Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
Segui la storia  |       
Autore: Paradichlorobenzene_    27/06/2014    2 recensioni
[Dolcetta][Lysandre][Armin][Castiel]
La pioggia scendeva ormai copiosa, un temporale che il cielo lo mandava. Le principesse non piangono. Le principesse non piangono. Parole, queste, che risuonavano continuamente nella mente di Erech mentre un’ultima lacrima le scendeva sul viso abilmente nascosta dalla pioggia. Sembrava fosse fatto apposta. La ragazza si alzò, i capelli fradici la seguirono in un’elegante onda, la mano passò sul viso, asciugandolo parzialmente. Si tirò il cappuccio del mantello, non del tutto bagnato, sugli occhi e riprese la strada per tornare al castello.
Adesso sapeva qual era il suo posto, il suo ruolo in tutta quella storia.
Storia scritta a quattro mani con Gozaru. Amate, onorate e rispettate quella ragazza.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin, Castiel, Dolcetta, Lysandro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Era rimasta sveglia, seduta in quello stesso punto dell’immenso giardino, guardando fisso la spada, attaccata alla cintura sulla sua vita. Intorno a lei, l’aria era ferma. Erech non pensava, non pensava a niente in particolare. La fredda rassegnazione di chi conosce, di chi sa.
Armin, a qualche metro da lei, appena tornato dal turno di notte e finalmente in pausa, stava per rientrare, quando qualcosa che si muoveva nell’aria flebile – stanca anche quella, impaurita anche quella - attirò la sua attenzione. Al posto di tirare dritto, svoltò verso il portico di una delle uscite laterali del palazzo. Si fermò ad un paio di passi da lei che, intanto, aveva alzato il viso per guardare chi si stava avvicinando, chi aveva avuto l’ardire d’interrompere il suo silenzio, la quiete che era riuscita a creare attorno a sé. 
Armin guardò Erech e dal suo sguardo capì che le avevano detto della guerra, ma non le sembrò né triste, né impaurita. La cosa lo stupì, ma qualcosa, nel volto di lei, non lo convinceva ugualmente.
«Verresti a fare un giro con me?» Le chiese, tendendole la mano per aiutarla a rialzarsi. Lei lo guardò, scettica. «E dove dovremmo andare?»
«Tu dove vorresti andare?» Rise lui, sapendo che la ragazza odiava una domanda come risposta a un’altra domanda. Lei lo guardò storto, ma poi si alzò. Lui la fissò dritto negli occhi e scoppiò a ridere, cosa che, dopo poco, fece anche lei.
 
Era da tanto che non saliva su un cavallo, e all’inizio temette che non avrebbe saputo tenere l’equilibrio e sarebbe caduta giù. Era quello che temeva ancora, visto che Armin non accennava a decelerare nemmeno un po’.  Si strinse alla camicia del ragazzo, e si concentrò sul vento che le sfiorava il viso e le passava tra i capelli. Il paesaggio che le si parò davanti quando arrivarono a Gaerys però era splendido e desolante.
 
Di Gaerys non restavano che le rovine, silenziose superstiti della Seconda Guerra dei Regni Superiori. La città sembrava giacere addormentata sulla polvere causata da macerie andate distrutte nel corso degli anni dalle intemperie. Il vento che s’insinuava tra i resti di quelle che dovevano essere case produceva un fischio leggero, sollevando la sabbia rimasta tra le strade. In quelle costruzioni grottesche non c’erano più né porte né finestre, e in molte di queste anche i muri stavano cadendo a pezzi.
Armin, sceso da cavallo assieme a Erech, guardò il paesaggio davanti a sé con aria strana.
«Accidenti» disse «non ricordavo questo posto così … Pericolante. Poco male, tanto non è a fare una passeggiata tra le macerie che volevo portarti.»
Erech, che fin da piccola era stata abbastanza influenzabile, guardava quel posto come una bambina chiusa la notte di Halloween in una casa infestata da spiriti maligni. Armin, che se n’era accorto, la prese per il polso e si mise camminare velocemente per quella che un tempo doveva essere la strada principale, guardando avanti fino alla fine della via. Davanti a loro, il mare.
