Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: khyhan    29/06/2014    1 recensioni
– Ci ritroveremo. – urlò. – E ti amerò di nuovo, te lo prometto. Nella prossima vita. In cento prossime vite. Ogni volta mi innamorerò di nuovo di te. Tu sei mia e il mio cuore è tuo.
Settantotto sono le carte dei Tarocchi, settantotto sono le persone che in tempi antichi hanno ricevuto dono di una magia che è insieme una benedizione e una maledizione, perché con il potere cresce anche il seme della follia.
Nel momento in cui Verity abbandona Roma per seguire un misterioso biglietto trovato accanto a cadavere del suo ragazzo non sapeva che ad attenderla ci sarebbe stato il suo destino. Michael è un ladro che non crede in nessuno a parte se stesso ed è perseguitato dal ricordo del suo amore che ha perduto mille volte. Christian è un medico che ha trovato il senso della vita tra i bassifondi di Calcutta ed è costretto ad abbandonare i suoi principi per salvare centinaia di vite.
La follia e il destino hanno voluto che si incontrassero e finissero ciò che era cominciato più di duemila anni prima. Vendetta e potere scorrono nelle loro vene.
La tragedia e l'amore si intrecciano tra passato e futuro.
E il cerchio sta per chiudersi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
2.4 - Il potere della Spada

II – La Papessa

Il Potere della Spada

 

Villa Courteney, Dover. 25 Luglio 2011

 

Christian aveva bisogno di sfogarsi. Non riusciva più a tenere a freno la rabbia che lo stava consumando negli ultimi tempi. Da quando aveva ricevuto il fax da sua madre i suoi pensieri erano rivolti a Calcutta e alle migliaia di persone che aveva lasciato lì. Non conosceva i loro nomi né i loro volti, ma era a conoscenza della loro condizione e delle poche risorse che avevano a disposizione i volontari che andavano in quella città dimenticata da Dio.  Aveva provato a far capire alla sua famiglia quanto disperata fosse la situazione, aveva provato a spingere di più sul piano pubblicitario, ma sua madre non voleva sentire ragioni: se Christian voleva realizzare i suoi desideri doveva obbedire agli ordini, poco le importava che nel farlo lui avrebbe perso la persona che era diventato a fatica.

Aprì piano la porta della camera di Nyvie e si perse a guardare la piccola che dormiva nel suo letto. Era in pace mentre osservava la sua protetta che riposava al sicuro. Egoisticamente l’aveva strappata a sua madre e ai suoi fratelli per portarla con sé in Inghilterra lasciando loro nella casa di un suo amico. Ne pagava le spese e faceva in modo che avessero tutto ciò che cui potevano aver bisogno, ma non erano come Nyvie. Erano persone che aveva visto due volte e non gli importava di loro, ma erano collegati alla bambina e per lei si era preso carico anche di loro. Lei era felice di sentire la madre e i fratellini al telefono e sapere che stavano bene e avevano sempre da magiare, a Chris interessava solo questo.

Si appoggiò al muro e rimase in quella stanza per qualche minuto. Ne aveva bisogno. Aveva bisogno di ricordare a se stesso perché aveva scelto di cambiare, tornare alla sua vecchia vita era allettante perché questa strada era molto più difficile della precedente.

Nyvie si girò nel letto mormorando qualcosa di hindi e lui le sorrise nella penombra. Se in quel giorno di pioggia non avesse trovato la bambina le cose sarebbero andate diversamente. Sua madre non avrebbe trovato nulla con cui ricattarlo, tanto per cominciare e lui sarebbe stato su qualche isola a godersi il sole estivo e la compagnia di donne interessate solo al suo nome e ai suoi soldi. Eppure preferiva questa situazione così intricata, ma con dei veri affetti, rispetto al passato.

Rimboccò il lenzuolo a Nyvie. Non gli piaceva che dormisse a pancia scoperta, anche se era estate, con l’ambiente climatizzato, Nyvie avrebbe potuto prendere freddo. La piccola doveva sempre stare bene, vederla anche con banale raffreddore lo terrorizzava. Se le fosse successo qualcosa, cosa ne sarebbe stata della sua neonata coscienza?

