Serie:
Axis
Power Hetalia
Titolo: Ὀρχέομαι - olim
hodieque
Titolo
capitolo: Hodieque
- Ὀρχέω
Personaggi: OC - Serenissima Repubblica di
Venezia, OC - Repubblica di San Marino
Warning: //
Wordcount: 1120
Challenge: Writing
Stuff Series
Prompt: Day #
14 - « Rinuncia al tuo potere di attrarmi ed io
rinuncerò alla mia volontà di
seguirti»
Note:
-
Il titolo del capitolo significa "e oggi - danzo"
-
Le frasi in latino sono tratte dall'ultimo coro dell'oratorio di
Vivaldi "Juditha
triumphans devicta Holofernis barbarie" (più informazioni
utili qui), inno
ufficiale della Serenissima, per questo lo trovate citato pari
pari.
-
Le frasi che trovate allineate a destra sono tratte dalla canzone La
Candela e la Falena di Branduardi (-piccolo inchino al cospetto del
Maestro-), che ho trovato particolarmente adatta alla situazione
Disclaimer: la serie
appartiene a Himaruya, Venezia a me e San Marino alla mia
bella signorina Barbara <3
“Adria vivat, et regnet in pace”
(Exultantium Virginum pro Judithae triumpho)
con me arde il fuoco, non io nel fuoco.
Quando all’alba mi
spegnerò,
di me traccia non
resterà. »
-
A. Branduardi, La Candela e la
Falena -
Il
crepuscolo ha ceduto velocemente il suo posto celeste alla tenebra
notturna; il
chiacchiericcio allegro di una città viva ha lasciato che
prendesse il
sopravvento il silenzio del sonno lunare.
Nella
Sala del Maggior Consiglio però il bagliore
d’argento candido della Luna si
spande sul marmo rosato e si posa sulla figura femminile che a passi
lenti
cammina; il ticchettio dei tacchi si diffonde nel grande salone,
disturbando il
secolare riposo della solitudine assonnata.
Non vibranti percussioni, non squillanti trombe, non acuti archi: ora
solo le
parole possono riportare in auge quella magnificenza antica di secoli.
Solo chi ha vissuto in quel mondo può ricordarlo.
Solo Elena.
«Salve, invicta Juditha formosa, patriae splendor spes
nostrae salutis!»
Ma
nel sogno vigile della Serenissima ancora è tutto brillante
e sfarzoso, ancora
le gonne delle nobildonne si confondono nel loro infinito volare nella
fulgida
luce preziosa.
Elena
improvvisa un cortese inchino al gentiluomo che le sta di fronte, e
anche lei
si unisce a quel macabro ballo di anime ormai svanite e dimenticate nel
tempo,
sepolte in quel cuore pulsante solo per grazia di
immortalità più volte
maledetta.
Vi si tuffa senza timore, incurante se poi saprà ritrovare
la strada verso la
realtà: perdersi in quello sfarfallio brillante e non
ritornare mai più è una
prospettiva più allettante.
La sua mancina si appoggia sulla spalla del nobile, la destra si
stringe all’altrui
mano: è l’aria immobile a condurla in questo nuovo
ballo di illusioni e ricordi
coperti dalla polvere e dalla cenere fumante.
«Summae norma tu vere virtutis, eris
semper in mundo gloriosa.»
Nella sala riecheggiano solo la voce acuta di Elena e
lo stridere stonato occasionale dei suoi tacchi sull’antico
marmo d'Oriente; lenti e
aggraziati sono i suoi movimenti solitari, che smuovono il nulla
silenzioso e
l’aria che trasporta accondiscendente le sue parole
diffondendole nel vuoto,
spettatore entusiasta.
Ed è il vuoto la sua compagnia chiassosa, che si sposta e le
fa spazio al suo
passare, che intona il passato assieme a lei.
Che dolorosamente la illude nella notte.
Che la ferisce.
Corrode l’animo superbamente disperato, tanto geloso e
avido del passato da non potersene liberare se non annichilendo il
presente.
«Debellato sic barbaro Trace,
triumphatrix
sit Maris Regina.»
