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Autore: Madama Pigna    28/06/2014    4 recensioni
(Storia in fase di revisione) Dal capitolo 42:
E non poté fare a meno di ricordare come non fosse riuscito a fare niente, di fronte alle ferite di Farbauti.
Era un bambino inesperto, all’epoca, ma questo non fece alcuna differenza.
Per alcuni istanti, si bloccò lo stesso.
Temendo di fallire una seconda volta.
Temendo di veder morire suo fratello – e stavolta per davvero.

Piccola nota: il rating arancione si riferisce a singole scene e non all'intera storia. Segnalerò quindi i capitoli un po' più 'forti'.
Genere: Avventura, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incest, Mpreg, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tre figli di Laufey(e un mucchio di guai)'
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Ed eccoci al trentanovesimo capitolo.. mi stupisce aver scritto così tanti capitoli, davvero! Non credevo che mi sarei dilungata fino a questo punto.. poveri lettori, come li tratto male :'( ma comunque volevo tranquillizzarvi, siamo quasi alla fine.
Credo che ci saranno almeno altri due capitoli, più un epilogo. Poi pensavo di fare dei prequel su Byleistr ed Helblindi, anche se prima ho intenzione di finire Capelli. Se qualcuno non sta leggendo quella raccolta ma ha intenzione di sapere come andranno le cose subito dopo questa fic, consiglio di seguirla :) 
Bene, ora mi dileguo così potete leggere! Ci vediamo all'angolo delle recensioni per eventuali consigli, critiche, complimenti o domande!


Adios!
Madama Pigna













Armata di coraggio e determinazione, Sif corse lungo i corridoi labirintici del palazzo, il tragitto che doveva seguire impresso a memoria nella sua mente.
Non sapeva se quella era la strada giusta da fare, ma sperava di sì, perché se Helblindi non si fosse trovato dove pensava allora le probabilità di vincere quella battaglia sarebbero state bassissime.
 
E per quanto a lei piacessero le sfide no, non aveva nessuna intenzione di rischiare quella volta.
Quando arrivò a destinazione, vide uno strano marchingegno, pieno di fili, dall’uso sconosciuto.
Ai piedi di esso, una creatura blu, uno Jotun, giaceva per terra, a pancia in giù, apparentemente inerte.
Non riusciva a vederlo in faccia, da lì.
Aveva le vesti ridotte a brandelli, e tanti capelli bianchi, eppure gli era in qualche modo familiare.
 
- Helblindi? -, chiese, guardinga. Strinse più forte la sua spada. Poteva sempre trattarsi di una trappola.
 
Un gemito soffocato fu la sola risposta che ottenne.
- Helblindi, sei tu? -, ritentò.
Stavolta il Gigante non le rispose. Provò ad alzarsi debolmente, e Sif notò quanto il suo corpo fosse vecchio e magro. Non poteva essere il mago, allora.. O forse sì?
I dubbi della guerriera si dissiparono quando l’anziano essere alzò lo sguardo su di lei.
I suoi occhi erano color del fuoco. Un fuoco sul punto di spegnersi, ma riconoscibile.
 
Poi il mago ricadde al suolo soffocando un’imprecazione, e Sif si riscosse, correndo in suo soccorso.
Provò a farlo rialzare. Il peso dello Jotun non era un problema, anche nelle sue dimensioni naturali. Il vero intoppo era l’altezza. – Helblindi! Che cosa ti è successo? Sei.. -.
- Un vecchio? -, rispose lui con una voce rauca e gracchiante.
La guerriera non rispose. Forse, se non fosse stato così debole, il Gigante avrebbe potuto persino essere ironico, magari aggiungendo un “Che occhio, Lady Sif!”, ma non era quello il caso.
Il tono di Helblindi era disperato.
 
 
- Laufey mi ha.. -, un colpo di tosse lo interruppe. – ..rubato il Seidr.. quel poco che mi rimane mi mantiene appena in vita.. -, continuò, mentre Sif lo aiutava a mettersi a sedere.
- Non ce la fai a camminare? -, chiese l’Asgardiana. Il Gigante scosse la testa.
A Sif facevano impressione tutte quelle rughe. Non è certo come un invecchiamento naturale, pensò.
- Mi fa male.. -, disse Helblindi.
- Dove? -.
- Ovunque.. Mi sembra di avere le ossa divorate dai tarli.. -.
- Come facciamo a farti tornare come prima? -.
 