Chris non ci voleva pensare. Tornare a essere il vecchio Christian Courteney che dispensava vita e morte a suo piacimento lo esaltava e lo spaventava. Ciò che aveva fatto era profondamente sbagliato, inumano, contrario a tutto ciò che gli avevano insegnato all’università, ma non gli era mai importato. Era stata Nyvie a insegnargli con pochi gesti che lui era una persona vuota anche se era un medico ricercato. Gli occhi di quella bambina lo avevano colpito lasciandogli un segno profondo nella sua sicurezza. L’aveva curata dalle piaghe infette solo per dimostrarle che lui era al di sopra del suo disprezzo e poi del suo fratellino strappandolo al colera perché lui poteva vincere anche contro la morte. Si era occupato dei due bambini per giorni nutrendoli e curandoli al massimo delle sue conoscenze, ma negli occhi di Nyvie continuavano a scrutarlo e soppesarlo. Vedeva che era grata per le cure che prestava al fratello malato, ma non lo guardava mai con l’adorazione che avevano tutti i suoi clienti. Frustrato per quel comportamento le urlò cosa volesse e Nyvie lo trapassò con lo sguardo dicendogli che era povero.

Quando Chris li mise alla porta senza tanti complimenti si aspettò di tornare alla normalità. Le sue giornate erano piene di situazioni drammatiche, ma niente riusciva a colpirlo come il ricordo dello sguardo di Nyvie. Ignorando la sua sicurezza personale, si era inoltrato nei bassifondi per capire perché lei lo avesse definito povero. Christian aveva sempre avuto tutto ciò che poteva desiderare mentre le persone che vivevano in quelle capanne di scarti e lamiere non sapevano nemmeno se avessero avuto un tetto il giorno dopo. Trovò Nyvie che stava dividendo un pezzo di pane con i suoi tre fratelli mentre la madre scaldava su un fornello di fortuna del tè chai. Non avevano nulla se non qualche stuoia e i vestiti che avevano indosso. Quella ragazzina aveva avuto il coraggio di definire lui povero quando lei aveva meno che niente. Eppure lei era felice. Rideva, giocando con i fratellini anche se le ossa le sporgevano e la pelle era sottile come la carta. Soddisfatta la sua curiosità avrebbe dovuto andarsene, ma senza capire il perché, rimase in mezzo a quella baraccopoli a osservarli, invidioso di quelle risate genuine e di quell’allegria che contagiava tutti i bassifondi. Nyvie lo vide e con un sorriso lo trascinò oltre la tenda sbrindellata, invitandolo a unirsi a loro per mangiare quel poco che avevano. Sua madre gli offrì la stuoia intrecciata migliore. A distanza di due anni, ancora non gli venivano in mente le parole adatte per descrivere il tè che gli avevano offerto e il calore che aveva provato in quel momento. Si sentiva il benvenuto e non perché era un medico o un ragazzo ricco, ma perché era una persona. Da quel giorno non era più riuscito a separarsi da Nyvie, andava a cercarla anche se era esausto portando con sé una busta piena di cibo che affidava alle prime persone che trovava per strada sapendo che quel giorno qualcuno avrebbe mangiato e iniziò a lavorare per le Missionarie della Carità con nuova energia combattendo anche per i casi disperati perché tutti avevano diritto ad una seconda occasione. A una seconda vita come era successo a lui. Nel momento in cui Nyvie aveva incrociato la sua strada, aveva capito cosa significava essere poveri ed era riuscito a riempire la voragine dentro di lui che sentiva da sempre.

A fatica si allontanò dal letto. Era appena l’alba e lei aveva il diritto di godersi ancora qualche ora di riposo. – Sogna anche per me. – le sussurrò. – Crea un mondo tutto nuovo senza povertà, menzogne e malattie.

Nyvie mormorò qualcosa e sulle labbra le si dipinse un sorriso che gli scaldò.

Assicuratosi che lei stesse bene si diresse in palestra. Fin da bambino lo avevano costretto ad alzarsi prima che il sole sorgesse per allenarsi e nel corso degli anni non aveva mai perso l’abitudine. La sua giornata iniziava presto e finiva a notte fonda, quando la villa sprofondava nel silenzio e nemmeno gli animali emettevano più un suono.

