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Autore: Prinzesschen    24/06/2014    4 recensioni
Niente è mai come sembra ed Hannah Kane lo avrebbe imparato a sue spese. Tutto comincia con un curioso incontro sotto la pioggia, un cagnolone dal pelo nero ed arruffato sconvolgerà la vita della giovane avvocatessa colmando la solitudine di una casa sempre vuota e riscaldandole il cuore con un pizzico di inaspettata magia.
Un latitante, un evaso in cerca di redenzione per una colpa che non ha mai commesso e che gli brucia l'anima graffiando il suo cuore dall'interno e procurandogli ferite che solo una giovane ed insolita donna in carriera saprà curare.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sirius Black
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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furry love 7

Furry Love

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7- If you are looking for disappointment
You can find it around any corner
In the middle of the night I hold on to you tight
So both of us can feel protected

 POP!
-Che diavolo..Sirius!- esclamai sollevando la testa dal fascicolo della causa McGregor così violentemente da far scricchiolare le ossa del collo, già notevolmente provate dall’umidità delle sere di fine estate.
Sirius era piombato nella mia stanza come un enorme chicco di grandine, solo perfettamente ritto sulle gambe e con un sorriso che mostrava più denti di quanti pensavo fosse umanamente possibile avere e che lo ringiovaniva tremendamente.
-Aspetta!- disse senza smettere di sorridere e avvicinandosi alla porta.
-Che stai facendo?-
-Ssh.-
Estrasse la bacchetta e mormorò strane parole prima di voltarsi nuovamente verso di me e procedere a grandi passi fino alla mia scrivania.
-Ho fatto un incantesimo di isolamento acustico, così nessuno potrà sentirci.-
-Sei sempre più inquietante.- asserii fissandolo con aria scettica con ancora la penna saldamente stretta in mano e la schiena nuovamente curva verso la scrivania.-Pensi di farmi fuori?-
-No, devo darti una grande notizia!- non l’avevo mai visto tanto felice, sembrava un bambino cui avevano regalato il primo giocattolo.-Ho trovato un modo, Hannah! Posso entrare ad Hogwarts, eliminare Codaliscia, raggiungere Harry e..-
-Hey hey hey..- lo raggiunsi e sorridendo a mia volta lo costrinsi a sedersi accomodandomi di fronte a lui così vicini che le nostre ginocchia si sfioravano. –Farò finta di non aver sentito il termine “eliminare” e.. è fantastico! E’ ciò per cui scompari continuamente, no?-
-Si! E’.. tu non sai quanto significhi questo per me, è.. è..- sembrava totalmente fuori di sé e non potei che pensare a quanto fosse bello che avesse sentito il bisogno di raccontare a me di un evento per lui tanto importante, che avesse deciso di condividerlo, in un certo senso.
Si sporse verso di me e senza smettere di raccontare mi afferrò le mani stringendole forte ad ogni parola per poi sistemarmi distrattamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio senza neanche accorgersi di quanto fossimo vicini.
Io lo guardavo ipnotizzata e nonostante non stessi perdendo una parola del suo racconto il mio sguardo vagava incessantemente dalle sue labbra ai suoi occhi che sembravano brillare di una luce tutta nuova.
-Non metto piede ad Hogwarts dal mio ultimo anno.-
-Raccontami di Hogwarts. Com’era? Somiglia alle nostre scuole?-
Scosse il capo ridendo piano e facendo ondeggiare  lunghi capelli scuri prima di passarci le dita in mezzo per tenerli a bada.-No, Hannah, non lo è affatto. E’ un posto incredibile. Lì ogni cosa è magia, pura magia. E’ stato sconvolgente persino per me che avevo sempre vissuto in mezzo ad incantesimi ed oggetti magici, appartenendo ad una famiglia purosangue.-
-Purosangue?-
-Si, discendenza pura insomma. Niente babbani nell’albero genealogico, per intenderci.-
-Tipo.. dei nobili?- ero sinceramente curiosa e pensare che a nostra insaputa il mondo fosse pieno zeppo di magia mi lasciava ogni volta senza fiato.