La Dominante sobbalza, le sue note tremano insicure e
spaventate nell’istante in cui non è
più l’aria cortese ad accompagnarla, ma
persona viva che le prende dolcemente la mano destra e posa la sua sul
fianco
sinistro di lei.
Lo sconosciuto spirito prende la forma di Marcus, che la guida
nell’ultimo
movimento dell’Aria che intona il soprano danzante: ancora
ella si lascia spingere
indietro, si lascia trascinare in avanti, lascia che il suo compagno la
diriga
nel suo volteggiare, che l’attiri a lui, che la liberi e ne
reclami poi la
proprietà al vuoto.
Si lascia nuovamente perdere.
«Et placata sic ira divina,
Adria vivat, et regnet in pace.»
Ad un
leggero inchino della donna corrisponde un inchino più
profondo del nobile
dagli occhi color della notte.
Notte
che custodisce e scandisce con lo scorrere degli astri sulla volta
celeste la
loro danza solitaria, il loro riavvicinarsi e prendersi per mano:
ricomincia
quel rondeau nascosto fatto di passi leggeri e volteggi, corpi che si
allontanano e si avvicinano, volti che paiono sfiorarsi e toccarsi,
attirandosi
fatalmente, labbra che si cercano, si trovano e altrettanto velocemente
si
perdono.
La mano
destra della veneziana viene liberata dalla stretta della mancina del
suo
accompagnatore, e di questa egli posa l’indice sulle labbra
di lei schiuse,
zittendola prima ancor che possa far sentire nuovamente la sua voce.
«Seriamente?
Vuoi ballare? Potevi chiederlo a chiunque.»
Un
sussurro impertinente all’orecchio, voce suadente interrompe
lo spartito, e contrasta con le gloriose note prima cantate a pieni
polmoni, ma che fa tremare il cuore della donna e il suo
animo.
Sogghigna
presuntuosa Venezia, al sentire le stesse parole che
pronunciò lei secoli prima, in un
contesto simile.
Sempre lui.
Sempre lei.
La
notte come scenario.
Danzavano.
Danzano.
E
sogghigna lui: la destra abbandona il fianco di lei e risale in una
lenta e
impercettibile carezza lungo il nudo braccio, fino alla spalla, per poi
sfiorare
una ciocca di lunghi capelli castani. Li tira appena, costringendo la
donna ad
avvicinarsi a lui, per poi di nuovo avvolgerle con il braccio sinistro
la vita.
«Puoi
perderti ancora, sai.»
Un
dolce soffio che inebria le labbra d'immortale amaranto di Elena; notte
che incanta e cattura
fatalmente lo sguardo insolente, che l’attrae con prepotenza,
senza concederle la
possibilità di ritrarsi.
Tiranno, riesce a domare.
«Potrei.»
Un
sussurro che viene catturato dalle labbra di entrambi che ora,
desiderose, si
reclamano dopo tanto cercarsi: timide e insicure all'inizio si sfiorano
appena, impazienti giocano e si mordono,
poi, gelose e avide, si impossessano le une delle altre.
Elena
vi si perde, in quel bacio che sa di divieto permesso, di segreto
violato e
perdizione redenta.
Sa di odio che si trasforma, sa di fiamma che consuma.
Vi si
lascia immergere, sprofondare e attirare: inconsapevolmente
è la sua stessa persona che si
alza in punta di piedi facendo leva sulle larghe spalle di Marcus, su
cui
poggiano le sue mani; ad aiutarla c’è la stretta
delle braccia di lui sui suoi
fianchi, che la sollevano quel tanto da rendere nulla la leggera
pressione che
lei stessa esercitava sulle altrui spalle.
Ritrova la strada seguendo con le dita il profilo dell’altrui
volto,
lentamente: risalgono dal collo fino alla mascella, carezzano leggera
la
guancia, sfiorano la nuca e si nascondono tra i capelli scuri come il
placido
mare notturno.
Vi fanno forza per attirare l'amabile volto verso il suo.
E si
spegne anch’esso, vibrando nel cuore della Serenissima.
Come secoli fa.
Solo lui può riportarla poi alla realtà senza
farla soffocare per il dolore.
Solo
lui sa come restituire un ritmo a quel battito vizioso che ora sente
troppo
vicino al proprio.
Lei
non ha più paura, ormai.