Furry Love
You can find it around any corner
In the middle of the night I hold on to you tight
So both of us can feel protected
POP!
-Che diavolo..Sirius!- esclamai sollevando la testa dal fascicolo della
causa McGregor così violentemente da far scricchiolare le ossa
del collo, già notevolmente provate dall’umidità
delle sere di fine estate.
Sirius era piombato nella mia stanza come un enorme chicco di grandine,
solo perfettamente ritto sulle gambe e con un sorriso che mostrava
più denti di quanti pensavo fosse umanamente possibile avere e
che lo ringiovaniva tremendamente.
-Aspetta!- disse senza smettere di sorridere e avvicinandosi alla porta.
-Che stai facendo?-
-Ssh.-
Estrasse la bacchetta e mormorò strane parole prima di voltarsi
nuovamente verso di me e procedere a grandi passi fino alla mia
scrivania.
-Ho fatto un incantesimo di isolamento acustico, così nessuno potrà sentirci.-
-Sei sempre più inquietante.- asserii fissandolo con aria
scettica con ancora la penna saldamente stretta in mano e la schiena
nuovamente curva verso la scrivania.-Pensi di farmi fuori?-
-No, devo darti una grande notizia!- non l’avevo mai visto tanto
felice, sembrava un bambino cui avevano regalato il primo
giocattolo.-Ho trovato un modo, Hannah! Posso entrare ad Hogwarts,
eliminare Codaliscia, raggiungere Harry e..-
-Hey hey hey..- lo raggiunsi e sorridendo a mia volta lo costrinsi a
sedersi accomodandomi di fronte a lui così vicini che le nostre
ginocchia si sfioravano. –Farò finta di non aver sentito
il termine “eliminare” e.. è fantastico! E’
ciò per cui scompari continuamente, no?-
-Si! E’.. tu non sai quanto significhi questo per me, è..
è..- sembrava totalmente fuori di sé e non potei che
pensare a quanto fosse bello che avesse sentito il bisogno di
raccontare a me di un evento per lui tanto importante, che avesse
deciso di condividerlo, in un certo senso.
Si sporse verso di me e senza smettere di raccontare mi afferrò
le mani stringendole forte ad ogni parola per poi sistemarmi
distrattamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio senza
neanche accorgersi di quanto fossimo vicini.
Io lo guardavo ipnotizzata e nonostante non stessi perdendo una parola
del suo racconto il mio sguardo vagava incessantemente dalle sue labbra
ai suoi occhi che sembravano brillare di una luce tutta nuova.
-Non metto piede ad Hogwarts dal mio ultimo anno.-
-Raccontami di Hogwarts. Com’era? Somiglia alle nostre scuole?-
Scosse il capo ridendo piano e facendo ondeggiare lunghi capelli
scuri prima di passarci le dita in mezzo per tenerli a bada.-No,
Hannah, non lo è affatto. E’ un posto incredibile.
Lì ogni cosa è magia, pura magia. E’ stato
sconvolgente persino per me che avevo sempre vissuto in mezzo ad
incantesimi ed oggetti magici, appartenendo ad una famiglia purosangue.-
-Purosangue?-
-Si, discendenza pura insomma. Niente babbani nell’albero genealogico, per intenderci.-
-Tipo.. dei nobili?- ero sinceramente curiosa e pensare che a nostra
insaputa il mondo fosse pieno zeppo di magia mi lasciava ogni volta
senza fiato.
-In un certo senso, si. Beh è una gran stronzata, comunque.-
Per la prima volta quel giorno vidi il suo sguardo incupirsi ma durò solo qualche istante.
-Ho lasciato casa mia quando avevo sedici anni, non sopportavo la loro
smania di superiorità e sapevo perfettamente quanto in là
potessero spingersi.-
La mia occhiata interrogativa palesò che io, invece, non avevo
la minima idea di cosa volesse dire e dopo aver piegato le labbra in
una smorfia scocciata si affrettò a spiegare nonostante fosse
evidente che avrebbe volentieri evitato.
