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Autore: Lily_th    28/06/2014    2 recensioni
Oblio parla soprattutto delle conseguenze dell'avvicinamento di due ragazzi, Draco e una
Babbana di nome Teresia: due anime contrastanti che, accomunate dal semplice desiderio di reciproca compagnia, si ritroveranno a dover fare i conti con l'insorgere di sentimenti a loro sconosciuti.
Lui, però, è un mago, membro di una delle più importanti famiglie Purosangue del regno magico, mentre lei è un'anonima Babbana, completamente ignara dell'esistenza di un mondo così diverso dal suo. Le difficoltà abbondano, e quando una sadica donna finalmente libera da Azkaban dopo anni ed anni di reclusione, decide di intervenire...
“Ti sono mancata?”
Quella voce, quel tono, quel trillo acuto carico di eccitazione e di disprezzo, erano ormai la mia unica compagnia.
“Stavo quasi impazzendo senza di te.” La voce mi sfuggì lenta e arrochita dalle labbra.
Bellatrix rise, per poi espirare violentemente come se qualcuno l’avesse colpita con forza in pieno petto. “Non provarci nemmeno, sarò presente quando ciò accadrà.” Continuò, il tono basso e la voce carica di eccitazione.

(Ho utilizzato l'avvertimento "Violenza" in quanto descrivo di una tortura, vorrei precisare che essa è prevalentemente magica e psicologica, raramente fisica.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Draco Malfoy, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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8

Libera

 
“Che diamine ci fai tu qui?”
Chino sulla figura immobile della ragazza, Severus Piton riponeva cautamente la bacchetta.
“Ho posto fine ai tormenti di questa giovane.”
Non poteva essere.
Mi avvicinai, scostandolo in malo modo, allungando una mano verso la mia prigioniera.
“Stai davvero per… toccarla?”
Mi ritrassi bruscamente, disgustata.
Non avevo bisogno di fare altro se non di guardarla: pallida come la neve, esangue, completamente immobile… era palesemente morta.
Un leggero tremolio mi spinse a prendere la bacchetta e a sollevarla contro quell’infimo traditore.
“Come hai osato!” Urlai, scossa dall’ira.
“Abbassa la bacchetta, Bellatrix.”
Un piccolo guizzo nel polso, la tensione sul mio volto, la sinistra alzata. Capì che stavo per scagliargli contro una maledizione e smise di temporeggiare.
“È stato l’Oscuro Signore ad ordinarmelo.”
Il braccio mi ricadde lungo il fianco, inerme.
“Perché?”
Piton sembrava irritato.
“Perché si era stancato di vederti perdere il tuo tempo qua sotto.” Disse con il suo tono beffardo. “Stavi trascurando i tuoi doveri a causa del tuo disgustoso passatempo.”
Avvertii una morsa al petto a quelle parole. Serrai la mano sul punto in cui c’era il mio cuore. Il dolore era inebriante ma straziante allo stesso tempo. Avevo deluso l’Oscuro Signore.
Piton mi osservava con la sua solita freddezza, quasi annoiato più che disgustato dalla mia vista.
“Capirai perché abbia dato a me il compito di porre fine alla faccenda.”
Con un colpo di bacchetta le funi che tenevano sospeso il corpo esanime della ragazza si spezzarono, e lei cadde a terra con un tonfo.
Un altro tocco e la ragazza si sollevò a mezz’aria, il capo afflosciato, il corpo molle. Una bambola di pezza.
Piton mi precedette verso la porta, e rimasi lì, ad osservare entrambi abbandonare il sotterraneo.
Sola, mi accasciai a terra, disperata. La mia opera era stata distrutta un passo prima della fine. Era lì, incompleta e quasi perfetta, pronta a divenire un capolavoro. Ed era stata dilaniata, estirpata, distrutta…
Iniziai a tirarmi i capelli, all’ira si sommava la disperazione più totale. Non avrei mai avuto modo di vederla per davvero, di vedere la vera anima di quella ragazzina. Non avrei mai avuto nessun altro come lei, nessun altro…
Iniziai a ridere. Era morta. Ridevo e ridevo, e la stanza ripeteva le mie risa, ancora e ancora. Era morta ed era salva.
Era salva.

