo specchio e vedevo il fantasma di me stessa. Ero arrivata a pensare di essere morta dal dolore, poi qualcosa mi riportò la luce, via dall' oscurità astratta che mi circondava.

Capii che mia madre provava il mio stesso dolore. Mi lasciai alle spalle quei sei mesi terribili. Il solo pensiero mi fece rabbrividire.

Riscoprii la voglia di vivere e ripresi il controllo di me stessa. Sfogai il mio dolore proprio negli studi delle stelle che mio padre amava così tanto. Ripensare a lui in quella maniera mi faceva sentire meglio. Offuscava i ricordi di lui malato, lui in ospedale, sotto i ferri.

Fin da piccola lo consideravo il mio idolo. Colui che mi raccontava le favole prima di addormentarmi, che mi portava al lago nei week end, che mi consolava, che ascoltava i miei sfoghi senza giudicare. Qualcuno su cui potevo contare.

Il solo cielo stellato mi faceva venire in mente che meraviglioso papà era stato. Nel loro splendore si rifletteva la sua gentilezza. La sua mancanza mi aveva lasciato un segno profondo che niente poteva cancellare. Ma mi ero ripresa per amor suo, perché ero sicura che non mi voleva vedere fragile.

Ero la sua bambina combina guai, sempre felice e con il sorriso in faccia, che non si faceva piegare da nessuno. Con la punta delle dita accarezzai la superficie lisca del telescopio, sempre lucida. Sorrisi.

Afferrai l'asciugamano e mi diressi verso il bagno. Mentre la vasca si riempiva d'acqua - riscaldata grazie ai pannelli solari, ovviamente -, osservai bene il mio riflesso allo specchio.

Il mio volto era di un ovale perfetto, pensai orgogliosa. Gli occhi erano grigi, ma più chiari di quelli di mia madre. In un certo senso incutevano paura. O attrazione.

Le sopracciglia arcuate erano nere, come i miei capelli. Poche ciocche raggiungevano a malapena le spalle. Quando ripensai al perché li tenessi corti mi venne una fitta al cuore. In un momento di follia, dopo il funerale di mio padre, avevo preso le forbici e mi ero tagliata i miei capelli lunghi. Ebbi abbastanza lucidità da non affondarle in qualche parte del mio corpo, pensai trasalendo. Mesi dopo, quando avevo ripreso conoscenza di me stessa, mi ero accorta che mi stavano bene. Tuttavia, i miei capelli erano sempre un po' più lunghi dato che avevo l'abitudine di giocherellarci.

Mi spogliai lentamente. La vasca era quasi piena.

Accanto allo specchio del lavandino c'è n'era uno più lungo e stretto, in cui potevi vedere tutto il corpo. Mi ci soffermai un attimo ad ammirare la mia anca destra. Sulla pelle bianca, quasi diafana, un minuscolo ed esile scorpione si allungava, sinuoso.

L'avevo fatto tatuare poco più di un anno prima, all'insaputa di mia madre.

Per me aveva un importante valore. Ero legata al mio segno zodiacale, essendo appassionata di astronomia. Ogni estate aspettavo con ansia l'apparizione dello Scorpione.

Quando la rossa Antares spuntava dalle basse colline. Era una strana eccitazione che mi percorreva. Mi pareva come se un parte di me, che non conoscevo, venisse a trovarmi, per farmi capire la mia vera natura.

Feci scorrere la punta delle dita sul pelo d'acqua, provocando delle piccole onde.

Prima infilai un piede, rabbrividendo per l'acqua bollente.

Avevo la pelle d'oca. Tuffai la testa con i capelli che galleggiavano.

Chiusi completamente la mente ai pensieri e mi abbandonai al mio corpo e alle sue esigenze. Ogni cellula richiedeva riposo, soprattutto quelle nervose...un altro brivido mi percosse.


*


Ero sicurissima che fosse un sogno. Eppure pareva tutto troppo reale e nitido per essere tale. Strizzai gli occhi un paio di volte. Provai un senso di vertigine, nonostante i miei piedi toccassero terra. Per meglio dire, ero sospesa nel vuoto più totale, quindi la parola terra non possedeva il suo solito significato. Sentivo solo un appoggio sotto i piedi.

Nel buio, i miei occhi percepivano una luce. Non seppi dire subito da dove proveniva. Ero incapace di muovermi; i muscoli erano tesi, e parevano sul punto di spezzarsi se avessi mosso anche una sola fibra del mio corpo. Immobilizzata com'ero, mi guardai attorno. O forse neanche quella parola aveva un senso, oramai.

