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Autore: Dira_    28/06/2014    7 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XLII



 
 
Many times I've walked the line
I've rolled the dice and questioned my life
And so I know how it feels when you have to start again
(Redlight King, Comeback)
 

San Mungo, Reparto Lesioni da Incantesimo.

Pomeriggio.
 
Essere un fratello di mezzo spesso significava avere una sorta di sesto senso. Nel caso di Albus era quasi una seconda natura.
E poi mi chiedono perché sia così impiccione. Hanno presente che razza di famiglia ho? È una chiamata alle armi continua!
Lily era infatti affacciata alla porta della stanza dove lui, povero Guaritore oberato di lavoro, stava controllando l’ultimo paziente del giro di visite serale, per fortuna senza la presenza castrante di Smethwyck.
È andato ad appestare di noia Achille, ringraziando Morgana.
“Ehi.” La salutò senza distogliere gli occhi dalla cartella medica. “Oggi non sei di riposo?”
“È tutta l’estate che sono di riposo … se vengo, sono straordinari. Ma sì, in effetti, oggi non ero richiesta.” Convenne indicando il leggero vestito a fiori che indossava. Fuori doveva far caldo. Chissà se sarebbe riuscito a prendersi un gelato da Fortebraccio prima di tornare a casa.
Senza che Mei lo scopra … Mai rovinarsi la cena con un dolce.
“Quindi?” Alzò lo sguardo per trovarla a giocherellare con una ciocca di capelli come se da essa dipendesse le sorti del mondo. Stesso livello di impegno. “È successo qualcosa?” Indagò perché tanto quello gli era richiesto.
Lily si strinse nelle spalle con fare vago. “Un mucchio di cose.”
Non era una risposta soddisfacente, decise, dedicandole l’attenzione che l’altra ovviamente desiderava da come lo graziò di una smorfietta compiaciuta. “Sto lavorando, non ne possiamo parlare dopo?”
“Ce la fai ad aspettare?” Continuò a stuzzicarlo sedendosi sul bordo del letto, dove un povero Signor Myers stava scontando gli effetti di uno Schiantesimo che gli si era ritorto contro durante un litigio con il fratello.

Come ti capisco, vecchio mio. Come.
“È come uno Kneazle che si morde la coda. Mi date del ficcanaso e poi siete sempre qui a raccontarmi le vostre faccende.” Si lamentò un po’ sterile, perché quel ruolo gli era sempre calzato come una divisa di Quidditch fresca di lavaggio.  
Lily aggrottò le sopracciglia. “Perché uno Kneazle dovrebbe fare una cosa così stupida? Mica è un gatto!”
“Hai capito che intendo.”
“Sì, ma mi diverte farti saltare i nervi … Capita così di rado di poterti molestare, Mister Imperturbabilità!” Lo canzonò con una traccia di affetto che non riuscì a non indorargli la pillola.

Lily, fino alla tomba, sarebbe sempre stata in grado di fargli andare giù le pozioni più amare con un semplice sorriso. Ci sapeva fare.
“Non è imperturbabilità, è maturità emotiva. Saresti stata una splendida Serpeverde sorellina, se ne avessi mai posseduta un briciolo.” Replicò sulla stessa linea, firmando la cartella e rimettendola a posto. Godendosi il broncio dell’altra, e il punto segnata – Pluffa al centro – Appellò una sedia e si si sedette.
Niente di meglio che una stanza piena di pazienti esanimi per una chiacchierata.
“Forza, che succede?” La incoraggiò.
“Non lo dico a te perché sei speciale.” La prese alla larga. “Ma perché avrei voglia di dirlo a tutti ma ancora non posso. Sei solo una scelta sensata.”
“Grazie…?” Incrociò le braccia al petto confuso. “Hai deciso di andare in Australia?”
Perché se è così Scott è appena diventato la persona più odiosa del pianeta.

Poteva essere un gran bravo ragazzo, ma non se rapiva sua sorella per portarla in mezzo ai canguri.
Lily scosse la testa. “Con Scott è finita. Io e Sören ci siamo messi assieme.”
Ah!
“Ah.” Ripeté tentando di fingere sorpresa con una punta di preoccupazione, visto che era ciò che ci si aspettava da un fratello maggiore pienamente investito nel ruolo. “Grandi cambiamenti quindi.”
Peccato che Lily fosse una delle poche persone capace di leggerlo come un libro aperto. “Albie falla finita, lo so che sei contento.”
“Devo esserlo?”
Gli venne risposto con un sogghignetto saccente. “Penso di sì visto che hai una cotta per Ren e cerchi di inserirlo nella nostra famiglia da quando è arrivato.”
“Non ho…” Si schiarì la voce. Era una fortuna che lui e Tom non fossero davvero connessi telepaticamente come la maggior parte dei loro amici sosteneva.

O stanotte avrei dormito nel canestrino di Zorba.  
“… mi è simpatico.” Rispose fiaccamente. 
“Tranquillo, non sono mica gelosa, lo divido volentieri!” Ribatté Lily con l’aria di divertirsi un mondo. Poi tornò seria. “Anche perché se c’è una cosa di cui ha bisogno, è avere amici. Ed io non riesco più a ricoprire quella posizione al cento per cento. Ho altri compiti adesso.”
“Risparmiami i dettagli grazie.”
Con sua sorpresa l’altra arrossì. Non era da lei insinuare e poi ritrattare per timidezza. Quel Prince ci sapeva fare. O forse, aveva davvero catturato il cuore della sua incostante sorellina.

Ha giocato sulle lunghe distanze ed ha vinto. Chapeau.
“Sono contento che siate riusciti a risolvere.” Aggiunse dandole un leggero colpetto alla caviglia con la punta del piede. Un po’ per stuzzicarla, un po’ per simulare un abbraccio che al momento era troppo pigro per dare.
Non posso alzarmi … proprio no. Le poltrone per i visitatori del San Mungo sono le più comode del mondo.
“Sì, sono contenta anch’io.” Abbozzò un mezzo sorriso. “Penso che chiunque se lo aspettasse tranne noi due.”
“Più o meno.” Confermò con una scrollata di spalle. “C’era un po’ questo enorme elefante rosa di cui nessuno voleva parlare, ma era difficile non notarlo. Sören poi non fa granché per nascondere quanto sia perso di te. Anzi, mi è sembrato strano che tu non te ne sia resa conto prima.”
“I miei poteri non funzionano quando sono coinvolta anch’io. E poi, non c’è più cieco di chi non vuol vedere … non ammettevo i suoi per non ammettere i miei.” Sospirò continuando a giocherellare con la bistrattata ciocca. Quasi si aspettava di vedergliela infilare in bocca, come quando era piccola. Ma non erano più bambini.

Ma ci comportiamo ancora come tali. Specialmente quando si parla di cuore.
Irragionevoli bambini.
“Bella fregatura.” Replicò tirandole la piuma che usava per scrivere sulle cartelle. “Oppure comoda, a seconda dei punti di vista suppongo. Farsi corteggiare non è male, vero?”
Lily la prese e gliela tirò di nuovo contro. “Se non mi fossi comportata da idiota miope forse le cose non sarebbero andate altrettanto bene.”
“Ah sì?”
Gli venne risposto con una linguaccia. “Sì, e non accetto consigli da chi ha avuto una sola relazione in tutta la sua vita!”
“Non conta la quantità, cara sorellina, ma la qualità.” Le fece notare chiudendole la bocca con soddisfazione. “Ma sono contento. Per te e per Sören. Siete strambi, ma del genere strambo che si compensa. Andrete a gonfie vele.”
Da come gli sorrise sollevata, intuì che era quello che Lily aveva aspettato di sentirgli dire per tutto il tempo. “Credi a quel che dici o sei solo contento di aver vinto una scommessa con Tom?” Gli domandò infatti. “Perché ne avete una in corso, non mentirmi.”