***

 “Ehi Draco…”
“Huh?”
“Pensi mai al futuro?”
“…”
“Io sì. Voglio viaggiare.”
“E dove vorresti andare?”
“Ovunque.”
“E perché?”
“Perché voglio vedere il mondo. Voglio essere libera.”
“E qui non puoi esserlo?”
“… Non completamente. Voglio una libertà che abbia il sapore del mare, della neve, della pioggia, del deserto, dell’aurora boreale…”
“Vuoi avere tutto.”
“Sì, voglio tutto. Sono avida.”
“Vai.”
“Come la fai facile. Un giorno, stabilendo delle cose, organizzando altre… Un giorno.”
“Come la fai difficile. Vuoi essere libera ma ti fai legare dai dubbi.”
“La vita non è semplice, Draco.”
“Lo so.”
“Davvero?”
“Sì.”
“Non mi dirai altro, vero?”
“No.”
“Sei antipatico.”
“Anche tu.”
“Verresti con me?”
“… In giro per il mondo?”
“Sì.”
“No.”
“Perché?”
“Il mio futuro è già deciso.”
“Ma se tu potessi… verresti con me?”
“Perché dovrei?”
“Perché no?”
“Forse.”
“Allora è un sì.”
“Ho detto forse…”
“Non hai detto no, e non dici mai forse. È un sì.”
“Sei insopportabile.”
“Anche tu. Ma mi piaci così.”
“…”

Ero in una pace ovattata, immersa nel torpore più totale. Galleggiavo beatamente nel nulla, libera da ogni dolore, da ogni paura, da ogni sensazione.
È questa la morte?
Non era poi così male. Finalmente ero libera, libera dalla mia prigionia.
Potevo volare lontano, e viaggiare come uno spirito attraverso l’universo intero.
E mentre continuavo a galleggiare a mezz’aria, sentii un forte strattone.
Il torpore iniziò a svanire, la sensazione di leggerezza si trasformò in un enorme peso che mi trascinò a terra.
Sentii un fruscio, un suono, ma non colsi nulla.

