Serie TV > The Borgias
Segui la storia  |       
Autore: Vaene    25/06/2014    1 recensioni
Cesare voleva urlarle di rimanere con lui tutta la notte,oppure di andarsene per sempre dalla sua vita. Ma invece la strinse sentendo il fiato di lei venir meno,sussurrandole:”Si, mi sei cara … e altrettanto caro pago il prezzo di privarmi di te, sorella!” "Non pronunciare quella parola!”
In queste pagine l'inizio della relazione vera e propria tra Cesare e Lucrezia (Siblings) è rivisitato,sia nel "prima"che nel"dopo". Ho cercato di fare un compromesso tra la storia vera e quella della serie tv. Il momento scelto è il fidanzamento con Alfonso D'Aragona (che qui però lei non conosce ancora) La scena si apre di notte con Lucrezia insonne,svegliata dal pianto del figlio Gio da cui deve separarsi a breve per potersi risposare. Lucrezia si reca nelle stanze del fratello per chiedergli di aiutarla a evitare il secondo matrimonio (in realtà organizzato proprio dallo stesso Cesare). Ho preso spunto dalle dinamiche del rapporto tra Cesare e Lucrezia in The Borgias,rimanendo fedele anche al loro aspetto,ma rendendoli "succubi" di ciò che provano allo stesso livello (non sbilanciando tutto su Cesare, come nella serie). Che dire,buona lettura a chi si avventura!
Genere: Dark, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Alfonso d'Aragona, Cesare Borgia, Lucrezia Borgia, Micheletto Corella, Rodrigo Borgia
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il viaggio di ritorno verso Roma era stato più breve di quanto immaginasse, eppure non abbastanza. Cesare aveva trascorso un mese ben strano con Charlotte,prima che una lettera del padre lo richiamasse. Molte città si erano mostrate disobbedienti nei riguardi della Santa Sede e urgeva prendere provvedimenti. Non gli era sembrato vero di poter addurre un tale pretesto per rientrare a Roma, arricchito di un titolo e della dote di Charlotte. Infinite erano state le schermaglie,le ripicche,le gelosie di lei alternate agli scoppi di passione,liti burrascose che li trascinavano per ore l’uno contro l’altra,lontano dagli occhi altrui che,in pubblico,li credevano solo e soltanto felici.

Cesare non s’aspettava che quella fanciullina serbasse così tanta energia. Ella, prevedibilmente,aveva subito esultato all’apprendere la notizia della sua partenza,ma quando quella mattina lo vide lasciare il letto,dovette voltarsi per nascondere l’apprensione. Accogliendo con un sorriso freddo il bacio sulla guancia che lui le diede prima di uscire dalla stanza aveva risposto che sì, avrebbe curato gli interessi dei loro possedimenti come se lui fosse presente e l’avrebbe atteso fino al suo ritorno. Forse il mese passato insieme, forse la partenza, l’avevano addolcito alquanto. Fu questo a trarla in inganno:le aveva accarezzato il viso dicendole addio,assorto, prima di rivestirsi e scendere dabbasso. Ma Charlotte non aveva resistito oltre quando si era ormai salutati montò a cavallo e lo seguì fino ai confini delle loro terre. Egli si fermò sentendola arrivare, lasciando che il suo seguito proseguisse. Charlotte si era avvicinata accostando il cavallo al suo.“Cesare,mio amore!-lui non seppe trattenersi dal guardarla in tralice-mi hai pretesa,mi hai scippata alla mia famiglia, come un tributo di lealtà verso il nostro re. Egli mi ha ceduta insieme al mio ducato,insieme alla mia vita…per contentarti! Ma ora non puoi,non puoi andartene così! Dov’è il dovere di un marito verso la moglie? Hai giurato di proteggermi,di starmi accanto,di amarmi … Oh Cesare,resta!”.Egli aveva inspirato a fondo.