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Autore: Prinzesschen    27/06/2014    5 recensioni
Niente è mai come sembra ed Hannah Kane lo avrebbe imparato a sue spese. Tutto comincia con un curioso incontro sotto la pioggia, un cagnolone dal pelo nero ed arruffato sconvolgerà la vita della giovane avvocatessa colmando la solitudine di una casa sempre vuota e riscaldandole il cuore con un pizzico di inaspettata magia.
Un latitante, un evaso in cerca di redenzione per una colpa che non ha mai commesso e che gli brucia l'anima graffiando il suo cuore dall'interno e procurandogli ferite che solo una giovane ed insolita donna in carriera saprà curare.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sirius Black
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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furry love 8

Furry Love

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8. Your eyes are holding up the sky
Your eyes make me weak I don't know why
Your eyes make me scared to tell the truth
I thought my heart was bullet-proof
Now I'm just dancing on the roof

-Possibile che tu non abbia trovato di meglio?-
Eravamo in fuga ormai da quattro giorni e avevo spedito Sirius a racimolare lo stretto indispensabile, quanto a vestiario e cibo, a casa mia: tra i due era sicuramente il candidato migliore per certe spedizioni, considerate la sua capacità di rendersi invisibile, o meglio di disilludersi, come soleva correggermi severamente, e la mia, invece, incapacità di smaterializzarmi.
Sirius aveva anche fatto una serie di incantesimi affinché la casa disabitata che aveva scelto come nascondiglio continuasse a sembrare tale nonostante la nostra permanenza e speravo vivamente che funzionassero.
-Il coniglietto ti dona.- ribatté con un sorriso dispettoso indicando con un movimento del capo la mia t-shirt per poi concludere con una strizzatina d’occhio.
-Avrei preferito gli Stones.- abbassai lo sguardo sul piccolo roditore dalle orecchie lunghe che sorrideva sulle mie tette e automaticamente mi imbronciai come una bambina.
I primi due giorni della nostra permanenza in quella casa erano stati terribili, la paura aveva continuato ad aleggiare proprio sopra la mia testa come fosse la mia nuvoletta personale e il mio compagno di fuga sembrava, se possibile, più turbato del solito.
Il pensiero del pericolo che avevo corso a sua insaputa lo innervosiva parecchio e pensandoci bene non era poi così insensato come mi era parso inizialmente, in fondo ero l’unica persona che avesse al mondo.
-Sono felice di.. vederti sorridere di nuovo.- buttai lì, sperando che non approfondisse, e quando si voltò verso di me, smettendo di sparecchiare la tavola della cucina, mi ritrovai ad arrossire. Mi capitava raramente di arrossire o comunque di mostrare imbarazzo, era una debolezza che non amavo manifestare e che normalmente mascheravo dietro battute sarcastiche o risposte velenose.
-Anche tu sembri più serena, oggi.- rispose, dopo lunghi istanti di silenzio, raggiungendomi in salotto per poi accomodarsi sulla poltrona di fronte alla mia.
-Si, mi sto riprendendo.. o almeno credo. Spero solo che Jason abbia trovato una buona scusa, allo Studio, per giustificare la mia assenza.
A quel pensiero l’immagine di Jason solo ad affrontare suo padre e chissà quanti altri di quei Mangiamorte mi bloccò il respiro.
