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Autore: lalla124    23/08/2008    6 recensioni
Salve! Mi chiamo Laura e questa è la mia primissima fanfiction che pubblico (oh, che emozione!). Molto probabiilmente non sarà un granché, quindi sarei felice se mi faceste commenti e critiche per capire se è possibile continuare o se è meglio smettere. La storia inizia alla fine di Eclipse e non viene narrata da Bella ma da un personaggio di mia invenzione: una misteriosa ragazza appena trasferita a Forks... Grazie in anticipo! Ciaooooo!
Genere: Avventura, Fantasy, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Realtà

33) Realtà

 

Rimasi per un attimo allibita a bocca aperta. Marte non era morto? Questo… questo voleva dire che non era servito a niente. Tutto quello che i Cullen ed i licantropi avevano fatto non era servito a niente! La morte dei Premyslidi, Jared, JJ e… Jacob, il mostro che si nascondeva dentro di me. La morte di Jack; ero ancora stupita. Non avrei mai immaginato che non fosse realmente un seguace di Marte. Ed anche lui era morto per me. Niente, era stato tutto inutile. La mia maledettissima fuga. Strinsi i pugni attorno alle lenzuola. La rabbia stava crescendo; un animale non meno pericoloso dell’odio. Era stato tutto inutile…

Nella mia testa cominciavano a susseguirsi gli stessi pensieri. Quella collera stava crescendo e diventando insopportabile.

NatashaEdward attirò la mia attenzione. Lo guardai negli occhi. I Cullen non sarebbero mai riusciti ad ucciderlo. Ed i licantropi… bhe… non credevo ne avrebbero avuto le forze dopo la morte di due dei loro compagni. Ma non era solamente quello. Continuai a guardare gli occhi di Edward; cosa avrebbe fatto Bella se non gli avesse più visti? Erano già morte troppe persone; non volevo che succedesse ancora, ed ancora ed ancora. Stavo scoppiando dalla rabbia; ora ne avevo davvero abbastanza. Doveva finire.

Tutto questo voleva dire un’unica cosa. Continuando a mantenere lo sguardo fisso nei suoi occhi mi allontanai da lui, gattonando all’indietro sul letto. Quando giunsi dall’altra parte del letto e mi alzai in piedi. Edward mi guardava con sguardo preoccupato ed ansioso.

“Mi dispiace” sussurrai. Forse lui riuscì a capire cosa stavo facendo, perché spalancò gli occhi e tentò di bloccarmi. Io però fui più veloce e riuscii a teletrasportarmi in tempo.

 

Mi trovavo alla stessa fermata dell’autobus dove mi aveva fatta scendere Marte. Ero il più vicina potessi essere a lui, anche se non credevo che quella specie di sotterraneo dove mi aveva portata fosse ancora utilizzabile. Avrei potuto nuovamente incontrarlo; anche se ora era solo era molto potente. Ma era esattamente quello che volevo fare; incontrarlo. La mia rabbia non era cresciuta al punto tale da perdere la ragione, anzi, mi dava coraggio. Stavo agendo consapevolmente. Non volevo che altre persone soffiassero la morte di altre persone. E l’unica che poteva fare qualcosa ero io. i Cullen, né i licantropi. Stavo compiendo di nuovo una grande sciocchezza? Forse, ma era l’ultima che facevo. Volevo incontrare Marte per ucciderlo. Quella rabbia mi aveva dato anche una grande forza di volontà; si poteva dire che era una sorte di ‘rabbia benefica’. Non ero in grado di gestire i miei poteri, ma ce li avevo e si sarebbero mostrati in questa situazione, ne ero sicura. Dovevo crederci. Era molto probabile che avrei fatto peggio, che fosse stato Marte a vincere. Ma dovevo tentare. In un certo senso andava contro alla risposta che avevo dato ad Edward; era come andare contro alla morte. Ma non la vedevo così; perché mi sarei impegnata per sopravvivere. Ora come non mai sapevo quello che stavo facendo e come sarebbe finita. Ero davvero sicura. Se Marte non sarebbe vissuto molte più persone non avrebbero più sofferto se fossi morta io. Ora non era un problema ucciderlo; per lui ero disposta a fare una piccola eccezione. Inoltre non lo avrei fatto nello stesso modo che avevo riservato ai suoi vampiri; questa volta ero lucida e non mi sarei fatta prendere da quell’odio. Al suo posto c’era quella strana rabbia positiva. Mi dava forza, coraggio e forza di volontà. Mi sentivo pronta. L’unico dispiacere che potevo avere era verso i Cullen. Se mi fosse successo qualcosa non me lo avrebbero mai perdonato. Si sarebbero davvero arrabbiato. No, anzi, si erano già arrabbiato, per la mia seconda fuga. In quel momento pensai che fosse male a quello che sarebbe potuto succedere. Davvero questa rabbia poteva cambiare i miei pensieri fino a questo punto? Un altro dispiacere era per mamma e Kathy. Non avrebbero resistito ad un'altra perdita. Feci un respiro profondo. Lo stavo facendo anche per loro. E poi sarei tornata da loro; non avevo dubbi.

Non ero sicura che Marte fosse ancora qui, ma non avevo la minima idea di dove poterlo trovare. La zona era deserta, come sempre, ad eccezione di quell’unica corriera che passava una volta al giorno. Sarei davvero riuscita a trovarlo qua?

Ma che bella sorpresa” La risposta era sì. Sentii la sua voce provenire dietro di me. La rabbia cresceva. Mi strinsi i pugni.

“Tu stai bene?” chiesi con una punta di sarcasmo. Dopo quello che era successo non credevo di sì.

Ma che carina… ti preoccupi per la mia salute” rispose anche lui sarcastico. Ancora quella voce idilliaca. Ma mi ci ero abituata, per sua sfortuna. Non mi incantava più come le prime volte; mi dava solo ribrezzo.