Ridacchiò. “Non posso essere entrambi?” Tornò serio, perché dietro le frecciatine sua sorella gli stava chiedendo un parere vero. E poteva capire le sue riserve: al di là di tutto, Sören Prince non era il ragazzo perfetto, modello Scott Ross, proprio per niente.
Semmai è il suo estremo. Bravo ragazzo, ma non proprio brava persona.
E questo genere di maghi sono un po’ la mia specialità.
“Mettiamola così … Se trovi qualcuno che pensa che qualsiasi cosa dici o fai è degna di nota, e nonostante questo ritiene che tu sia un po’ idiota … beh, è quello giusto. Non sarà facile, sorellina, non ti addolcisco la pozione … ma credo che ne varrà la pena. Faccio il tifo per voi.”
Lily si mordicchiò un labbro con quell’espressione magnifica che a volte avevano le ragazze, e che davano un senso a tutta la faccenda dell’amore eterosessuale. “Sören a volte pensa che sia un po’ idiota.”

Allargò le braccia in un abbraccio che era davvero troppo stanco per elargire. “Congratulazioni allora, hai trovato il tuo principe azzurro. Non lasciartelo scappare.”
Lily a questo si rabbuiò appena. “Quello non dipende da me … Lo sai che papà e compagnia bella vogliono rispedirlo in America.”
“Nessun cambiamento quindi?”

“Forse.” Esitò. “Non ho capito molto, ma pare che lui e Tom abbiano trovato il castello dei Prince e che papà stia per organizzare un attacco in piena pompa magna Auror.”
“Ah. Ma dai.”
Tom è riuscito a ricomporre la mappa? E non mi ha detto niente?!

“Tommy si è scordato di renderti parte della cospirazione di cervelloni eh?” Indovinò Lily, dannata piccola LeNa. “Ops.”
“Ne pagherà le conseguenze.” Replicò sereno, perché poche cose gli davano più gioia di avere un motivo per mostrarsi offeso. “Comunque … Sören è andato con la squadra?”

“Lo spero. Significherebbe che ha più possibilità di rimanere.” Esitò. “… e ovviamente non lo spero, perché si tratta pur sempre di un assalto. E ci sarà John Doe in quel castello.”
Il tono in cui lo disse era leggero, ma non poté evitare di irrigidirsi e impallidire. I brutti ricordi rimanevano tali anche dopo anni, anche se si diventava coraggiosi. Smettevano solo di far paura. Almeno un po’.
Si alzò e gli tese quindi la mano. “Dai, ho finito il mio giro di visite per oggi. Vieni ad aspettare il tuo principe a casa con me.”

Lily la prese tirandosi su. “Hai intenzione di maltrattare Tom e metterlo in imbarazzo?”
“E prepararti il the migliore del mondo. Come puoi rifiutare?”
Gli passò un braccio attorno alla vita e così uscirono dalla stanza. “Hai ragione, non posso proprio.”
 
****
 
Ministero della Magia, Dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia.
Ufficio Auror, Pomeriggio.
 
“Ti devo ringraziare.”
“L’hai già fatto tre volte. Basta.”
“Veramente ho soltanto tentato.” Le fece notare quell’insopportabile maghetto continentale che aveva avuto la sfortuna di conoscere, apprezzare e di cui disgraziatamente era ancora un po’ innamorata.

Ama alzò gli occhi al cielo, stringendo le cinghie posteriori del corpetto anti-incantesimo di Sören, un prestito dell’ufficio Auror.
“Fa’ lo stesso.” Tagliò corto. “Se devo esser franca, non pensavo che il Gran Capo ti desse l’okay.” Ammise mentre l’altro si voltava e provava vari movimenti per vedere se fosse aderente al punto giusto. Fece un piccolo cenno  d’approvazione e poi le sorrise. “Lo hai convinto tu.”
“Sì, ma non pensavo di riuscirci.”
“Appunto. Grazie.”
Gli rifilò un pugno sulla spalla, che l’altro non schivò proprio per farle dispetto. Si massaggiò infatti il punto colpito e le restituì una faccia da schiaffi.

Comunque era rimasta sorpresa sul serio quando Harry Potter in persona, arrivato durante l’alterco tra lei e il Sergente Weasley, che caparbiamente aveva deciso che Sören non sarebbe mai stato della partita, era intervenuto.
 
“Sergente Gillespie, c’è qualche problema?” L’aveva richiamata facendola scattare sull’attenti. Quell’ometto mite e non molto alto aveva un tono di voce e un atteggiamento che facevano a pugni con il suo aspetto.
Forse era quello a renderlo il mago leggendario che era.
“No, Signore.” Aveva scosso la testa. “Il Sergente Weasley ed io stiamo discutendo se far partecipare o meno l’agente Prince.”
“Non se ne parla, è un civile su suolo britannico. Non mi prendo questa responsabilità!” Non che avesse avuto tutti i torti; se Sören fosse stato ferito, a passare i guai sarebbero stati i suoi superiori.

Ovvero noi due, in ugual misura.
Harry Potter aveva assunto l’aria di chi stava riflettendo. Aveva guardato verso Sören, che distava da loro la distanza necessaria a fingere, male, di non star ascoltando. “Agente Prince.” L’aveva richiamato e questo era scattato come una molla, palesando quanto in realtà fosse partecipe della conversazione.
Idiota.
“Comandi.” Aveva detto affiancandolesi. In uniforme o meno, bisognava ammetterlo, sembrava più marziale di tutti loro messi assieme.
“Vuoi partecipare all’incursione?” Gli aveva chiesto diretto e senza troppi giri di parole.
“Sissignore.”
“Sarà una vendetta personale?” All’espressione confusa di Prince il mago aveva aggiunto. “Rispondimi in maniera sincera. Devo sapere se sarai un elemento imprevedibile o un supporto valido alla mia squadra.”
Sören aveva avuto una lieve esitazione, chiara a tutti e soprattutto a lei. “Non cerco vendetta, Signore. Ma è personale, sì.” Aveva ammesso senza abbassare lo sguardo.
Idiota. E onesto. Sei davvero migliore di me.
Il Sergente Weasley aveva emesso un profondo sospiro. “Non fraintendermi ragazzo, ti capisco, ma è il motivo per cui non puoi venire.” Si era voltato verso il proprio superiore. “Harry, non possiamo avere in giro un ragazzino dalla bacchetta facile. Sarà un arresto, questo, non un’esecuzione.”
Sören aveva serrato la mascella senza rispondere. A quel punto, era inevitabile, era toccato a lei. “Per l’agente Prince è personale, ma lo è anche per la maggior parte delle persone coinvolte.” Aveva esordito con calma, che lì andava mantenuta sul serio. Sören era un fascio di nervi palpabile e si stava palesemente costringendo a non aprire bocca. “La Thule ha rovinato le vite di molte persone. La vostra … la mia. John Doe ha ucciso mio padre.” E la morte Jeremiah Gillespie era il motivo principe per cui era entrata in polizia. Se non era quella, un’agenda personale. “Ma ciascuno di noi confida nel fatto di mantenere il sangue freddo quando l’occasione di averlo a portata di mano si presenterà. Siamo agenti, non vigilantes.”
Harry Potter le aveva rivolto un’occhiata lunga e scomoda. Era come se gli stesse leggendo dentro, il che poteva pure essere dato che c’era la leggenda metropolitana secondo cui fosse il Legimante più dotato dell’intero Mondo Magico. “Non hai tutti i torti.” Aveva detto. “L’agente Prince sarà sotto la tua responsabilità, Sergente.” Aveva aggiunto tornando ad ordini e forma, cosa che l’aveva tranquillizzata molto. Il piglio familiare con cui veniva condotto quell’ufficio la destabilizzava.  
“Sissignore.” Aveva ribattuto, ignorando l’espressione trionfante del suo assistito. Quello o sarebbe stata costretta a prenderlo a calci.
 
