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Autore: Dragon_Flame    27/06/2014    3 recensioni
Firenze, luglio 2013.
La vita di Lidia Draghi, adolescente alle prese con l'ultima estate prima degli esami e con la fine di una relazione sofferta, prende una svolta inaspettata nell'incontro con Ivan Castellucci, padre di Emma, che deve affrontare un difficile divorzio.
Una strana alchimia li lega e la certezza di aver trovato la propria metà si fa pian piano strada nei loro cuori. L'unico problema sta nella loro differenza d'età: vent'anni. Lidia ha diciott'anni, Ivan trentotto. Aggiungiamo poi una madre impicciona, un ex-ragazzo pedante, un fratello inopportuno e pseudo ninfomane, un'ex-moglie inacidita che cerca di strappare a Ivan la loro unica figlia e mixate il tutto.
Mille difficoltà ostacoleranno la relazione segreta fra i due protagonisti, ma il loro sentimento sarà più forte del destino che sembra contrario al loro amore?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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5.


Lidia si sentiva frastornata. Aveva fatto qualcosa di stupido, di insensato, di illogico. Mentre guidava la Lancia Musa nera della madre, la ragazza pensava e ripensava all'istintivo slancio di affetto che l'aveva portata ad abbracciare e baciare Ivan. Il collega di lavoro della madre. Un uomo di vent'anni più grande. Quasi uno sconosciuto, per lei.
La giovane continuava a insultarsi mentalmente per essersi lasciata andare all'impulso, che l'aveva improvvisamente colta, di avvertire stretto a sé il suo corpo. Chissà cosa stava pensando adesso di lei il povero malcapitato. Molto probabilmente avrebbe detto tutto a sua madre e lei avrebbe dovuto trovare una spiegazione per quel comportamento così bizzarro.
Il peggio era che nemmeno Lidia stessa sapeva trovare un'interpretazione al suo gesto istintuale. Per la sua mente razionale e precisa quell'atto era inspiegabile e, soprattutto, imperdonabile. S'era lasciata cogliere da un'emozione che non avrebbe dovuto provare e che le aveva procurato solo una cosiddetta figura di merda. Con un uomo più grande, poi. E amico di famiglia. E collega di sua madre. E... e... be', e anche un individuo affascinante.
Ok, ammise finalmente Lidia con se stessa, diciamo che è sexy. Molto sexy. La ragazza ripensò ai penetranti occhi nocciola di Ivan, così intensi e indagatori che le avevano dato l'impressione di poterle leggere nell'anima. Così profondi, e limpidi, e seri... che lei non riusciva più a dimenticarseli.
Lidia, cazzo, non dare di volta con il tuo cervello bacato. Ha vent'anni in più di te!
Eppure, più ci pensava, più le sembrava naturale pensare a lui e perdersi nel ricordo di quelle iridi dal colore quasi insignificante ma dall'espressione così fuori dal comune.
Scrollando il capo con fastidio, lasciando fluire via dalla testa tutti i film mentali che si stava facendo su Ivan - con tanto di annessi e connessi -, Lidia alla fine riuscì a prestare un po' d'attenzione alla guida, tornando a casa sana e salva dopo la manciata di minuti che la separavano dalla sua abitazione.
Una volta accoccolatasi nel proprio letto al di sotto delle lenzuola di lino, incurante della calura estiva che permeava la notte e che le rendeva i capelli appiccicosi e la pelle umida e accalorata, la giovane si trastullò nel riesame della serata che aveva trascorso. Rievocò lo stravagante ordine impartitole dalla madre di fare da autista personale ad un suo collega di lavoro lasciato a piedi dalla propria macchina, passando poi per le resistenze che l'avevano quasi portata a una discussione. Ricordò con particolare vividezza la figura slanciata che se ne stava accomodata sulla scalinata della navata principale della Cattedrale fiorentina, figura che poi le si era avvicinata e con cui lei aveva parlato, riso, approfondito, seppur di poco, la conoscenza. Ricordò la stretta al cuore inattesa e indomabile che l'aveva colta quando lui stava per voltarsi, diretto verso la propria abitazione e la figlia. E l'impetuoso slancio in avanti che l'aveva portata fra le sue braccia, avviluppata al suo duro torace, con le labbra, colte nell'atto di baciare, lievemente pizzicate dall'accenno di barba sulla mascella di lui, e le narici piene del profumo della sua pelle. Poi la propria fuga, repentina e immotivata.
Mugolando disperata, Lidia tuffò la testa nel cuscino, come per tentare di concentrarsi su qualcos'altro che non fosse la figuraccia fatta davanti all'uomo che le interessava.
No, no, no... Sbuffò animosamente, inviperita con la vena sarcastica della propria coscienza, strofinando il viso contro il tessuto delicato della federa. Come avrebbe fatto il lunedì seguente, alla festa di compleanno di Marco? Era obbligata ad andarci con la sua famiglia: era stata minacciata di una settimana senza uscite. Perché sua madre era così odiosamente severa anche per le festicciole tra amici di famiglia? E sicuramente la presenza di Ivan, il padre della migliore amica del festeggiato, sarebbe stata inevitabile, salvo imprevisti colpi di fortuna che stranamente non le capitavano mai. Si sentì sprofondare nello sconforto. Era una stupida. Stupida! Stupida! Stupida!
Mentre era immersa nel flusso tumultuoso delle sue riflessioni, un pensiero improvviso la colse, lasciandola felice ed eccitata: conosceva il suo indirizzo. Con un po' di fortuna e senza farsi vedere, si disse, avrebbe potuto rivederlo più volte. Era certa che quello sarebbe stato l'unico modo per lei di poterlo osservare ancora, dato che Lidia era più che convinta di non avere più il coraggio nemmeno per guardarlo in faccia, figuriamoci di parlarci anche solo per due minuti.
Così, con la mente che vagava da un pensiero a un altro senza reale coerenza logica, la giovane si assopì nell'alternanza di buonumore e desolazione, il tutto misto alla più completa confusione mentale.