Percepì la presenza di Mikelich nel corridoio e si fermò. Non aveva voglia di incontrarlo, erano cinque giorni che faceva di tutto per non vederlo, ma il suo maggiordomo spuntava fuori ovunque. Erano lontani i tempi in cui si sentiva al sicuro con quell’uomo vicino, quando contava sul suo consiglio ed era convinto che avrebbe risolto ogni suo problema. Chris aveva capito da che parte stava Mikelich e non era dalla sua.

Se possibile, il gorgoglio dell’acqua calda che uscivano dalle statue della piscina lo irritarono ancora di più. Amava e odiava quella zona. Il nuoto lo rilassava e lo aiutava a riflettere, ma le ventidue statue gli ricordavano l’attenta pianificazione che suo nonno e sua madre che li avevano messo in atto e che li aveva portati alla sua nascita. Fin dall’infanzia suo nonno lo portava alla piscina e gli indicava la Forza, raccontandogli storie sulla sua carta e il significato che assumeva nei tarocchi. Il giorno che aveva sbriciolato una roccia con una mano sua madre lo aveva guardato con orgoglio e suo nonno gli aveva detto che era il degno erede del nome dei Courteney.

Quelle statue lo avevano esaltato per tanti anni spingendolo a comportarsi come preferiva e a credersi migliore degli altri perché lui era di ascendenza nobile e un essere sovrannaturale e nessuno lo aveva mai fermato. Ora, il significato che vedeva in quei pezzi di pietra lo faceva vergognare. Avrebbe ridotto in cenere quella villa se glielo avessero consentito, ma sapeva di essere osservato dai mille occhi di sua madre e ne era terrorizzato. A trent’anni aveva ancora paura di guardare in faccia sua madre e dirle che non era più una sua pedina, ma anche se avesse trovato la forza di farlo, innumerevoli vite contavano sulla sua obbedienza. Sua madre non avrebbe ferito lui, ma avrebbe licenziato il personale che conosceva da anni, gli avrebbe tolto Nyvie e distrutto ciò che lui stava costruendo in India. Avrebbe dato fuoco i bassifondi di Calcutta per rimetterlo in riga.

Poteva solo ingoiare la rabbia e attaccarsi alla speranza che con il sacrificio di pochi, molti avrebbero avuto un futuro migliore. E aveva iniziato da Verity e Nyvie. Voleva dare alle due ragazze tutto ciò che desideravano. Fare in modo che non dovessero più accontentarsi di poco, quando potevano avere tutto.

La prima volta che aveva aperto l’armadio per Verity si era sentito impacciato. Non aveva mai fatto nulla di simile. Era abituato a scegliere vestiti per le ragazze che lo accompagnavano e che esibiva come un trofeo e non si era mai soffermato a chiedere i loro gusti, ma l’idea che ciò che aveva scelto non piacesse a Verity lo preoccupava. Era un tarlo che lo consumava dall’interno e si sentiva inadeguato in presenza di quella ragazza che aveva lottato per avere una vita migliore. Così come non poteva stare davanti a Nyvie senza provare vergogna per se stesso e per la sua famiglia.

Si fece forza ed entrò in palestra dove Mikelich lo attendeva come ogni mattina, ma non fu lui a sorprenderlo.

Verity stava dando dei pugni al sacco che Mikelich teneva fermo. Lo sguardo concentrato sul suo obbiettivo e le cuffie nelle orecchie che la estraniavano da ciò che le stava intorno. Non sapeva cosa animasse quella ragazza, ma era decisa a combattere con tutta se stessa, glielo leggeva negli occhi.

– Può forte, signorina! – la incitò Mikelich. Come se lo avesse sentito, Verity aumentò l’intensità e la frequenza dei pugni. Anche se la sua forza di volontà lo avevano attratto, Chris non poteva fare a meno di soffermarsi sui capelli raccolti che le danzavano sul collo imperlato di sudore e le gambe nude che sbucavano da un paio di shorts neri che lui non ricordava di aver comprato.