Helblindi chiuse gli occhi. Era troppo stanco.
La sua rigenerazione era andata a farsi benedire insieme al Seidr, e quel suo essere così fragile lo destabilizzava. Solo una volta si era sentito così impotente, il giorno in cui suo figlio era morto.
Anche allora era troppo debole per fare alcunché.
Anche quel giorno, se non avesse agito in fretta e con la testa, avrebbe perso qualcuno di caro.
 
- Dobbiamo trovare Laufey. E’ lui che ha la mia magia. E’ in una specie di sfera azzurra, adesso.. Se riusciamo a evitare Farbauti, noi.. -, cominciò a parlare, seppur debolmente, e Sif lo ascoltò, con un enorme senso di colpa sullo stomaco nel momento in cui aveva accennato a suo padre.
Decise di non dirgli dov’erano gli altri, soprattutto Byleistr.
Si sarebbe solo sentito male, e sarebbe stato inutile.
 
 
Si guardò intorno. Doveva trovare qualcosa per trasportarlo.
- Aspetta un momento -, disse, e si alzò dalla sua posizione, facendo un giro intorno alla macchina.
C’erano anche diverse lastre a comporla.
Lastre di considerevole larghezza.
 
 
Cominciò a smontare (forse distruggere sarebbe stato un termine leggermente più appropriato) la macchina a suon di calci con la sua forza da Asir, afferrando i diversi pezzi e tirando fuori tutto l’utile. Poi strappò i cavi elettrici, pensando bene di usarli come fune.
In due minuti, Helblindi vide, stupefatto, la guerriera montare appositamente per lui una sorta di slittino. Certo, avrebbe dovuto comunque trascinarlo, e non sarebbe stata una cosa veloce, ma era comunque molto più pratica del portarlo trascinandolo per gli arti.
(E, di conseguenza, fargli anche male).
 






 
- Sif piano! Piano piano piano piano pia.. Ahi! -.
- Non è colpa mia se sei in queste condizioni. Non sono abituata a trasportare le persone anziane -, replicò la valchiria, più o meno con il tono di una persona che parla con un bimbo capriccioso.
Suo padre, persino senza una gamba, non aveva mai permesso a nessuno di aiutarlo in quel genere di cose. Helblindi invece aveva una soglia del dolore ridicolmente bassa. Ovvio che lei non sapesse proprio dove mettere le mani!

 
- Ma mi hai fatto male -, piagnucolò lui. Appunto.
Il mago suonava quasi buffo con quella voce gracchiante, ma vista la situazione non glielo fece notare.
 
 
- Scusa. Ci provo, ma non l’ho mai fatto prima d’ora -, disse lei.
 
Una volta finito di sistemare lo Jotun sulla barella senza ruote, dove in realtà il mago stava un po’ stretto da seduto, la guerriera afferrò i fili elettrici e cominciò a tirare, trasportandolo senza sforzo.
- Hai idea di dove dobbiamo andare? -, chiese.
 
Il Gigante fissò la mappa che la valchiria gli aveva dato. Non vedeva per niente bene.
Tutte le linee degli intricati corridoi erano sfocate, e si fondevano tra loro. Non vedeva molto nitidamente nemmeno mettendo quel pezzo di carta attaccato al naso.

 
La frustrazione di non poter fare neppure una cosa così elementare lo rese ancora meno affabile.
- Non si capisce niente! Io non capisco niente! I miei occhi non distinguono due linee vicine da un palmo di naso, maledizion.. -, un colpo di tosse lo interruppe, facendolo piegare su se stesso.

Adesso anche la gola gli faceva male.
I suoi polmoni gli sembravano rattrappiti come frutta secca.
 
 
 
 










 
- Thor.. -.
Il Tonante si voltò verso il suo compagno. Stava cercando di capire come trovare un luogo più sicuro.
- Cosa facciamo se.. se perdiamo? -, chiese Loki.
Thor lo si voltò verso di lui.
Il moro era spaventato.
E probabilmente non lo era solo per se stesso: si capiva dal modo in cui si abbracciava il ventre.
 