-Mangiamorte, Hannah. La maggior parte della mia famiglia ne fa parte.-
Non potei trattenere un’espressione sorpresa e aggrottai la
fronte, perplessa: Sirius era evidentemente tutt’altro che
simpatizzante per quei folli incappucciati e non riuscivo davvero a
credere che la sua famiglia invece figurasse in quella losca cerchia.
-E dove sei andato? Da solo?-
-Non ero affatto solo. Avevo Hogwarts,- sembrò riflettere e
soppesare le parole, in bilico tra la tenerezza e la malinconia, -e
avevo James.-
-James? Il padre del ragazzo?-
-Si. Era come un fratello per me. Quante ne combinavamo!- un sorriso
assolutamente disarmante si disegnò sul suo volto e sentii
distintamente le mie labbra piegarsi automaticamente
all’insù, contagiata. Tutta quell’energia,
quell’entusiasmo mi stupivano ogni istante di più portando
a galla una parte di lui che non conoscevo e non avrei mai neanche
potuto immaginare. –non per niente amavamo definirci Malandrini.
Mi ricordo quella volta che disilludemmo tutti i libri di Remus che
andò proprio fuori di testa!-
-Remus?-
-Si, anche lui era un Malandrino. E anche Minus lo era.-
Un sonoro bussare ci fulminò e lui ritrasse immediatamente le
mani che avevano continuato a stringere le mie e allontanò il
volto che aveva tenuto per tutto il tempo vicinissimo al mio,
ipnotizzato da quel racconto.
-Tranquilla, adesso mi Disilludo.-
Non sapevo cosa volesse dire ma quando la sua sagoma sparì sotto
il colpo della sua stessa bacchetta trasformandolo in una sorta di
enorme camaleonte mi convinsi che era in ogni caso una soluzione.
-Avanti!-
Jason fece capolino oltre la soglia e nella mia testa risuonò un
campanello di allarme. Jason e Sirius nella stessa stanza erano
potenzialmente un enorme problema, soprattutto considerato che il modo
inaspettato in cui avevo abbassato le mie difese aveva convinto il mio
collega di potersi prendere libertà talvolta un tantino
eccessive.
-Non hai un bell’aspetto, Kane. Sembri una che è appena ruzzolata dalle scale. Guarda la tua faccia.-
Beh, almeno sotto quel punto di vista non era cambiato. Niente frasi dolci, niente smancerie di alcun tipo.
-Sei sempre così dolce che l’eccesso di zuccheri nel
sangue potrebbe uccidermi dopo ogni tua visita.- rilanciai con un
sorrisino stronzo poggiando la schiena alla scrivania.
-Non sarò dolce ma ho sicuramente altre qualità.-
mormorò avvicinandosi con fare da predatore, le mani
prevedibilmente affondate nelle tasche e l’espressione maliziosa
di sempre.
Sentivo la presenza di Sirius a pochi metri da noi e sapevo
perfettamente che qualsiasi cosa avesse in mente Jason l’avrebbe
decisamente indisposto.
Non che potesse avanzare alcun diritto sulla sottoscritta, questo era
ovvio. Eravamo solo buoni amici ma era evidente che non nutriva alcuna
simpatia per il giovane avvocato e che il sospetto che fosse anche lui
un Mangiamorte tormentava lui ancora più di quanto non
tormentasse me.
-A cosa devo questa visita?- chiesi, mordendomi il labbro, chiaramente in difficoltà.
-Mi mancavi.-
Il mio sguardo corse al braccio massiccio di Jason che mi aveva incastrata contro la scrivania, protendendosi in avanti.
Una sottile strisciolina nera faceva capolino oltre la manica
arrotolata della camicia e ricordai l’avvertimento di Sirius che
mi aveva informata della sorta di tatuaggio che contraddistingueva i
Mangiamorte.
-Cos’hai lì?- chiesi allungando le dita verso il braccio e sfiorandolo. –E’ un tatuaggio?-
Se lo portò dietro la schiena ma non si scompose minimamente.