Erech non aveva mai visto il mare, anche se tutta la parte centro-occidentale e occidentale del continente – e di conseguenza l’Oceano del Sole Calante – erano parte di Alyon, e di conseguenza proprietà di suo padre. Davanti a lei c’era invece l’altra metà dell’Oceano,  immenso e splendente in quella fortuita giornata di sole. La striscia di terra, fatta interamente di finissima sabbia bianca, si estendeva per chilometri. La linea dell’orizzonte, in quel luogo, non esisteva.
«Allora? Come ti sembra?» Le chiese il ragazzo, sorridendo.
Lei che, invece, era tornata la bambina che dieci anni prima si perdeva tra le margherite dei giardini dietro la reggia, si sedette sulla sabbia trascinandosi dietro Armin, che ancora le teneva il polso.
«Hai avuto il turno di guardia, non è vero? Per caso hai rinunciato ad andare a dormire per portare me qui?» Glielo chiese portando le braccia poco dietro la schiena, posando le mani dietro di sé per sgravare il peso del torace su di loro, piegando la testa in modo da poter guardare il ragazzo, che guardava il mare.
« … Ma guarda, i tuoi capelli sono così lunghi che sfiorano la sabbia. Sta’ attenta, potrebbe rimanerti tra le punte.» Gli rispose lui, sperando così di evitare la vera risposta alla domanda. In effetti, aveva parecchio sonno. Erech non indagò oltre, e tornò a guardare l’oceano e a respirare salsedine e, se avesse potuto, avrebbe ricostruito una delle case di Gaerys e sarebbe rimasta lì fino alla fine dei suoi giorni.
 
« … A proposito, cos’hai sul polso?»
Quella domanda sembro ridestarla da un sonno profondo, quasi credette di essersi addormentata sul serio. Per qualche secondo guardò Armin, senza capire. «Ti ho preso il polso, poco fa. Hai qualcosa in rilievo sulla pelle, come una specie di cicatrice, o qualcosa di simile … » Il ragazzo capì troppo tardi che, per rispondere a quella domanda, Erech avrebbe dovuto rispolverare vecchie memorie seppellite da tempo perché infelici.
Erano simboli identici, non poteva dire che erano cicatrici, o che se li era procurati per caso. Li guardò per un attimo. Scuri e in rilievo rispetto al resto della pelle chiara, troneggiavano sui polsi quasi interamente. Due splendide ali, tarpate a chissà che angelo. «Ecco … Sono … Più o meno come una tradizione di famiglia.» Armin non era convinto ma, vedendo il cambiamento nel volto di Erech, quella risposta se la fece bastare. Sospirò. « Sai, da piccolo ero scontento. Davvero! Una volta mi chiesero perché non ero mai felice e, quando fui abbastanza grande da poter partire, risposi che se loro non erano in grado di darmela, la felicità che mi mancava, sarei andato a prendermela» rise, passandosi la mano tra i capelli – e portandoci anche parecchia della sabbia rimastagli tra le dita. «Viaggiai parecchio, seguii mio padre, soldato, nei suoi viaggi oltremare. Tuttavia non trovai niente che m’interessasse particolarmente. Nessun posto mi piacque tanto da spingermi a promettermi di ritornarci. Poi però giunsi ad un regno che non avevo mai visto prima … Ora non ricordo molto, ma il castello aveva la cima delle torri intagliate nello smeraldo.» Erech affinò bene le sue capacità uditive, perché tutto questo iniziava a tornarle familiare. «Mi stavo arrampicando su un albero per raccogliere una mela, ma il ramo su cui stavo ha ceduto e sono caduto giù. Ricordo di essermi fatto parecchio male, quando vidi una donna bionda avvicinarsi. Avrà avuto una quarantina d’anni, forse anche meno. Aveva gli occhi verdi e un sorriso gentile, teneva per mano una bambina che ti somigliava parecchio.» La ragazza ricordava frammenti di quella giornata, la mano di sua madre, il fazzoletto sul ginocchio di quel bambino dagli occhi azzurri, il modo in cui, voltandosi, l’aveva guardato trotterellare verso il paese tenendo per mano la mela tanto sudata. «Credo fosse la regina, aveva modi troppo aggraziati per essere solo aristocratica. Però era un aggraziato … Strano. Era severo, e aveva la corona. Si, sono quasi convinta che fosse la regina» Erech sorrise, chiudendo gli occhi. «Sicuramente parli di Alyon» ma si, che scopra tutto, non lo direbbe a nessuno – pensa lei, senza crederci veramente. «… Come lo sai?» «Tutti conoscono il Castello di Smeraldo, Armin» Lo guardò, con gli occhi buoni di chi ti vuol dare affettuosamente dell’ingenuo.  Lui appoggiò la testa alla spalla di lei, guardandola di traverso. «Adesso però tocca a te.»