“Siamo pronti ad andare.” La riscosse il tedesco indicando l’assemblamento di Auror, pronti a prendere una Passaporta che li avrebbe portati ad un tiro di distanza dal maniero dei Prince.
Odio le Passaporte.
Forte di quel pensiero lo afferrò per il bavero del corpetto. “Se ti metti nei guai o sparisci dal mio raggio visivo giuro che te la faccio scontare. Con gli interessi.” Sibilò, che terrorizzarlo era una buona strategia per tenerselo incollato al sedere. “Non un passo senza che io lo autorizzi, neanche per andare in bagno, ricevuto?”
“Sissignore.” Prince annuì con l’aria di aver capito la serietà della minaccia. Era anche impallidito.
Eccellente.
“E adesso andiamo a fare quel che sappiamo far meglio.” Gli diede una pacca sulla spalla. “Prendere i cattivi.”
 
Era felice di essere sotto il comando del Sergente Gillespie: forse come civili non sarebbero mai riusciti ad intendersi del tutto – temeva soprattutto per colpa sua – ma come agenti erano da tempo parte dello stesso meccanismo oliato.
Mi fido di lei. E lei si fida di me.
Si avvicinarono così all’assemblamento di agenti britannici e fu immediatamente salutato da un sorridente Scorpius.
“Dei nostri?”
“Dei vostri.” Confermò.
“Grande!” Gli strizzò una spalla. A ciascuna squadra venne assegnata una Passaporta, e così si avvicinò alla ruota di un automobile giocattolo che era toccata alla sua vecchia squadra.

“Prince, sei tornato.” Attestò Potter con una smorfia incomprensibile. Non riusciva a capire se fosse di sorpresa o fastidio. Forse entrambi. “Ti siamo mancati così tanto?”
“Tu no.” Rispose a tono, facendo ridacchiare tutti, compresa Ama che si premurò però di rifilargli una gomitata nelle costole.
“Cerchiamo di evitare i momenti da asilo.” Li ammonì afferrando la Passaporta. “E parlo a tutti.”
“Speranza inutile Sergente, ma una stellina per averci provato.” Commentò allegro Scorpius rimediandosi una serie di occhiate esasperate, ma allentando anche la tensione che circondava tutti come uno spesso guanto di cuoio.

Ci siamo. Stiamo per prenderli.
Sören fu l’ultimo a toccare la Passaporta e poi, al segnale convenzionato, sentì il famigerato e poco apprezzato gancio all’ombelico mentre il mondo prendeva a girare come una trottola impazzita.
Pochi secondi dopo si trovarono in caduta, per fortuna non libera, su quello che era un tipico paesaggio inglese: colline brulle e altre ricche di una fitta vegetazione boschiva, un fiume color piombo (il fiume della mappa) e lontano la silhouette di una città Babbana grigia e sabbia.
Così questa è la casa dei miei avi.
Era un bel posto dove crescere, pensò, e fu un pensiero rapido, come abbastanza rapidamente si stava avvicinando alla terra ferma. Atterrarono in quello che sembrava un pascolo non utilizzato e Sören saltò in piedi solo per cercare con lo sguardo il proprio Sergente, che era a terra e piuttosto dolorante.
“Tutto bene?” Le chiese aiutandola ad alzarsi. Questa rifiutò la mano e lo guardò male. Ricevuto il messaggio, la lasciò alzarsi da sola per non trovarsi la mano amputata.
“Detesto le Passaporte.” Borbottò. “Mai stata brava nella fase di atterraggio.”
“È perché non hai mai cavalcato un Thestral … Allora sì che le apprezzeresti!” Replicò Scorpius spazzolandosi i pantaloni mentre Potter e Jordan scendevano poco distanti con l’aria di chi lo faceva da una vita. “Anche la mia fidanzata le eliminerebbe dalla faccia della terra.”
“Io e la tua fidanzata andremo d’accordo.” Sbuffò Ama facendo un cenno al Sergente Weasley che era spuntato dal retro della collina alla cui base erano finiti. “Ci siamo tutti.” Gli comunicò.

L’uomo diede un’occhiata sommaria al gruppo. “Bene. Raggruppiamoci!”  
Sören si inserì nel folto gruppo di Auror, circa una ventina tra maghi e streghe, mentre il Sergente Weasley, evitando Sonorus di sorta, parlava con voce chiara ma naturale. “Gli Spezza Incantesimi stanno lavorando sulle barriere.” Esordì. “La mia squadra sarà quella di sfondamento, le altre due accerchieranno il perimetro.” Si rivolse all’altro team rimasto a parte il loro. “Sergente Stump il vostro compito, una volta Disilluso il Castello, sarà di cercare i maghi e le streghe tenute in ostaggio … Ricordatevi che sono malati, e se possibile, non vanno avvicinati. Devono essere messi in sicurezza in attesa della squadra medica dal San Mungo. Agente Potter, la vostra squadra sarà di appoggio a quella del Sergente Stump.”

“Ricevuto.” Rispose l’interpellato che tra tutti loro era quello che deteneva più anzianità, ad eccezione di Ama che però rimaneva, gradi a parte, un’osservatrice.
Sören, dato che era una decisione razionale, tentò di non provare delusione all’idea di esser relegato come saggina di scorta;  dopotutto sin dall’inizio la squadra a cui era stato assegnato contava agenti che avevano al massimo un paio di anni di servizio alle spalle. 
E non abbiamo neppure un supervisore.
Ad occhio, parevano anche i più giovani.
Il Sergente Weasley interruppe il suo discorso per controllare lo specchio Comunicante che aveva in tasca. “Gli spezza-incantesimi hanno finito. Conoscete le consegne. Squadre in posizione.”
Sören seguì quindi quella capitanata da Potter, che per l’occasione sfoggiava un atteggiamento professionale, bizzarro su una faccia da schiaffi che sembrava disegnata per farlo sembrare come se stesse sempre per prenderti in giro. Sorpassata la collina poté vedere, infine, il castello.