Ah!” esclamai piena di stupore. Mi portai una mano sul volto. Ero io che sprigionavo luce! Dimenticai completamente la tensione, e mossi una gamba in avanti. Anche quella era illuminata. Che strano, pensai. Non feci in tempo a chiedermi il perché che mi arrivò di nuovo quel senso di vertigine. Avevo lo stomaco sottosopra.

Il respiro mi si affannò, troppo corto e veloce. Cominciai ad ansimare. Una parte del mio cervello sapeva che ero in un posto spazioso, ma il buio dava l'idea contraria. Mi pareva di essere sotterrata viva. E io avevo il terrore degli spazi piccoli. Mi portai una mano al cuore, sgranando gli occhi. In che posto mi trovavo? Dove diavolo ero finita?

La fronte mi si imperlò di sudore freddo.

Non riuscivo a respirare normalmente. Chiusi gli occhi, mentre le gambe cedevano.

Finii in ginocchio, tremando. Inclinai la testa verso l'alto, in cerca d'aria. Il panico mi attanagliava.

Cosa stava succedendo? Boccheggiavo, terrorizzata. La mia brama di ossigeno era incontrollabile. Poi, in mezzo allo smarrimento, sentii dei passi.

Fu la prima volta che lo vidi. Una figura slanciata si stagliava davanti a me. Era nera come il buio che mi circondava, ma anche essa emetteva luce. Una luce più potente della mia. Sbarrai gli occhi. Volevo assolutamente sapere cosa stava accadendo. Il mio cervello era andato in tilt dalla confusione.

Non seppi dare un significato sensato a ciò che vidi.

Più si avvicinava, più i dettagli della sagoma si facevano nitidi. Camminava disinvolta, ma non fu il corpo che attraeva il mio sguardo. Cercai avida il suo volto, semi nascosto dal buio. La prima cosa che notai furono gli occhi.

Il mio stomaco ebbe un sussulto.

La pupilla nera, profonda come un pozzo senza fondo, era circondata da uno strano rosso cupo, quasi nero, a parte i vari riflessi cremisi. Vicino alla pupilla – notai - il rosso assumeva sfumature violacee. Inconsapevolmente mi portai una mano sulla bocca, forse per trattenere il gemito di stupore. Le labbra erano piene per essere quelle di un uomo, e – immaginai – morbide. La pelle era più scura dalla mia, ma non tanto abbronzata. Il tutto incorniciato da folti capelli neri. Erano scompigliati, allo stesso tempo però sembravano il modello di una strana pettinatura.

Era certamente bello, più bello di un qualsiasi normale essere umano, ma non fu quello che colpì i miei occhi.

C'era qualcosa in un quel volto che mi sconvolgeva.

Era la sua perfezione. Lasciai cadere la mano su un fianco, rimanendo con le labbra socchiuse dalla paura. O forse dalla curiosità.

Il profilo del viso, del naso, della bocca, degli occhi, tutto quanto, sembrava essere stato scolpito dal più bravo degli scultori. Ma dirlo pareva solo un eufemismo. In realtà ero rimasta a bocca asciutta. Perché non c'erano parole per descrivere tale perfezione.

Quando fu abbastanza vicino da poter leggere le sue espressioni, vidi nei suoi occhi la frustrazione. Perché? Perché quel angelo così tremendamente perfetto era triste?

Si abbassò abbastanza da ridurre la differenza che c'era tra noi. Abbassai la testa.

Prese con delicatezza la mano che tenevo stretta al cuore. Intrecciò le sue dita con le mie. Si muoveva piano, quasi temesse che scappassi dalla paura. Per un attimo mi dimenticai il panico, e che quello era probabilmente un futile sogno. Tutto si stabilizzò, il mio respiro, la mia mente e il tremolio che mi percuoteva. Circondò le mie spalle con un braccio e mi aiutò ad alzarmi. Intimorita, trovai i coraggio di guardarlo di nuovo in volto.

Sorrideva. Sentii le gambe molli. Deglutii lentamente.

Lui addolcì il sorriso, poi inclinò la testa appoggiando le sue labbra sopra le mie. Erano calde e morbide. Dal basso, mi salì un eccitazione mai provata prima. Mi accorsi solo dopo di avere gli occhi sbarrati dall'emozione che mi percorreva la pelle.

Il mio cuore si fermò per due secondi, poi accelerò improvvisamente. Sembrava sul punto di scoppiare.