Accortosi della linea dei suoi pensieri, Mikelich gli indicò con lo sguardo il tapis roulant con cui poteva iniziare ad allenarsi. Gli obbedì senza disturbare Verity, ma quando accese il macchinario, fu lei ad accorgersi della sua presenza.  – Ciao. – lo salutò asciugandosi il sudore dalla fronte con il guantone. – Spero non ti dispiaccia. – gli disse togliendosi una cuffietta. – Non riuscivo più a dormire.

Christian scosse la testa e selezionò la playlist da un’ora. – Puoi fare tutto ciò che vuoi, – le disse con un mezzo sorriso. – ma evita di passare troppo tempo con Mikelich.

Ogni volta che vedeva Verity e Mikelich nella stessa stanza gli venivano i sudori freddi. Il maggiordomo avrebbe potuto denunciarli entrambi a sua madre rivelando la natura di Verity, ma non poteva lasciare che la ragazza vagasse libera per la villa, alcune stanze contenevano la verità sul suo passato e non voleva metterla a disagio o in allarme. Se Verity, che amava tanto gli animali, avesse visto la sala della caccia, lo avrebbe odiato. C’erano delle sue foto con il fucile in mano circondato da persone come lui, con un sorriso soddisfatto in volto mentre tenevano le loro prede in mano. Le zanne di un elefante erano lì dentro da prima della sua nascita, ma sentiva le mani sporche come se la povera bestia fosse morta ieri e lui avesse sparato il colpo mortale. Tutta la villa parlava dello stile dei vita dei Courteney, che per secoli avevano pensato solo ad arricchirsi. L’aveva portata nella cripta per mostrarle che loro avevano fatto anche qualcosa di utile per l’Inghilterra cercando di mettere la propria famiglia in una luce migliore. Avevano iniziato come corsari al servizio della Compagnia delle Indie e poi avevano difeso la tratta commerciale dai pirati guadagnandosi il titolo nobiliare. Sperava un giorno che il suo cognome tornasse ai fasti di allora.

– Hai già fatto colazione? – le domandò scacciando quei pensieri.

Verity scosse la testa. – Non ancora. – rispose infilandosi di nuovo le cuffie e Christian la imitò. La musica dei Linkin Park accentuò la rabbia che covava facendogli venir voglia di muoversi. Le fece cenno che ci avrebbero pensato dopo e iniziò a correre.

Si perse. La palestra scomparve, così come Verity dietro di lui e Mikelich. Sentiva il battito del suo cuore nel petto e i muscoli contrarsi. Le sue musiche preferite si mischiarono alle parole distaccate di sua madre mentre gli comunicava cosa dovesse fare con Dubois. Ricordava com’era andato da lei disperato, rimettendosi alla sua pietà per avere sufficienti farmaci e una struttura adatta ad ospitare tutte quelle persone che le Missionarie della Carità non riuscivano a gestire.

Presto, ricordò a se stesso, presto avrò ciò di cui ho bisogno per prendermi cura di tutti.

Accelerò il passo. Ricordava le parole balbettate per metà in hindi e metà in inglese che lo imploravano. Le urla dei bambini lo circondarono, così come le grida delle donne che si vedevano strappati i propri cari dalla malattia e dalle ferite infette. Davanti agli occhi riviveva le piogge monsoniche e come i fiumi si gonfiavano minacciando di trascinare via le baracche, e i tombini straripavano rigurgitando il loro contenuto sulle strade.

Non poteva fare nulla per quelle situazioni, ma poteva far costruire un posto dove la gente trovasse rifugio e cure, un ospedale da affidare a chi si sarebbe preso cura degli altri come scopo nella vita e non solo per soldi.

Se per avere il mio ospedale in India devo uccidere Dubois, sono disposto a dannarmi l’anima, ricordò a se stesso. Aveva fatto molte cose sbagliate, ma non aveva mai ucciso nessuno e anche se si ripeteva che era per un motivo più importante era stato felice che Dubois fosse fuggito. Non voleva avere le sue mani imbrattate di sangue e guardare la sua carta ricordando il suo viso. Era felice di aver guadagnato altro tempo per venire a patti con quella scelta. In buona fede sua madre aveva già spedito dei bancali di medicinali e fisiologiche, ma Chris non poteva tenerla sulla corda per sempre, prima o poi avrebbe dovuto portarle qualche risultato. E temeva il giorno in cui lei glieli avrebbe chiesti.

