Furry Love
Your eyes make me weak I don't know why
Your eyes make me scared to tell the truth
I thought my heart was bullet-proof
Now I'm just dancing on the roof
-Possibile
che tu non abbia trovato di meglio?-
Eravamo in fuga ormai da quattro giorni e avevo spedito Sirius a
racimolare lo stretto indispensabile, quanto a vestiario e cibo, a casa
mia: tra i due era sicuramente il candidato migliore per certe
spedizioni, considerate la sua capacità di rendersi
invisibile,
o meglio di disilludersi, come soleva correggermi severamente, e la
mia, invece, incapacità di smaterializzarmi.
Sirius aveva anche fatto una serie di incantesimi affinché
la
casa disabitata che aveva scelto come nascondiglio continuasse a
sembrare tale nonostante la nostra permanenza e speravo vivamente che
funzionassero.
-Il coniglietto ti dona.- ribatté con un sorriso dispettoso
indicando con un movimento del capo la mia t-shirt per poi concludere
con una strizzatina d’occhio.
-Avrei preferito gli Stones.- abbassai lo sguardo sul piccolo roditore
dalle orecchie lunghe che sorrideva sulle mie tette e automaticamente
mi imbronciai come una bambina.
I primi due giorni della nostra permanenza in quella casa erano stati
terribili, la paura aveva continuato ad aleggiare proprio sopra la mia
testa come fosse la mia nuvoletta personale e il mio compagno di fuga
sembrava, se possibile, più turbato del solito.
Il pensiero del pericolo che avevo corso a sua insaputa lo innervosiva
parecchio e pensandoci bene non era poi così insensato come
mi
era parso inizialmente, in fondo ero l’unica persona che
avesse
al mondo.
-Sono felice di.. vederti sorridere di nuovo.- buttai lì,
sperando che non approfondisse, e quando si voltò verso di
me,
smettendo di sparecchiare la tavola della cucina, mi ritrovai ad
arrossire. Mi capitava raramente di arrossire o comunque di mostrare
imbarazzo, era una debolezza che non amavo manifestare e che
normalmente mascheravo dietro battute sarcastiche o risposte velenose.
-Anche tu sembri più serena, oggi.- rispose, dopo lunghi
istanti
di silenzio, raggiungendomi in salotto per poi accomodarsi sulla
poltrona di fronte alla mia.
-Si, mi sto riprendendo.. o almeno credo. Spero solo che Jason abbia
trovato una buona scusa, allo Studio, per giustificare la mia assenza.
A quel pensiero l’immagine di Jason solo ad affrontare suo
padre
e chissà quanti altri di quei Mangiamorte mi
bloccò il
respiro.
-Fossi in te non mi preoccuperei né per lui né
per il
lavoro. Quei bastardi se la cavano sempre e sono dei bravissimi
produttori di alibi.- mi rassicurò, a modo suo, accorgendosi
del
mio stato d’animo e schioccando la lingua contro il palato.
-Lo spero.-
Erano le nove della sera e come spesso ci capitava in quei giorni di
forzata prigionia, stavamo vicini e in silenzio; non era più
sparito e mi sentivo un po’ un peso, un indesiderato impegno
a
tempo pieno. Gli avevo chiesto più volte di smetterla di
preoccuparsi tanto ma non c’era stato verso di farlo
schiodare da
casa se non per qualche minuto, il tempo di materializzarsi a casa mia
e tornare indietro.
-E così.. Jason rappresenta il tuo uomo ideale? Insomma..
capelli gellati, dentiera e tutto il resto?- chiese improvvisamente,
con un sopracciglio sollevato e la braccia incrociate al petto. Era
decisamente buffo e per poco non scoppiai a ridere.
-Non porta mica la dentiera!-
-Deve comunque aver portato l’apparecchio per
l’equivalente di un’era geologica per avere quei
denti.
-Riferirò che hai apprezzato il lavoro del suo dentista,
Sirius.- scossi il capo, divertita, raccogliendo le gambe al petto e
circondandole con le braccia.
-Non hai risposto alla mia domanda.- incalzò con tono
pedante.