*

Mi svegliai di soprassalto, con il cuore a mille. Stringevo le coperto così forte che le nocche erano diventate bianchissime. Con gli occhi sgranati perlustrai la stanza in cerca di qualcosa legato al sogno appena fatto. Erano sempre le stesse mura bianche, le tende viola e il computer, spento. Tirai un sospiro di sollievo. Avevo la mente affollata di domande. Soprattutto perché sentivo ancora le sue labbra morbide premere sulle mie. Il respiro caldo sul volto. I suoi occhi, accesi di un cupo rosso. La pupilla nera circondata dalle sfumature violacee. Ebbi un fremito. Ma non di paura. Inconsapevolmente mi ero messa in piedi. Mi avvicinai alla finestra, scostando di un po' la tenda per osservare il paesaggio fuori. Il profilo delle colline era solcato dal rosa chiaro dell'alba. Erano appena le sei del mattino. E io non me la sentivo di andare a scuola.

Accarezzai con le punta delle dita il vetro. Il mio pensiero era altrove, ancora nel sogno. Mi chiedevo tante cose. Era stato così vivido e reale, che faticavo a credere che fosse solo un banale sogno. Mi ricordavo ogni minimo particolare. Era diverso dai sogni precedenti. Mi portai una mano alle labbra, tracciandone piano il profilo. Sentii il bisogno di distrarmi. Tuttavia fu un tentativo inutile. Niente pareva capace di scollarmi di testa quel volto.

Accesi il computer. Ci mise un attimo ad attivare internet. Aprii la mia cartella di posta elettronica, quando mi accorsi che c'era un messaggio in lista. Era appena arrivato. Lessi l'oggetto. Oroscopo. Doveva essere il responso di quello stupido abbonamento che avevo fatto da qualche tempo, prima solo per gioco. Solo dopo mi ero accorta che non sapevo più come disdire la domanda. Lo aprii scettica.

C'è aria di cambiamenti.

Sbattei per qualche secondo le palpebre velocemente. Non seppi spiegare il perché; mi sentii improvvisamente turbata, in ansia.

Come quando aspettavo qualcosa. Qualcosa di importante. Cosa mi stava capitando? Come mai così tanti indizi a smentire la normalità del mio sogno? Ero confusa.

Spensi lo schermo del computer e mi coricai di nuovo a letto. Alzai la coperta fino a coprirmi il volto. Il rumore del mio respiro spezzava quel silenzio tombale. Era affannato, sopraffatto dal battito del cuore. Poggiai una mano sullo sterno. Tu-tum, tu-tum, tu-tum.

Batteva all'impazzata, come se avessi corso per qualche chilometro. Ero sull'orlo delle lacrime. Lacrime di rabbia. Perché non riuscivo ad accettare la realtà?

Ero divisa tra due personalità diverse. Una convinta che non fosse un banale sogno, frutto di chissà quale libro o film; l'altra più diffidente.

La mia doppia personalità era un grave problema. Mi presi il volto fra le mani, strizzando gli occhi. Sii ragionevole, Vega, mi rimproverai. Quello che stai pensando non succede nella realtà.

Uffa, sbuffai. Stai zitta.

Sei patetica.

Premetti le mani sulle orecchie. Speravo assurdamente di allontanarmi da me stessa. Da ciò che ero in realtà. E' normale che una persona non si sopporti? A me capitava spesso.

Vega, sei sveglia?”. Trasalii sentendo la voce di mia madre. Avevo perso la cognizione del tempo.

Alzati. Sei in ritardo” concluse. Attesi che chiudesse la porta. In seguito, scattai in piedi in piedi barcollando un po' dal sonno. Avevo la testa così affollata di domande che era sul punto di scoppiare. No, a scuola non ci sarei andata. Mi ributtai a letto, supina, con le braccia spalancate. Cosa avrei detto a mia madre per giustificarmi? Avevo l'aspetto di una con il mal di testa? Era la prima scusa che mi veniva in mente.

Ci avrei almeno provato, se no si passava alla verità. Ero abbastanza decisa da convincerla, che lo volesse o no. Quando mi comportavo in modo determinato non poteva fermarmi. Mi misi a sedere, con le mani tra i capelli scompigliati.

Avevo delle ottime ragioni per non andare a scuola.

Primo, Dreive sapeva tutto e non potevo sfuggire al suo sguardo consapevole mentre mentivo alle mie amiche. Secondo, Ellison si sarebbe accorta del mio turbamento, appesantito dai dubbi sul sogno. Scossi la testa nel tentativo di scacciare quei pensieri.

Scesi le scale in punta dei piedi. Dalla cucina proveniva l'odore forte e amaro del caffè.

Mi fermai sulla soglia. Mia madre era intenta a leggere un giornale son una tazza fumante tra le mani. In effetti faceva freddo, ma non me ne ero accorta. Mi strinsi tra le braccia, trattenendo un brivido.