–Ce l’ho da tanto tempo, Hannah, non mi guardi per niente,
eh?-
Chinò il capo avvicinando il volto al mio collo ed io mi tirai
un po’ indietro, provando ad insistere.-Quando studiavamo insieme
non ce l’avevi, allora la indossavi qualche t-shirt ogni tanto,
l’avrei notato!-
-Vuoi stare un po’ zitta, Sherlock?- mi afferrò il
voltò tra le mani e lo attirò a sé senza darmi il
tempo di pensare e sentii il suo corpo premere contro il mio.
Immediatamente nella mia testa si accese una lampadina e
quell’idea surclassò la preoccupazione per Sirius che
chissà in quale punto della stanza si trovava costretto ad
assistere a quella scena. La smaterializzazione era piuttosto rumorosa
e si sarebbe tradito.
Se Jason non voleva mostrarmi quel tatuaggio avrei dovuto scoprirlo da
sola per sapere se era solo un innocente tribale o se il mio collega ed
ex compagno di studi era davvero uno di quelli che cercavano di farmi
la pelle. Era mio diritto sapere, dopotutto, e Sirius avrebbe capito.
Posai le mani sul suo collo percorrendolo lievemente con le dita mentre
lui, sorpreso della mia insolita accondiscendenza, mi baciò con
maggiore passione e coinvolgimento per poi scendere ad accarezzare la
mia gola con le labbra.
Approfittai del momento per cominciare a sbottonargli la camicia
pregustando già l’acre sapore della verità che di
lì a poco avrei scoperto mettendo a nudo quello che temevo fosse
il segno che lo avrebbe tradito.
Per non farlo insospettire decisi di rallentare e gli accarezzai il
torace per qualche istante rivolgendogli uno sguardo languido e
baciandolo piano sulle labbra, leggera e delicata.
Sembrava ormai arreso e totalmente privo di alcuna volontà che
non includesse me e lui avvinghiati su quella scrivania così
ripresi a slacciargli la camicia e una vocina dentro la mia testa
esultò quando l’ultimo bottone cedette sotto le mie dita.
Improvvisamente si irrigidì e si separò da me.
-Non è una buona idea, siamo in ufficio.-
-E quindi? Joanne non mi disturba mai quando c’è qualcuno
nel mio studio e poi è.. –mi maledissi per quello che
stavo per dire per il modo in cui stavo svilendo la mia volontà
ma dovevo sapere, non riuscivo più ad accettare il fatto di non
avere la minima idea di chi potermi fidare. -eccitante. Non trovi?-
Mi fissò, sofferente, spezzato in due dalla voglia di
assecondare quella mia inaspettata voluttà e da un non precisato
timore.
Improvvisamente affondò gli occhi nei miei, serio ed intenso.
Quello sguardo poteva solo voler dire che aveva capito perfettamente a
che gioco stavo giocando, non era di certo uno sprovveduto: aveva
notato il mio interesse per quel tatuaggio e aveva realizzato di essere
quasi stato fregato.
Non disse nulla, si limitò a voltarsi per riabbottonare la
camicia chiara e perfettamente stirata, come sempre, per poi uscire
dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle e lasciandomi ancora
più confusa. O forse solo più convinta che la
verità fosse esattamente quella che temevo e non volevo
accettare.
-Credo che il termine corretto sia nauseante, piuttosto.-
La voce di Sirius mi colse impreparata così come
l’espressione ferita che lessi sul suo volto quando mi voltai
verso di lui il cui corpo aveva ripreso consistenza.
-Non è come credi, io stavo solo..-
Con un sonoro POP scomparve
dalla mia vista, smaterializzandosi e lasciandomi sola con la mia
inquietudine ed una strana sensazione di fastidio
all’altezza dello stomaco. Senso di colpa, probabilmente.
Aspettai che tutti fossero andati via e assicurai a Joanne che avrei chiuso io lo studio, quella sera.
Speravo che quel teatrino non fosse stato completamente vano e che
perlomeno nello studio di Jason avrei trovato le risposte che cercavo.