-No, non lo è. O per lo meno.. è l’uomo
che ho sempre pensato di dover cercare, l’uomo perfetto.-
-Per te?-
-No, l’uomo perfetto e basta. Ha una carriera, è
bello,
brillante, profondamente rompiscatole come piace a me ma..- mi concessi
qualche attimo per riflettere. Quali erano i miei
“ma”?
Perché Jason non era mai riuscito a conquistarmi davvero?
-Ma?-
-Ma non mi travolge.-
Mi rivolse uno sguardo confuso, senza dire una parola, gli occhi grigi
ed attenti concentrati su di me. Era una strana sensazione quella che
mi trasmettevano i suoi occhi incollati addosso, era come se mi
leggessero dentro e quei piccoli contatti mi sembravano sempre
così preziosi che sentivo l’istinto di prolungarli
il
più a lungo possibile.
-Io ho sempre pensato che l’amore, quello vero, non possa
scindersi dalla passione. Ho sempre voluto un amore che mi travolgesse,
un groviglio di cuore, occhi, mani e labbra che non mi lasciasse il
tempo di pensare, di spaventarmi e richiudere i battenti.
Perché
è questo che faccio.-
-Mi sembra che lui le mani le abbia usate eccome e per quanto riguarda
le labbra..-
-Non è questo. E’ diverso. E’ vero, lui
mi attrae e
mi a sentire desiderata, anche, ma aspetto ancora l’istante
in cui il cervello si spengnerà, l’istante in cui
smetterò di chiedermi se sono al posto giusto e con la
persona
giusta.- sospirai, consapevole di quanto folle fosse il mio discorso e
mi stupii nel notare che invece lui sembrava aver capito, non
c’era traccia di compassione, nel suo sguardo, per la mia
instabilità sentimentale, piuttosto una sorta di empatia.- E
tu?
Com’è la tua donna ideale?-
-Penso che sia una gran stronzata, quella dell’ideale. O
comunque con me non funziona.-
Risi vedendolo alzare gli occhi al cielo e guardare altrove, in
difficoltà.-Sei stato tu ad iniziare, ti tocca!-
Sbuffò senza riuscire a trattenere un sorriso. -Non ho avuto
relazione abbastanza durature o serie da poter capire quale sia il mio
ideale di donna.-
Non potei evitare di infastidirmi pensando a come quella risposta
evasiva potesse essere dovuta a chissà quante precedenti
storie.
Non ero la sua donna né niente di lontanamente simile ma la
nostra convivenza andava avanti ormai da un po’ e una parte
di
me, nonostante la mettessi continuamente a tacere, non riusciva a
sopportare l’idea che avesse avuto una simile intesa con
chissà quale giovane strega, in passato: io non
l’avevo
mai avuta con nessun altro.
-E poi non ne ho avuto mai l’occasione. Finita la scuola la
lotta
contro Voldemort tra le fila dell’Ordine mi ha assorbito
totalmente, ero troppo impegnato a sopravvivere per preoccuparmi di
qualsiasi faccenda sentimentale. E poi Azkaban.. qualunque donna possa
essere passata di lì di certo non rispecchiava un mio
ipotetico
ideale. Probabilmente quello che cerco è una persona che
riempia
i miei spazi vuoti.-
Le sue parole mi avevano spiazzata, il suo discorso aveva preso una
piega molto diversa da quella che avevo immaginato e sicuramente meno
frivola. Anche io cercavo un incastro che funzionasse e non potei fare
a meno di chiedermi se, in qualche modo, saremmo riusciti a trovarlo
insieme, se sarei riuscita a lenire il dolore di quegli anni che gli
erano stati strappati via, prima dalla lotta contro il mago che i miei
persecutori così fedelmente veneravano e poi da quella lunga
ed
ingiusta prigionia.
Improvvisamente imbarazzata sentii l’urgenza di allontanarmi
da
lì e mi alzai trovandomi però, inspiegabilmente,
ancora
più vicina a lui che doveva aver sentito lo stesso
impellente
bisogno, a giudicare dalla lieve sfumatura di panico che gli aveva
attraversato gli occhi nell’istante in cui ci eravamo trovati
così vicini.