«… Cosa intendi?» «Ho parlato io per tutto il tempo, ma di te non so quasi nulla!» Lei tirò un sospiro rassegnato. Stare in silenzio avrebbe portato solo ad accrescere la curiosità del ragazzo.
«Avevo tre fratelli maggiori. Si chiamavano Narwain, Helevorn e Camlost. Significavano Nuovo Sole, Vetro Nero e Mano Vuota. Con i più grandi, due gemelli, c’erano dieci anni di differenza. Con il più piccolo, Camlost, solamente due. Purtroppo Camlost è morto quando aveva dieci anni a causa di una malattia sconosciuta, mentre Narwain ed Helevorn sono morti sette anni fa, durante l’ultima guerra.» Armin, che non sapeva cosa dire riguardo la morte dei suoi fratelli, le rispose che anche lui aveva un gemello. Viveva al di là dell’oceano e faceva il sarto, da lungo tempo non aveva più sue notizie.
L’alta marea che andava alzandosi lambiva i piedi scalzi di entrambi, accarezzandoli con la schiuma delle onde. Armin, incapace di resistere, cedette al sonno e si addormentò sulla spalla di Erech. Scivolando sulle sue gambe, le sfiorò accidentalmente la bocca con i capelli, ed Erech associò quel profumo a quello meraviglioso dei fiori bianchi che crescevano tra terra bagnata, nei sottoboschi della foresta dell’Ovest, attraversata tempo prima e mai dimenticata. Lei rimase sveglia, fissando il mare grande e potente davanti a lei, incurante delle rovine di Gaerys alle sue spalle e ripensando alla musica che ascoltava da bambina, proveniente da un carillon, reliquia anche quella delle sue più antiche memorie.
 
Quando quella sera tornarono al castello, si fermò a passeggiare nel giardino ancora un po’. La calma della sera la tranquillizzava, quando, tra le colonne che sostengono le arcate dei corridoi esterni, intravide i capelli rossi di qualcuno che aveva osservato abbastanza da conoscerlo bene.
Si avvicinò al Generale, per chiedergli se ci fossero cambiamenti riguardo lo stato di guerra attuale
.

~ 

Che cosa voleva quella ragazzina sfacciata, ora?
Castiel non si era mai reso conto del suo pessimo carattere, del suo perdere il controllo per motivazioni che nemmeno conosceva, e mai se ne sarebbe accorto dal momento che si ritrovava in quello stato ancor prima di rendersene conto. Il suo sangue ribolliva di rabbia cieca, le sue mani erano strette così forte da sbiancare le nocche, la mascella, più contratta che mai, cominciava a dolergli e la fronte corrugata sosteneva uno sguardo che lui stesso non pensava nemmeno di poter fare. Notò la reazione spaventata della ragazza che, subito, riuscì a ricomporsi.
Eh sì, dopo tutto quello che aveva fatto aveva anche il coraggio di andare da lui. Sfacciata era l'unico aggettivo che risuonava nella sua testa.