“Toglimi una curiosità… perché sei qui?” continuò, io mi voltai verso di lui. Era molto più vicino di quanto pensassi. Lo guardai, stava sorridendo. Ogni lineamento del suo viso mi disgustava.

“Per ucciderti” dissi calma. Lui alzò le sopracciglia sorpreso e quasi incredulo.

Ma davvero?” Quel sorrisino si ampliò. Voleva diventare una risata di scherno, ma io lo fermai.

“Credi davvero che non ne sia capace?” gli chiesi acida, facendogli ricordare che fine avevano fatto i suoi vampiri. Questa rabbia mi stava facendo comportare come una persona totalmente diversa; più decisa e sprezzante. Adatta all’occasione. Quel sorrisino scomparì all’istante ed i suoi occhi si fecero più scuri.

“Credi davvero che adesso ti servirà qualcosa?” La sua voce si era fatta decisa e rude. Io ricambiai il suo sguardo accusatore.

“Non è necessario con te” gli risposi sprezzante. I suoi occhi diventarono rossi.

“Sei da sola e non li sai gestire; non farti troppe illusioni, piccola”

“Questo lo dico io” continuai convinta. “E non mi chiamare piccolo” dissi perforandolo con lo sguardo.

“Mi sono davvero stufato di te.” Non arretrai alla sua intimidazione. Ero troppa decisa ad agire. Con un movimento rapido alzò il braccio verso di me, ma prima che riuscisse a toccarmi io mi teletrasportai a svariati metri di distanza. Lui non fu troppo sorpreso di vedermi lontana. Aveva ancora la mano alzata e non si era mosso. Da quella stessa mano si levava del fumo sottile, come se stesse bruciando. Mi rivolse uno sguardo di scherno.

“Sei stata davvero una stupida a venire qua credendo di fare qualcosa. Dopo che avrò ucciso te ucciderò anche tutte le persone a te care, che ne dici?” Aguzzai gli occhi e strinsi i pugni. No, non sarebbe successo. Perché io non sarei morta.

Lui scomparì muovendosi veloce. Purtroppo fu troppo veloce e non riuscii a schivarlo in tempo. Comparì subito dietro di me e mi legò il collo e le braccia in una mossa strangolatrice con entrambe le mani. Il calore emanato da quelle mi bruciò la pelle e mi fu impossibile non gridare.

“Ora credi di avere sbagliato?” Lui aumentò la pressione ed il dolore aumentò facendomi urlare ancora di più. Era insopportabile ed ad essere sincera per un momento mi pentii di essere lì. La forza di volontà però era rimasta ed il mio obbiettivo non era cambiato. Questa volta ero davvero sola; volevo che fossi sola. Il dolore era allucinante e non mi permetteva nemmeno di pensare lucidamente. Anche se ero sola, se non facevo qualcosa sarebbe davvero stata la fine.

“Toglimi la curiosità” Marte, intanto, tranquillo alle mie spalle, si stava prendendo gioco di me “Sei rimasta tanto male per la morte del tuo fidanzato?” Questo non doveva dirlo. Ripresi subito lucidità e smisi persino di gridare. Ormai la rabbia superava il dolore. Ora che ero lucida dovevo pensare a qualcosa; ucciderlo non sarebbe stato facile se i miei poteri non sarebbero venuti in mio soccorso. Questa era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Goccia. Acqua. Mi venne all’improvviso l’idea. Ricordai; a Marte l’acqua faceva qualcosa. E da come ne aveva parlato sembrava che… probabilmente fosse il suo punto debole. Ma dove avrei trovato tanta acqua da poter… la diga. Dovevo portarlo lì, ma teletrasportarmi in queste condizioni mi era quasi impossibile. Dovevo però riuscirci, dovevo. Cercai di concentrarmi, ma il dolore mi invase e non ci riuscii. No, non ce l’avrei mai fatta. All’improvviso era aumentato ed un odore di carne bruciata mi invase le narici. Stavo andando a fuoco. No, dovevo teletrasportarmi, se così non fosse il dolore sarebbe aumentato ancora di più e mi sarebbe stato impossibile teletrasportarmi. Ricominciai a gridare più che potevo e le lacrime scesero spedite lungo gli occhi per il dolore, nonostante servisse poco per concentrarmi. Provai e riprovai, ma non ce la facevo. Il dolore era troppo. Davanti a me le immagini cominciarono a scurirsi. Stavo per svenire o… peggio. Le gambe non mi ressero più, ma non caddi per terra, perché c’erano ancora le braccia di Marte che mi stritolavano. Il calore stava diminuendo.

“Ora sei convinta che non è stata una bella mossa da parte tua?” Sentii a malapena la sua voce. L’unica cosa che mi permetteva di non svenire era il dolore che allucinante mi premeva il collo e le spalle. Ora che aveva abbassato un attimo la guardia dovevo agire. In quei pochi attimi in cui il dolore fu meno forte riuscii a concentrarmi a sufficienza per teletrasportarmi. Chiusi gli occhi e finalmente mi teletrasportai insieme a Marte.

 

Eravamo presso la diga fuori Forks. Dietro di noi, a soli pochi centimetri, si stagliava imponente lo spesso muro di cinta in cemento che separava noi da una montagna immensa d’acqua. Per la sorpresa Marte mollò totalmente la presa. Ora dovevo fare del mio meglio; dovevo impegnarmi ad usare i miei poteri. Mi girai di scatto presi Marte per le spalle e lo sbattei contro la parete in cemento. Esattamente con la stessa forza con cui avevo sradicato un albero tanto tempo fa ora costringevo Marte a rimanere in contatto con quel muro. Lui con la mia stessa velocità prese anche le mie di spalle e fu come se prendessero fuoco. Tornai a gridare, nonostante cercassi di trattenermi. Marte stava cercando di farmi arretrare e ci stava riuscendo; indietreggiai subito di tre passi.