No, non voglio tornare! Voglio continuare a volare!
Di nuovo quel suono, che questa volta mi giunse più forte ma restava ancora incomprensibile.
Iniziai a sentire il mio corpo terreno, tutto stava ritornando: il freddo, la stanchezza, il dolore.
“Svegliati, ragazzina!”
Spalancai gli occhi, intontita.
Il torpore stava svanendo, e cominciai a sentire un fastidioso formicolio in tutto il corpo. Iniziai a respirare a pieni polmoni e mi risvegliai tossendo.
Aprii gli occhi, sbattendo le palpebre più volte e cercando di mettere a fuoco ciò che avevo attorno, tra un colpo di tosse e l’altro. Alzando lo sguardo vidi due occhi neri come la notte che mi osservavano dall’alto, occhi che emanavano un puro disprezzo.
La tosse si placò, e cercando di recuperare fiato arretrai fino a sbattere contro la parete alle mie spalle. Mi guardai attorno, freneticamente, scorgendo solo assi di legno e vecchi attrezzi agricoli: probabilmente mi trovavo in un capannone di qualche contadino.
“Chi sei? Cosa vuoi da me?”
L’uomo dal naso adunco e il mantello nero continuò a scrutarmi intensamente, senza rispondere.
Il mio sguardo saettava intorno a me, cercando un’arma per difendermi.
Dovette accorgersene, e lo vidi estrarre rapidamente qualcosa dalla manica del mantello.
Urlai e mi protessi con le braccia. Fu più forte di me, e mi odiai per quel gesto di debolezza.
“Non intendo farle del male, ma deve restare ferma e buona.”
Alzai lentamente lo sguardo: le mani erano giunte sul ventre, completamente vuote.
“Perché dovrei fidarmi di un mago?” Gli chiesi, mentre cercavo di capire se mi fossi solo immaginata la bacchetta nella sua destra.
“Non ho alcun interesse nel guadagnare la sua fiducia. Resta il fatto che non mi sarei dato tanta pena per salvarla se poi avessi voluto ucciderla.”
Esitai e infine chinai le braccia. Ma non mi fidavo.
“Perché l’ha fatto?”
L’uomo continuava a guardarmi irritato. “Non l’ho fatto di certo per lei. Ho corso… anzi, sto correndo… un rischio enorme.” 
“Mi guarda con un tale disprezzo anche se non mi conosce affatto.”
Stranamente sorrise, un ghigno divertito ma sincero. “Lei è la causa per cui Draco è quasi morto, signorina Collins. E non può nemmeno immaginare quanto questo mi riguardi.”
Un tuffo al cuore, un’immagine improvvisa davanti agli occhi: Draco pallido, una ferita sul petto, il sangue ovunque…
Mi coprii gli occhi, sbattendo la testa contro il muro alle mie spalle. Il dolore mi schiarì la mente, e misi di nuovo a fuoco l’uomo dinanzi a me. Non aveva battuto ciglio.
“Se il solo nominarlo la fa scattare in questo modo…”
La porta alle sue spalle si aprì. La luce accecante che si riversò all’interno mi abbagliò, permettendomi di vedere solo una sagoma scura ergersi sulla soglia.
Fece un passo dentro, e si bloccò… avanzò ancora, temporeggiando. Infine corse e mi si buttò contro, abbracciandomi.
“Teresia…”
Ero scombussolata, intontita, vagamente cosciente di quel profumo conosciuto, e di quel calore quasi estraneo.
Alzai una mano e la passai tra quei soffici e sottili capelli biondi e, ancora incapace di metabolizzare ciò che stava accadendo, sussurrai: “Draco?”
Lui arretrò piano, mantenendo il contatto stringendomi i polsi.
Lo scrutai in viso, scioccata dal suo aspetto distrutto: la guance scavate, gli occhi infossati, le labbra smorte.
Sembrava un fantasma.
“Teresia…” Sembrava incapace di dire altro se non il mio nome.
Gli accarezzai una guancia e lo vidi rabbrividire contro il mio tocco. Chiuse gli occhi e respirò piano.
Un ricordo mi invase, prepotente, facendomi ritrarre la mano.
Lui spalancò gli occhi, immobile, terrorizzato.
Rividi il sotterraneo, le funi, il sangue incrostato per terra. Rividi lui, gli occhi sbarrati, la mano tremante… la bacchetta puntata contro di me.
Iniziai a divincolarmi, improvvisamente conscia della situazione.
“Lasciami! Lasciami andare!”
Ignorando la mia richiesta, mi strinse più forte. “Ti prego…”