Era come se l’era immaginato: di pietra grigia, dello stesso colore del cielo, piombo scuro su una distesa di erba che nascondeva parte del primo piano. Decine di torrette, le molte delle quali erano crollate o erano state corrose dal vento e dalle intemperie. Tetti di ardesia sfondati e finestre cieche. Era poco più che un rudere ormai eppure manteneva ancora una traccia dell’antico splendore.
O forse sono io che ce la voglio vedere.
“Bello. Messo male, ma bello.” Commentò Malfoy quasi avesse indovinato il corso dei suoi pensieri. “Medievale … roba normanna, sicuramente.” Gli lanciò un’occhiata. “C’eri mai stato?”
“No.” Rispose sentendosi inspiegabilmente in colpa. Fino a poco tempo prima neppure sapeva di possederlo, eppure si sentiva in parte responsabile di quel decadimento. Una volta doveva esser stata una magione magnifica, una dimora da re. “La generazione di mio padre è stata l’ultima ad averlo abitato.”
“Beh, quando tutto questo sarà finito tornerà in tuo possesso … Cioè, già c’è, ha solo un problema di occupazione abusiva.” Esitò. “Battutaccia?”
Gli sorrise per mostrargli che non se l’era presa, ma non commentò.
Ha ragione.
Quella era la casa natale della parte di famiglia in cui si riconosceva, a cui guardava quando sentiva che l’influenza di suo zio ancora gli corrodeva l’animo.
Guardare quelle rovine era sentirsene parte e sperare che, nonostante tutto, fossero ancora buone a qualcosa.
È casa mia. E Johannes … mia madre … me l’hanno rubata.
Sì, avere un obbiettivo cancellava tutta l’ansia e il malessere che aveva provato fino a quel momento.
È casa mia. Devo riprendermela.
Considerazioni a parte, era arrivato il momento di entrare in azione: seguì in silenzio la squadra costeggiare il perimetro del castello e poi tagliare all’interno della macchia boschiva che si sviluppava selvaggia tutta attorno, chiudendolo in un abbraccio serrato. In molti punti le mura difensive, rese visibili dagli Spezza Incantesimi, erano crollate, inghiottite dalle sterpaglie.
Il Sergente Stump, una donna dall’aria volitiva, un po’ smorzata dai capelli di un brillante color rosa si fermò, facendo il cenno convenzionato per farsi imitare. “Passiamo di qui.” Fece andare avanti un altro auror che con la bacchetta si accertò non fossero rimasti incantesimi che avrebbero allertato gli occupanti del castello. “Agente Malfoy … L’uscita sul retro?”
“Ci dovrebbe essere l’uscita dalle cucine.” Considerò questo facendo un passo avanti. “Di solito si trovano lontane dal maschio centrale … in questo genere di castelli sono vicine alle stalle, cortile esterno.” Fece qualche rapido calcolo mentale e si mise in testa. “Per di qua.”
“Sa dove sta andando?” Gli chiese a bassa voce Ama, che da americana era comprensibilmente confusa e in allerta.

“Sì.” La rassicurò. “Scorpius è Purosangue, ha abitato in castelli simili a questo da quando è  bambino, li conosce bene.”
La strega fece un cenno di assenso e continuò a camminare. Il silenzio in cui erano immersi, e il sole che stava calando illuminando tutto d’oro e d’arancione davano un’atmosfera surreale alla scena, quasi fiabesca avrebbe detto Lily.

Tra poco sarà buio.
Punto positivo se volevano entrare senza esser visti.
Attraversarono in fila serrata l’erba alta che occultava quello che una volta doveva esser stato un giardino, a giudicare dal rudere di una gigantesca fontana circolare ormai secca e piena di rovi, e tagliarono lungo una delle torri arrivando così ad una serie di assi che dovevano mimare una porta, chiusa in più giri di catena.
“È qui Malfoy?” Si informò la strega.
“Mi mangerei il cappello a punta che al momento non ho.” Rispose quello beccandosi uno scappellotto da Potter. “Sì, questa è l’uscita dalle cucine.”
Sören rimase in disparte mentre due Auror della squadra principale cominciarono a lavorare sulla serratura. Il castello era silenzioso e, in apparenza, disabitato.
“Ci siamo.” Disse il Sergente Stump. “Malfoy, rimani vicino a me e bacchette alla mano. Non sappiamo cosa ci aspetta là dentro.”
Io sì.
Per questo si assicurò di avere la presa salda.
 
****
 
Diagon Alley, Casa di Al e Tom.
 
Una volta Loki, in vena di lepidezze causa troppe whiskey incendiari bevuti,  gli aveva chiesto perché lui e Albus non avessero ancora stretto il nodo nuziale.
Tom, oltre a augurargli una morte prematura per cirrosi epatica, non gli aveva risposto, ma in cuor suo conosceva il motivo.
Perché già lo siamo.
Non servivano riti magici o un prete blaterante in salsa Babbana. Lui e Albus erano come una coppia sposata perché solo un appartenente alla suddetta avrebbe capito che la propria metà era infuriata da quel che c’era a cena.
“Bentornato!” Lo salutò con un sorriso, mentre a tavola facevano mostra di sé disgustosi cartocci unti di patatine, pesce fritto e il temibile kebab. Oltre a questo Lily e Meike erano lì, con due sorrisetti identici e famelici, pronte a carpire il minimo segnale di discussione.
“Io questa roba non la mangio.” Offrì diplomatico, scervellandosi sul motivo per cui l’altro si era vendicato in modo così crudele.
“Allora muori di fame.” Replicò sereno il compagno sedendosi e servendosi generosamente di patatine fritte che innaffiò con una quantità imbarazzante di salsa all’aglio. “A proposito, la dispensa è vuota e i biscotti sono finiti.”
È decisamente incazzato con me.
Mantenendo un’espressione neutra – anche se Cagliostro drizzò il pelo al suo passaggio – optò per una dignitosa ritirata in salotto. Lily mise il broncio quasi si fosse aspettata di meglio.
Va’ a teatro se vuoi uno spettacolino.
C’era stato un tempo in cui le persone evitavano i suoi malumori temendoli come tempeste improvvise.
Anche se, a pensarci bene, quel consesso contava gli unici tre che se ne erano sempre abbondantemente fregati.
Oh, fortuna.
Si ritirò quindi nell’unico punto della casa che non puzzasse di fritto, fingendo di voler riordinare la nuova-vecchia collezione di vinili che aveva iniziato qualche anno prima, complice la vicinanza con negozi specializzati nella Londra Babbana. Ovvio a dirsi, neanche cinque minuti dopo Al entrò con le mani sui fianchi, chiara impronta genetica di nonna Molly.
“Beh?” Lo apostrofò.
Non c’è riposo per i malvagi.
“Cosa?” Chiese pulendo con un panno The Queen is Dead dei The Smiths con l’attenzione che riservava ai suoi oggetti più preziosi e complici nell’evitargli di alzare lo sguardo e scontrarsi con le iridi giudicanti del compagno.  
Al sbuffò come se detenesse tutte le ragioni del mondo. E, purtroppo, in quella casa era così. Il più delle volte. “Castello dei Prince.” Scandì.
… ah. Già.
Si era totalmente dimenticato di informarlo di quella insperata svolta di eventi, nonostante Al ne fosse stato il fautore principale, spronandolo a dargli una mano con la mappa dopo averla recuperata con le lusinghe – e circonvenzione di incapace se chiedevano a lui – dalle mani degli auror.
“Mi è passato di mente.” Sì, c’era decisamente un graffio sul lato B. Avrebbe dovuto riportarlo al venditore e pretendere il giusto risarcime…
Gli arrivò un cuscino in testa che sfiorò pericolosamente il disco. Gli lanciò un’occhiataccia che fu fieramente sostenuta.
“Come ha fatto a passarti di mente?! Questa storia occupa ogni angolo del nostro tempo libero da settimane! Idiota!”
“Non insultarmi.”
“Ti descrivo!”  