“Hai scoperto il mio segreto. Complimenti. Fai sul serio allora” ringhiò lui agitato e frustato. Allora era effettivamente così; senza saperlo mi aveva dato la conferma di tutto. Alzai la testa per vedere i suoi occhi; erano più rossi del normale. Le sue mani cominciarono a bruciare ancora. Arretrai ancora di due passi. Non riuscivo a resistere alla sua spinta se dovevo resistere al dolore. In più non avrei potuto fare quello che avevo in mente. Stavo aspettando solo che venisse, che ritornasse. Quella strana voce che tempo fa urlava ‘Acqua’ nella mia testa. Perché non veniva? Avevo ideato un piano, ma non sarebbe funzionato se non l’avessi sentita. Guardai di nuovo il viso di Marte. Era rimasto impassibile davanti al mio dolore.

“Ora basta giocare” In un battito di ciglia mi lasciò da quella presa strangolatrice. Potei solo per un secondo respirare. Mi afferrò la testa e la spalla sinistra. Le sue mani avevano smesso di scottare, ma sembrava avesse in mente qualcosa di peggio. I suoi occhi erano diventati color del sangue ed i canini appuntiti erano messi in bella vista. Solo ora riuscii a sentire brividi di paura percorrermi lungo la schiena. Le sue zanne si facevano pericolosamente vicine al mio collo. Tentai di muovermi, ma la sua stretta era troppo ferrea. Era questa forse veramente la fine? No, lo sentivo ancora, non era finita.

Natasha!” Sbarrai gli occhi all’udire quella voce, che si stava pian paino trasformando in un eco. Non era la voce che proveniva dall’esterno, di una persona reale. Era la voce di una persona che era morta, che rimbombava nella mia testa e solo io potevo sentirla. Non era quella di Bella, come era successo tempo fa. Era quella di Jacob. Avevo sentito la voce di Jacob pronunciare il mio nome nella mia testa. Avevo tanta paura che fosse stata solo un’impressione, che fosse stato solo un gioco della mia testa. Nonostante tutto riuscì a ricordarmi il perché ero lì. Ero lì per Jacob, per JJ, per Jared, Boris, Stacey, Irina, Vincent, Tanya e anche per Jack. Ero lì affinché altre persone non facessero la loro fine. Ero lì perché al momento ero l’unica in grado di fare quello che stavo facendo. Avevo dei poteri, sapevo quali fossero. Questa volta sarei riuscita a controllarli. Decisione e forza di volontà ritornarono grazie a quella meravigliosa voce che, vera o no, mi permise di reagire. In uno scatto veloce afferrai di nuovo le sue spalle ed in pochi e veloci passi riuscii a sbatterlo di nuovo contro il cemento. Questa volta il contato provocò una profonda cavità da cui si creò una profonda crepa. Sorrisi per pochi secondi; stavo raggiungendo il mio obiettivo: rompere quel muro. Proprio in quel momento arrivò, finalmente. Simile ad una boccata d’ossigeno per un subacqueo. Acqua, Acqua, Acqua, Acqua, Acqua, Acqua, Acqua. Era peggio di un martello che perforava la mia testa, ma in quel momento era un rumore assordante più che apprezzato. Anche Marte riprese le mie spalle ed il mio corpo tornò a bruciare. Il dolore c’era, ma la voce non era scomparsa. Era come se non dipendesse da me. La crepa si allungò in alto di parecchi metri provocando un rumore scricchiolante che attirò l’attenzione di Marte. Capì quello che stavo facendo. Con sguardo ansioso cercò di liberarsi dalla mia morsa, ma non ci riuscì; questa volta era la mia stretta ad essere più salda. La crepa continuò ad allungarsi.

Se questo muro si spacca morirai anche tu” ringhiò Marte esasperato. Non risposi, ma continuai a guardarlo. Mi faceva un po’ pena; il suo istinto di sopravvivenza lo spingeva a mettersi in ridicolo. La sua ipocrisia mi faceva ribrezzo; non gliene importava niente se sarei morta o no. Era troppo tardi per tornare indietro, dovevo andare avanti, costi quel che costi. Per un attimo ripensai alle sue parole; non sarei riuscita a trasportarmi in tempo da quella montagna d’acqua. O salvavo me e lasciavo Marte, o mi facevo investire assieme a lui. Quella strana convinzione però persisteva; io non sarei morta.

Tutto accede in pochi secondi: la voce nella mia testa che martellava sempre più forte, la presa di Marte che diventava sempre più stretta e sempre più calda mi fecero gridare e piangere, ma nonostante questo continuavo a tenerlo immobile. Il suo viso era ansioso ed agitato; sapeva che presto sarebbe giunta la sua ora. Al contrario del mio, contratto dal dolore, ma non dalla paura. La morte era l’ultima delle mie preoccupazioni. Anzi, era una preoccupazione cui tenevo conto. Erano stati i secondi più sofferenti e pieni di supplizio che avessi mai vissuto. Era come se il tempo si fosse fermato e quei secondi andavano avanti lenti ed inesorabili come ore, come se lo facessero apposta. Dentro di me però continuava ad ardere quella strana rabbia benefica che fin dall’inizio mi aveva spinto in quella pazzia. E poi eccolo, quel supplizio finì. Fu un innocuo rumore di cemento a confermare la fine; la crepa era giunta all’estremità più alta della parete. Ci fu solo il tempo di un battito di palpebre per vedere la montagna d’acqua sovrastare quella parete e fuoriuscire energica dalla crepa che si era creata. Quella strana rabbia d’un tratto sparì; ora vedevo la realtà com’era. E divenni ansiosa, perché per la prima volta ero veramente cosciente che sarei morta; non sarei riuscita a competere con quella montagna.Visto da là sotto quello era un orribile spettacolo, ma per me quella vista fu un sollievo, una liberazione. Significava tante cose quella montagna d’acqua che presto avrebbe distrutto sia me che Marte. Non avevo paura della morte, non mi importava di morire. L’unico rimpianto era che avrei fatto soffrire moltissime persone. Ma solo ora avevo compreso che se io non fossi esistita, non avrei fatto questo. Solo ora capivo che le persone che stavo salvando erano molte di più di quelle che avrei fatto soffrire.  