-In un certo senso, si. Beh è una gran stronzata, comunque.-
Per la prima volta quel giorno vidi il suo sguardo incupirsi ma durò solo qualche istante.
-Ho lasciato casa mia quando avevo sedici anni, non sopportavo la loro smania di superiorità e sapevo perfettamente quanto in là potessero spingersi.-
La mia occhiata interrogativa palesò che io, invece, non avevo la minima idea di cosa volesse dire e dopo aver piegato le labbra in una smorfia scocciata si affrettò a spiegare nonostante fosse evidente che avrebbe volentieri evitato.
-Mangiamorte, Hannah. La maggior parte della mia famiglia ne fa parte.-
Non potei trattenere un’espressione sorpresa e aggrottai la fronte, perplessa: Sirius era evidentemente tutt’altro che simpatizzante per quei folli incappucciati e non riuscivo davvero a credere che la sua famiglia invece figurasse in quella losca cerchia.
-E dove sei andato? Da solo?-
-Non ero affatto solo. Avevo Hogwarts,- sembrò riflettere e soppesare le parole, in bilico tra la tenerezza e la malinconia, -e avevo James.-
-James? Il padre del ragazzo?-
-Si. Era come un fratello per me. Quante ne combinavamo!- un sorriso assolutamente disarmante si disegnò sul suo volto e sentii distintamente le mie labbra piegarsi automaticamente all’insù, contagiata. Tutta quell’energia, quell’entusiasmo mi stupivano ogni istante di più portando a galla una parte di lui che non conoscevo e non avrei mai neanche potuto immaginare. –non per niente amavamo definirci Malandrini. Mi ricordo quella volta che disilludemmo tutti i libri di Remus che andò proprio fuori di testa!-
-Remus?-
-Si, anche lui era un Malandrino. E anche Minus lo era.-
Un sonoro bussare ci fulminò e lui ritrasse immediatamente le mani che avevano continuato a stringere le mie e allontanò il volto che aveva tenuto per tutto il tempo vicinissimo al mio, ipnotizzato da quel racconto.
-Tranquilla, adesso mi Disilludo.-
Non sapevo cosa volesse dire ma quando la sua sagoma sparì sotto il colpo della sua stessa bacchetta trasformandolo in una sorta di enorme camaleonte mi convinsi che era in ogni caso una soluzione.
-Avanti!-
Jason fece capolino oltre la soglia e nella mia testa risuonò un campanello di allarme. Jason e Sirius nella stessa stanza erano potenzialmente un enorme problema, soprattutto considerato che il modo inaspettato in cui avevo abbassato le mie difese aveva convinto il mio collega di potersi prendere libertà talvolta un tantino eccessive.
-Non hai un bell’aspetto, Kane. Sembri una che è appena ruzzolata dalle scale. Guarda la tua faccia.-
Beh, almeno sotto quel punto di vista non era cambiato. Niente frasi dolci, niente smancerie di alcun tipo.
-Sei sempre così dolce che l’eccesso di zuccheri nel sangue potrebbe uccidermi dopo ogni tua visita.- rilanciai con un sorrisino stronzo poggiando la schiena alla scrivania.
-Non sarò dolce ma ho sicuramente altre qualità.- mormorò avvicinandosi con fare da predatore, le mani prevedibilmente affondate nelle tasche e l’espressione maliziosa di sempre.
Sentivo la presenza di Sirius a pochi metri da noi e sapevo perfettamente che qualsiasi cosa avesse in mente Jason l’avrebbe decisamente indisposto.
Non che potesse avanzare alcun diritto sulla sottoscritta, questo era ovvio. Eravamo solo buoni amici ma era evidente che non nutriva alcuna simpatia per il giovane avvocato e che il sospetto che fosse anche lui un Mangiamorte tormentava lui ancora più di quanto non tormentasse me.

-A cosa devo questa visita?- chiesi, mordendomi il labbro, chiaramente in difficoltà.