“C’era bisogno di me in bottega.” E non era una scusa. Non del tutto. “Un tedioso imbecille è entrato accusandoci di avergli danneggiato la bacchetta durante la riparazione e se n’è andato solo quando gli abbiamo promesso di lavorarci ancora.” Soffocò il fiotto di collera che provò al riaffiorare del ricordo. Quel lavoro, Stevens glielo diceva sempre, era una buona palestra sulla tolleranza.  
Un lampo di comprensione passò nello sguardo di Al. Ne approfittò biecamente. “Sono riuscito ad allontanarlo a parole stavolta.” Aggiunse.
“Non l’hai spedito fuori a colpi di fattura? Ammirevole.” Un piccolo sorriso lo ricompensò della velocità con cui aveva colto la debolezza nella sua corazza. “Non riuscirò mai a capire perché Rupert ti lasci parlare con i clienti … Sei un disastro nelle pubbliche relazioni.”

“Ho scelto questo lavoro proprio per non preoccuparmene.” E entrambi sapeva che se avesse voluto avrebbe potuto essere il contrario. I suoi geni e non ultima, la sua anima, lo avevano dotato di una naturale capacità di persuasione.
Preferisco usarla per portarti a letto e farti dimenticare che vuoi farmi la pelle.
L’adolescenza che aveva passato – e la serie di sfortunati eventi che l’avevano costellata – gli avevano fatto passare ogni delirio di onnipotenza: preferiva di gran lunga una ponderata e serena avversione per il consesso umano.  
“Sì, ma in questo momento non sei in bottega … ma con me, quindi preoccupati.” Lo stuzzicò sedendoglisi accanto. “Sul serio, come ha fatto a passarti di mente?”
“Cercavo di non pensarci.”
Aggrottò le sopracciglia confuso, ma poi capì. Capiva sempre per fortuna. “Sei preoccupato?”
“No.”
“Provaci ancora.” Sbuffò. “Stavolta convincimi però.”
Non gli rispose. Nella vittoria del momento si era esaltato all’idea di aver finalmente scoperto il covo del Demiurgo, certo. Dopotutto era il motivo per cui aveva accettato di aiutare Al in quella faccenda in prima istanza: fare scacco matto ai cattivi e vincerà la partita con la forza del loro ingegno.    

Ma adesso siamo alla resa dei conti. E tanto può andar storto.
“Cosa succede ad un nido di vespe quando vai a stuzzicarlo?”
“Non mi sono mai posto la domanda … era Jamie l’idiota che veniva quasi punto a morte perché pensava di trovarci il miele.” Gli sorrise. “John Doe è un cane sciolto, non ha più la Thule a parargli il sedere. Lo arresteranno e sarà finita.”
Anche l’altra volta pareva fosse finita.  
Preferì non dire niente però, che era una conversazione sterile perché da quel punto di vista lui e Albus la pensavano in modo diverso. Al aveva una perenne, e a volte un po’ irritante, fiducia nella forze del bene, nel concludersi della storia con un ‘e tutti vissero felici e contenti’ …
Io no.
Per quanto lo riguardava, ‘il felici e contenti’ delle fiabe non era che una stortura della realtà, dove le parentesi di serenità erano parentesi, appunto. Non se la sentiva però di obiettare. Del resto quell’intaccabile fede era uno dei lati che più amava di Albus Severus Potter. Lo illuminava da dentro, e Merlino solo sapeva quanto il mondo avesse bisogno di quella luce.
Di quanto io ne abbia bisogno. Mi riesce così facile inciampare nel buio…
“Uno zellino per i tuoi pensieri.” Lo richiamò all’attenzione. “Va tutto bene?”
“Sì.” Scrollò le spalle ma quando l’altro gli passò le dita trai capelli buttò fuori un inevitabile sospiro.
“Sono preoccupato anch’io. C’è pur sempre un pezzo della nostra famiglia là in mezzo.”
Accettò la diversione. “Mai stato così felice di essere adottato, se si parla di James.”

“Già … a volte mi chiedo se i miei non l’abbiano rubato ai Troll di montagna.” Gli passò un braccio attorno alla vita e gli posò la testa su una spalla. Rimasero qualche minuto così, ascoltando le chiacchiere intellegibili di Lily e Meike provenire dalla cucina.
“Sono contento che questa volta siano gli altri a prendersi meriti … e la prima linea.” Disse dopo un po’, strofinandogli il naso contro la stoffa della maglietta. “Ne abbiamo avuta abbastanza per un paio di vite, vero?”
La crisi era rientrata quindi poteva finalmente fare la cosa che più gli piaceva. Prenderlo in giro.
“Ma come, non sei un Potter? Dovresti esser fuori con i tuoi valorosi parenti a combattere le forze del male.”
“Crepa.” Gli morse la spalla con un filo di ragione. Accettò. Anche perché era tutto fuorché spiacevole.

“No.” Gli tirò una ciocca di capelli per allentare la presa della dentatura  sulla sua povera pelle. “Prometto che al prossimo casino ti consegnerò impacchettato a tuo padre con l’assicurazione che ti impiccerai in ogni modo possibile.”
“Ho fatto bene a lasciarti digiuno.” Sbuffò puntellando il mento sulla clavicola, dove faceva più male. “Cambiando discorso, mia sorella si è messa con tuo cugino.” Aggiunse estemporaneo.
Tradusse parentele con nomi. “Lily si è messa con Sören?” Doveva avere un’opinione in merito, supponeva.

Se non fosse che non me ne frega niente.
… tranne di sapere che faccia ha fatto Harry. Sarà stata impagabile.
“Cronaca di un disastro annunciato.” Commentò per fargli piacere. “Non vedo l’ora che diventi il principale argomento di conversazione alla Tana. Ce ne libereremo verso Natale.”
“Lily è al settimo cielo, cerca di essere carino o giuro che ti metto la sabbia nel the.”
“Tenterò.”
 
“Al, possiamo mangiarci il sushi di Tom o sei ancora arrabbiato con lui?”

Tom assaporò l’avvampare dell’altro, che per giustificarsi trovò doveroso tirargli uno spintone. “Non è più arrabbiato.” Rispose ad alta voce schivando un fiacco tentativo di tirargli un pugno. “Meike? Se tocchi la mia cena ti deporto in Germania.”

“Allora sbrigati, che Lily mangia come una donna incinta!”
Mei, non provare a tirarmela!” Perché continuavano ad invitare quella rossa rumorosa come una batteria di coperchi? Era un mistero che non avrebbe mai risolto. “

“Loro due sono parte della punizione immagino.” Sospirò alzandosi e tirandosi dietro un imbronciato Albus.  
“Mei vive da noi e ci sfama quindi non lamentarti. Per quanto riguarda Lils …” Gli lanciò un’occhiata di ammonimento. “Sören fa parte della squadra di incursione, ha i nervi a fior di pelle, aveva bisogno di stare in compagnia.”
Non commentò, preferendo un cenno di generica comprensione che gli fece ottenere un bacio a fior di labbra. Per qualcosa di più serio, era sottointeso, doveva impegnarsi di più.