“NO!” Marte emise un ultimo grido, furibondo ed esasperato. L’ultimo. L’acqua finalmente lo circondò e lo risucchiò tra i suoi vortici, facendolo scomparire tra le sue onde. In pochi momenti sarebbe toccato anche a me e non avrei avuto la possibilità di fuggire. Ero spacciata, ma non avevo paura. Alzai la testa un’ultima volta per ammirare quella valanga d’acqua sommergermi. Fu allora che li vidi per la prima volta. Credevo che fosse una mia immaginazione; era molto probabile che fosse così, date le circostanze. Ebbi la strana sensazione di vedere Carlisle, oltre quella montagna d’acqua. E per la prima volta vidi gli occhi di un vampiro che provava paura; ma me ne resi conto solo più tardi. Quelli che vidi erano gli occhi di un angelo. Era stato come un lampo, credevo che fosse stata un miraggio, come una specie di strano rimprovero che la mia mente mi lanciava per quello che la mia morte avrebbe lasciato a Forks. Continuava ad essere il mio unico rammarico che inesorabile mi stava perseguitando. La massa d’acqua mi raggiunse. Fu una sensazione orribile; fui letteralmente schiacciata e la facoltà di respirare mancò subito. La pressione improvvisamente aumentò. Ben presto non riuscii a vedere più niente; ero immersa nel buio. Continuavo a vorticare, spazzata dall’acqua, trascinata, finché, molto lentamente non sentii più niente. Lo sapevo, questa volta ero veramente morta.

 

Era totalmente diverso da come me l’ero immaginata. Quando credevo di esserlo, quando Marte era riuscito a catturarmi, non sentivo assolutamente nulla, né emozioni, né percezioni di alcun genere. Adesso sentivo qualcosa; era diverso da quella volta, adesso ero certa di essere morta. Non era per niente una brutta sensazione; la gente la dipingeva come qualcosa di orribile, quasi repellente. Ma si sbagliavano; come potevano sapere cosa la morte poteva far provare? Questa concezione della morte è del tutto egoistica; la morte si ricollega al dolore non di coloro che muoiono, ma di coloro per cui queste persone significavano qualcosa. La morte implica la perdita di persone cui si teneva e l’uomo pur di non soffrire è disposto anche a non accettarla. Avevo imparato che il vero significato della frase ‘non voglio che tu muoia’ è diverso da come l’avevo sempre inteso; è sempre collegato al dolore, ma si tratta di una sofferenza diversa; la sofferenza di coloro che vengono lasciati. Questa è una certezza che si comprende appieno solamente quando si muore. La morte non è dolore, ma questo solamente coloro che la affrontano potevano capirlo. Non bisognava soffrire per i morti; non bisognava essere così egoisti da pensare ‘vorrei che non fosse morto’ e negare a qualcuno una così bella sensazione come la morte. Bisognava invece dire ‘sono contento che tu sia morto, che tu possa provare una così bella sensazione’. Ma le persone non potevano saperlo. Non vi era alcuna percezione, i ricordi svanivano, i pensieri svanivano; si diventava il niente. Ma si provava qualcosa, una sensazione assolutamente indescrivibile. Non si poteva usare altre sensazioni come paragoni. Ciò che di più bello c’era nella morte e che non si era soli; mi sentivo circondata da altre persone, ma non era il termine giusto, perché non erano più ‘persone’. Erano lì, ma non sapevo che erano lì. Era un concetto difficile da spiegare. Veniva tutto automatico, ma non bisogna prendere in considerazione le parole; hanno una natura umana ed in tutto questo non era presente niente di umano. Le sentivo, le percepivo… si poteva andare avanti per ore con sinonimi del tutto simili, ma mai corretti per provare a descrivere. Anche se qualcuno sarebbe riuscito a tornare indietro, non sarebbe comunque riuscito a raccontare questa esperienza alle altre persone.

I ricordi erano svaniti, anche quelle delle persone a me care; ed era bellissimo…

 

Natasha. Conoscevo questa voce. Natasha. Anche quest’altra. Natasha. Come anche quest’altra ancora. Persone che avevano portato via i pezzi del mio cuore. Se le persone cui appartenevano queste voci mi avrebbero tornato i pezzi del mio cuore con le quali avevo scambiato, ero certa che avrebbe riottenuto la sua forma, se lo avessi ancora avuto. La prima non la sentivo da tanto, troppo tempo e, se non fossi morta, avrei provato una grande fitta di nostalgia. Era quella di mio padre. A causa della seconda sarei rimasta commossa e tormentata. Era di JJ. E a causa della terza il mio cuore avrebbe sofferto per l’ennesima volta. Era di Jacob. Avrei provato tutte queste sensazioni, se avessi avuto un cuore. Mi stavano chiamando, ma come potevo sentirle? Cosa dovevo fare? Cosa volevano che facessi? Era questo che mi sarei continuamente domandata se avessi avuto una mente. Natasha. Natasha. Natasha. Continuavano a chiamarmi, ma continuavano ad essermi indifferenti. Ma al momento ancora non le riconoscevo; solamente dopo avrei capito a chi appartenevano. Natasha. Fu come un unico grido, che mi cambiò. 