Il Principe degli Asir sentì lo stomaco farsi più pesante.
Pensò che aveva avuto ragione: Loki non sarebbe dovuto venire, non nelle sue condizioni.
Non lo considerava propriamente debole, perché non lo era, ma nei suoi confronti aveva sempre provato un forte senso di protezione, come se si dovesse prendere cura di una creatura bellissima ma fragile, neanche fosse una scultura di vetro. Ed era vero che Loki aveva avuto i suoi momenti di debolezza, ma il moro pensava di averli superati. Forse era così, ma non aveva ancora fatto i conti con la gravidanza. Un evento del genere può scombussolare chiunque, specie con un clima del genere.
Forse Thor aveva ragione. Forse sarebbe stato meglio se fosse rimasto ad Asgard.
Ma tanto era comunque troppo tardi.
 
 
Il biondo si avvicinò, premendo le mani sulle sue spalle. Lo guardò con dolcezza, cercando di essere rassicurante.
- Andrà tutto bene, Loki. Sif è una guerriera in gamba, e Helblindi ha già dato prova della sua abilità, anche se non davanti ai tuoi occhi. Ce la faranno -.
- E Byleistr? Non avremmo dovuto lasciarlo lì a combattere Farbauti da solo.. -.
- Tuo fratello non si sarebbe mai perdonato se tu fossi rimasto lì con lui a rischiare di morire -, replicò, senza sapere benissimo da dove veniva quella certezza. Forse vedere la reazione del Re di Jotunheim, sempre così freddo tanto da risultargli antipatico, al rapimento di Helblindi lo aveva impressionato.

Come aveva già capito nel Vuoto Pieno, anche Byleistr aveva un cuore, pur se non lo lasciava intendere.
- E’ grande e grosso.. Resisterà.. -, continuò, ma stavolta tradendo incertezza.
Il piccolo Jotun lo fissò. – Thor, se Padre fosse controllato in quel modo, tu riusciresti davvero a colpirlo? -, chiese, anche se non diede tempo all’altro di rispondere. – No, non potresti attaccarlo senza almeno provare a farlo ritornare in sé, e anche se ti rendessi conto dell’impossibilità della cosa non potresti fargli male con convinzione, esattamente come hai fatto con me a New York.. -.

Il guerriero scrutò il non-fratello con attenzione. – Hai raccontato quello che è successo solo durante l’interrogatorio.. Non credevo che ne avresti voluto riparlare.. -.
Loki si appoggiò al suo petto, nella speranza che il calore del suo amato riuscisse a scacciare i suoi brividi.
– E’ stato orribile.. -, mormorò, preferendo non entrare nei dettagli.
 
Ora era lontano da Midgard, dai Chitauri, da Thanos, ma quando ripensava all’anno passato con quei mostri gli sembrava quasi di rivivere la pena e l’agonia di tutti quei mesi.

Un giorno ne avrebbe parlato nei particolari, forse. Ma prima voleva godersi il calore di Thor.
Il Tonante lo strinse a sé, immergendo il viso nei suoi capelli neri come la notte.
Dimenticandosi di tutto il resto.
 
 
 
 



- Che sentimentali.. -.
I due si voltarono di scatto, separandosi.
Davanti a loro un Muspell di discrete dimensioni li fissava, con un inquietante ghigno malvagio stampato sul volto. La voce suonava familiare a Loki. In effetti, era la stessa che aveva sentito alcune settimane fa, quando suo fratello aveva sedato quella rivolta.. Era la voce di uno dei ribelli.
Skrymìr, se non si ricordava male.
 

L’ex compagno di Helblindi, a quanto gli aveva raccontato Byleistr.
 
Non era difficile capire perché tra i due non ci fosse mai stato buon sangue.
Il Dio degli Inganni poteva leggere tutto il sadismo dello Jotun anche in occhi che non erano realmente suoi.
 