-Mi mancavi.-

Il mio sguardo corse al braccio massiccio di Jason che mi aveva incastrata contro la scrivania, protendendosi in avanti.
Una sottile strisciolina nera faceva capolino oltre la manica arrotolata della camicia e ricordai l’avvertimento di Sirius che mi aveva informata della sorta di tatuaggio che contraddistingueva i Mangiamorte.
-Cos’hai lì?- chiesi allungando le dita verso il braccio e sfiorandolo. –E’ un tatuaggio?-
Se lo portò dietro la schiena ma non si scompose minimamente. –Ce l’ho da tanto tempo, Hannah, non mi guardi per niente, eh?-
Chinò il capo avvicinando il volto al mio collo ed io mi tirai un po’ indietro, provando ad insistere.-Quando studiavamo insieme non ce l’avevi, allora la indossavi qualche t-shirt ogni tanto, l’avrei notato!-
-Vuoi stare un po’ zitta, Sherlock?- mi afferrò il voltò tra le mani e lo attirò a sé senza darmi il tempo di pensare e sentii il suo corpo premere contro il mio.
Immediatamente nella mia testa si accese una lampadina e quell’idea surclassò la preoccupazione per Sirius che chissà in quale punto della stanza si trovava costretto ad assistere a quella scena. La smaterializzazione era piuttosto rumorosa e si sarebbe tradito.
Se Jason non voleva mostrarmi quel tatuaggio avrei dovuto scoprirlo da sola per sapere se era solo un innocente tribale o se il mio collega ed ex compagno di studi era davvero uno di quelli che cercavano di farmi la pelle. Era mio diritto sapere, dopotutto, e Sirius avrebbe capito.
Posai le mani sul suo collo percorrendolo lievemente con le dita mentre lui, sorpreso della mia insolita accondiscendenza, mi baciò con maggiore passione e coinvolgimento per poi scendere ad accarezzare la mia gola con le labbra.
Approfittai del momento per cominciare a sbottonargli la camicia pregustando già l’acre sapore della verità che di lì a poco avrei scoperto mettendo a nudo quello che temevo fosse il segno che lo avrebbe tradito.
Per non farlo insospettire decisi di rallentare e gli accarezzai il torace per qualche istante rivolgendogli uno sguardo languido e baciandolo piano sulle labbra, leggera e delicata.
Sembrava ormai arreso e totalmente privo di alcuna volontà che non includesse me e lui avvinghiati su quella scrivania così ripresi a slacciargli la camicia e una vocina dentro la mia testa esultò quando l’ultimo bottone cedette sotto le mie dita.
Improvvisamente si irrigidì e si separò da me.
-Non è una buona idea, siamo in ufficio.-
-E quindi? Joanne non mi disturba mai quando c’è qualcuno nel mio studio e poi è.. –mi maledissi per quello che stavo per dire per il modo in cui stavo svilendo la mia volontà ma dovevo sapere, non riuscivo più ad accettare il fatto di non avere la minima idea di chi potermi fidare. -eccitante. Non trovi?-
Mi fissò, sofferente, spezzato in due dalla voglia di assecondare quella mia inaspettata voluttà e da un non precisato timore.
Improvvisamente affondò gli occhi nei miei, serio ed intenso. Quello sguardo poteva solo voler dire che aveva capito perfettamente a che gioco stavo giocando, non era di certo uno sprovveduto: aveva notato il mio interesse per quel tatuaggio e aveva realizzato di essere quasi stato fregato.
Non disse nulla, si limitò a voltarsi per riabbottonare la camicia chiara e perfettamente stirata, come sempre, per poi uscire dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle e lasciandomi ancora più confusa. O forse solo più convinta che la verità fosse esattamente quella che temevo e non volevo accettare.
-Credo che il termine corretto sia nauseante, piuttosto.-
La voce di Sirius mi colse impreparata così come l’espressione ferita che lessi sul suo volto quando mi voltai verso di lui il cui corpo aveva ripreso consistenza.