Cominciai a provare qualcosa di diverso. Qualcosa scorreva su di me; era molto simile alle onde che si infrangevano sulla battigia. Solo che la battigia ero io; le onde si infrangevano su di me. Era una sensazione che avevo già provato, terribilmente umana.

Aprii gli occhi. No, non era possibile, non potevo aprirli, non ce li avevo. Eppure lo feci; di fronte a me la battigia bagnata dall’acqua ed un cielo plumbeo che minacciava un temporale. Sentivo anche un profumo strano e… conosciuto; acqua salmastra. Respiravo, vedevo, sentivo; tutto umano. Ero… viva? Fu allora che compresi di chi erano le voci appena sentite, fu allora che cercai di dare un nome a ciò che provai, ma che non ci riuscii. Inoltre riuscivo a ricordare, a pensare, ad essere cosciente. Cosciente del fatto che non ero morta. Come potevo non esserlo? Quella strana convinzione, che mi permetteva di andare avanti, di non preoccuparmi, che mi diceva che non sarei morta… allora era vera.

“Ehi tu!” Ecco un’altra voce, per niente conosciuta e tutt’altro che simile alle tre precedenti. Ed era vicina. Girai molto lentamente il capo. Vidi degli scarponi molto vicini alla mia faccia. Alzai un altro poco il viso. Con chiarezza mi appariva il volto di un uomo parecchio anziano, senza barba, ma con capelli bianchi. Aveva un volto particolarmente arcigno ed era furioso. Mi attestò un calcio abbastanza forte alle costole e mi mancò il respiro. Quel vecchio ce l’aveva con me.

“Ho detto di andartene! Alzati e vattene via prima che chiami la polizia” Io, ancora particolarmente confusa mi alzai traballante, ma ci riuscii.

“Muoviti!” continuò alzando persino una mano per minacciarmi. Io mi scostai il più veloce da lui. Nonostante non fosse particolarmente robusto, aveva una strana aria malefica, che in quel momento mi disorientò ancora di più. Mi misi a camminare a passo spedito sulla battigia il più lontano possibile da lui, mentre quest’ultimo se ne andava borbottando parole come ‘ragazzi alcolizzati’ e ‘ubriacarsi in spiaggia fino a mattina’. Quando fu abbastanza lontano mi fermai. Mi sentivo confusa e persa. Vidi una panchina vicino alla sabbia, sulla stradina di asfalto parallela alla spiaggia, e mi andai a sedere. Guardai il sole dalla parte opposta del mare; era ancora nascosto dalla foresta che precedeva il mare. Doveva essere molto presto. I pochi passanti che passavano sulla spiaggia, i temerari mattutini che facevano jogging, mi guardavano curiosi, quasi disgustati da me, ma non ci badai. Mi girava leggermente la testa e questa sensazione minacciava di aumentare sempre più se non mi sarei calmata. Non ero affatto morta, come pensavo. Mi guardai un’altra volta intorno per averne la certezza. C’era il mare, la spiaggia e gli alberi, oltre alla strada in asfalto ed a alcuni chioschi chiusi tipicamente balneari. Paesaggio totalmente umano, che mi era tremendamente familiare. Il nome di un chiosco lì vicino confermò i miei dubbi. Nel nome era compreso il nome del luogo dove mi trovavo. Era una località balneare, che si differenziava da La Push perché ci venivano le persone più ricche. C’ero stata una volta con mamma e Kathy e non era molto lontano da Forks. A meno che il paradiso, l’inferno, o ciò che aspettava tutti dopo la morte non si chiamasse Ruby Ocean Beach, dovevo essere viva e vegeta. E questa era un’importante certezza su cui appoggiarmi, pressoché sciocca, ma unica. Altra domanda da porsi; come c’ero finita quaggiù. Mi ricordavo Marte, la diga, l’acqua che mi avvolgeva e quella terribile sensazione. Certo, la diga non era molto distante dal mare; si trovava più o meno a metà strada tra Forks e Ruby Ocean Beach. Ecco sopraggiungere un’unica, quanto assurda conclusione; l’acqua della diga che si era rotta era giunta fino al mare, trasportando me; ecco come si spiegava la mia presenza sulla battigia. Le distanze che aveva percorso erano anche ragionevoli, ma il fatto che in mezzo a quell’acqua c’ero io e non ero morta la rendevano eccome assurda. Rimaneva totalmente un mistero e anche affidare la causa di questo ai miei poteri mi sembrava comunque ingiustificabile. Era stato davvero… troppo. Quindi se non ero morta, cosa mi era successo? Quelle voci, le voci delle persone che erano morte; cosa volevano dire? Poco d’istante da quella panchina, vicino alla fermata della corriera c’era un orologio digitale che segnava i giorni e le ore. I miei occhi si spalancarono; due giorni, erano passati due giorni da quando la diga era crollata. Questo contribuì a rendere ancora più inspiegabile questo mistero. Se non ero morta, come gli avevo passati questi due giorni?