“Accetto la sua presenza, ma non farò domande sulla loro neonata, ridicola storia d’amore.” Borbottò.
“Dovrai comunque ascoltare le risposte perché ho intenzione di farle il terzo grado.”
Giunse ad una terribile realizzazione. “…hai aspettato me per farlo.”
“È la tua punizione, mio caro.” Gli sorrise dolce come la serpe tramutata da tenero cerbiatto che era.

La cosa deprimente era constatare che, come ogni volta, la mutazione non lo metteva minimamente in allarme.
Ma ci sono due seccatrici che non mi permettono di dimostrarglielo…
“Ehi, Tom, pensieri casti, grazie!” Lo apostrofò la dannata LeNa non appena mise piede in cucina, con ovvio sottofondo sghignazzante del folletto di Rügen. “Ci sono minorenni a tavola!”
“La mia innocenza è volata via molto tempo fa per colpa di questi due.” Ribatté Meike intingendo le proprie patatine in salse orride. “So più di sesso gay che di quello etero … Cosa che un giorno, chissà, potrebbe tornarmi utile.”  
Vi odio tutti.
Avrebbe avuto più senso se fosse stato vero. Si sedette docile, incrociando lo sguardo di Lily. “Harry come ha preso la notizia?” Le chiese a bruciapelo, perché dolce era la vendetta.
Si beccò un calcio nello stinco da parte del compagno, ma era un prezzo che si era preparato a pagare per poter gongolare del disagio di Lily che impallidì, avvampò e in generale parve volergli infilzare la forchetta in un bulbo oculare.
“Come vuoi che l’abbia presa?” Borbottò.  
“Se ne farà una ragione.” Le venne in soccorso Albus.
“Forse tra un milione di anni.” Scosse la testa. “Penso che sia stato un colpo più duro che vedere Jamie infilare un metro e mezzo di lingua nella trachea di Teddy.”
“Grazie per l’immagine terrificante.” Commentò Meike con un moto di disgusto del tutto condivisibile. “Però Mutti ha ragione, gli passerà! In fondo quel tuo Sören…”
“… è solo il ragazzo che mi ha ingannato per mesi facendo comunella con le persone che mi hanno rapito?” Quello che apprezzava di Lily era nonostante la femminilità puerile di cui si ammantava non aveva mai coltivato l’illusione che la persona amata fosse incompresa dal mondo intero tranne lei.

No, ce l’ha avuta a morte con Prince come doveva. Ha capito esattamente che persona era.
Però al tempo stesso era riuscita a perdonarlo quando aveva cambiato rotta.
Doveva ammetterlo, la pasta Weasley tirava fuori donne niente male.
“È ultima persona con cui papà vorrebbe vedermi assieme, ma va bene.” Scrollò le spalle. “Se bastasse questo a scoraggiarmi non avrei neanche ricominciato a scrivergli. Papà può avere le sue opinioni, ma sono le mie quelle che contano.”
“Potere alle streghe!” Esclamò Meike simulando un piccolo applauso. “Lily, sei la mia guru spirituale!”
Per carità, no.
“Ce ne basta una al mondo, Mei.” Gli venne in soccorso Albus prima di tirare fuori dalla tasca lo Specchio Comunicante. Una chiamata da Michel, visto che era l’unico nel loro gruppo che non utilizzava quotidianamente gli smartphone Babbani, gli unici oggetti di telecomunicazione ad avere il pregio di avere segnale in entrambi i Mondi.
Stupidità Purosangue.
“Sì, è Mike, non fare quella faccia.” Gli disse baciandolo frettolosamente sulle labbra e dandogli uno schiaffo sulla spalla quando fece una smorfia all’odore di aglio. “Poi mi lavo i denti rompipalle … no, Mike, non parlavo con te. Che succede?” E si allontanò dalla cucina con l’espressione grave che precedeva una lunga conversazione che l’avrebbe tenuto fuori dai giochi per tutta la serata.  
Non sarebbe meglio se vivessi in una baita isolata nel nulla?
“No, affatto.” Si intromise Lily, pestando i piedi al suo malumore e rischiando così di volar via dalla finestra.
“Non leggermi i pensieri.”
“Non ti leggo quelli, ti leggo la faccia sapientone.” Sarebbe morta piuttosto che togliersi il piacere di avere l’ultima parola. Era una cosa che nonostante tutto rispettava. “Non vivresti meglio lontano dalla razza umana in tutta la sua stupidaggine. Ormai dovresti esserci arrivato da solo … puoi detestare qualcosa solo se ci sei immerso dentro, Tommy.” Aggiunse Lily disinvolta. “Quindi fa’ il padrone di casa sgradevole e distraimi dal pensiero che il mio uomo sia in mezzo ai guai.”
“Posso metterti alla porta.”
“Per favore, provaci.”
Si sorrisero; il suo essere un misantropo era un fatto appurato, ma c’era qualcuno, oltre ad Al, per cui valeva sempre la pena sforzarsi un po’.

 
 
****
Lancashire, Castello dei Prince.
Dopo il tramonto.
 
Il castello era immerso in un buio reso ancora più profondo dal sole appena tramontato. Non era un problema, avendo più di un Lumos a disposizione, ma comunque Sören non si sentiva sicuro.
C’era qualcosa che non andava nella facilità con cui erano penetrati all’interno; le barriere erano state disintegrate nel giro di una manciata di minuti, e Johannes non era mai stato tipo da alzare difese così deboli.
Avrebbe pensato ad una trappola se non avessero tutti contato nell’effetto sorpresa di quell’incursione.
Sentì qualcuno dietro a lui inciampare con conseguente imprecazione a bassa voce.
“Questo posto è una discarica!” Sbottò l’auror ignoto facendogli serrare la mascella in piena indignazione.
Questa discarica è casa dei miei avi, imbecille.
Lo pensò soltanto, perché non aveva tutti i torti: il pavimento pullulava di calcinacci, erba incolta e rifiuti che andavano dagli escrementi di animale a suppellettili abbandonate alla rovina.
Ed era una realizzazione dolorosa, ma che lo teneva distratto dall’idea di incontrare Johannes, ancora.
Voleva ucciderlo, aveva sempre voluto ucciderlo da quando aveva capito che non se ne sarebbe mai liberato, ma non poteva. Non davanti a dei testimoni. Aveva bruciato quella possibilità nella metropolitana, facendosi fregare come un fesso, avrebbe detto Milo.
Una parte di sé sperava che quel silenzio fosse sintomo di una trappola: una parte folle, ma che gli suggeriva che se avessero affrontato un attacco, sarebbe stato più facile avere Johannes tutto per lui.
E ucciderlo. Nessuno potrebbe sollevare obiezioni se lo uccidessi in duello.
Un crollo, qualche metro più avanti, fece arrestare le due squadre: la strada principale era bloccata e da essa di diramavano due corridoi che non erano stati presi in considerazione da come il sergente Stump si voltò verso Malfoy cominciando a discutere a bassa voce.
“Questa catapecchia rischia di crollarci in testa da un momento all’altro…” Borbottò Potter, facendo saettare lo sguardo da un punto all’altro dello stretto corridoio in cui si trovavano: nel silenzio si potevano sentire scricchiolii e cedimenti provenire da lontano, forse dove la squadra principale si stava muovendo. “… E poi dove cavolo ci troviamo?”
“Nei quartieri della servitù.” Almeno così gli pareva, a giudicare dall’arredamento spoglio, le dimensioni ridotte della struttura e la mancanza di arazzi.
Anche se è talmente conciata male che potremo davvero trovarci ovunque.
Questa catapecchia non ha manutenzione da decenni.” Gli rispose senza trattenere l’irritazione. “Cosa ti aspettavi, una villa con piscina?”
“Ehi!” Sbottò indispettito. “Era una considerazione, che te ne …” Poi parve realizzare a chi si era rivolto ed ebbe la decenza di assumere un’aria imbarazzata. 
“Quando sarà tutto finito radila al suolo e costruirci qualcos’altro … un albergo, in America alcuni maghi vanno pazzi per i vecchi castelli inglesi.” Pensò di venirgli in soccorso Ama, da brava americana priva di storia qual’era. “Magari con il riscaldamento e un’illuminazione decente.”
Il suo essere Purosangue forse si misurava anche dall’orrore che provò all’idea. “No.” Disse secco. “Non ho idea di cosa ne farò, ma non certo un parco giochi per maghi annoiati.” 
“Ma ti frutterebbe un sacco di soldi…”
“Ho già un sacco di soldi.” Tagliò corto ignorando gli sguardi dei suoi due interlocutori di fortuna: parlavano per scrollarsi di dosso la tensione, se ne rendeva conto, specie adesso che si erano fermati per decidere il da farsi mentre Malfoy, Bobby e un paio di altri Auror erano andati in avanscoperta nella speranza che i due passaggi fossero liberi e soprattutto li portassero dove dovevano.