Vide Thor impugnare istantaneamente Mjolnir. – Non osare avvicinarti, cane! -.
- Il nome corretto sarebbe ‘Skrymìr’. Il più importante luogotenente del Re, Laufey. Strano che non abbiate incontrato Farbauti nella strada per arrivare fin qui -, disse. Poi il suo sogghigno si fece più largo. – Ma scommetto che non siete venuti soli, vero? Spero che abbiate detto addio a chi avete lasciato indietro. Nelle sue condizioni Farbauti non esiterebbe nemmeno ad ammazzare uno dei suoi figli -.

Il cuore di Loki si fermò.
 
- E a tal proposito, sarò molto felice di consegnarvi a Laufey.. Il figlio del suo peggior nemico insieme al piccolo scarto che l’ha ucciso.. -, disse, avvicinandosi. Nella mano destra apparve una fiamma.
- Credo che mi divertirò a sfruttare i poteri dei Muspell contro di voi.. -.
 
 
 
 
 









 
Il Gigante di Ghiaccio urlò, quando suo padre riuscì a lussargli una spalla grazie ad un bluff. Gli aveva già incrinato (o magari rotto) due o tre costole, spaccato il naso e procurato diverse escoriazioni, senza contare i denti che gli aveva fatto letteralmente volare e i tagli (anche se pochi, visto lo stile di suo padre). Byleistr non ne aveva mai prese così tante in vita sua, e non tutte così in una volta, perlomeno non durante un solo combattimento. Sapeva fin dall’inizio che non sarebbe stato semplice, e la sua condizione non lo stupiva, dato che stavano combattendo da ore.
 
Non che avesse cominciato fin da subito come un perdente, anzi, si era scontrato con Farbauti con una forza degna del suo avversario. Ma suo padre –almeno il corpo- era un non-vivente. Per quante ferite potesse provocargli (e si era già premurato di fargliene tanto quanto lui), non sentiva ne il dolore, ne la fatica, ne, tantomeno, sentiva qualche disagio nel combattere contro il figlio, al contrario del più giovane. Inoltre combatteva per uccidere, e Byleistr –pur con tutto il suo impegno- sapeva che i tentativi di fermarlo sarebbero stati inutili. Non era uno scontro pari, o comunque dalla vittoria destinata a lui: se non avesse resistito abbastanza a lungo, avrebbe perso. Ed era partito già sapendo di andare incontro alla morte.
 


Farbauti colse il momento di distrazione, e, bloccandolo su una parete di roccia, cominciò a riempirlo di pugni al torace, mozzandogli il respiro, tanto che il figlio gli cadde praticamente addosso, in una posizione che favorì maggiormente il Gigante noto come Pugno Spaccapietre.
Al primo colpo, Byleistr cercò di divincolarsi dalla sua presa ferrea con il braccio sano, fallendo.
Al secondo, gli sembrò di sentire un nitido rumore di ossa rotte. La gola cominciò a bruciargli. Non riusciva più a respirare in modo efficiente. Le costole spaccate gli avevano perforato un polmone, come minimo.
Il terzo fu quello in cui cominciò a tossire, sputando sangue senza sosta. Iniziò a vedere rosso.
Quando Farbauti lo colpì per la quarta volta non ebbe più alcun dubbio. Sarebbe morto.
 


Suppongo di non essere mai diventato un guerriero più forte di te, padre.



 

L’anziano Jotun non percepì più alcuna resistenza, e lo lasciò cadere per terra, lasciandolo al suo destino. Byleistr crollò al suolo senza un lamento, e, ormai inerte, lo vide allontanarsi con gli occhi semichiusi, sperando che il tempo che era riuscito a guadagnare sarebbe servito a qualcosa.

Era.. così strano. Fin da piccolo aveva sempre pensato che Farbauti avesse una certa aura di invincibilità, per quanto non avesse mai dato chissà quali dimostrazioni di forza di fronte a lui. E aveva ragione.
Ironico che proprio suo padre, la persona che gli aveva insegnato a combattere, a non arrendersi, lo avesse fatto cedere.

Perdonami, papà. Io non sono mai stato buono come te.. Non potrò raggiungerti nel Vhalhalla.
 



Dopo il suo ultimo pensiero coerente, vide solo nero.
 
 



Certo che si sarebbe risvegliato tra i fuochi infernali di Helheim.









 
  
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