Sfacciata, sfacciata, sfacciata. Più quella parola prendeva piede nella sua mente più il suo intero corpo si irrigidiva al pensiero che le fragili e morbide mani che lui aveva sfiorato durante i loro allenamenti erano state a loro volta toccate da quelle di un rude e frivolo soldato da niente. Più la guardava e più aveva in mente scene del tutto inventate che la sua testa non faceva che propinargli senza pietà.
Le labbra, sfiorate da dita altrui; le braccia, accarezzate da un altro; il corpo, stretto e avvinghiato a quello di un uomo che non fosse lui; e nonostante questo ancora non riusciva a capire perché il suo cuore non raggiungesse pace e la sua mente non gli desse tregua. Non aveva davvero idea,il povero Castiel, di ciò che lo stava affliggendo. E come poteva? In vita sua non aveva mai conosciuto l'amore e, quindi, nemmeno la Gelosia. Stava lì, in piedi in mezzo a uno dei corridoi tra i quali adorava passeggiare, tra i ricordi di una vita intera con il suo amico monarca, ma tutto ciò che riusciva a ricordare, in quel momento, era stata quella mattinata che aveva reso grigia la sua intera giornata passata a corte.
Li aveva visti, per caso, lasciare il castello a cavallo, insieme, lei stretta a lui per non cadere, mentre ridevano complici. Come poteva lei rivolgere certe attenzioni ad un tipo del genere?
Il corpo del giovane generale si era scosso in un tremito ritrovandosi a pensare di voler essere al posto di quel misero fante. Aveva immaginato le sue braccia stringergli la vita e il suo profumo inondargli le narici mentre il vento contrario, a cavallo, faceva in modo che i lunghi capelli della giovane gli accarezzassero il viso.
Il suo viso. E il viso di lei, ora, così vicino come aveva sperato di vedere per tutta la giornata. Le sue labbra, sicuramente morbide, che si socchiusero a formare una frase.
-Qualcosa non va?-
...
La mente di Castiel ci mise un po' prima di rielaborare quelle tre paroline all'apparenza insignificanti ma intrise di sofferenza.
Qualcosa non va... Il generale socchiuse le labbra più e più volte. Non trovava le parole o, semplicemente, esse non volevano uscire.
Una persona come lui avrebbe dovuto mostrarsi calma, data la sua posizione di comando; avrebbe dovuto mantenere il controllo, altrimenti avrebbe potuto, in una situazione ben più diversa e pericolosa, lasciare che il finimondo accadesse. Ne era consapevole, eppure, uno ad uno, i suoi nervi crollarono. Nel silenzio del corridoio si poté quasi sentire il leggero sussurro della sua calma che, pian piano, scemava, e il galoppo furente della sua rabbia che risaliva il suo intero essere, inondando il suo corpo e travolgendo la sua coscienza. Come un'onda travolgente che spazza via le case a ridosso del mare, le sue parole uscirono taglienti, dirette alla povera e indifesa ragazza che aveva osato dire tre paroline di troppo.
Dapprima uscì solo un leggero ghigno, quasi trattenuto che avrebbe potuto benissimo trasformarsi in una risata malvagia e aspra, ma ciò non avvenne. Il silenzio del corridoio fu scosso da un primo boato; il tono di Castiel più serio che mai e le sue parole a rimbombare tra le colonne e le pareti dell'intero edificio, tanto che la povera Erech quasi pensò che persino le dame di corte avrebbero potuto sentire quel discorso.
- Qualcosa non va?! Dovreste dirmelo voi, se qualcosa va o no! Vi ho visti, partire stamani all'alba su uno dei migliori destrieri che può vantare la reggia! Quale comportamento sfrontato per una ragazza appena accolta in questo castello!
Venite qui, nella mia casa, chiedendo pietà al mio Re che, senza indugio, vi accoglie nella sua dimora. Avete la pretesa di entrare nel mio esercito, chiedete di essere addestrata e ora che la guerra è alle porte vi vedo cavalcare lontano. E qualcosa non va? Certo che non va!