Mi avviai lungo il corridoio buio fino alla porta che cercavo e che,
notai con grande disappunto, era chiusa. Inveii contro la sorte avversa
e il mio cervello cominciò ad elaborare una possibile
alternativa all’ingresso pacifico che mi era stato così
bellamente negato.
Mi sfilai una forcina dai capelli, non era la prima volta che aprivo
una serratura con quel rudimentale ma efficace metodo: quando i miei
amici ed io restavamo fuori casa, a tarda notte e senza permesso, io
ero l’addetta allo scassinamento delle porte di casa.
Finché non fui scoperta, almeno.
Trafficai per almeno un quarto d’ora stringendomi la lingua tra le labbra finché un adorabile clack non mi avvertii che non avevo ancora perso il mio tocco magico.
-Incassa il colpo, bello.-
Parlare sola era uno dei primi segni della schizofrenia che insorgeva
ma dopotutto avevo sempre sostenuto di non essere esattamente una
persona normale e dopo aver scoperto che maghi, streghe e scope volanti
esistevano davvero la mia stranezza sembrava a confronto parecchio
tollerabile.
Accesi la luce e perlustrai con lo sguardo la stanza perfettamente
illuminata alla ricerca di.. non sapevo esattamente cosa. Una
bacchetta? No, i maghi la portavano con loro. Una scopa? Poco
probabile. Un cappello a punta?
Rovistai nei cassetti badando bene di non far casino e non trovai nulla
di sconcertante a parte una enorme scatola di preservativi dalla dubbia
utilità professionale.
Presi a controllare le carpette che ingombravano il ripiano della
scrivania finché, sollevandone una, vidi un block notes con un
foglio malamente strappato e le lettere “nd” scribacchiate
sul brandello restate.
Afferrai una matita dal portapenne e come nei migliori polizieschi la
passai varie volte nel punto in cui doveva essere stato trasferito il
tratto del foglio strappato e finalmente potei intravedere un nome
delinearsi sulla carta. Era un indirizzo, benché poco leggibile
dati i numerosi tagli con i quali Jason aveva evidentemente cercato di
cancellarlo: 153, Spinner’s end.
Perché cancellare con tanto impegno un indirizzo? E
perché mai Jason avrebbe dovuto segnare l’indirizzo di un
quartiere tanto malfamato?
Continuai a grattare pur non sperando di trovare altro quando un'altra
scritta, molto più in basso, si delineò, più
chiara della prima.
11:OO p.m.
Bingo. Quale incontro di lavoro avrebbe mai potuto aver luogo alle
undici della sera? L’appunto, peraltro, doveva essere recente
considerato che nessun altro foglio del block notes era stato
utilizzato e, lo sapevo bene, Jason aveva la fastidiosissima abitudine
di disegnare o in alternativa scrivere il suo nome ovunque.
Cercai di rimettere tutto a posto, esattamente come l’avevo
trovato, e filai fuori dallo studio immergendomi nel buio di quella
notte particolarmente grigia cercando di evitare il ricordo di una
notte simile in occasione della quale avevo rischiato davvero di
rimetterci le penne e avevo scoperto quel mondo di magia che non avrei
potuto immaginare.
La macchina, fortunatamente, partì subito e tirai un sospiro di
inevitabile sollievo cominciando a guidare verso Spinner’s end.
La radio, a basso volume, mandava una canzone di Marilyn Manson, come
se la situazione non fosse già abbastanza inquietante di per
sé e spazientita cambiai stazione cominciando a canticchiare una
canzoncina commercialissima e cercando di non pensare al guaio in cui
mi stavo volontariamente cacciando. Insomma, stavo zampettando con le
mie ardite gambine in quella che era all’ottanta per cento delle
probabilità la tana del lupo e probabilmente mi ci sarei
ritrovata totalmente sola, a differenza della volta precedente.