Lo guardai negli occhi, e qualunque cosa vi lesse, lo fece arretrare terrorizzato, mollando la presa.
“Draco.” L’uomo vestito di nero fece un passo avanti. “Ti avevo avvisato delle possibili conseguenze…”
“Sta’ zitto. Non è diventata pazza!” Lo sguardo di fuoco che gli rivolse non causò alcun cambiamento nell’atteggiamento austero dell’uomo. “Aspetta fuori.”
Non protestò, cosa che mi sorprese, nonostante non sapessi bene il perché. Non mi sembrava il tipo disposto a prendere ordini da un ragazzino.
Una volta uscito, restai sola con Draco… e la cosa mi terrorizzò.
Sconosciuto o meno, l’uomo mi aveva salvato la vita, qualunque fossero state le sue reali intenzioni… adesso ero in balia di Draco.
Mi fissò con sguardo ardente, si sedette scompostamente e fece un lungo respiro prima di dire: “Non mi avvicinerò, ma devi ascoltarmi.”
Risi, istericamente. Poi annuii, conscia di quanto la mia mente vagasse senza misura in cerca di qualcosa a cui aggrapparmi.
“Hai paura di me?”
Il suo sguardo era fisso nel mio, ed io non riuscivo a smettere di guardarlo. “Forse. Non lo so… Credo solo di odiarti.”
“Perché?”
“Perché non sei venuto a salvarmi…” Mi interruppi, mentre il dolore attraversava il suo viso. Ma mi ricordai di un altro dolore, forte, prepotente, che mi aveva scosso le membra e distrutto la mente giorno dopo giorno.
Ed iniziai a vomitare parole, in un crescendo di volume. “Perché quando ti sei finalmente mostrato non hai fatto altro che guardarmi con indifferenza, osservando tua zia mentre mi torturava senza alcuna pietà, ignorando le mie grida, e alla fine… alla fine hai avuto anche il barbaro coraggio di puntarmi quell’oggetto demoniaco contro! Lo stesso che mi stava lacerando dentro!”
Mi ritrovai senza fiato. Iniziai a tossire, e caddi in avanti, sorreggendomi con una mano. Alzai lo sguardo e vidi Draco impietrito, completamente sbiancato e immobile.
Restammo a fissarci, mentre la tosse terminava ed io tornavo a respirare.
Avrei voluto dire ancora altre cose, ma la mia mente vagava, perdendosi in punti vuoti della stanza, fissandoli senza nemmeno vederli. Restare concentrata stava divenendo assurdamente difficile.
“Mi dispiace.” Alzai a fatica lo sguardo e mi concentrai sulle sue labbra, cercando di afferrare ogni sua parola. “So che non serve a nulla. Non ti ridarà le ultime settimane, non cancellerà il tuo dolore… ma voglio che tu sappia che non avrei mai voluto che tutto ciò accedesse. Ho dovuto fingere quando ero lì, e non puoi nemmeno immaginare quanto sia stato doloroso…”
La risata prorompente che scaturì dalla mia persona sembrò quasi quella di una estranea. “Oppure è stato esilarante, e non sapevi come trattenere le risate.”
Sbatté un pugno a terra che mi fece sobbalzare. Mi rannicchiai contro la parete, sentendo quel suono rimbombarmi ripetutamente nelle orecchie.
“Non lo fare, Teresia. So che sei arrabbiata, e distrutta dal dolore, so che pensi che io ti abbia tradita, ma non è così. Sono rimasto sempre dalla tua parte.”
Iniziai a giocherellare con un filo di paglia accanto a me. Il mio tono era completamente atono mentre sussurravo: “Ma non ti sei fatto avanti per me.”
“Non capisci? Non l’ho fatto per proteggere me!” Sentivo il suo sguardo penetrarmi le ossa, ma non avevo alcuna voglia di guardarlo in quel momento. “Se mi fossi lasciato andare, se avessi mostrato anche solo un minimo di compassione… Saresti stata tu a subirne le conseguenze, non io.”
Il filo di paglia si spezzò tra le mie dita. Mi voltai di scatto verso di lui, e mentre lo fissavo mi strappai freneticamente il resto della manica lacera e sudicia che ricopriva il mio braccio destro.
Lui lo fissò, inorridito.
“Cosa… cosa pensi che potesse farmi di peggio, eh?” Mi avvicinai a lui, strisciando sul pavimento, spingendogli contro gli occhi l’avambraccio marchiato a fuoco in più punti. “Poteva solo uccidermi, ma non è nella sua filosofia.”