Ormai il sole era sorto e l’ambiente si fece ancora più popolato. Cosa avrei dovuto fare adesso? Un sorriso amaro si formò sulle mie labbra. Mi sarei dovuta preparare al peggio. Avrei dovuto affrontare mamma e Kathy; con quel biglietto pensavo di averle fatte soffrire fin troppo. Prima la morte di papà, adesso la mia scomparsa. Avevo portato via tanti pezzi di cuore. Non solo per loro, ma ora anche per i Cullen. Carlisle non mi avrebbe più rivolto la parola, come Edward, Alice, Esme, Jasper, Emmett e Rosalie. E poi c’erano i licantropi. Ma andava bene così. Riflettevo su quello che era successo e pensavo che mi fossi comportata da vera idiota. Ma subito dovetti ricredermi; gli altri pensavano questo, gli altri me lo avrebbero rinfacciato in seguito. Certo, la prima volta, quando Marte mi aveva presa, l’isolamento e l’assoluta assenza di appoggio mi avevano portato ad esserlo, ma la seconda, quella di alcuni giorni fa, ancora non lo consideravo un atto stupido. Avevo finalmente scritto la parola fine, da sola, senza altre vittime. Questo non lo pensavo né prima della caduta della diga, né durante e neppure adesso. Ero lucida ed ero davvero sicura di poter riuscire nel mio agire. Ne andavo fiera, a rischio di ritrovarmi sommersa dal dolore che avevo provocato agli altri. Non credevo però che i Cullen ed i licantropi potessero trovare qualcosa di giustificabile nel mio gesto; non credevo che avrebbero potuto capire. No, non me ne sarei pentita; avevo fatto la cosa giusta. In tutto questo c’era una consolazione; effettivamente era una grande consolazione, sperata, ma alla fine, non appena ottenuta, aveva poco di consolante; Marte era morto, ne ero sicura, l’avevo visto con i miei occhi. Tirai un respiro profondo per inspirare la salmastra aria marina. Mi potei finalmente dire tranquilla; avrei trascorso una vita finalmente tranquilla. Bastò averlo pensato per rimangiarmelo all’istante. Non era vero; non avrei vissuto una vita normale, ma una vita senza cuore. Le persone di quelle tre voci me lo avevano portato via.

Mi alzai da quella panchina per dirigermi in un luogo isolato. Avevo intenzione di tornare finalmente a casa. Mi diressi quindi verso la foresta, per non essere vista. Durante quel piccolo viaggio a piedi ricevetti altre occhiate di ribrezzo da parte dei passanti, finché, stufa e curiosa del mio aspetto, mi specchiai in una vetrina di passaggio. Avevano ragione a guardarmi così in malo modo; ero sporca di salsedine e sabbia. Non c’era da stupirsi se il vecchio di prima mi avesse scambiata per un’alcolizzata. O peggio ancora… Spalancai gli occhi per un piccolo particolare che colpì la mia attenzione; il collo. Era di un marroncino, che si distingueva benissimo con il resto della mia carnagione. Era uno dei punti in cui Marte mi aveva presa; la mia pelle si era bruciata tanto da rimanere abbrustolita. Scoprii con sorpresa che anche il palmo delle mie mani aveva lo stesso colore.

“… è ancora in costruzione la diga crollata due giorni fa…” Una voce soffocata attirò la mia attenzione. Ero capitata davanti ad un negozio di televisori; davanti a me un presentatore in giacca e cravatta, apparentemente giovane, con i capelli elegantemente tirati indietro dal gel stava parlando proprio del crollo della diga.

“Sono ancora ignote le cause che hanno provocato la rottura della diga di Forks. Immagini dell’evento riprese da un elicottero  sostituirono quella del giornalista. Mi venne la pelle d’oca a pensare che io ero lì dentro.

“Il flusso dell’acqua nonostante abbia raggiunto il mare non ha provocato vittime e danneggiato proprietà pubbliche o private. Ed ora lo sport…” Distolsi lo sguardo finito l’articolo. Il crollo della diga non aveva provocato altri feriti; era quello che volevo sentire. Ero sicura che tra la diga ed il mare si estendeva una zona di alcuni chilometri totalmente disabitata, ma il dubbio di potermi sbagliare fino a quel momento era stata come una spina in gola.

Continuai a camminare, dirigendomi verso il tratto di foresta opposta alla spiaggia. Mi fermai presso la strada che mi separava da quel bosco e quando fui sicura che non stesse passando alcuna auto la attraversai. Mi sentivo terribilmente frastornata, ma, ne ero sicura, sufficientemente presente per teletrasportarmi. Mi addentrai appena nel bosco.

“Ciao NatashaUna voce familiare attirò la mia attenzione. Alzai lo sguardo. Sbarrai gli occhi e quasi vomitai per la sorpresa. Jacob era davanti a me, in piedi, la sua espressione neutra.

Jacob!” A quella visione la prima cosa che mi fu automatica fu quella di lanciarmi su di lui. Non appena lo raggiunsi caddi sul suolo terroso. Volevo stringerlo, toccarlo, ma invece avevo stretto solo aria. Scossi la testa; era stata una visione, una strana visione. Per un attimo mi era sembrata reale; ancora percepivo la gioia per ciò che avevo visto. Ma Jacob non c’era più. Bene, ora avevo cominciato a vedere anche i morti. Avevo strane illusioni su di loro. Il dispiacere mi fece salire le lacrime agli occhi, ma loro sembrava non voler uscire. Feci un respiro profondo, per quanto potesse essere inutile. Devo tornare a casa, devo tornare a casa, continuavo a ripetermi ad occhi chiusi. Dovevo prepararmi alla reazione di mia madre, di Kathy e soprattutto dei Cullen. Già, i Cullen. Ero sicura che la reazione dei Cullen sarebbe stata di gran lunga peggiore di quella di mia madre e di mia sorella. La causa di questo era proprio il fatto che i Cullen conoscevano la verità. E reazione peggiore era uguale a maggiore preoccupazione. Per questo decisi che prima di andare da mamma dovevo andare da loro. Ne sarei uscita moralmente distrutta, ma dopotutto me lo meritavo. Chiusi gli occhi e mi concentrai.