Potter attirò la sua attenzione sbuffando, con un’aria di superiorità assolutamente fuori luogo visto che era un idiota. “Si vede che non hai una strega nella tua vita e nel conto cassa, o credi a me, saresti già a scegliere dove piazzare la sauna finlandese.” Si rivolse ad Ama, come a trovar conferma. “Quando è successo a me, di avere una casa e un compagno … è stato tosto.”
Ama confermò con un cenno della testa. “Ho dovuto ristrutturare anche io con il mio ex … se sei indeciso è in incubo. Prince è fortunato, la sua ragazza sembra una tipa decisa.”
L’inglese si voltò con espressione sbalordita. “Hai una ragazza?”
Ama inarcò le sopracciglia e Sören realizzò con orrore che doveva aver capito gli ultimi sviluppi con Lily senza che gliene parlasse apertamente.
“Non la conosci.” Sbottò frettoloso rimediandosi un’occhiata sbalordita dall’americana e una molto sospettosa da Potter. Era da codardi forse, ma non aveva la minima intenzione di far partire una discussione con il fratello della sua ragazza in quella situazione.
Per fortuna fu tolto dall’imbarazzo sentendosi chiamare da Malfoy. La raggiunse e , con sua enorme sorpresa, lo vide tenere per un braccio quello che sembrava…
“… è un Elfo domestico?”
“L’abbiamo trovato che ci osservava da dietro un cumulo di calcinacci.” Spiegò il ragazzo. La creatura non tentava di divincolarsi e, a dirla tutta, aveva l’aria abbastanza denutrita e patetica.
“Non vuole parlare.” Aggiunse il Sergente Stump. “Non con noi almeno. Tu sei un Prince, prova a farti dire dove hanno costruito i laboratori.”
Era la prima volta che aveva a che fare con un Elfo Domestico, dato che la Gran Bretagna era l’unica ad usarli come forza lavoro, e non aveva idea di come rivolgerglisi. Decide di adottare il registro che aveva usato con i servitori di suo zio. “Mi chiamo Sören Prince, e sono il figlio di Elias, uno dei tuoi vecchi padroni. Sono quindi l’ultimo proprietario di questo castello. Sai cosa significa?”

L’Elfo lo guardò con giganti occhi gialli e con un lampo di consapevolezza che parve scuoterlo dal suo stato catatonico. “Padrone…?” Sussurrò incerto. “Tipsy pensa che … Lei è il suo Padrone?”
“Esatto.” Si schiarì la voce perché quello sguardo di adorazione lo metteva a disagio essendosi ormai si era abituato all’insolenza di Milo. “Questo castello ci risulta abitato al momento. È così?”
“Sì, Padroncino Sören!” Confermò eccitato, quasi di colpo gli fossero state inserite nuove batterie. “Dalla moglie del padrone Elias e dal suo compagno! Se Tipsy avesse saputo avrebbe preparato per il suo arrivo, Tipsy va subito ad avvertire …”
“Non devi avvertire nessuno che siamo qui.” Lo interruppe. “Dicci invece dove sono i laboratori.”
“Laboratori?” A questo la creaturina sembrò confusa.

“Dove tengono dei maghi e delle streghe … dove fanno esperimenti.” Gli venne in soccorso Scorpius. “Un posto molto grande, qui dentro, dove tengono tante persone.”
L’Elfo annuì di colpo. “Oh, Tipsy ha capito! Sì! Tipsy vi porterà al laboratorio!” Si arrampicò lungo l’apertura del muro da cui doveva averli spiati. “Venite, seguite Tipsy, padroncino!”
“Beh, è stato più semplice del previsto.” Commentò Malfoy con un sorriso mentre il resto del gruppo si muoveva come un solo uomo dietro all’Elfo.  

“Già.” Quell’improvvisa risoluzione non gli dava una bella sensazione.
È tutto troppo facile.
Ma era anche vero che Milo lo accusava spesso di esser paranoico e nessuno, a parte lui, pareva pensarla allo stesso modo.
Forse perché nessuno conosce Johannes quanto te.
Quindi, nonostante gli fosse stato ordinato di restare nelle ultime file, si affiancò a Scorpius per stare dietro l’Elfo.
“Prince, torna al tuo posto.” Lo riprese il Sergente Stump che non sembrava contenta di averlo trai piedi.
Si metta in fila.
Al diavolo l’esser tacciato di paranoia. “Non mi fido, Sergente. Potrebbe condurci dritti in una trappola.” 
La strega sbuffò spazientita. “È impossibile che faccia una cosa del genere ad uno dei suoi padroni. Non può mentirti o ingannarti, non è nella sua natura.”
“Ha ragione.” Confermò Scorpius dandogli una pacca sulla spalla. “È stata una fortuna averne trovato uno ancora vivo che vagava qua attorno.”
Troppa fortuna.

Per un momento rimpianse la mancanza di Thomas e Albus; sarebbero stati ancor più diffidenti di lui e di certo avrebbero convinto la squadra a considerare i loro dubbi. Sfortunatamente non erano lì e lui non era che un soldato in una missione in cui era stato graziosamente fatto entrare.
L’Elfo li fece camminare per almeno dieci minuti, tra scale e stanze dalle tappezzerie mangiate dall’umidità e dalle tarme. Quando era ad un passo da far sentire la propria voce, e torchiare la creatura se fosse stato necessario, questa aprì una porta e li introdusse in un ambiente che era indubbiamente…
“Il laboratorio!” Esclamò Scorpius voltandosi verso di lui. “Che ti avevo detto, mago di poca fede?”
Non rispose, preferendo esaminare l’ambiente alla ricerca di punti ciechi. Ce n’erano molti, dato che era un enorme open-space organizzato come un laboratorio di pozioni, con tavoli di marmo, scaffali e…
“Sono delle gabbie quelle?” Mormorò Potter a pochi passi di distanza, dato che avevano rotto le file per sparpagliarsi nello stanzone. “Dannazione, li tengono nelle gabbie come animali!?”