Strinse i denti. Fino a due anni prima approvava la politica della madre, ora la detestava, ma senza di lei e i soldi della sua famiglia Christian non sarebbe andato da nessuna parte. Perfino il viaggio in India lo aveva fatto sotto stretta sorveglianza di Mikelich. Ma adesso, la sua vita era finita in un milione di pezzi e poi si era ricomposta assumendo un’altra prospettiva. Aveva vissuto per anni in un modo orribile e ora faceva di tutto per rimediare ai propri errori, ma non sapeva cos’altro poteva fare.

– Maledizione! – colpì il pannello del tapis roulant con tutta la forza che aveva mandandolo in pezzi. Respirando affannosamente, si voltò a guardare Verity che lo studiava con ancora il pugno alzato e la rabbia svanì. – Ti ho spaventato? – chiese. – Mi dispiace.

– No, – disse scuotendo la testa. – mi hai fatto prendere un colpo, ma è okay. – osservò i danni che lui aveva fatto e poi tornò al suo visto. – Credo.

Non lo stava guardando come il mostro che si sentiva. Aveva distrutto un macchinario da qualche migliaia di euro in un secondo e lei lo osservava immobile senza traccia di paura, solo stupore mista a preoccupazione.

Del resto, si disse, mi ha visto sfondare un muro con un pugno. Cosa può esserci di più spaventoso?

Voleva restare un po’ solo con lei e cercare di chiarirsi, ma con il suo mastino sempre in agguato era impossibile. – Mikelich. – disse guardandolo con disgusto. – Sarebbe il caso che tu vada a preparare la colazione. O pensi che la nostra ospite debba nutrirsi d’aria? – ci mise ogni briciola di disprezzo che provava per quell’uomo alto due metri e ciò che rappresentava. Non gli importava più di guadagnare il suo rispetto. Ora era solo una delle tante ombre della sua famiglia che lo inseguivano e lo studiavano in attesa di un passo falso.

– Signorino...

Non si fece ingannare dallo sguardo costernato di Mikelich e scese da ciò che rimaneva del tapis roulant per prendere un asciugamano. Lui poteva guardarlo come voleva, ma aveva imparato a non fidarsi delle espressioni di una persona proprio da lui. Potevano ingannarlo e ritorcergli contro ogni sua debolezza. – Vai. – ordinò tamponandosi il viso.

Rimasti soli, Verity passò dallo stupore alla rabbia. – Non ti aveva fatto nulla! Potevi anche chiedere per favore.

Lei non poteva capire cosa significasse vivere per anni con un uomo che aveva adorato e che voleva raggiungere. Credere che fosse un esempio di forza e lealtà e poi scoprire che ogni passo di Chris veniva riferito alla sua famiglia. Quando lo aveva scoperto, si era sentito tradito dall’unica persona che gli era stata vicina come un genitore. – Nel suo contratto non c’è scritto che io debba chiedergli per favore. Lui è il mio maggiordomo e la mia guardia del corpo, è pagato per obbedire agli ordini.

Lo sguardo di Verity lo soppesò e lungo per poi tornare a concentrarsi sul sacco da boxe. – Come preferisci. – aggiunse ricominciando a sferrare colpi. Senza Mikelich, ora si divertiva a usare anche i calci e in volto le si disegnò un sorriso compiaciuto quando evitò il sacco per poi colpirlo con forza.

Christian aveva capito che ciò che animava Verity era la rabbia. La trascinava fuori dal letto la mattina e la costringeva a lavorare sulle ricerche di Dubois o ad allenarsi. – Ehi. – disse avvicinandosi e tenendole il sacco. – Chi immagini di colpire così violentemente?

Gli lanciò un’occhiata di fuoco prima di dare un altro pugno. – Quel bastardo di un ladro francese.