Lo sguardo ferito di Sirius si fece di nuovo nitido nella mia mente e
strinsi più forte il volante. Non mi sembrava affatto che lui
avesse fatto alcun passo verso di me, sul piano sentimentale, e quella
che ormai era evidentemente una immotivata gelosia mi dava proprio sui
nervi.
Avevo ammesso a me stessa da un po’ il fatto che Sirius avesse in
qualche modo oltrepassato le mie barriere facendosi strada oltre la
ritrosia che giornalmente mostravo nei confronti di qualsiasi
prospettiva di approfondire un rapporto, quale che fosse la sua natura,
ma continuava a scomparire continuamente e se la sua presenza
costituiva una luce nuova nella mia vita, quella sua intermittenza
annichiliva sempre ogni mia concreta speranza.
Non avevo bisogno di qualcuno che entrasse ed uscisse continuamente
dalla mia vita, ne avevo avute fin troppe di persone così,
avevo bisogno di qualcuno che avesse il coraggio di restarci.
Una insegna penzolante e il suo sinistro cigolio mi riportarono con i
piedi per terra e mi accorsi di essere arrivata a destinazione.
Le case si susseguivano tutte ugualmente scure e fatiscenti, alcune
avevano le finestre sprangate da enormi assi di legno, evidentemente
disabitate da tempo, mentre altre sembravano uscite da un fumetto di
Dylan Dog.
Scorsi con lo sguardo i numeri civici fino al numero 153.
L’ingresso doveva trovarsi nel vicolo che costeggiava
l’edificio e ne ebbi la conferma quando vidi due uomini guardarsi
nervosamente intorno per poi fermarsi a metà del vicolo.
Quando la porta si aprì e la fievole luce investì i due
mi accorsi che uno di loro era proprio il vecchio avvocato Russell con
un’espressione tremendamente nervosa a deformargli i tratti
solitamente abbastanza affascinanti.
L’uomo che lo affiancava, tuttavia, non era Jason e tirai un
sospiro di sollievo accostandomi a distanza di sicurezza dal vicolo e
scendendo dalla vettura per prendere un po’ d’aria.
Quando avevo visto Russell senior il mio cuore aveva cominciato a
martellare nel petto, inarrestabile, temendo di scorgere al suo fianco
il mio collega e, ormai, amico.
Tirai un profondo respiro quando improvvisamente un raggio di luce mi
colpì ai piedi e, come se fossero stati stretti da funi
invisibili, persi l’equilibrio e per poco non strofinai il naso
sulla strada sterrata cercando di frenare la caduta con le mani aperte
e graffiandomi dolorosamente i palmi.
-Non è saggio aggirarsi per queste vie di notte e non è affatto educato spiare.-
Una voce conosciuta mi raggiunse da dietro la mia macchina e
strisciando un po’ senza rialzarmi, temendo un altro incantesimo,
vidi Jason, avvolto in uno scuro mantello nero, avvicinarsi alla mia
auto e scrutarne la targa.
-Cosa..Hannah?-
Mi sollevai e poggiai le spalle al muro, sotto il suo sguardo atterrito.
-Che cosa ti è saltato in mente, eh? Devi andare via, subito!
Come hai.. oh non importa!- si avvicinò a me e mi afferrò
per un braccio strattonandomi verso la macchina.-Vattene
immediatamente!-
-Sei uno di loro! Non posso crederci!-
Il suo viso era una maschera di emozioni: rabbia, paura, frustrazione, inquietudine.
-Hai accolto il nostro inatteso ospite, figliolo?- la voce alta di
Richard Russell ci fulminò entrambi e ci voltammo
contemporaneamente indietro vedendo tre uomini svoltare l’angolo
del vicolo e venirci incontro.
-Vattene, vattene, vattene!-
Feci per salire in auto quando fui colpita di nuovo e ricaddi indietro prontamente afferrata da Jason.
-Oh, che sorpresa. La giovane Hannah Kane. Ecco spiegato perché c’hai messo tanto.-
Lo spaventoso trio era ormai vicino e vidi in volto gli altri due
uomini che mi fissavano, accigliati e notevolmente contrariati a
differenza di Russell che sembrava quasi divertito dal nostro incontro.