“Tenevano.” Lo corresse. “Sono vuote.”
Il laboratorio era deserto, ad eccezione loro.
“Siamo arrivati troppo tardi.” Realizzò l’agente Jordan con una smorfia incredula. “Hanno tolto le tende.”
“Di nuovo?” Esclamò rabbioso Potter. “Non è possibile, come hanno fatto a sapere che stavamo venendo qui?!”

“La talpa.” Mormorò Ama. “Li ha avvertiti.”
Sören non perse tempo in congetture o recriminazioni. Si avvicinò con due falcate all’Elfo. “Dov’è Johannes?” Ringhiò.
La creatura si ritrasse intimorita. “Tipsy non lo sa padroncino, chi è Johannes?”
“L’uomo che è venuto qui con mia madre. John Doe, dov’è?” Lo incalzò afferrandolo per un braccio e facendolo guaire. “Dove si è nascosto?”
“Sören lascialo, gli stai facendo male!” Cercò di allontanarlo Malfoy. “Ti pare che lo abbia detto ad un Elfo?”
Non voleva ascoltarlo. Perché avrebbe significato perdere un’altra volta e non poteva permetterselo. “Dov’è Johannes?!” Stavolta lo gridò ma non fece in tempo ad esser ripreso da chicchessia che un lampo bianco esplose nella stanza. Poi un tuono.
Incantesimo.
L’onda d’urto fece cadere a terra molti Auror compreso lui. Fece appena in tempo a voltarsi che vide delle ombre uscire da dietro gli scaffali. Una mezza dozzina, maghi.
Scorpius si tirò in piedi e tese la bacchetta di fronte a sé. “Non se ne sono andati … sono ancora qui.”
Ed erano sotto Imperius dai movimenti rigidi e le espressioni vuote.

Li fanno attaccare. Li stanno usando come scudi per pararsi la fuga.
John Doe è ancora qui.
In quel momento si accorse che l’Elfo si era liberato dalla sua presa e stava correndo via, verso l’unica porta, e quindi entrata ed uscita dalla stanza.
Era una trappola!
Perché l’Elfo non aveva più la corporatura sgraziata di prima, stava mutando in altezza e proporzioni.
Johannes.
“Merda, è John Doe!” Esclamò Potter. “Ci ha fatto finire in una trappola!”
Ve l’avevo detto.

Non era il momento di recriminare, quindi guardò verso Ama. Aveva un solo desiderio ma aveva anche degli ordini perché era e sarebbe sempre stato un soldato.
“Va’ a prenderlo.” Gli ordinò prima di voltargli le spalle e fronteggiare gli infetti. “Qua ci pensiamo noi.” 
Comandi.
 
****
 
Sophia Von Hohenheim non era una stupida.
Mai si era ritenuta tale, mai lo era stata. Era perfettamente in grado di rendersi conto quando il suo amante, quando l’uomo chiamato in molti modi ma che per lei era solo il Giullare, le mentiva.
Da quando per la prima volta il suo non-compianto fratello glielo aveva presentato, Sophia aveva intuito che quell’uomo dal sorriso storto e la lingua di miele poteva essere la sua salvezza come la sua rovina.
Aveva deciso di giocare quella partita comunque.
Non c’erano stati voli romantici in quel che aveva pensato quando a vent’anni, madre e moglie infelice, si era lasciata baciare vorace all’ombra del castello di famiglia; Johannes, ora Johan, le aveva promesso quello che aveva desiderato per tutta la vita.
Mi ha giurato che mi avrebbe liberato.
E quella promessa l’aveva mantenuta, simulando la sua morte e portandola nel Nuovo Continente. Ma dopo anni di fughe, anonimato e case provvisorie aveva realizzato che quella libertà, così inebriante i primi tempi, sarebbe stata la prima e l’unica che avrebbe mai assaggiato. Si era rassegnata, tuttavia; del resto, non aveva voluto Johan nel suo letto perché era un uomo sincero.
O avrei amato Elias.
Elias Prince era stato suo marito per sette anni, ma era stato come essere sposati ad un’ombra sulla parete. Quell’uomo segaligno, troppo vecchio e amareggiato non era stata che l’ennesima falena soggiogata dalla luce brillante e tremenda che emanava suo fratello … anche se, a voler rendergli giustizia, si era bruciato non per adorazione, ma per salvare Sören da una fine ben peggiore che l’esplosione di un laboratorio.
Sören …
Adesso doveva essere un uomo adulto. Chissà se assomigliava a suo padre o aveva ereditato tratti più gentili, i suoi.
Non che avesse importanza.
No, sapeva che Johan le stava nascondendo delle cose; neppure questo era importante, perché c’era solo lui da quasi vent’anni a quella parte. 
Quindi non le restava che affidarsi. Come quando pochi minuti prima era entrato impetuosamente nelle sue stanze con tre Mercemaghi intimandole di seguirli in un luogo sicuro, in cui poi l’avrebbe raggiunta.
Aveva obbedito docile, lasciando tutto in quella stanza che per mesi le aveva fatto da casa. Dopotutto non era la prima volta.
Si era fatta portar via e poi, ad un certo punto, mentre le sue scarpe si sporcavano di fango e la sua veste da camera non la proteggeva dal freddo dei piani inferiori, si erano imbattuti negli Auror.
Johan l’aveva lasciata in balia di tre idioti.
Erano volati incantesimi e fatture e lei era stata spinta brutalmente a lato, dietro una serie di suppellettili rovesciate da chissà quale crollo. Non si era mossa, perché quella era una lezione che aveva imparato tanto tempo prima, quando Alberich aveva ancora le proporzioni di un dio tremendo e vendicativo.
Sono sempre stata brava a sparire.
E così aveva fatto, allontanandosi dal luogo dello scontro finché le esplosioni non si erano attutite in rumori di fondo.
Si era stretta la vestaglia al petto e aveva realizzato di essere stata lasciata sola.
“Che strana sensazione.” Disse, perché sin da bambina il suono della propria voce le era sempre stato di grande conforto.
Erano anni che non la provava, con Johan che non le lasciava fare un passo fuori dal suo controllo. Era sola e non aveva idea di dove si trovava, né sapeva dove dirigersi.
Il mio Giullare mi troverà.
La trovava sempre, perché amava terribilmente trattarla come una bambina spaventata ed incapace. Lo faceva sentire potente.
In questo i maghi sono tutti uguali.
Sophia Von Hohenheim non era comunque una stupida e sapeva che se fosse rimasta lì avrebbe rischiato un crollo che l’avrebbe seppellita; la struttura del castello era in pessime condizioni.
Così si era avviata; Johannes l’avrebbe di certo trovata.
 
****
 
Note:

Un mese. È trascorso un mese. A dir poco imbarazzante.
Spero, con l’estate e la fine dei corsi che sto seguendo, di avere un po’ di pace – dicesi anche cazzeggio spinto – da poter dedicare a queste faccende qua.
Non manca molto. Manca ancora un po’ però. Per chi vuole l’esimia Sophia, a cui dedicherò un po’ di roba nei prossimo capitoli, che è arrivato il momento, questa è l’idea che ho di lei. Nota di colore, lei e Sören hanno gli occhi scuri, mentre Alberich e Tom li hanno chiari.

Per avere un’idea del castello invece qua quello che lo ha ispirato.
Questa la canzone.
  
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