-Non è come credi, io stavo solo..-
Con un sonoro POP scomparve dalla mia vista, smaterializzandosi e lasciandomi sola con la mia inquietudine  ed una strana sensazione di fastidio all’altezza dello stomaco. Senso di colpa, probabilmente.
Aspettai che tutti fossero andati via e assicurai a Joanne che avrei chiuso io lo studio, quella sera.
Speravo che quel teatrino non fosse stato completamente vano e che perlomeno nello studio di Jason avrei trovato le risposte che cercavo.
Mi avviai lungo il corridoio buio fino alla porta che cercavo e che, notai con grande disappunto, era chiusa. Inveii contro la sorte avversa e il mio cervello cominciò ad elaborare una possibile alternativa all’ingresso pacifico che mi era stato così bellamente negato.
Mi sfilai una forcina dai capelli, non era la prima volta che aprivo una serratura con quel rudimentale ma efficace metodo: quando i miei amici ed io restavamo fuori casa, a tarda notte e senza permesso, io ero l’addetta allo scassinamento delle porte di casa. Finché non fui scoperta, almeno.
Trafficai per almeno un quarto d’ora stringendomi la lingua tra le labbra finché un adorabile clack non mi avvertii che non avevo ancora perso il mio tocco magico.
-Incassa il colpo, bello.-
Parlare sola era uno dei primi segni della schizofrenia che insorgeva ma dopotutto avevo sempre sostenuto di non essere esattamente una persona normale e dopo aver scoperto che maghi, streghe e scope volanti esistevano davvero la mia stranezza sembrava a confronto parecchio tollerabile.
Accesi la luce e perlustrai con lo sguardo la stanza perfettamente illuminata alla ricerca di.. non sapevo esattamente cosa. Una bacchetta? No, i maghi la portavano con loro. Una scopa? Poco probabile. Un cappello a punta?
Rovistai nei cassetti badando bene di non far casino e non trovai nulla di sconcertante a parte una enorme scatola di preservativi dalla dubbia utilità professionale.
Presi a controllare le carpette che ingombravano il ripiano della scrivania finché, sollevandone una, vidi un block notes con un foglio malamente strappato e le lettere “nd” scribacchiate sul brandello restate.
Afferrai una matita dal portapenne e come nei migliori polizieschi la passai varie volte nel punto in cui doveva essere stato trasferito il tratto del foglio strappato e finalmente potei intravedere un nome delinearsi sulla carta. Era un indirizzo, benché poco leggibile dati i numerosi tagli con i quali Jason aveva evidentemente cercato di cancellarlo: 153, Spinner’s end.
Perché cancellare con tanto impegno un indirizzo? E perché mai Jason avrebbe dovuto segnare l’indirizzo di un quartiere tanto malfamato?
Continuai a grattare pur non sperando di trovare altro quando un'altra scritta, molto più in basso, si delineò, più chiara della prima.
11:OO p.m.
Bingo. Quale incontro di lavoro avrebbe mai potuto aver luogo alle undici della sera? L’appunto, peraltro, doveva essere recente considerato che nessun altro foglio del block notes era stato utilizzato e, lo sapevo bene, Jason aveva la fastidiosissima abitudine di disegnare o in alternativa scrivere il suo nome ovunque.
Cercai di rimettere tutto a posto, esattamente come l’avevo trovato, e filai fuori dallo studio immergendomi nel buio di quella notte particolarmente grigia cercando di evitare il ricordo di una notte simile in occasione della quale avevo rischiato davvero di rimetterci le penne e avevo scoperto quel mondo di magia che non avrei potuto immaginare.
La macchina, fortunatamente, partì subito e tirai un sospiro di inevitabile sollievo cominciando a guidare verso Spinner’s end.
La radio, a basso volume, mandava una canzone di Marilyn Manson, come se la situazione non fosse già abbastanza inquietante di per sé e spazientita cambiai stazione cominciando a canticchiare una canzoncina commercialissima e cercando di non pensare al guaio in cui mi stavo volontariamente cacciando. Insomma, stavo zampettando con le mie ardite gambine in quella che era all’ottanta per cento delle probabilità la tana del lupo e probabilmente mi ci sarei ritrovata totalmente sola, a differenza della volta precedente.