Mamma?” dissi schiarendomi la voce.

Finalmente ti sei svegliata” commentò. Alzai gli occhi al cielo.

Oggi non vado a scuola” scandii. Distolse gli occhi dal giornale.

Perché?” domandò con sguardo inquisitorio. Al diavolo le bugie, esclamai mentalmente.

Non me la sento di andarci.” risposi. Presi una sedia e mi ci sedetti.

Sarà l'ultimo giorno. Perché vuoi rinunciare?”.

Combinerei solo guai, mamma”. La guardai con sguardo supplice.

Non l'hai detto a Ellison, vero?”. Non attese neanche la risposta.

E' ora che tu lo faccia. O oggi o niente. Ricordati che partiamo domani”.

La guardai torva. “Lo so” risposi.

Allora è meglio che vai a scuola”.

Non serve. La incontrerò stasera. Vado a dormire da lei”.

Ah. Mi potevi anche informare prima”. Sembrava quasi offesa. Trattenni un sorriso.

Non riuscii nemmeno a rimproverarmi per la mia cattiveria. Ero così vendicativa. Crudele.

Senti mamma.”, sospirai. “Oggi non me la sento di andare a scuola. Stasera spiegherò tutto quanto a Ellison e alle altre ragazze”.

Non ti preoccupare” conclusi. Scosse la testa.

Invece io mi preoccupo.” cominciò. “A volte sembri così distante da me. Non ti apri. Mi nascondi le cose”. Incrociai il suo sguardo malinconico.

Le accarezzai una mano.

Mamma, io sto bene.” mentii. Socchiusi gli occhi per non far notare le lacrime.

Mi ero definita malvagia, perfida. Sì, in parte lo ero, ma non aveva importanza. Non quanto l'affetto. Noi umani non siamo esseri perfetti. Dentro di noi albergano insieme odio e amore, sentimenti al contempo contrastanti e dipendenti l'uno dall'altro. Per me era impossibile capire cosa provavo per mia madre. Le volevo bene. Era l'unica persona cara che mi era rimasta, dopotutto. Nonostante ciò, percepivo un muro rigido e duro che ci divideva. Era talmente forte in me che presumevo di averlo creato io stessa, senza rendermene conto. Anche mia madre avvertiva la sua presenza, e non poteva fare nulla per annullarlo.

Era una mia opera. Solo io potevo decidere quando abbatterlo o se abbatterlo.

Mi alzai piano, trascinando la sedia.

Cerca di riposarti mentre sei a casa.” mi raccomandò. “Ti vedo piuttosto stanca”.

Annuii e le sorrisi.

Buon lavoro, mamma”.

Grazie, piccola”.

In effetti aveva ragione. Ero molto stanca. Con le palpebre pesanti mi diressi verso la mia stanza. Trovato il mio letto, mi ci buttai di peso. Mi rannicchiai con le ginocchia sul petto, nascondendo la testa in mezzo.

Ultimo giorno, pensai. E avrei cominciato una nuova vita.

Bah, che seccatura!” sbottai affondando la testa nel cuscino.

Le lacrime sgorgarono all'improvviso una dopo l'altra.

*


Assaggia il brodo con affare serio. Non ero affatto convinta di averci messo abbastanza sale. Restai un attimo immobile, fissando corrucciata il cucchiaio di legno che avevo davanti alla bocca. Arricciai il naso, disgustata.

Che schifo!” esclamai, afferrando un bicchiere d'acqua. Ci pensai su per un po', mentre bevevo. Spalancai gli occhi dandomi una pacca in fronte.

No! No, no, no, no...” cominciai a ripetere. “Perché sei così distratta, Vega?”.

Il brodo aveva uno strano sapore dolciastro, che faceva a pugni con gli altri ingredienti.

Maledetto zucchero. Maledetto sogno. Maledetto brodo” ringhiai. Tenevo il palmo delle mani rivolte verso l'alto.

Che male ho fatto? Dimmelo.” chiesi. “Adesso devo anche ricominciare tutto da capo!”.

Questa è una punizione divina” conclusi, dando un pugno al tavolo.

Parlare da soli è il primo sintomo di pazzia, disse una vocina nella mia mente.

Trattenni il respiro per un secondo. Lasciai cadere le braccia sui fianchi, inspirando profondamente. Rilassati, mi ripetevo. Rilassati.

Ero esausta. Troppe cose mi stavano spossando. Troppo a cui pensare. Troppo da fare, tra cui anche le valigie.