-Fossi in te non mi preoccuperei né per lui né per il lavoro. Quei bastardi se la cavano sempre e sono dei bravissimi produttori di alibi.- mi rassicurò, a modo suo, accorgendosi del mio stato d’animo e schioccando la lingua contro il palato.
-Lo spero.-
Erano le nove della sera e come spesso ci capitava in quei giorni di forzata prigionia, stavamo vicini e in silenzio; non era più sparito e mi sentivo un po’ un peso, un indesiderato impegno a tempo pieno. Gli avevo chiesto più volte di smetterla di preoccuparsi tanto ma non c’era stato verso di farlo schiodare da casa se non per qualche minuto, il tempo di materializzarsi a casa mia e tornare indietro.
-E così.. Jason rappresenta il tuo uomo ideale? Insomma.. capelli gellati, dentiera e tutto il resto?- chiese improvvisamente, con un sopracciglio sollevato e la braccia incrociate al petto. Era decisamente buffo e per poco non scoppiai a ridere.
-Non porta mica la dentiera!-
-Deve comunque aver portato l’apparecchio per l’equivalente di un’era geologica per avere quei denti.
-Riferirò che hai apprezzato il lavoro del suo dentista, Sirius.- scossi il capo, divertita, raccogliendo le gambe al petto e circondandole con le braccia.
-Non hai risposto alla mia domanda.- incalzò con tono pedante.
-No, non lo è. O per lo meno.. è l’uomo che ho sempre pensato di dover cercare, l’uomo perfetto.-
-Per te?-
-No, l’uomo perfetto e basta. Ha una carriera, è bello, brillante, profondamente rompiscatole come piace a me ma..- mi concessi qualche attimo per riflettere. Quali erano i miei “ma”? Perché Jason non era mai riuscito a conquistarmi davvero?
-Ma?-
-Ma non mi travolge.-
Mi rivolse uno sguardo confuso, senza dire una parola, gli occhi grigi ed attenti concentrati su di me. Era una strana sensazione quella che mi trasmettevano i suoi occhi incollati addosso, era come se mi leggessero dentro e quei piccoli contatti mi sembravano sempre così preziosi che sentivo l’istinto di prolungarli il più a lungo possibile.
-Io ho sempre pensato che l’amore, quello vero, non possa scindersi dalla passione. Ho sempre voluto un amore che mi travolgesse, un groviglio di cuore, occhi, mani e labbra che non mi lasciasse il tempo di pensare, di spaventarmi e richiudere i battenti. Perché è questo che faccio.-
-Mi sembra che lui le mani le abbia usate eccome e per quanto riguarda le labbra..-
-Non è questo. E’ diverso. E’ vero, lui mi attrae e mi a sentire desiderata, anche, ma aspetto ancora l’istante in cui il cervello si spengnerà, l’istante in cui smetterò di chiedermi se sono al posto giusto e con la persona giusta.- sospirai, consapevole di quanto folle fosse il mio discorso e mi stupii nel notare che invece lui sembrava aver capito, non c’era traccia di compassione, nel suo sguardo, per la mia instabilità sentimentale, piuttosto una sorta di empatia.- E tu? Com’è la tua donna ideale?-
-Penso che sia una gran stronzata, quella dell’ideale. O comunque con me non funziona.-
Risi vedendolo alzare gli occhi al cielo e guardare altrove, in difficoltà.-Sei stato tu ad iniziare, ti tocca!-
Sbuffò senza riuscire a trattenere un sorriso. -Non ho avuto relazione abbastanza durature o serie da poter capire quale sia il mio ideale di donna.-