Lo sguardo ferito di Sirius si fece di nuovo nitido nella mia mente e strinsi più forte il volante. Non mi sembrava affatto che lui avesse fatto alcun passo verso di me, sul piano sentimentale, e quella che ormai era evidentemente una immotivata gelosia mi dava proprio sui nervi.
Avevo ammesso a me stessa da un po’ il fatto che Sirius avesse in qualche modo oltrepassato le mie barriere facendosi strada oltre la ritrosia che giornalmente mostravo nei confronti di qualsiasi prospettiva di approfondire un rapporto, quale che fosse la sua natura, ma continuava a scomparire continuamente e se la sua presenza costituiva una luce nuova nella mia vita, quella sua intermittenza annichiliva sempre ogni mia concreta speranza.
Non avevo bisogno di qualcuno che entrasse ed uscisse continuamente dalla mia vita, ne avevo avute fin troppe di persone così,  avevo bisogno di qualcuno che avesse il coraggio di restarci.
Una insegna penzolante e il suo sinistro cigolio mi riportarono con i piedi per terra e mi accorsi di essere arrivata a destinazione.
Le case si susseguivano tutte ugualmente scure e fatiscenti, alcune avevano le finestre sprangate da enormi assi di legno, evidentemente disabitate da tempo, mentre altre sembravano uscite da un fumetto di Dylan Dog.
Scorsi con lo sguardo i numeri civici fino al numero 153. L’ingresso doveva trovarsi nel vicolo che costeggiava l’edificio e ne ebbi la conferma quando vidi due uomini guardarsi nervosamente intorno per poi fermarsi a metà del vicolo.
Quando la porta si aprì e la fievole luce investì i due mi accorsi che uno di loro era proprio il vecchio avvocato Russell con un’espressione tremendamente nervosa a deformargli i tratti solitamente abbastanza affascinanti.
L’uomo che lo affiancava, tuttavia, non era Jason e tirai un sospiro di sollievo accostandomi a distanza di sicurezza dal vicolo e scendendo dalla vettura per prendere un po’ d’aria.
Quando avevo visto Russell senior il mio cuore aveva cominciato a martellare nel petto, inarrestabile, temendo di scorgere al suo fianco il mio collega e, ormai, amico.
Tirai un profondo respiro quando improvvisamente un raggio di luce mi colpì ai piedi e, come se fossero stati stretti da funi invisibili, persi l’equilibrio e per poco non strofinai il naso sulla strada sterrata cercando di frenare la caduta con le mani aperte e graffiandomi dolorosamente i palmi.
-Non è saggio aggirarsi per queste vie di notte e non è affatto educato spiare.-
Una voce conosciuta mi raggiunse da dietro la mia macchina e strisciando un po’ senza rialzarmi, temendo un altro incantesimo, vidi Jason, avvolto in uno scuro mantello nero, avvicinarsi alla mia auto e scrutarne la targa.
-Cosa..Hannah?-
Mi sollevai e poggiai le spalle al muro, sotto il suo sguardo atterrito.
-Che cosa ti è saltato in mente, eh? Devi andare via, subito! Come hai.. oh non importa!- si avvicinò a me e mi afferrò per un braccio strattonandomi verso la macchina.-Vattene immediatamente!-
-Sei uno di loro! Non posso crederci!-
Il suo viso era una maschera di emozioni: rabbia, paura, frustrazione, inquietudine.
-Hai accolto il nostro inatteso ospite, figliolo?- la voce alta di Richard Russell ci fulminò entrambi e ci voltammo contemporaneamente indietro vedendo tre uomini svoltare l’angolo del vicolo e venirci incontro.
-Vattene, vattene, vattene!-
Feci per salire in auto quando fui colpita di nuovo e ricaddi indietro prontamente afferrata da Jason.