“Moglie,il mio dovere è verso la mia famiglia e come ben sai la vera famiglia è quella data dal sangue. Io ho giurato di prenderti in moglie,di dare il mio nome ai tuoi,ai nostri figli. Non farmi ricordare quali obblighi hai tu nei miei confronti.”Lui aveva parlato con decisione, trattenendo le redini e lo sguardo fermo su di lei,implacabile. Lei allora l’aveva supplicato ancora,lamentando che non sarebbe più tornato da lei, che era tutto un pretesto per abbandonarla. Lui intanto aveva scartato di lato per evitare che fossero uditi mentre lei,esasperata dai cenni di diniego di lui,proruppe:“Allora spero di non aver concepito da voi marito mio! Ché crescere il frutto dei vostri lombi,da sola,quasi come ripudiata,non potrei tollerarlo! Mi auguro che non abbiate mai un’erede!”Era tornata bruscamente al “voi” e Cesare si chiese se,col tempo,non avrebbe potuto imparare a gestire quella sorta di sentimento fastidioso di intimità, di legame, che era stato sul punto di provare per lei. Strinse gli occhi e le rispose:“Madonna,probabilmente cerchereste una qualche compagnia per alleviare le vostre sofferenze durante la mia assenza. Ma o Cesare,o nulla. Sappiate dunque che se dovessi venire a conoscenza di un vostro tradimento… No, non voglio minacciarvi moglie mia. Agite seguendo il vostro sentire. E facendo ciò sono certo che non sbaglierete.” Le sorrise, sardonico.” Vi saluto Charlotte. Non temete, ci rivedremo e potrete dirmi ancora quanto mi detestate.” Partì al galoppo di scatto, lasciando la ragazza interdetta,in lacrime. O meglio, egli non le aveva viste, ma era certo che in quel momento avevano avuto la meglio su di lei. Ora che era alle porte della città si rendeva conto di quanto Roma,la grandezza che gli ispirava,gli fosse mancata. Si disse che era lì che voleva vivere e morire. Ma mise da parte questi pensieri quando,dopo aver salutato calorosamente il padre,si chiuse a colloquio per ore con lui.

Lucrezia si teneva in equilibrio su una panchina, in giardino. Stava allungando una mano verso una delle pesche più mature, così simile al colore delle sue guance che ora si arrossavano,mordendosi le labbra per il disappunto di non riuscire a raggiungerla. Sapeva del ritorno di Cesare ma voleva rimandare il più possibile l’incontro con lui, rimandare il più possibile quel dolore così familiare, preferendo concentrarsi sulla sua felicità presente,semplice e innocua. Suo padre l’aveva richiamata al palazzo apostolico facendole abbandonare temporaneamente il palazzo di Santa Maria in Portico,che condivideva con suo marito. Era stato lì che quei primi mesi di matrimonio erano germogliati in tutto il loro splendore, non lasciandoli mai sazi. Una successione di feste, balli, passeggiate, gite, risate, risvegli insieme…E poi, quella benedizione. Lucrezia era incinta di sei mesi e il pancione ormai sporgeva alquanto dalla veste color lilla dalle ampie maniche a sbuffo.”Mia adorata, te ne prego, scendi, se ne occuperanno le serve, è rischioso nello stato in cui sei”. “Stato?” Aveva chiesto lei con leggerezza.”Alfonso, so ancora stare in equilibrio anche se sono gravida. Non temere.” Le risatine di entrambi nel vento,il sole che penetrava dai rami,e una voce.”Sorella!”. Lucrezia,come colpita da qualcosa,aveva sollevato di scatto il capo, mettendo un piede in fallo e rovinando al suolo in un istante. Cesare corse, trafelato,col fiato intrappolato in un grido inespresso. Intanto Alfonso l’aveva soccorsa, la disperazione nel volto, le mani incerte su di lei. Il cognato lo scansò malamente,prese in braccio quel fagotto inerme e si fece largo tra la servitù sconcertata.