 

La vecchia, ma pur sempre bella e splendente piccola villa bianca davanti a me si innalzava imponente. La porta in mogano aspettava solo di essere aperta. Eccoci qua; dovevo farlo, forza! Alzai la mano tremante e bussai piano, ma sapevo che i suoi abitanti avevano sentito. Mi fu spontaneo abbassare immediatamente lo sguardo; non avevo la forza di guardare l’espressione di colui o colei che mi avrebbe aperto, chiunque fosse. Erano passati cinque secondi, ma nessuno aveva ancora aperto. Ormai erano due minuti. Mi crebbe un groppo alla gola che non riuscii a mandar giù. Perché nessuno mi veniva ad aprire? Cercai di aprire la porta, ma era chiusa. Feci alcuni passi indietro per vedere se qualche finestre fosse aperta, ma era tutte chiuse. Fu allora che mi accorsi di un cartello a pochi metri di distanza dall’abitazione, che non avevo mai visto. Era un cartello di affitto. La casa era in vendita. Sbarrai gli occhi; questo voleva dire che… Mi precipitai davanti ad una finestra. La tenda bianca dell’interno non era stata tirata bene e si poteva scorgere l’interno. Tutto era coperto da uno spesso velo bianco. Arretrai atterrita. I Cullen se n’erano andati. In quel momento avrei voluto tanto subirmi le loro prediche ed i loro sfoghi, insieme alla loro rabbia, rispetto a questo. No…no…! Mi mise confusione. Ma… perché così all’improvviso? Per colpa mia? Per quello che avevo fatto?

“Non è colpa tua” Altra voce familiare. Mi girai di scatto. JJ, davanti a me, con un sorriso malinconico mi stava guardando con gli stessi occhi dorati che ricordavo. Prima ancora che mi fossi avvicinata, lui scomparve. Ancora una volta le lacrime minacciavano di uscire, ma non lo fecero.

Questa volta JJ aveva torto; era stata in effetti colpa mia se Marte mi aveva presa. Una lama mi trafisse la testa. Se Marte non mi avesse preso, Jacob non sarebbe morto. Era quindi colpa mia la morte di Jacob? Una fitta allucinante mi colpì lo stomaco. Se non fosse stato Jacob allora, sarebbe stato sicuramente qualcun altro in seguito. Provai ad afferrarmi a questo pensiero; non volevo ammettere che fosse colpa mia, sarebbe stato troppo. Ma mi sembrava così evidente.

“Non è colpa tua” Di nuovo quella voce dolce come il miele. Non mi girai questa volta, sapevo che non era reale. Riuscì comunque a riportare la mia attenzione sulla casa abbandonata. Solamente una lacrima riuscì a cadermi dal viso. I Cullen se n’erano andati. Non erano morti, questo era chiaro, ma era come se lo fossero. Mi avevano lasciata sola anche loro. Edward, Esme, Rosalie, Alice, Emmett, Jasper e…Carlisle. E Bella? Un attacco di speranza mi raggiunse. Forse lei…? No, non avrebbe abbandonato Edward; ero sicura che anche lei se ne fosse andata. Presi un respiro profondo. Non c’era nient’altro da fare lì. Ora dovevo andare a casa. Feci un altro respiro e chiusi gli occhi.

Mi trovavo nel boschetto che circondava la mia piccola casa dal tetto rosso. Da lì riuscivo a vedere il marciapiedi. E quello che c’era sul marciapiedi; la mia piccola sorellina se ne stava seduta a gambe incrociate. Le vedevo solo la schiena e la testa era nascosta tra le sue gambe. Il groppo alla gola tornò e questa volta una seconda lacrima scese dal mio viso. Non le avevo neppure visto il viso e già stavo cedendo; non pensavo potesse essere così difficile. Feci un respiro profondo, l’ennesimo. Dovevo essere coraggiosa, anche se il loro dolore mi avrebbe distrutta. A passo misurato mi diressi verso di lei. Quando mi sedetti sul marciapiedi vicino a Kathy, lei non aveva ancora notato la mia presenza. La testa rimaneva sempre avvolta tra le braccia. Da due minuti non si era mossa, solamente singhiozzi trattenuti muovevano irregolarmente i suoi due piccoli polmoni.

“Ciao Kathy” sussurrai. La mia voce era smorzata e per un attimo non credevo mi avesse sentita. Lentamente alzò il suo visino. Sentii una terza lacrima sulla mia guancia. I suoi occhietti erano arrossati e le sue guance rosse bagnate. I suoi occhi sembravano grandissimi ed erano rossi a causa del troppo pianto. L’avevo vista in questo stato solamente al funerale di papà. Non appena mi vide la sua bocca si storse in una smorfia e le si corrugarono le sopracciglia.

“Sapevo che non ti era successo niente” mi disse singhiozzando. Al quel punto l’abbracciai, troppo commossa per vedere il suo viso. Lei si lasciò cadere in un lungo e lamentoso pianto, mentre io la sorreggevo abbracciandola. Ormai stavo per cedere. Passò poco tempo che qualcosa mi costrinse a separarmi da mia sorella ed alzarmi in piedi. Senza nemmeno il tempo di capire quello che stava succedendo sentii tre ceffoni svelti e forti scalfirmi la stessa guancia. Per il dolore mi uscii anche una quarta lacrima. Alzai finalmente lo sguardo; Lilian McAnderson mi stava guardando pallida, sfinita e rabbiosa come non mai. Provai quasi paura a vederla in quello stato. I suoi occhi però stavano luccicando. Inaspettatamente mi prese il viso tra le mani e mi baciò ripetutamente la guancia colpita, per poi avvolgermi in un abbraccio strangolatore. Aveva nascosto la testa nell’incavo della mia spalla e sentivo che stava piangendo. Non aveva pianto nemmeno alla morte di papà. L’unica cosa che mi impedì di seguirla nel suo pianto fu lo strattone che usò per allontanarsi da me. Era tornata severa e rabbiosa, ma gli occhi lucidi tradivano altre emozioni ben differenti. Era talmente tanto disperata da alternare reazioni totalmente opposte tra loro.