-Oh, che sorpresa. La giovane Hannah Kane. Ecco spiegato perché c’hai messo tanto.-
Lo spaventoso trio era ormai vicino e vidi in volto gli altri due uomini che mi fissavano, accigliati e notevolmente contrariati a differenza di Russell che sembrava quasi divertito dal nostro incontro.
Uno dei due aveva lunghi capelli neri, visibilmente unti, e un naso aquilino dominava incontrastato il suo viso mentre l’altro mi colpì per le numerose cicatrici che ne distorcevano i tratti dandogli l’aria di un predatore, complici gli occhi scuri pieni di cattiveria.
-Hannah si è.. persa, papà. Le stavo indicando la strada.- tentò Jason con voce poco convinta e vagamente incrinata dal nervosismo.
-Certamente, Jason. Greyback, Piton, voi che ne dite?- il padre, con tono mellifluo, interpellò i due allargando le braccia con fare teatrale e sorridendo, sinistro. –Che terribile inconveniente, perdersi in Spinner’s end.-
-Il giovane Russell continua a proteggere la ragazza, vedo.-scandì, lento e maligno, l’uomo con i capelli neri. –Abbiamo cose più importanti a cui pensare, datevi una mossa.-
Si voltò per tornare sui suoi passi.-Sbrigate questa faccenda, vi aspetto dentro.
Io ero rimasta immobile, appiattita contro il muro sentendomi come un topo con le zampe invischiate nella trappola e con una mano corsi ad afferrare la pistola, dentro la borsa, senza però mostrarla. Non ancora.
-Bene bene, signorina Kane. Ha aggiunto dettagli al quadro generale dei fatti? Ha origliato le nostre conversazioni e adesso ci ha persino pedinati. Qual è la prossima mossa? Andrà a denunciare alla polizia la presenza di maghi criminali che attentano alla sua vita?-
Russell  ghignò e qualche istante dopo la sua risata risuonò in modo grottesco rimbalzando sulle pareti umide della stretta strada in cui ci trovavamo.
Mi morsi la lingua, troppo impegnata ad escogitare un modo per fuggire per trovare una risposta diplomatica che non accelerasse la mia fine.
-Papà, basterà obliviarla non..-
-Che tenerezza. E’ innamorato di lei.- latrò l’altro uomo che fino a quel momento aveva risparmiato sulle parole limitandosi ad occhiate sadiche, leccandosi continuamente le labbra in modo osceno.
-Fatti da parte, ragazzo.- intimò Richard Russell al figlio, avanzando verso di noi, la bacchetta saldamente stretta in pugno e puntata su di me, non fece una piega neanche quando, estratta la pistola, feci partire un colpo verso il basso mancando di poco la sua gamba a causa del tremore delle mie mani.
La paura mi stava raggelando, cominciava a rallentare i miei riflessi, i miei movimenti. Tutti i miei sensi avrebbero dovuto essere all’erta ma sembravano piuttosto intorpiditi dal panico che mi scorreva freddo nelle vene.
-Bel tentativo, ragazzina, ma non sono un babbano pilotato come quell’agente. Mi è stato riferito che hai dato del filo da torcere ai nostri, qualche giorno fa.- con un fluido movimento della mano e senza che alcun lampo di luce mi raggiungesse mi fece fluttuare a mezz’aria come se una mano invisibile mi avesse afferrata per la caviglia e mi tenesse sospesa, a testa in giù.
Neanche un urlo scaturì dalla mia gola riarsa ma mi agitai muovendo ripetutamente braccia e gambe come a volermi liberare da quella presa e scatenando inevitabilmente le loro crudeli risate.
Non mi ero mai sentita tanto umiliata, tanto spaventata, tanto stupida.
Mi ero cacciata in quel pasticcio da sola, convinta che l’essere scampata loro già due volte mi assicurasse la buona riuscita del terzo tentativo ma, ahimè, non era stato affatto così.
Si avvicinarono piano a me mentre Jason continuava ad urlare al padre di lasciarmi andare correndo a recuperare la bacchetta che lo stesso gli aveva fatto volar via di mano qualche istante prima.