***
 
Ivan si rigirò per l'ennesima volta nel proprio letto, ancora indeciso se stabilire che la causa della sua insonnia fosse il caldo insostenibile o il ricordo di quell'abbraccio fuggevole e impetuoso.
Quella sera, dopo aver fornito un dettagliato resoconto dei fatti ad Emma che, allarmata dal prolungato ritardo del padre, appena l'aveva visto entrare gli si era gettata fra le braccia in preda al sollievo, l'infermiere era riuscito a mettere a nanna la figlioletta solo dopo le undici e mezza.
In quel momento Ivan gettò un'occhiata all'orologio appeso alla parete della camera nuziale, in cui era riuscito finalmente a dormire, una volta tanto, senza la presenza molesta della moglie. Le lancette segnavano le due spaccate. In quella notte di luglio, per la prima volta dopo tanto tempo, i suoi pensieri erano giustamente rivolti a una persona che sì, gli causava turbamento, ma non in senso negativo, come era capace Alessia, ma positivo, che gli ridava serenità e interesse per la vita e per ciò che gli stava intorno. Pensare a Lidia era per lui un modo per evadere dalla routine, dalla malinconica monotonia della sua vita.
Fu con dipinto in mente il timido sorriso che vedeva talvolta fare capolino sulle labbra della ragazza che l'infermiere cadde nel sonno. Quella notte la passò tranquillamente, seppur riposando solamente cinque ore scarse.
La mattina dopo si alzò presto, intorno alle sette, perché aveva un turno mattutino. Fece colazione con la sola, gradita compagnia della figlia, poi indossò la sua uniforme verde menta. Prima di partire per andare al lavoro, chiamò il carro attrezzi per chiedere la rimozione della carcassa inanimata della sua vecchia Punto bianca, per cui era ormai giunta l'ora di andare in pensione. Attese quindi che la moglie rincasasse dal suo turno di lavoro notturno.
La madre di Emma, una bella donna alta e formosa sulla trentacinquina, coi capelli rossi tinti e l'aria stanca e assonnata, rientrò poco dopo le sette e mezza, trascinandosi dentro casa piano piano. Il marito le spiegò cos'era successo la sera precedente e le chiese di poter usare la sua macchina per poter andare al lavoro. Ivan, tuttavia, omise il dettaglio della presenza di Lidia nella Lancia al posto di Sara, mentendo a proposito del passaggio che gli aveva dato la ragazza. Non sapeva perché, ma voleva che meno gente possibile sapesse del fatto, come se fosse stato un segreto da celare o un'azione sbagliata da non ripetere.
Una volta che ebbe ottenuto le chiavi dell'auto di Alessia, Ivan portò con sé Emma, che era stata invitata a trascorrere l'intera giornata a casa di Marco. Quando ebbe consegnato la figlia a Maria, la madre del bambino, promettendo che sarebbe passato a prenderla intorno alle sei del pomeriggio, l'infermiere ripartì, diretto all'ospedale in cui prestava servizio.