Per ore le numerose levatrici fecero avanti e indietro dalle stanze di Lucrezia, recando bacili, teli, brocche fumanti.  Quegli oggetti sfilavano davanti ad Alfonso rendendolo più nervoso, mentre Cesare, come ipnotizzato dalle grida che provenivano dall’interno, fissava un punto indefinito nel complicato disegno sul marmo del pavimento. Quando infine il marito di sua sorella si era arreso al sonno, semi disteso sulla sua poltrona, si era alzato. Si era sentito dire da una donna smilza poggiata alla porta che Lucrezia aveva congedato tutte le levatrici. Ella non aveva voluto permettere a nessuna,tranne alla sua saracena fidata-l’ostetrica del caso-di vedere il bambino. Cesare ristette alquanto. La saracena dietro la donna era ricoperta di sangue e lo fissava interdetta. Diede il permesso a entrambe d’andare a lavarsi ed entrando, sospirò profondamente per la testardaggine di sua sorella. Ricordava tutto quel sangue anche per la nascita di Giovanni, ma Lucrezia era stata più ragionevole allora. Sbuffò prima di richiudersi la porta alle spalle. A chiave.

Impiegò qualche minuto prima di rendersi conto che quella nuvola bianca a vermiglia adagiata sul letto, apparentemente priva di vita, era lei. Si avvicinò fulmineo. “Lucrezia, perché hai mandato tutti via?! Hai bisogno di cure! Non tollererò oltre! Farò chiamare-“ S’interruppe notando come un bozzo,accanto a sua sorella,che gli dava ancora le spalle.“Il bambino? Amore mio, spero non sia un maschio! Ma lo è di certo,non ho udito il suo pianto!”. Provò a scherzare ma Lucrezia si era voltata piano,rivelando,alla luce delle candele un tenue sorriso.”Bambino? Quale bambino?”La sua voce si era rotta,seguitando:”Oh si, un maschio! L’immagine stessa di suo padre…”. Cesare si sedette,scostando una ciocca umida dal viso della sorella.”Allora sarà l’immagine stessa di Adone…che dico! Alfonso è Eros in persona!”. Lucrezia lo fissava come supplice. “Non un dio ho generato…ma un mostro!”.Il fratello, smarrito, non resistette e volle sollevare il lembo che ricopriva il piccolo,incontrando però la mano di lei a fermarlo.”No!Non guardarlo! Cesare,fermati,vedresti la mia,la tua stessa condanna!”. L’ultima frase giunse al suo orecchio,così vicino alla bocca di lei,solo quando ormai l’orrore gli si era manifestato,solo quando aveva compreso. L’esserino era come contorto da uno spasmo che gli attraversava tutto il corpicino difforme. Era stato lo spasmo della vita che per un attimo l’aveva animato? E quale forza avrebbe animato quelle manine rattrappite,chiuse a pugno,in una sfida muta e impossibile? Ma era negli occhietti spalancati, illuminati a giorno dalle candele,che Cesare aveva intravisto l’abisso di sé stesso,un abisso verde,dal fondo nero pece. Quella piccola bocca dal labbro inferiore più sottile di quello superiore,come la sua,sembrava atteggiata ad una piccola smorfia che gli ricordava qualche immagine di sé rinviata dallo specchio. Il lieve ciuffo dei capelli,corvini almeno quanto i suoi,circondava quella testolina e sembrava morbido al tatto, ma Cesare non poté continuare a toccarli,ad accarezzarli involontariamente. Si girò, sperso, verso Lucrezia,ancora stesa accanto a lui,muta negli occhi e nella posa.”Era nostro.” Il viso di lei non accennava a scomporsi ma la sua voce era poco più di un sussurro mentre allungava una mano fino alla mascella di Cesare,debolmente,senza giungere a toccarlo.”Mio e tuo.” Egli la guardava,incredulo delle sue stesse parole:”Nostro figlio…il frutto del nostro-“ “…del nostro amore? E’ amore ciò che vedi qui Cesare? Qui in questi tratti stravolti dalla mano di Dio?Oh, egli ci ha voluti punire,ci ha colpiti dove sapeva che più avremmo sofferto! Ciò che abbiamo fatto si è riversato su questo bambino,egli è il simbolo del male che abbiamo commesso insieme,del male che siamo,insieme!”