Già, si disse, era ovvio che la Regina di Spade pensasse alla Luna. Ogni carta conosceva la loro storia d’amore e come si cercavano ogni volta, ma Verity non gli aveva detto tutta la verità. Sotto quello sguardo concentrato e la violenza dei colpi, c’era qualcos’altro. Non pensava che fosse a causa di ciò che Dubois le aveva fatto a Parigi e non era sicuro che lo odiasse fino al punto da volerlo morto anche se lei affermava il contrario.

– È ciò che gli farai quando lo troverai? – le faceva domande per riempire il silenzio perché non esso arrivano anche i ricordi da cui lui fuggiva.

Verity annuì e una goccia di sudore le corse lungo la tempia. – Mi ha rapito. – esclamò tirando una ginocchiata. – E legato. – un altro pugno si abbatté sul sacco. Christian non fece commenti. Non c’era convinzione nei suoi occhi mentre Verity lo diceva e lui non glielo fece notare.

– Vuoi provare qualcos’altro? – chiese con un sorriso. Voleva passare altro tempo con lei, conoscerla meglio e non poteva farlo con Mikelich sempre intorno.

– Tipo? – domandò Verity con il fiato corto.

Chris alzò le spalle e le indicò le maschere bianche dall’altra parte della palestra. – Scherma. – spiegò andando a prendere la sua spada dalla rastrelliera. Con gli anni, la scherma gli aveva dato tante soddisfazioni e continuava ad amare Il momento in cui il bottone sulla punta si premeva in un affondo contro la giubba dell’avversario e gli veniva assegnato il punto.

Verity lo seguì, studiando la spada che lui teneva nella destra. – Non è pericoloso?

Lui rise e prese la maschera. – Ci potremo fare qualche livido, sì! Ma sarà divertente. – le passò una maschera della sua misura e poi il completo di protezione. Era il caso che lei li mettesse se non aveva mai tirato di spada. – Sono più o meno della tua taglia. – disse mostrandole la giubba. – Dovrebbero andarti bene.

Toccò il tessuto di cotone spesso con due dita, prima farsi aiutare da Chris a mettersi la giubba. – Come fai ad avere un modello femminile? – l’occhio le cadde sulle spalle larghe di Christian e sulle braccia muscolose e lui trattenne un sorriso.

– Mia madre. – spiegò. – Tirava anche lei. Diciamo che è tradizione di famiglia. – al pensiero della madre il divertimento si spense, ma riemerse quando Verity guardò la rastrelliera cercando una spada adatta a lei. – Ti aiuto a scegliere. – propose lui. – Sei destra o mancina?

Lei scosse la testa e prese una spada. Fendette l’aria come se l’avesse sempre usata, ma poi la mise giù scegliendone un’altra. Provò altre due volte prima di essere soddisfatta della scelta. Chris la guardò sbalordito. – Come hai fatto?

– Non lo so. – mormorò lei saggiando la flessibilità dell’arma. – La sento mia. Ecco tutto.

Christian sapeva che non doveva sottovalutarla, Verity era una carta di Spade e aveva quell’arte nel sangue, ma che riuscisse a scegliere l’arma della giusta misura senza aiuto di nessuno andava ben oltre la sua immaginazione. – Ti mostro le impugnature e le posizioni del polso.

Christian non poteva avere a che fare un’allieva migliore. Verity era attenta, imparava velocemente e metteva in pratica ciò che lui le insegnava come se lo avesse sempre fatto. Mentre le mostrava un mulinello, rimase a bocca aperta nel vedere lei che imitava le sue mosse alla perfezione. – Tu hai già tirato di scherma. – rise infine sedendosi sul pavimento della palestra. Non era possibile che una novellina che non aveva mai preso in mano una spada eccellesse come chi praticava da anni.

Verity si sedette davanti a lui giocando con la coccia della sua lama. – A dir la verità, no. Ho guardato le Olimpiadi e mi sarebbe sempre piaciuto cominciare, ma sai... – arrossì fino alla fronte e guardò da un’altra parte – tutta l’attrezzatura costa. E anche l’iscrizione in palestra. – sussurrò.

Fu il turno di Chris a dover essere imbarazzato. Lui non doveva far altro che chiedere e tutto gli arrivava nel giro di pochi giorni, e come lui, i ragazzi che aveva frequentato. Non era facile guardare qualcuno che desiderava tanto qualcosa e dover rinunciare per un problema economico. Soprattutto se aveva un talento naturale.