***
 
Lidia maledisse per l'ennesima volta le vespe. Perché dovessero capitare tutte a lei, in quello stramaledetto luglio, non sapeva spiegarselo. L'unica cosa di cui era cosciente era che la sua sfiga era infinita.
Quella mattina, intorno alle sette e mezza, l'adolescente si era levata di scatto dal proprio letto, balzando in piedi e saltando giù da esso, con la mano destra che stringeva l'avambraccio sinistro. Le pareva di avere un piccolo tizzone ardente che le penetrava lentamente la carne dell'arto, provocandole un dolore insopportabile. Lidia tendeva infatti ad estremizzare ogni cosa, specialmente se si trattava di punture di vespa. L'insetto volante l'aveva punta in reazione al veloce schiaffo che la ragazza, ancora mezz'addormentata, aveva dato all'aria per scacciarlo via, convinta che si trattasse di una mosca.
La giovane era allergica alle api e alle vespe. Già da piccola aveva rischiato uno shock anafilattico e, per questo, doveva andare subito in ospedale e farsi somministrare un antistaminico e del cortisone per placare gli effetti della puntura prima che potessero aggravarsi e farle rischiare grosso.
Con la consapevolezza di un rischio così grande, Lidia era schizzata nella camera dei genitori, svegliando con un grido la madre e il padre che dormivano pacificamente. In breve tempo aveva spiegato la dinaminca dell'accaduto e, con su solo le infradito, i pantaloncini di jeans e la semplice maglietta che aveva indossato la sera prima era stata portata immediatamente al Pronto Soccorso più vicino, non dopo aver estratto il pungiglione e medicato la ferita.
Ora Lidia se ne stava seduta su una panchina del corridoio del Pronto Soccorso, in attesa di farsi controllare. Il braccio punto, infatti, aveva reagito curiosamente gonfiandosi e arrossandosi, ma i sintomi di un possibile shock non si erano ancora presentati e ciò era assai strano. Sara, immersa nelle proprie riflessioni, le stava accanto in piedi, pensando a ogni possibile motivo per una così bizzarra reazione allergica.
Sbuffando infastidita, la castana si osservò intorno, esplorando il locale lungo e stretto in cui si trovava con la madre. Un attimo dopo si pentì di averlo fatto, perché lo sguardo vagante si era posato sulla figura longilinea e atletica di Ivan, che con passo deciso ed espressione indecifrabile avanzava lungo il corridoio nella loro direzione. Presa dal panico, la giovane si voltò verso Sara, alla ricerca disperata di un modo per sfuggire alle domande che si aspettava lui le rivolgesse, quando fu preceduta dalla voce di lui. L'infermiere aveva infatti chiamato a sé la collega, chiedendole il motivo della presenza sua e della primogenita nel reparto. lo sguardo penetrante e vigile dell'uomo rimase posato per tutto il tempo su di lei, acquisendo una sfumatura preoccupata e turbata man mano che la collega gli spiegava cos'era successo alla figlia.
Quando Lidia fu chiamata all'interno, fu spiacevolmente sorpresa di trovare Ivan a visitarla. Tenne lo sguardo basso per quasi tutto il tempo in cui lui continuò a osservare il braccio gonfio, atterrita dall'incrociare gli occhi dell'uomo, e rispose a monosillabi stentati alle sue domande.
"Sara, per caso Lidia deve seguire qualche terapia a base di farmaci o lo ha fatto ultimamente?" chiese infine l'infermiere quando ebbe terminato l'esaminazione.
La sua collega assentì col capo.
"Lidia risente anche del polline dei pioppi e, dato che viviamo vicino all'Arno che ne è attorniato, deve prendere un antistaminico per contrastare l'azione della reazione allergica" spiegò. "Potrebbe essere stata l'azione del farmaco a provocare questo gonfiore e l'arrossamento del braccio?" chiese successivamente.
"Hai fatto centro. Quasi sicuramente è questo il motivo per cui la reazione allergica è stata così contenuta. Se Lidia soffre di un'allergia piuttosto grave alle vespe e alle api, allora l'antistaminico per l'allergia pollinica ha arginato le conseguenze e, invece di uno shock anafilattico, si è provocata una reazione locale intorno alla puntura e sul braccio punto. Comunque sta' tranquilla, non è nulla di grave come le altre volte. La zona lesa è solo un po' infiammata e basterà un po' di Gentamicina* applicato tre volte al giorno per sfiammarlo e far sparire gonfiore e rossore nel giro di tre o quattro dì" e Ivan sorrise alla collega, rimettendo poi a posto le bende della fasciatura sul braccio che aveva sciolto per visitare la zona lesa.
Sara tirò un sospiro.
"Temevo che la reazione potesse essere più grave... Grazie, Ivan, non sai che sollievo mi hai dato" lo ringraziò, posando poi una mano sulla spalla di lui in segno di riconoscenza e affetto.