Non potei evitare di infastidirmi pensando a come quella risposta evasiva potesse essere dovuta a chissà quante precedenti storie. Non ero la sua donna né niente di lontanamente simile ma la nostra convivenza andava avanti ormai da un po’ e una parte di me, nonostante la mettessi continuamente a tacere, non riusciva a sopportare l’idea che avesse avuto una simile intesa con chissà quale giovane strega, in passato: io non l’avevo mai avuta con nessun altro.
-E poi non ne ho avuto mai l’occasione. Finita la scuola la lotta contro Voldemort tra le fila dell’Ordine mi ha assorbito totalmente, ero troppo impegnato a sopravvivere per preoccuparmi di qualsiasi faccenda sentimentale. E poi Azkaban.. qualunque donna possa essere passata di lì di certo non rispecchiava un mio ipotetico ideale. Probabilmente quello che cerco è una persona che riempia i miei spazi vuoti.-
Le sue parole mi avevano spiazzata, il suo discorso aveva preso una piega molto diversa da quella che avevo immaginato e sicuramente meno frivola. Anche io cercavo un incastro che funzionasse e non potei fare a meno di chiedermi se, in qualche modo, saremmo riusciti a trovarlo insieme, se sarei riuscita a lenire il dolore di quegli anni che gli erano stati strappati via, prima dalla lotta contro il mago che i miei persecutori così fedelmente veneravano e poi da quella lunga ed ingiusta prigionia.
Improvvisamente imbarazzata sentii l’urgenza di allontanarmi da lì e mi alzai trovandomi però, inspiegabilmente, ancora più vicina a lui che doveva aver sentito lo stesso impellente bisogno, a giudicare dalla lieve sfumatura di panico che gli aveva attraversato gli occhi nell’istante in cui ci eravamo trovati così vicini.
-Io ehm.. scusa.- mormorai, abbassando lo sguardo senza tuttavia spostarmi di un passo.
-No, scusami tu, stavo andando in cucina a..- indugiò un istante e con una rapidissima occhiata vidi la sua fronte corrugarsi,-a prendere un bicchiere d’acqua.-
Feci per spostarmi per farlo passare ma lui era andato nella stessa direzione e ci scontrammo di nuovo mentre una risatina nervosa e innaturalmente stridula faceva capolino dalla mia gola, più che dalle mie labbra.
-Sai una cosa? Te lo prendo io un bicchiere d’acqua.- tentai di costruirmi una buona scusa per allontanarmi velocemente e sfuggire a quella strana tensione che si era venuta a creare ma proprio mentre stavo per voltargli le spalle la sua mano si mosse veloce verso di me e si adagiò, lieve, sul mio fianco.
-Stai chiudendo i battenti anche adesso, non è vero?- soffiò, serio, citando le parole che avevo usato qualche minuto prima.
Non avrei saputo spiegare per quale ragione, ma portai le mie dita ad intrecciarsi con le sue e fissai lo sguardo su di esse concentrandomi sui lievi movimenti dei polpastrelli che di tanto in tanto si sfioravano.
-Hannah.-
Voleva che alzassi lo sguardo, voleva che permettessi ai suoi occhi di affondare di nuovo nei miei ma sapevo che ci avrebbe letto troppe cose e troppo in profondità, sarebbe riuscito a scavare dentro tutta quella confusione che la sua vicinanza continuamente mi procurava e che non avrei avuto via di scampo.
Lasciò andare la mia mano e sentii la delusione invadermi finché non lo sentii sollevarmi il viso verso il suo ma io continuai a tenere lo sguardo basso e lui, evidentemente, rinunciò. Mi superò dopo avermi affibbiato un buffetto sulla guancia e un sorriso paziente e si recò in cucina.
Mi lasciai ricadere sulla poltrona e strinsi le labbra, contrariata. Mi ero lasciata sfuggire l’ennesimo momento giusto.