Uno dei due aveva lunghi capelli neri, visibilmente unti, e un naso
aquilino dominava incontrastato il suo viso mentre l’altro mi
colpì per le numerose cicatrici che ne distorcevano i tratti
dandogli l’aria di un predatore, complici gli occhi scuri pieni
di cattiveria.
-Hannah si è.. persa, papà. Le stavo indicando la
strada.- tentò Jason con voce poco convinta e vagamente
incrinata dal nervosismo.
-Certamente, Jason. Greyback, Piton, voi che ne dite?- il padre, con
tono mellifluo, interpellò i due allargando le braccia con fare
teatrale e sorridendo, sinistro. –Che terribile inconveniente,
perdersi in Spinner’s end.-
-Il giovane Russell continua a proteggere la ragazza,
vedo.-scandì, lento e maligno, l’uomo con i capelli neri.
–Abbiamo cose più importanti a cui pensare, datevi una
mossa.-
Si voltò per tornare sui suoi passi.-Sbrigate questa faccenda, vi aspetto dentro.
Io ero rimasta immobile, appiattita contro il muro sentendomi come un
topo con le zampe invischiate nella trappola e con una mano corsi ad
afferrare la pistola, dentro la borsa, senza però mostrarla. Non
ancora.
-Bene bene, signorina Kane. Ha aggiunto dettagli al quadro generale dei
fatti? Ha origliato le nostre conversazioni e adesso ci ha persino
pedinati. Qual è la prossima mossa? Andrà a denunciare
alla polizia la presenza di maghi criminali che attentano alla sua
vita?-
Russell ghignò e qualche istante dopo la sua risata
risuonò in modo grottesco rimbalzando sulle pareti umide della
stretta strada in cui ci trovavamo.
Mi morsi la lingua, troppo impegnata ad escogitare un modo per fuggire
per trovare una risposta diplomatica che non accelerasse la mia fine.
-Papà, basterà obliviarla non..-
-Che tenerezza. E’ innamorato di lei.- latrò l’altro
uomo che fino a quel momento aveva risparmiato sulle parole limitandosi
ad occhiate sadiche, leccandosi continuamente le labbra in modo osceno.
-Fatti da parte, ragazzo.- intimò Richard Russell al figlio,
avanzando verso di noi, la bacchetta saldamente stretta in pugno e
puntata su di me, non fece una piega neanche quando, estratta la
pistola, feci partire un colpo verso il basso mancando di poco la sua
gamba a causa del tremore delle mie mani.
La paura mi stava raggelando, cominciava a rallentare i miei riflessi,
i miei movimenti. Tutti i miei sensi avrebbero dovuto essere
all’erta ma sembravano piuttosto intorpiditi dal panico che mi
scorreva freddo nelle vene.
-Bel tentativo, ragazzina, ma non sono un babbano pilotato come
quell’agente. Mi è stato riferito che hai dato del filo da
torcere ai nostri, qualche giorno fa.- con un fluido movimento della
mano e senza che alcun lampo di luce mi raggiungesse mi fece fluttuare
a mezz’aria come se una mano invisibile mi avesse afferrata per
la caviglia e mi tenesse sospesa, a testa in giù.
Neanche un urlo scaturì dalla mia gola riarsa ma mi agitai
muovendo ripetutamente braccia e gambe come a volermi liberare da
quella presa e scatenando inevitabilmente le loro crudeli risate.
Non mi ero mai sentita tanto umiliata, tanto spaventata, tanto stupida.
Mi ero cacciata in quel pasticcio da sola, convinta che l’essere
scampata loro già due volte mi assicurasse la buona riuscita del
terzo tentativo ma, ahimè, non era stato affatto così.
Si avvicinarono piano a me mentre Jason continuava ad urlare al padre
di lasciarmi andare correndo a recuperare la bacchetta che lo stesso
gli aveva fatto volar via di mano qualche istante prima.