Draco, nonostante il terrore negli occhi, alzò una mano tremante e mi bloccò il braccio. Le sue dita indugiarono sulle cicatrici, fino a rimanere fisse su un’unica frase: non verrà.
Calde lacrime iniziarono a sgorgargli dagli occhi. Cercai di ritrarre il braccio, ma lui lo trattenne e, inaspettatamente, baciò quelle parole.
Mi focalizzai totalmente su quel gesto, tanto da riuscire a mettere chiaramente a fuoco la scena senza che altro mi distraesse.
Quando si staccò, mi prese il viso tra le mani, dicendo:
“Non posso cambiare ciò che è stato, ma posso cambiare ciò che sarà. Sarai libera e non dovrai mai più preoccuparti di mia zia, di questo mondo… Non dovrai scappare, potrai tornare alla tua vita di sempre. Da tua madre…” La voce gli si incrinò, ma gli occhi restarono immobili e seri.
“Come?”
“Conosco solo un modo… Ed è tramite la magia.”
Mi tirai indietro all’istante, sfuggendo alla sua presa, schiacciandomi contro il muro, il più lontano possibile da quelle parole.
“Non ti chiedo di fidarti di me, ma dell’uomo che ti ha salvata. Il suo nome è Severus Piton, sarà lui ad aiutarti.”
Non riuscivo a muovermi, ero pietrificata. La mia mente continuava a tornare sulle parole “l’uomo che ti ha salvata”, cercando di andare oltre al significato letterale. Voltai lo sguardo e mi accorsi che ormai Draco era in piedi e mi guardava intensamente. Si voltò per andarsene, ma una voce soffocata uscì dal mio essere in un sussurro quasi impercettibile.
“Aspetta…”
Ma lui lo sentì, si voltò ma non si avvicinò. Rimase fermo ad osservarmi, tremante e assurdamente triste.
“Quell’uomo… Piton.” Dovetti fare uno sforzo enorme per ricordare quel nome pronunciato solo alcuni minuti prima. “Ha detto che non lo ha fatto per me… Non mi ha salvata per un atto di pura bontà. Glielo hai chiesto tu?”
Draco annuì leggermente, come se avesse paura della mia reazione.
Attese pazientemente il mio lunghissimo silenzio, mentre la mia attenzione era stata catturata dalle sua mani giunte sul ventre, affusolate e bianche come la neve, immobili.
Alla fine, parlai di nuovo. “Perché hai aspettato così tanto?”
“Perché avevo un piano per farti fuggire. Fino al momento prima che mia zia mi costringesse a scendere nel sotterraneo, credevo che ci volesse ancora del tempo per attuarlo, che stessi rimandando perché era incompleto… Ma poi… La verità era, ed è, che sono un codardo. Avevo paura delle conseguenze, e non solo per la mia vita… ma anche per la tua. E sapevo di non potercela fare da solo, perché io non sono un eroe. Non faccio parte dei buoni, non salvo le persone… Io le tormento, le distruggo, e mi ritrovo circondato da leccapiedi piuttosto che da amici. E poi ho pensato a Piton, l’unico che sarebbe disposto a dare la vita per me, a mettersi contro la mia famiglia pur di proteggermi. Lui è un vero eroe nonostante tutto… Non ha esitato nemmeno un secondo, ha fatto in modo che il Signore Oscuro la vedesse come lui, ossia che Bellatrix stesse trascurando i suoi doveri a causa tua, gli ha promesso che se ne sarebbe occupato personalmente, ha pianificato la tua finta morte con il Distillato della Morte Vivente, ha mentito a Bellatrix, e ti ha portato via da quel sotterraneo maledetto.” Prese un lungo respiro, cercando di non far tremare la voce. “E mi ha proposto l’unico modo per far sì che tu possa, un giorno, essere di nuovo felice.”
Mi alzai, lentamente. Mi avvicinai a lui, e lo schiaffeggiai.
Lui non mosse un muscolo, non disse una parola.
Sorrisi, tra le lacrime. “Sapevo che non mi avrebbe dato alcuna soddisfazione… ”
Lo abbracciai e lo sentii sciogliersi completamente tra le mie braccia.
“Lo so che, il solo restare qui a parlare con me è un rischio. E lo apprezzo.”
Singhiozzai, mentre lui mi stringeva ancora più forte a sé. “Voglio crederti Draco, voglio fidarmi di te ancora una volta. Perché, nonostante tutto, alla fine… sei venuto.”