-Io ehm.. scusa.- mormorai, abbassando lo sguardo senza tuttavia
spostarmi di un passo.
-No, scusami tu, stavo andando in cucina a..- indugiò un
istante
e con una rapidissima occhiata vidi la sua fronte corrugarsi,-a
prendere un bicchiere d’acqua.-
Feci per spostarmi per farlo passare ma lui era andato nella stessa
direzione e ci scontrammo di nuovo mentre una risatina nervosa e
innaturalmente stridula faceva capolino dalla mia gola, più
che
dalle mie labbra.
-Sai una cosa? Te lo prendo io un bicchiere d’acqua.- tentai
di
costruirmi una buona scusa per allontanarmi velocemente e sfuggire a
quella strana tensione che si era venuta a creare ma proprio mentre
stavo per voltargli le spalle la sua mano si mosse veloce verso di me e
si adagiò, lieve, sul mio fianco.
-Stai chiudendo i
battenti anche adesso, non è vero?-
soffiò, serio, citando le parole che avevo usato qualche
minuto prima.
Non avrei saputo spiegare per quale ragione, ma portai le mie dita ad
intrecciarsi con le sue e fissai lo sguardo su di esse concentrandomi
sui lievi movimenti dei polpastrelli che di tanto in tanto si
sfioravano.
-Hannah.-
Voleva che alzassi lo sguardo, voleva che permettessi ai suoi occhi di
affondare di nuovo nei miei ma sapevo che ci avrebbe letto troppe cose
e troppo in profondità, sarebbe riuscito a scavare dentro
tutta
quella confusione che la sua vicinanza continuamente mi procurava e che
non avrei avuto via di scampo.
Lasciò andare la mia mano e sentii la delusione invadermi
finché non lo sentii sollevarmi il viso verso il suo ma io
continuai a tenere lo sguardo basso e lui, evidentemente,
rinunciò. Mi superò dopo avermi affibbiato un
buffetto
sulla guancia e un sorriso paziente e si recò in cucina.
Mi lasciai ricadere sulla poltrona e strinsi le labbra, contrariata. Mi
ero lasciata sfuggire l’ennesimo momento giusto.
-Hannah! Come sta tua zia?- qualsiasi cosa volesse dire Joanne,
chiaramente, mi era ignota così optai per un dignitoso
silenzio
nell’attesa che continuasse e mi desse qualche indizio in
più per rispondere mentre la mano che stringeva il cellulare
sudava tremendamente, neanche fossi tornata a dare esami
all’università.
-Jason mi ha detto che sei dovuta partire immediatamente per tornare a
casa dei tuoi, spero non sia nulla di grave.-
Così era quello il fantastico alibi che Jason mi aveva
fornito,
una vecchia zia moribonda che, per inciso, non avevo. –Oh,
non
preoccuparti, si rimetterà! Purtroppo però devo
restare
qui ancora qualche giorno, almeno finchè..-
Brava, Hannah, almeno
finché
cosa? La mia testa sembrava svuotata di qualsiasi capacità
di
inventare balle ma grazie al cielo Joanne continuò:-Non devi
assolutamente preoccuparti! Ho rimandato tutti i tuoi appuntamenti e
delle udienze che avresti dovuto avere si sta mano a mano occupando
Jason. E’ tutto sotto controllo.-
L’apprensione nella sua voce e quella dolcezza
così
spontanea mi fecero sentire una vera arpia per il modo in cui
l’avevo trattata qualche giorno prima e mi ricordai che non
avevamo ancora avuto occasione di chiarire.
-Jo senti io.. volevo chiederti scusa per l’altro giorno. Ho
esagerato, sono stata davvero sgarbata e non te lo meritavi.-
Nonostante non la vedessi sapevo perfettamente che stava sorridendo dal
tono di voce con il quale mi rispose.