. Cesare strinse le labbra,forte.”Dunque per te era solo il frutto del nostro peccato? Meritevole forse d’essere sacrificato per la nostra “salvezza”? Quale salvezza ci attende mai?! Ché se tu avessi saputo prima che era mio avresti preferito che morisse così,in questa pozza maleodorante di sangue,tra le tue dannate cosce,prima ancora che io potessi tenerlo tra le braccia?!”Stentava a contenere la sua ira,verso lei,verso Dio,verso quella creatura inanimata che morendo l’aveva privato del suo diritto di essere padre per la prima volta. Lucrezia si era sollevata a fatica,prendendogli il volto tra le mani, guardandolo interrogativamente. “Credi davvero ciò che hai detto? Io l’ho amato non appena ho sentito la sua presenza,la tua presenza, dentro di me…l’ho amato ancor più di Giovanni,non solo perché era mio figlio,ma ancora di più perché era tuo figlio!”. Cesare si era abbassato su di lei,svelto,a baciarla, ma lei,altrettanto svelta,si era scansata dandogli la guancia. Allora lui, furibondo,si era alzato di scatto,iniziando a camminare per la stanza, fluttuando nel suo abito nero e ancora più nero in viso, senza guardarla. Poi, come tramutato, soggiunse:”L’ho forse ucciso io? T’ho spaventata a tal punto,chiamandoti a quel modo?!”. Lei si ribellò dolcemente:”Sono stata io sciocca a spaventarmi udendo la tua voce.” Lui le sorrise,sofferente. “Dunque hai paura di me? Del padre di tuo figlio?” Si era riavvicinato al letto,sporgendosi su di lei che aveva continuato a fissarlo senza rispondere. Cesare si chiese se le parole di Charlotte sulla sua progenie non avessero celato una maledizione. Scosse la testa, poi riprese:”Non appena si sarà liberato dagli impegni,arriverà Sua Santità-non riesco mai a chiamarlo nostro padre con te,strano vero? Nostra madre sarà qui a momenti, per non parlare della folla di curiosi di palazzo che ti aspetta poco oltre queste porte. Il tuo Alfonso,il tuo hermoso hijo- del quale non mi hai nemmeno chiesto-si era addormentato, tant’era l’ansia sua per te! Ma presto si sveglierà e busserà e di nuovo il mondo farà irruzione in questa stanza e io-“Diede un pugno al muro, facendo sobbalzare Lucrezia, che ormai piangeva silenziosamente,per non farsi scoprire da lui, da sempre reso folle dal pianto di lei. Di nuovo si tramutò e continuò.”Dobbiamo disfarci del”corpo”. Sentir definire il suo piccolo un”corpo”,fu straziante per Lucrezia. “Lo porterò via io. Lo custodirò, non voglio dimenticarmi ciò che è impresso su quel viso.” Senza guardarla ancora,aveva preso ad avvolgere il bimbo nelle fasce umide,portandoselo al petto senza disgusto. “Fammelo baciare un’ultima volta!” Egli si era chinato verso di lei che,dopo aver deposto un lieve bacio sulla fronte del piccolo,ne posò un altro sulle labbra di lui. I loro occhi s’incontrarono. Si sentirono uniti come mai lo erano stati prima di allora. Il padre,la madre e il figlio,stettero abbracciati per un po’ finché i rumori all’esterno convinsero Cesare ad uscire da una delle porte in fondo all’appartamento Borgia,non prima di voltarsi e raccomandarsi.”Dì a tutti che era talmente atroce-fece una pausa-che hai disposto immediatamente per la sepoltura. Penserò io al resto. Dì inoltre che sarà stata la caduta ad averlo deformato…Dì che-. Ma le parole mancarono a lui, la forza di guardarlo a lei. Chinò la testa quando la porta si chiuse, fissando la chiazza scura dove fino a poco prima giaceva il segno del suo amore.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Borgias / Vai alla pagina dell'autore: Vaene