-Cosa si prova a sapere che stai per morire, mh?- mi interpellò,
sadico, il mio aguzzino inclinando il capo verso la spalla per potermi
osservare meglio. Feci per sollevare la mano con la pistola ma con un
violento colpo la allontanò facendomi mollare la presa sull’arma
che rotolò sull’asfalto.
-Potresti lasciarla a me, prima. Troverei di certo modi più
fantasiosi per punire questa farfallina.- intervenne quello che avevo
intuito dovesse chiamarsi Greyback per poi sfiorarmi il viso con un
dito ruvido ed in tutta risposta gli sputai in faccia, rabbiosa. Sapevo
che erano i miei ultimi istanti ma la mia dignità non sarebbe
morta prima di me.
-Finite incantatem!- Jason mi liberò e rovinai al suolo poco
prima di vederlo pararsi davanti a me puntando la bacchetta contro gli
altri due.
Greyback ringhiava, basso, e Richard Russell fissava il figlio con astio.
-Osi minacciare tuo padre per una stupida biondina ficcanaso?-
alzò nuovamente la bacchetta puntandola contro di me quando
Jason agitò la sua e il padre si immobilizzò come pochi
istanti dopo fece l’altro. Sembravano statue di cera.
-Vattene, Hannah, e nasconditi. Sai troppo adesso e non li terrò
a bada per sempre. – pronunciò quelle parole con aria
sofferente ed io potei solo annuire, troppo sconvolta dalla piega che
gli eventi avevano preso, quella sera.
-Fai attenzione.-
Corsi in auto e misi in moto ripartendo velocemente verso casa e
mettendo quanta più distanza possibile tra me e quel posto
orribile.
Non avrei saputo dire per quanto guidai né quanto sangue era
realmente colato dal mio zigomo a causa del modo in cui il mio viso si
era scontrato con l’asfalto. Quando aprii la porta, barcollante e
in preda ad un incontrollabile tremore, non accesi neanche la luce.
-Sirius.-
Nessuno rispose e dovetti poggiarmi alla porta per non perdere l’equilibrio.
-SIRIUS!-
Vidi la sua sagoma delinearsi nel buio dell’ingresso e mi gettai
tra le sue braccia stringendolo convulsamente, gli occhi sbarrati per
il terrore che non mi aveva ancora abbandonata.
-Dobbiamo andare via di qui, subito.
Singhiozzavo senza riuscire neanche a piangere, totalmente presa dal panico, mentre lo scuotevo forte tirandolo verso la porta.
-Cosa è successo?- mi accarezzò lo zigomo sanguinante con un’espressione attonita.
-Mi hanno beccata, Russell e altri due e.. per poco non mi uccidevano,
se non fosse stato per Jason, lui è un mangiamorte ma mi
ha…Sirius dobbiamo andare, mi verranno a cercare, portami via ti
prego!-
Non avevo mai pronunciato un discorso tanto confuso in vita mia ma lui
non chiese altro: mi strinse a sé, tutto vorticò,
terribilmente, e serrai gli occhi finché i nostri piedi non
toccarono di nuovo il pavimento.
Non mi guardai neanche intorno, non chiesi dove fossimo né
quanta distanza avessimo messo tra noi e Londra. Mi limitai ad
aggrapparmi a lui mentre mi accompagnava in una stanza con un grande
letto sul quale mi sdraiai, silenziosa, e lui si stese al mio fianco.
Non si preoccupò di mantenere le distanze, non si
preoccupò di essere indiscreto, mi circondò con le sue
braccia e mi tenne stretta mentre le mie mani artigliavano le sue e le
palpebre si facevano pesanti.
-Non avrei mai potuto perdonarmi se tu..non ti lascerò mai più da sola.
Mi chiedi se avesse davvero pronunciato quelle parole se fossero state
frutto della mia immaginazione, nel dormiveglia, e nel giro di pochi
minuti piombai in un sonno senza sogni.
Song: Tell me where it hurts - Garbage
Artwork: JeyCholties