*** 

Un mese dopo

Il dottor Malcolm bussò alla porta dell’ormai conosciuta casetta verde acqua, attendendo pazientemente che la signora Collins lo aprisse.
Non si fece attendere, e la porta si spalancò.
“Dottore! La stavamo aspettando. Si accomodi.”
La casetta era davvero carina, tutta in tinta pastello, senza fronzoli eccessivi, essenziale e accogliente.
“Come sta oggi?”
La signora Collins preparò il tè, sorridendo mestamente. “Molto meglio, rispetto a quando l’ha visitata una settimana fa. Mangia di sua spontanea volontà adesso.”
Il dottore fece un cenno di assenso, felice a sua volta di quel passo in avanti. “I suoi cali d’attenzione?”
La signora Collins versò l’Earl Grey in tre tazze mentre valutava la domanda. “Direi meglio. Adesso non resta solo ad ascoltarmi, risponde, restiamo anche un’ora a chiacchierare… Quando vedo che non mi sta ascoltando, attendo pazientemente che se ne accorga da sola, come lei mi ha consigliato. Si scusa e ritorna a conversare.”
Il dottore prese una tazza di tè, aggiungendogli tre zollette di zucchero. Ignorò lo sguardo divertito della signora. Nonostante fosse stato in quella casa già una decina di volte, più spesso i primi tempi, non era ancora abituato al rito del tè di questa famiglia inglese. E, quando educatamente fece notare alla signora che in America non era un’usanza comune, lei fece spallucce dicendo che era una tradizione che nessuno avrebbe potuto strapparle. Il dottore, con la sua frecciatina probabilmente non compresa (ma dal sorrisetto della donna si intuiva che era stata semplicemente ignorata), avrebbe preferito che la signora la smettesse di offrirglielo ogni volta che veniva. E, non essendo nella sua indole essere scortese, non rifiutava mai.
“Ha fatto bene, continui così.” 
La terza tazza venne portata di sopra, nella stanza azzurro cielo, completamente spoglia di foto o poster, o qualunque altra cosa un adolescente avrebbe potuto affiggere alle pareti. C’era una libreria però, stracolma di volumi, ed una finestra con un largo davanzale dove, in quel momento, era seduta una fanciulla che scrutava l’esterno.
“Tesoro, guarda chi è venuto a trovarti.”
Due occhi scuri, penetranti, si voltarono verso il dottore. La ragazza sorrise, salutandolo dolcemente. “Buon pomeriggio. Come sta?”
Iniziò una breve conversazione, permettendo alla ragazza di sorseggiare la sua tazza di tè, dopodiché il dottore la visitò, per poi salutare ed andare via.
Madre e figlia restarono nella stanza, in silenzio, finché la ragazza non lo ruppe.
“Mamma io… vorrei…” Esitò, fissandosi le mani in grembo.
“Non avere paura, dimmi.”
La ragazza alzò lo sguardo, titubante. Da quando era stata ritrovata sua madre aveva completamente cambiato personalità. Era divenuta dolce, apprensiva, sempre disposta a stare con lei in ogni suo minuto libero. I suoi atteggiamenti austeri erano spariti: era diventata completamente mite, quasi addomesticata.
“Vorrei… uscire un po’.”
La figlia fissò intensamente negli occhi la madre, aspettandosi un dolce, misurato e calmo diniego.
La madre sorrise mestamente, prima di rispondere. “Certo… ma io verrò con te. O, se preferisci, può accompagnarti William appena torna dal lavoro.”
Fu così sorpresa che non riuscì a dire alcuna parola. Si grattò il braccio destro, inconsciamente, sull’avambraccio, cosa che faceva spesso quando era turbata.
La madre fissò la pelle liscia e immacolata che la figlia stava arrossando con il suo tocco, domandandosi se avesse preso quell’abitudine durante la sua assenza da casa.
“Potremmo uscire tutti e tre.” Esclamò la ragazza, alla fine.
La madre sorrise raggiante, e nonostante l’impulso di abbracciarla, rimase al suo posto. Teresia rifuggiva quelle forme di affetto da quando era stata ritrovata… Quando la madre l’aveva avuta davanti, con l’aria spaesata, magra fino all’osso, gli occhi vacui, le occhiaie e il viso esangue, era corsa ad abbracciarla, ma lei si era spaventata e si era rannicchiata a terra, tremante.
Il dottore era stato chiaro, ci voleva tempo. La natura del trauma di Teresia era ancora oscura, ma una cosa era certa: aveva vissuto pene indicibili.
Era da quando si erano trasferiti che la madre la teneva chiusa in casa. Non era cattiveria o crudeltà, ma Teresia era stata instabile i primi tempi: non mangiava, non parlava, non dormiva, non si faceva avvicinare dai dottori… All’inizio ci erano voluti i farmaci per farla riposare, mentre adesso dormiva da sola, anche se aveva bisogno della luce accesa per riuscirci.
Non farla uscire era stato un metodo per tenerla al sicuro, ma anche la madre sapeva che questo non le avrebbe giovato a lungo termine.
“C’è un parco, nelle vicinanze… Potremmo andare a fare un giro lì.”
Teresia osservò la madre a lungo, senza rispondere. Infine annuì.
“Senti, mamma… A proposito di William…”
La madre si irrigidì, ma non disse nulla.
“Volevo dirti che… che sono contenta per voi due.”
La signora Collins provò ad accarezzarle la mano, ma lei la ritrasse. La ritirò cautamente e sorrise raggiante. “Sono felice che tu abbia avuto modo di conoscerlo. Non ha fatto altro che cercarti assieme a me, quando pensavamo che fossi scappata.”
Teresia si mise a guardare il cielo al di fuori della finestra.
“Scappata, eh?”
“Non sapevo che pensare all’inizio…”
Una lacrima le scese sul viso, ma cercò di trattenersi. Mostrarsi debole non era d’aiuto per la figlia, e doveva essere forte e sorridente per lei.
La madre stava per continuare, quando suonò il campanello.
“Deve essere William, dimentica sempre le chiavi!”
Scese giù e lasciò Teresia da sola. Ancora pensierosa, si alzò e si diresse alla libreria.
Gettò un’occhiata alle sue spalle, per assicurarsi di non essere vista, dopodiché si mise a frugare tra i libri dello scaffale più basso. Prese un volume, un libro fantasy dal titolo decisamente lungo, e lo aprì a metà. Ne tirò fuori una sorta di piccolo opuscolo fatto di pergamena. Esso conteneva una storia breve e sulla copertina non recava alcun titolo.
Portò il libro fantasy con sé, ma solo come copertura e arrivata alla finestra si sedette sul davanzale e si mise a leggere la storia breve.