-Hannah! Come sta tua zia?- qualsiasi cosa volesse dire Joanne, chiaramente, mi era ignota così optai per un dignitoso silenzio nell’attesa che continuasse e mi desse qualche indizio in più per rispondere mentre la mano che stringeva il cellulare sudava tremendamente, neanche fossi tornata a dare esami all’università.
-Jason mi ha detto che sei dovuta partire immediatamente per tornare a casa dei tuoi, spero non sia nulla di grave.-
Così era quello il fantastico alibi che Jason mi aveva fornito, una vecchia zia moribonda che, per inciso, non avevo. –Oh, non preoccuparti, si rimetterà! Purtroppo però devo restare qui ancora qualche giorno, almeno finchè..-
Brava, Hannah, almeno finché cosa? La mia testa sembrava svuotata di qualsiasi capacità di inventare balle ma grazie al cielo Joanne continuò:-Non devi assolutamente preoccuparti! Ho rimandato tutti i tuoi appuntamenti e delle udienze che avresti dovuto avere si sta mano a mano occupando Jason. E’ tutto sotto controllo.-
L’apprensione nella sua voce e quella dolcezza così spontanea mi fecero sentire una vera arpia per il modo in cui l’avevo trattata qualche giorno prima e mi ricordai che non avevamo ancora avuto occasione di chiarire.
-Jo senti io.. volevo chiederti scusa per l’altro giorno. Ho esagerato, sono stata davvero sgarbata e non te lo meritavi.-
Nonostante non la vedessi sapevo perfettamente che stava sorridendo dal tono di voce con il quale mi rispose.
-Va tutto bene, Hannah, se il capo non fosse un po’ sgradevole, ogni tanto, di cosa potrei lamentami con le colleghe degli altri studi?-
Scossi la testa e sorrisi, era sempre la solita.-Non fa una piega. Ora devo andare, Jo. Grazie della telefonata, ci vediamo presto.-
Chiusi il telefono mentre entravo nella stanza da letto e vidi Sirius afferrare un cuscino e venirmi incontro per uscire dalla stanza.
-Dove vai?-
-A dormire in salotto.- rispose, ovvio, con un sorriso tranquillo stampato sul volto.-Stai meglio, oggi, non c’è bisogno che dorma con te.-
-Lo dici come se fossi una bambina capricciosa, o peggio, come se ti fosse dispiaciuto!- sbottai, guardandolo torva mentre mi superava.
-Non ho mai detto che mi sia dispiaciuto. Ma sulla prima parte non ho obiezioni, vostro onore.-
Grugnii mentre usciva dalla stanza e feci per chiudere la porta quando improvvisamente ci ripensai e con un sospirò mi ci poggiai contro, fissando la sua schiena mentre sistemava i cuscini del divano.
-Dormi qui. E’ scomodo il divano.-
-Credi sia più comodo dormire con una che scalcia tutta la notte come un cavallo?-
-Cosa?!-
-E per di più russi!-
-Io non russo! Goditi il tuo divano, mago dei miei stivali!- chiusi la porta con un tonfo e marciai fino al letto per poi stendermi imponendomi di dormire e reprimere l’istinto di tornare in salotto e soffocarlo.
Dopo qualche minuto sentii la porta aprirsi e richiudersi e poi il materasso abbassarsi.
-Vattene.-
-Santo cielo quanto brontoli.- sbottò cercando di nascondere la sfumatura divertita che colorava la sua voce.
-Scalcio, russo e brontolo! Che ci stai a fare qui, allora?- lo sfidai voltandomi e incenerendolo con lo sguardo.
-Perché sei anche maledettamente bella.-
Sgranai gli occhi, folgorata da quella affermazione appena sussurrata, mentre lui mi carezzava la guancia, lento e delicato e sentivo tutto il mio corpo tendersi verso il suo, desideroso di un contatto che una manciata di centimetri ancora impedivano.
Stavamo sdraiati su quel letto come tante volte avevamo fatto, uno di fronte all’altra, ma quella sera sembravamo i poli opposti di una calamita.
Schiusi le labbra per dire qualcosa ma restai in silenzio, temendo di infrangere la magia dei nostri sguardi legati.
Fu lui a protendere il viso verso il mio, senza interrompere quel contatto, e mi ritrovai a socchiudere gli occhi, aspettando di sentire le sue labbra posarsi sulle mie.
Trascorsero istanti che mi sembrarono eterni prima che la sua bocca incontrasse la mia in un bacio morbido e desiderato, pieno di affetto e di complicità.
Non approfondì quel contatto, né lo prolungò abbastanza a lungo perché fossi io a farlo, ma continuò ad accarezzarmi il viso ed io mi sentivo creta tra le sue mani.
Qualsiasi cosa fosse scattata tra di noi non ero più capace di spegnerla e neanche avevo intenzione di provarci, perciò mi avvicinai a lui intrecciando le gambe alle sue e baciandolo a mia volta, senza fiato.
Il nostro secondo bacio fu più urgente e passionale e fu lui a spingere il mio corpo contro il suo premendo la mano sulla mia schiena mentre le mie mani, un po’ tremanti per l’emozione, si chiudevano attorno al suo viso: quella situazione era tremendamente strana e non riuscivo a definirci in alcun modo. Quei baci contenevano l’emozione della novità ma aveva tutto il gusto di una complicità troppo profonda e radicata.
Posò la fronte contro la mia e ci ritrovammo entrambi a respirare a fatica, ancora sconvolti da quell’inaspettato turbinio di sensazioni.
-Credo che adesso tu possa..- fece una pausa e senza smettere di stringermi lo vidi trattenere una risata.-Si, credo proprio che tu adesso possa russare a scalciare quanto ti pare.-

Song: Your eyes - Alexz Johnson

Artwork: HilaryC

  
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