Le persone presto moriranno di fame, i loro cari moriranno trucidati su di un campo di battaglia a causa di quest'inutile guerra! Non ci sarà mai la pace fino a che uno dei due regni non crollerà, e potremmo essere noi, dal momento che i nostri soldati si trastullano in giro anziché prepararsi ad offrire la loro vita per salvare il proprio paese!
Abbiamo sbagliato! Accogliere una donna- sputò quella parola con tutto il risentimento che aveva in corpo- nell'esercito è stata l'idea più stupida che potessimo mai avere!
Tu, stupida sfacciata che non sei altro!-
Aveva cominciato a rivolgerle parole più dirette, come se il discorso, da vago e superiore che avrebbe dovuto sembrare, avesse lasciato finalmente cadere quel manto di ipocrisia, svelando infine il vero nocciolo della questione.
-Andartene in giro con ... Quello!-
Castiel non aveva nemmeno idea di chi fosse il ragazzo con il quale se ne era bellamente andata e nemmeno aveva intenzione di saperlo. Sputò parole acide su quella che insinuava essere una relazione infida e deplorevole non capendo che, tutto ciò che stava descrivendo, non erano altro che riprovevoli azioni che aveva più e più volte desiderato egli stesso di fare proprio con la ragazza a cui le stava rivolgendo. La rabbia e la gelosia si concentrarono sempre di più nel suo cuore fino a che non svanirono del tutto, lasciando il ragazzo in silenzio, con il fiatone e goccioline di sudore che gli imperlavano la fronte. Si sentiva in qualche modo libero e per niente colpevole di aver investito Erech con quelle cattiverie ingiustificate.
Con un'ultima punta di acidità, le rivolse l'ultima frase prima di girare i regali tacchetti e continuare la sua passeggiata per il castello.
Lei rimase immobile a guardarlo andar via, non capendo se quella situazione fosse reale o solo un bruttissimo scherzo giocato dalla stanchezza accumulata durante il giorno.
Un leggero pizzicore all'altezza del petto che non provava da tanto, tanto tempo. Parole crudeli che non aveva mai udito in vita sua.
-Sparite dalla mia vista. La vostra faccia mi disgusta.
 
Un regal sorrisetto compiaciuto sul volto del monarca, spuntava da una delle finestre dell'ala principesca del castello. Aveva seguito per caso lo sfogo del suo generale mentre si trovava a passare da quelle parti. Lysandre non era per niente una persona stupida e, nella sua tremenda acutezza, riuscì a farsi un quadro abbastanza chiaro della situazione, pur non riuscendo a vedere i due interessati a causa dell'arcata superiore che copriva a volta il corridoio. Chiudendo gli occhi era riuscito comunque ad immaginarsi il volto contratto dalla rabbia dell'amico.
Si allontanò a lunghi passi cadenzati, ritornando pensieroso nelle sue stanze.
Si lasciò cadere su di una delle poltrone di raso rosso, lasciando che la regal coroncina si muovesse quasi a voler cadere dal suo capo, senza però riuscirci. Il giovane sovrano prese allora, dal fianco della poltrona, la spada sequestrata alla giovane recluta dell'esercito. Lo stemma su di essa lo incuriosiva sempre più, ma la sua mente sagace aveva già ricostruito in modo abbastanza preciso il puzzle di eventi accaduti nel suo regno.
Puntò la spada a terra e, con il palmo della mano a tener premuta la punta sul pavimento di marmo bianco, impresse alla lama una leggera rotazione senza preoccuparsi che la punta dell'arma potesse scalfire o meno il sasso duro. Quella che sarebbe potuta essere una minima crepa era niente rispetto a ciò che avrebbe fatto al regno avversario ora che, ne era sicuro, aveva in mano il loro anello, ormai debole, della catena.
 
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Dolce Flirt / Vai alla pagina dell'autore: Paradichlorobenzene_