C’era una volta, non molto tempo fa, una ragazza giovane e spensierata. Un giorno, sulla strada di ritorno verso casa, incontrò un ragazzo.
I due, all’inizio, non furono subito amici… Ma qualcosa li attirò l’uno all’altro… e quel giorno, la vita di entrambi cambiò.
Il ragazzo, infatti, nascondeva un oscuro passato, presente e futuro… E non si apriva mai davvero con la dolce fanciulla che, invece, lasciava trasparire ogni suo pensiero e ogni sua debolezza.
Il ragazzo, però, aveva paura di ciò che stava facendo… Conseguenze assai gravi si sarebbero riversate sulla ragazza se la sua famiglia avesse saputo di quella strana ma reale amicizia.
E, quando tale amicizia stava sbocciando in qualcosa di più, i timori del ragazzo si realizzarono.
La ragazza venne catturata dalla famiglia di lui e il ragazzo, inerme, non riusciva a trovare il coraggio di salvarla…
Un giorno, grazie ad un fedele alleato, la ragazza venne portata in salvo… Ma le cattiverie che aveva subito erano grandi, e la sua psiche era quasi al collasso.
Il ragazzo veniva respinto, c’era tanta amarezza negli occhi di lei…
Amarezza che venne messa da parte, che venne sopraffatta dalla consapevolezza che, alla fine, lui aveva rischiato tutto per salvarla.
Ma i due ragazzi non potevano restare assieme e il ragazzo sapeva che quella fanciulla che lui amava così tanto era ancora in pericolo e che, a causa sua, lo sarebbe sempre stata.
E fu così che il fedele alleato fece cadere la giovane in un dolce oblio: dimenticò il tempo trascorso con il ragazzo, la cattura e le malignità subite… dimenticò completamente il suo giovane innamorato.
Non essere triste, lettore, perché ciò che hai appena letto non è un finale infelice… Tale sacrificio è stato un atto d’amore, perché il ragazzo sa che, anche senza i suoi ricordi, lui apparterrà a lei, per sempre.

Sul retro, due sole iniziali:
D. M.
Aveva riletto quella storiella almeno un centinaio di volte da quando era tornata. Non sapeva come fosse finita nel suo libro preferito, né tantomeno di chi l’avesse messa proprio lì.
Non era nulla di particolare, scritta anche in maniera approssimativa…
Eppure le sembrava così familiare.
In fondo, come la protagonista anche lei aveva perso la memoria; e, da quel che ricordava, o meglio, non ricordava, poteva essere lei stessa la protagonista di quel racconto.
Rise, pensando all’assurdità della cosa.

Tu innamorata, Teresia?
Chiuse il tomo, nascondendo accuratamente la storia tra le sue pagine: non sapeva perché, ma non voleva che sua madre, o William, o il dottor Malcolm la leggessero.
Appoggiandolo sulle ginocchia, si mise a riflettere. Non ricordava ciò che le era accaduto, non sapeva dove fosse sparita per tutto quel tempo né che cosa le fosse accaduto.
E, non sapeva il perché, ma non aveva alcuna voglia di scoprirlo. Era una strana sensazione, quella. Sembrava che l’inconscio le suggerisse che, tutto sommato, era meglio non saperlo. Assieme ai medici aveva vagliato un ipotesi che ora era divenuta realtà assoluta per lei:
era scappata di casa in un momento di rabbia nei confronti di sua madre a causa della permanenza ormai effettiva di William in casa loro, aveva vissuto per strada e, probabilmente, avrebbe voluto ritornare dalla madre quasi subito rendendosi conto dello sbaglio commesso; ma forse non aveva avuto il denaro per tornare, o aveva perso la strada viaggiando attraverso le campagne isolate dello Wiltshire; poi, un giorno, una volta ritrovata la strada di casa, aveva sbattuto la testa a pochi passi dalla meta, e ciò le aveva causato una perdita di memoria.
Sapeva che qualcosa non quadrava, ma francamente non le importava. Adorava quella versione: era razionale tutto sommato, e molto probabile vista la sua testardaggine.
Era sicura che, in quel momento di pazzia, aveva deciso di iniziare il viaggio che si era prefissata sin da quando suo padre era morto.
E quell’esperienza era stata, nonostante tutto, una spinta verso una vita migliore: il rapporto con sua madre era migliorato tantissimo in quell’unico mese e aveva capito quanto William fosse una persona gentile, premurosa, aiutando sua madre e sostenendola in quel momento così difficile.
Forse le cose non erano andate così lisce ma, se non ne hai più memoria, che importa? La vita è fatta dai ricordi, e se essi vengono meno, cosa ti rimane di quell’esperienza, o di quella persona, o di quel luogo?
Abbassò lo sguardo sul libro.
Pensò ai protagonisti del racconto: la ragazza non si sarebbe più ricordata di quel ragazzo ma lei, lettrice, spia di quella storia rubata, lo avrebbe fatto al suo posto.