Mi sedetti con un tonfo. La mattina non ero riuscita a riposare come volevo. Non saprei dire che cosa mi ha impedito di più di addormentarmi. Il continuo flusso dei miei pensieri? O il timore di rivedere quel volto che tanto mi stravolgeva?

Forse era soltanto il fatto che non riuscivo a dare delle risposte ai miei dubbi.

La mia mente non accettava il fatto che avessi fatto un normale sogno. Mi illudevo che avesse qualche legame con la realtà. E non sapevo spiegarmi il perché di questa sensazione.

Sentii il rombo di una macchina provenire da fuori. Era mia madre. Mi rialzai alla svelta e andai ad aprire la porta.

Stava salendo le scale della veranda.

Bentornata” la salutai.

Ciao Vega”. Sorrise.

Senti, mamma.” iniziai a dire. “Hai per caso portato qualcosa per il pranzo?”.

No. Credevo che avresti cucinato tu” rispose accennando al grembiule che avevo addosso.

Sì, è vero, ma..” lasciai in sospeso la frase. “Purtroppo ho messo lo zucchero al posto del sale. Niente brodo per il riso.” conclusi dispiaciuta.

Mia madre entrò a casa come se non avessi detto niente. Fece spallucce poi disse:

Non importa. Significa che ci accontenteremo dell'insalata.” propose.

Feci un cenno con la testa e mi diressi in cucina. Tolsi il grembiule e cominciai a lavare l'insalata. I miei genitori erano vegetariani, così ero cresciuta anch'io senza la carne in cucina. Era un abitudine diffusa negli Stati Uniti, soprattuto nelle campagne.

Per la maggior parte del tempo pranzammo in silenzio; mi chiese soltanto se avevo riposato. Alla mia ennesima bugia, commentò che avevo ancora un aspetto stanco.

Saranno i preparativi per domani” alluse con noncuranza.

Dopodiché rientrò al lavoro in fretta. Io lavai i piatti e sistemai la cucina.

Sperando che il pomeriggio passasse in fretta, iniziai le valigie. La casa a New York era già arredata quindi non ci sarebbero stati problemi con i mobili. Avevamo bisogno solo dei nostri vestiti e cose personali. Frugando tra le cianfrusaglie nei cassetti, ripescai il mio vecchio diario. Lo rigirai tra le mani. Era un normale quaderno, un po' rovinato dalle mie mani, troppo desiderose di scrivere. Lo sfogliai per qualche secondo, riconoscendo la scrittura formosa e ingarbugliata. Era pieno di scarabocchi, schizzi e disegnini buffi. Vidi l'anno della prima pagina. Avevo undici anni allora. Dopo i tredici non avevo più scritto. Trovai un posto per il diario in mezzo ai vestiti, e lo nascosi sotto un maglione. Forse avrei dovuto lasciarlo lì, ma non ci ripensai più.

Mi appoggiai al muro, sospirando. Non ce la facevo più. Ero stanca di tirare fuori vecchi ricordi seppelliti sotto la polvere della mia stanza. Sia fisicamente che emotivamente.

Mi alzai, sempre con una mano appoggiata al muro. Ne segui il profilo fino alla porta.

Con passo svelto mi diressi al bagno. Chiusi la porta a chiave, nonostante ci fossi solo io a casa. Appoggiai le mani sul bordo del lavandino, abbassando la testa. Cos'era quella tristezza che mi aveva avvolta così improvvisamente? Anzi, più che tristezza sentivo un turbamento familiare. Alzai la testa, sbigottita.

Ahhhh!” strillai istintivamente. Era lui. I riflessi rossicci dei suoi occhi mi inchiodarono. Ero immobilizzata in una maschera di terrore. Il mio corpo girò sui tacchi senza il mio commando. Rimasi a bocca aperta. Non c'era nessuno dietro di me. Cercai di non andare in iperventilazione dalla paura. Mi sentii una stupida. Adesso avevo anche le visioni?

Scivolai per terra, con una mano stretta al cuore. Fissavo il pavimento con gli occhi sbarrati. Aspettai.

Aspettai finché non ritorno tutto apparentemente normale. Avevo il timore di alzare lo sguardo, tuttavia non resistetti alla mia indomabile curiosità. Sentii il telefono squillare.

 

 

Grazie mille a Bellis per il suo commento: sono lusingata dalle tue parole! Thank you^^.

Spero che continuerai a leggere e recensire, soprattutto perché voglio delle opinioni e dei consigli affinché questa storia migliori.

Grazie anche ai miei ispiratori, i My Chemical Romance, che con i loro testi mi fanno passare la crisi da pagina bianca. Thank you guys!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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