L'infermiere si limitò ad annuire col capo, ma Lidia, che era più vicina a lui e poteva osservarlo in volto, scorse un accenno di rilassamento anche sul volto di lui. Si era forse preoccupato per la sua salute? Lidia, che ti sei fumata? Non farti venire strane idee, dev'essere la tua fantasia a funzionare più velocemente del cervello... Forse è un danno collaterale dell'allergia, commentò la sua cortese voce interiore, neutralizzando il buonumore che l'aveva pian piano invasa.
Gli occhi azzurri di Lidia si soffermarono per un momento nelle iridi castano nocciola di Ivan, concentrate sulla fasciatura.
La madre della ragazza ruppe il silenzio che permeava la stanza ponendo una domanda al collega.
"A casa non ho più il Gentamicina, l'ho finito... e mi serve per applicarlo sulla puntura sul braccio di Lidia. Ti dispiace se ne prendo un tubetto qui dal Pronto Soccorso? Poi ci parlo io con Carlo." Carlo era il caporeparto del Pronto Soccorso.
Ivan annuì distrattamente.
"Certo, Sara. Comunque, vallo a prendere nella stanza vicina a questa; lo trovi dentro uno degli armadietti di acciaio... Cerca in quelli centrali" le suggerì poi.
La donna si allontanò per qualche secondo, alla ricerca della pomata.
Lidia comprese subito che in quella manciata di secondi Ivan avrebbe preteso da lei una spiegazione per il suo comportamento incomprensibile nella serata precedente.
L'infermiere, che aveva finito di risistemare la benda, le posò le mani su entrambe le spalle. I loro volti erano vicini, con gli occhi sullo stesso piano che si fissavano quasi ipnotizzati, persi gli uni negli altri. La ragazza poté percepire il respiro dolce e regolare di lui, che le accarezzava lievemente la pelle diafana del volto, farsi improvvisamente accelerato, come se l'uomo fosse stato in preda all'ansia. La castana si sentì avvampare le guance, che s'imporporarono vivamente sotto quello sguardo indagatore.
"Lidia..." sussurrò Ivan dopo qualche secondo di contemplazione. "Non riesco a spiegarmi l'atto di ieri sera, ma ti ringrazio. Non sai da quant'è che non mi riposavo così, avendo per una volta in testa un sogno così dolce invece delle solite angosce familiari."
Il collo e il volto di lui si protesero in avanti lentamente. Lidia avvertì un tocco umido sulla fronte, laddove le labbra dell'uomo si erano posate, leggere e morbide come ali di farfalla.
Lidia chiuse estaticamente gli occhi, vinta dalla tenerezza di quel lieve bacio. Le sue mani andarono a cercare il torace dell'uomo, il suo viso si sollevò pian piano verso l'alto. Ivan reclinò allora il capo verso il basso, molto lentamente, senza mai staccare le labbra dai lineamenti della ragazza, assaporando poi, per un solo istante, la delicatezza della sua bocca. Avvertì un buon sapore, ma non fece in tempo ad approfondire il bacio che si sentirono dei passi frettolosi provenire dall'altra stanza e continuare nella loro direzione.
Si distaccò dalla piacevole figura della giovane con rapidità, voltandosi poi in fretta e allontanandosi da essa.
Lidia sbatté le palpebre due o tre volte, non riuscendo ancora a capacitarsi di ciò che le era appena successo, con le guance ancora in fiamme e il respiro mozzato.
La madre per fortuna non si accorse dell'espressione trasognata che mantenne per un buon quarto d'ora anche dentro la Lancia, perché altrimenti la figlia si sarebbe trovata nella scomoda difficoltà di dare una spiegazione convincente alla curiosità invadente della madre.



*Gentamicina = Gentamicina-Betametasone Teva, ossia un farmaco antinfiammatorio e antistaminico sotto forma di pomata che serve anche a contrastare l'azione delle punture d'insetto.

 
***

N.d.A.
Salve a tutti! E buon venerdì notte!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto... qui avviene una svolta importante per la storia, che porterà a conseguenze inattese... e non svelo altro! ;)
Posto questo capitolo subito perché l'ho pronto da tanto tempo, così come altri, però continuerò a postare regolarmente ogni venerdì perché altrimenti rischio di esaurire tutti i capitoli nuovi se aggiorno subito, perché - ahimé! - la mia ispirazione è oscillante come un'altalena e va e viene quando le pare - in breve, mi sono bloccata.
Passo ai ringraziamenti: grazie mille a sabrinacaione per le recensioni dolcissime e incoraggianti che ha lasciato ai capitoli precedenti... spero che questo ti sia piaciuto! :D e grazie anche a chi ha messo la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite ^^ cominciate ad essere un po' numerosi e ciò mi rende felicissima!
Bene, ora stacco.
Buona notte a tutti! E spero che la storia vi stia piacendo!


Flame
  
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