I due ragazzi rimasero in silenzio evitandosi con lo sguardo.

Christian si rialzò, obbligandosi a darsi un contegno. Aveva trent’anni, non sedici e non doveva comportarsi come un adolescente alla sua prima cotta. – Ti va di provare un incontro? – le propose. – Solo per incrociare le lame.

Ancora rossa, Verity accettò e si rimise in piedi.

– La maschera. – disse lui prendendo la propria. – Meglio non tentare la fortuna.

Verity rimase con la spada in mano puntata verso il pavimento di legno. – Non ti metti la protezione? – domandò lei. – Solo la maschera?

– No. – disse con un moto d’orgoglio. Verity aveva preso la spada in mano per la prima volta oggi, anche lo riusciva a imitarlo, questo non voleva dire che poteva arrivare a colpirlo. Lui praticava da quando aveva sette anni e si era allenato con i campioni. Non sarebbe arrivata nemmeno a sfiorarlo. – Andrà bene così, tranquilla. Le regole prevedono che tutto il corpo sia bersaglio, ma visto che è la tua prima volta mirerò solo al tronco.

Il sorriso che gli fece Verity prima di calarsi la maschera sul viso non gli piacque per niente. – Se va bene per te... – la sua voce gli arrivò soffocata dalla maschera, ma sentì la punta minacciosa nella sua voce.

Per rispetto verso di lei, cominciò piano stuzzicandola con la spada e incrociando volutamente le lame. Non voleva spaventarla o metterla in condizione di non potersi difendere, ma Verity tenne per tutto il tempo la guardia, pronta sia a difendersi che ad attaccare.

Quando lui si lanciò in un attacco, lei arretrò deviando la spada e cercando il contatto con la propria. Provò anche a colpirlo in controtempo, ma Chris se ne accorse e si svincolò. – Niente male. – le disse facendole i complimenti. – Niente male, davvero. – e lo pensava veramente, solo che Verity non si era accorta di aver lasciato scoperto un punto ed era un facile bersaglio. Chris andò all’assalto, ma la sua spada incontrò quella di Verity e gliela deviò facendogli fare un giro completo. Si ritrovò con la spada di Verity puntata contro la base della maschera, all’altezza della gola.

Si strappò la maschera dal viso. – Ma che...? – gli sfuggì attonito. Era stato battuto facilmente e non aveva ancora razionalizzato il pensiero. Poi, gli arrivò l’illuminazione. – Era un invito, quello? Hai lasciato volutamente un punto scoperto?

Verity si tolse la maschera. – Sì. – disse con un sorriso compiaciuto.

Non sapeva se esserne felice o meno. Aveva ancora la spada in mano e guardava Verity come se gli avesse dato una botta in testa. – Incredibile.

Verity uscì dalla giubba a fatica, con la maglia di cotone inzuppata di sudore. – Non so come ci sia riuscita. Nella mia testa si è formato uno schema e il mio corpo ha fatto il resto. 

Chris invece iniziava a capire cosa fosse accaduto. – Verity, prendi la spada e fammi una sparizione. – non le aveva mai parlato di quella mossa. Era sicuro di non averla nominata.

Verity obbedì e finse di avere di fronte un avversario, si diede uno slancio all’indietro e allungò il braccio armato per deviare una spada immaginaria.

– Una leva. – le ordinò studiandola.

Di nuovo, Verity obbedì senza che lui dovesse spiegarle di cosa stesse parlando. Christian non aveva più alcun dubbio. – Credo che questa sia una delle capacità delle Carte di Spade. Hai in testa un manuale di scherma.

________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

NdA: I tempi di aggiornamento stanno diventando biblici, lo so, ma il tirocinio mi impedisce di essere più veloce per quanto mi ci applichi. Allora, cosa ne pensate di Christian? sarei curiosa di conoscere la vostra opinione. Grazie per i commenti e per aver messo la storia nelle preferite/ricordate/seguite. Mi fa sempre molto piacere.

Al prossimo aggiornamento.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: khyhan