-Va tutto bene, Hannah, se il capo non fosse un po’
sgradevole,
ogni tanto, di cosa potrei lamentami con le colleghe degli altri studi?-
Scossi la testa e sorrisi, era sempre la solita.-Non fa una
piega. Ora devo andare, Jo. Grazie della telefonata, ci vediamo presto.-
Chiusi il telefono mentre entravo nella stanza da letto e vidi Sirius
afferrare un cuscino e venirmi incontro per uscire dalla stanza.
-Dove vai?-
-A dormire in salotto.- rispose, ovvio, con un sorriso tranquillo
stampato sul volto.-Stai meglio, oggi, non c’è
bisogno che
dorma con te.-
-Lo dici come se fossi una bambina capricciosa, o peggio, come se ti
fosse dispiaciuto!- sbottai, guardandolo torva mentre mi superava.
-Non ho mai detto che mi sia dispiaciuto. Ma sulla prima parte non ho
obiezioni, vostro onore.-
Grugnii mentre usciva dalla stanza e feci per chiudere la porta quando
improvvisamente ci ripensai e con un sospirò mi ci poggiai
contro, fissando la sua schiena mentre sistemava i cuscini del divano.
-Dormi qui. E’ scomodo il divano.-
-Credi sia più comodo dormire con una che scalcia tutta la
notte come un cavallo?-
-Cosa?!-
-E per di più russi!-
-Io non russo! Goditi il tuo divano, mago dei miei stivali!- chiusi la
porta con un tonfo e marciai fino al letto per poi stendermi
imponendomi di dormire e reprimere l’istinto di tornare in
salotto e soffocarlo.
Dopo qualche minuto sentii la porta aprirsi e richiudersi e poi il
materasso abbassarsi.
-Vattene.-
-Santo cielo quanto brontoli.- sbottò cercando di nascondere
la sfumatura divertita che colorava la sua voce.
-Scalcio, russo e brontolo! Che ci stai a fare qui, allora?- lo sfidai
voltandomi e incenerendolo con lo sguardo.
-Perché sei anche maledettamente bella.-
Sgranai gli occhi, folgorata da quella affermazione appena sussurrata,
mentre lui mi carezzava la guancia, lento e delicato e sentivo tutto il
mio corpo tendersi verso il suo, desideroso di un contatto che una
manciata di centimetri ancora impedivano.
Stavamo sdraiati su quel letto come tante volte avevamo fatto, uno di
fronte all’altra, ma quella sera sembravamo i poli opposti di
una
calamita.
Schiusi le labbra per dire qualcosa ma restai in silenzio, temendo di
infrangere la magia dei nostri sguardi legati.
Fu lui a protendere il viso verso il mio, senza interrompere quel
contatto, e mi ritrovai a socchiudere gli occhi, aspettando di sentire
le sue labbra posarsi sulle mie.
Trascorsero istanti che mi sembrarono eterni prima che la sua bocca
incontrasse la mia in un bacio morbido e desiderato, pieno di affetto e
di complicità.
Non approfondì quel contatto, né lo
prolungò
abbastanza a lungo perché fossi io a farlo, ma
continuò
ad accarezzarmi il viso ed io mi sentivo creta tra le sue mani.
Qualsiasi cosa fosse scattata tra di noi non ero più capace
di
spegnerla e neanche avevo intenzione di provarci, perciò mi
avvicinai a lui intrecciando le gambe alle sue e baciandolo a mia
volta, senza fiato.
Il nostro secondo bacio fu più urgente e passionale e fu lui
a
spingere il mio corpo contro il suo premendo la mano sulla mia schiena
mentre le mie mani, un po’ tremanti per l’emozione,
si
chiudevano attorno al suo viso: quella situazione era tremendamente
strana e non riuscivo a definirci in alcun modo. Quei baci contenevano
l’emozione della novità ma aveva tutto il gusto di
una
complicità troppo profonda e radicata.
Posò la fronte contro la mia e ci ritrovammo entrambi a
respirare a fatica, ancora sconvolti da quell’inaspettato
turbinio di sensazioni.
-Credo che adesso tu possa..- fece una pausa e senza smettere di
stringermi lo vidi trattenere una risata.-Si, credo proprio che tu
adesso possa russare a scalciare quanto ti pare.-
Song: Your eyes - Alexz Johnson
Artwork: HilaryC