-Cosa si prova a sapere che stai per morire, mh?- mi interpellò, sadico, il mio aguzzino inclinando il capo verso la spalla per potermi osservare meglio. Feci per sollevare la mano con la pistola ma con un violento colpo la allontanò facendomi mollare la presa sull’arma che rotolò sull’asfalto.
-Potresti lasciarla a me, prima. Troverei di certo modi più fantasiosi per punire questa farfallina.- intervenne quello che avevo intuito dovesse chiamarsi Greyback per poi sfiorarmi il viso con un dito ruvido ed in tutta risposta gli sputai in faccia, rabbiosa. Sapevo che erano i miei ultimi istanti ma la mia dignità non sarebbe morta prima di me.
-Finite incantatem!- Jason mi liberò e rovinai al suolo poco prima di vederlo pararsi davanti a me puntando la bacchetta contro gli altri due.
Greyback ringhiava, basso, e Richard Russell fissava il figlio con astio.
-Osi minacciare tuo padre per una stupida biondina ficcanaso?- alzò nuovamente la bacchetta puntandola contro di me quando Jason agitò la sua e il padre si immobilizzò come pochi istanti dopo fece l’altro. Sembravano statue di cera.
-Vattene, Hannah, e nasconditi. Sai troppo adesso e non li terrò a bada per sempre. – pronunciò quelle parole con aria sofferente ed io potei solo annuire, troppo sconvolta dalla piega che gli eventi avevano preso, quella sera.
-Fai attenzione.-
Corsi in auto e misi in moto ripartendo velocemente verso casa e mettendo quanta più distanza possibile tra me e quel posto orribile.
Non avrei saputo dire per quanto guidai né quanto sangue era realmente colato dal mio zigomo a causa del modo in cui il mio viso si era scontrato con l’asfalto. Quando aprii la porta, barcollante e in preda ad un incontrollabile tremore, non accesi neanche la luce.
-Sirius.-
Nessuno rispose e dovetti poggiarmi alla porta per non perdere l’equilibrio.
-SIRIUS!-
Vidi la sua sagoma delinearsi nel buio dell’ingresso e mi gettai tra le sue braccia stringendolo convulsamente, gli occhi sbarrati per il terrore che non mi aveva ancora abbandonata.
-Dobbiamo andare via di qui, subito.
Singhiozzavo senza riuscire neanche a piangere, totalmente presa dal panico, mentre lo scuotevo forte tirandolo verso la porta.
-Cosa è successo?- mi accarezzò lo zigomo sanguinante con un’espressione attonita.
-Mi hanno beccata, Russell e altri due e.. per poco non mi uccidevano, se non fosse stato per Jason, lui è un mangiamorte ma mi ha…Sirius dobbiamo andare, mi verranno a cercare, portami via ti prego!-
Non avevo mai pronunciato un discorso tanto confuso in vita mia ma lui non chiese altro: mi strinse a sé, tutto vorticò, terribilmente, e serrai gli occhi finché i nostri piedi non toccarono di nuovo il pavimento.
Non mi guardai neanche intorno, non chiesi dove fossimo né quanta distanza avessimo messo tra noi e Londra. Mi limitai ad aggrapparmi a lui mentre mi accompagnava in una stanza con un grande letto sul quale mi sdraiai, silenziosa, e lui si stese al mio fianco.
Non si preoccupò di mantenere le distanze, non si preoccupò di essere indiscreto, mi circondò con le sue braccia e mi tenne stretta mentre le mie mani artigliavano le sue e le palpebre si facevano pesanti.
-Non avrei mai potuto perdonarmi se tu..non ti lascerò mai più da sola.
Mi chiedi se avesse davvero pronunciato quelle parole se fossero state frutto della mia immaginazione, nel dormiveglia, e nel giro di pochi minuti piombai in un sonno senza sogni.

Song: Tell me where it hurts - Garbage

Artwork: JeyCholties 

  
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