Anche se non aveva idea di chi fossero quei due personaggi, anche se non sapeva perché fosse attratta irresistibilmente da quella storia, sapeva, lo sentiva, che avrebbe fatto indissolubilmente parte di lei.
Per sempre.

***

Un mese prima

“Domani inizia la scuola…”
Draco si mise a sbuffare, infastidito. “Dobbiamo proprio conversare?”
Aveva sputato fuori l’ultima parola come se fosse un insulto.
Piton lo scrutò intensamente, e nonostante non fosse nel suo stile, insistette. “Da domani non inizia solo la scuola, per te.”
Draco finse che tali parole non lo avessero turbato, ma la destra corse a stringere il braccio sinistro.
“Lo so perfettamente.”
Si trovavano nel parco di Font Hill, vicino al lago. Seduti su una panchina, Draco non riusciva proprio a capire cosa diavolo ci facessero lì. Quando glielo aveva chiesto, Piton si era limitato a dirgli che aveva bisogno di rilassarsi.
“Possiamo tornare a casa? Devo ancora preparare delle cose per domani.”
Non era vero, ma non aveva alcun desiderio di parlare.
“Stare qui ti infastidisce?”
Draco non rispose.
Piton lo scrutava intensamente, come aspettandosi un qualche atto di pazzia da un momento all’altro.
Draco, impaziente, scattò. “La smetti di fissarmi?” Si guardò intorno, desiderando altamente di essere solo.
Piton si alzò in piedi. “Hai un’ora, non di più.”
Lo vide allontanarsi, ma scattò in piedi a sua volta.
“Era assolutamente necessario usare l’Oblivion su di me?”
Piton si voltò, e nonostante il suo classico sorrisetto superiore, non riuscì a celare la strana tristezza che gli balenò sul viso.
“Non posso dirti nulla al riguardo, te l’ho già detto…”
Draco strinse i pugni, cercando di trattenere la rabbia. “Ero consenziente? Esigo sapere almeno questo!”
Piton sostenne il suo sguardo fermamente. Sembrò riflettere su quanto lasciar trapelare e, soppesando le parole, infine disse: “È stata una tua personale richiesta, che io ho eseguito.”
Non era la risposta che si aspettava ma, ragionandoci, era felice di essere stato lui a decidere una cosa così importante, tutto sommato. Non dubitò delle parole di Piton, perché sapeva quanto fosse una persona leale per la sua famiglia. Si abbandonò sulla panchina, pensieroso.
“Hai fatto la cosa giusta, Draco. E il Signore Oscuro ha perdonato tutto ciò che hai fatto in funzione di questa tua scelta.”
Piton non aggiunse altro e, alla fine, si avviò verso la Malfoy Manor, lasciandolo da solo a riflettere.
Ora, nella pace assoluta di quel luogo, Draco non cercava di ricordare: sapeva che, qualunque accadimento fosse avvenuto, se lui stesso aveva deciso di farsi modificare la memoria, probabilmente era stato per il meglio.
Si distese sulla panchina, incrociando le mani dietro la testa. Stava quasi per chiudere gli occhi quando un dettaglio catturò la sua attenzione.
Nel legno dello schienale, nell’angolo, nascosto e quasi invisibile, c’era un intaglio. Era così leggero che doveva essere stato fatto con un rametto piuttosto che un coltello.

T e D = ?
Rimase un minuto intero a fissare quelle lettere. Che cosa mai poteva significare il punto interrogativo?
Scosse il capo, pensando a quanto fossero stupidi i babbani. Questi T. e D. erano probabilmente due ragazzini che non sapevano cosa fossero l’uno per l’altro, e l’idea geniale era stata quella di rendere questo concetto con un punto interrogativo.
Draco si chiese, senza sapere bene il perché gli importasse, se quel simbolo sarebbe cambiato prima o poi.
Pensò che, magari, durante le vacanze di Natale sarebbe tornato a casa, in quel parco, su quella panchina, e vi avrebbe trovato un cambiamento, un’evoluzione.
Un groppo in gola lo fece alzare di scatto. Osservò a lungo quelle lettere, sentendo che, in fondo al cuore, non sarebbero mutate.
Alla fine si alzò, dirigendosi verso casa.
Non sarebbe tornato a controllare, il prossimo Natale.

 
Questa storia è (finalmente) giunta alla fine.
Spero di essere riuscita nel mio intento di creare una “Missing Moments”, era un mio grande desiderio.
Grazie a tutti, di cuore.
Un bacio,
Lily

  
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