Cosa vuol dire questo?” bisbigliò a denti stretti tenendo in mano la breve lettera che le avevo scritto. Io non risposi. Sia per i Cullen che per mia madre avevo adottato una ben precisa strategia; non dire niente e subire. Subire le conseguenze della mia scelta; di cui ancora non riuscivo a pentirmene. Spiegare sarebbe stato un inutile; non avrebbero capito il significato del mio gesto. i Cullen, né tanto meno mia madre.

“RISPONDI NATASHA!” urlò questa volta lei. Kathy, che non aveva mai visto mia madre urlare così forte, abbassò la testa e si mise a piangere ad orecchie tappate. Io continuai a non rispondere. Anche perché, cosa le avrei potuto dire? Le avevo mentito fino ad ora. Forse era arrivato il momento di dirle la verità? No, non era una bella idea; non mi avrebbe mai creduto e l’avrei fatta arrabbiare ancora di più, accusandomi di prenderla in giro. Rimasi quindi ancora una volta zitta. Vidi i suoi occhi spalancarsi alla vista della bruciatura che avevo sul collo. Mi guardò con occhi allibiti.

Che cos’è questo?” sussurrò questa volta quasi spaventata. Io abbassai la testa, per nasconderglielo.  

“NATASHA MI VUOI DIRE CHE COSA TI È PRESO?!” urlò nuovamente. Questo fu troppo; non le potevo proprio rispondere. Alzai la testa con le lacrime agli occhi e scossi la testa. A mia madre cominciarono a tremare le mani dalla rabbia. Basta, non volevo più vederla così. Mi slanciai tra le sue braccia e nonostante i suoi tentativi di scostarmi io le rimasi attaccata. Finalmente piansi.

“Mi dispiace, mamma. Mi dispiace tantissimo. Non lo farò più! Perdonami ti prego, mamma!” Avevo cominciato a gridare anch’io scuse, seppur non sarebbero servite a darle le spiegazioni che voleva. Avevo la voce rotta dalla disperazione del pianto e se una persona avrebbe assistito a quella scena avrebbe sicuramente pensato che fossi una pazza ad urlare in quella maniera. La reazione di Lilian McAnderson sarebbe stata, da donna forte e fiera di sé, respingermi e continuare ad urlarmi. Ma non fu così. Ricambiò il mio abbraccio in uno ancora più forte. Non disse niente, anche perché le parole non servivano. Scoppiò anche lei, finalmente. Pianse senza vergogna e senza orgoglio. Pianse solo per me. Anche Kathy, con la sua indole solidale, si unì a noi, stringendomi le gambe. Era lì, nel giardino dell’unica casa a Treasure Street, che le tre McAnderson si stavano abbracciando versando lacrime di gioia, ma anche di dolore e sofferenza per ciò che tutte e tre avevano provato. Quel tenero, ma al contempo poderoso abbraccio durò parecchi minuti. Quando ci staccammo vidi il viso di mia madre e quello di mia sorella, bagnato ancora dalle lacrime, ma con un grande sorriso sulle labbra.

“Non mi dirai mai il motivo per cui l’hai fatto” mi disse mia madre guardandomi con un’aria perennemente malinconica negli occhi, ma stranamente anche sollevata. Non era più arrabbiata, quasi rassegnata da me e dal mio carattere. Io scossi la testa amareggiata, mantenendo però lo sguardo.

“Non lo farò mai più” ridissi “È tutto a posto” continuai per rassicurarla. Mia madre mi guardò per altri istanti, poi sorrise, e sembrò credere alle mie parole. Non volevo assolutamente mentirle, ma nemmeno dirle la verità. Promisi a me stessa che quella della mia fuga sarebbe stata l’ultima grossa bugia che le avrei detto. E così sarebbe stato, visto che ormai si era concluso tutto. Ancora strette in un abbraccio finalmente ci dirigemmo dentro casa, dove mia madre mi raccontò quello che era successo dopo la mia scomparsa. Non appena aveva letto il mio biglietto aveva chiamato subito Charlie, il quale aveva mobilitato tutta la polizia locale per trovarmi. Non l’aveva esplicitamente detto, ma capii subito che sia lei che Kathy si erano sentite esattamente come dopo la morte di papà. Quel grande senso di colpa che non avevo provato mentre avevo agito, mentre ero fuggita da casa Cullen sotto gli occhi di Edward per andare da Marte si fece sentire pienamente solo adesso e per un momento volli tornare indietro per non commettere più quel gesto; ma solo per un momento. La sofferenza che ancora una volta si leggeva nei loro sorrisi mi attanagliò. Prima di uscire dalla cucina mia madre mi guardò intensamente ancora una volta. Da quello sguardo capii che desiderava con tutta stessa sapere cosa mi era successo. Era un diritto per lei saperlo, essendo mia madre. Ma ero sicura che sapesse capirmi, che potesse non immaginare, ma comprendere le ragione che mi spingevano al silenzio; ciò mi fu chiaro quando al posto di quello sguardo le spuntò un ultimo e vero sorriso. Sorrisi anch’io per la felicità di avere una madre così comprensiva con un’intesa da sempre così forte; con una madre qualunque sarei stata costretta ad inventarmi una nuova bugia, una grossissima bugia. Quando mia madre uscì dalla stanza la mia sorellina mi si avvicinò, mi abbracciò e mi diede un altro bacio.

“Perché ci hai lasciate?” Kathy invece era troppo piccola per capire che non ne volevo parlare, benché fosse molto astuta per la sua età.

“Non posso dirtelo” mi limitai a dire io. Il suo viso si oscurò dalla brutta risposta che le avevo dato, ma si riprese subito.

“Ora sono molto stanca” dissi sinceramente. Con tutta quella tensione mi era venuto un profondo mal di testa. “Vado a farmi una doccia” Annuendo freneticamente si congedò dalla cucina anche lei. In quel momento mi ricordò la piccola Stacey. Il ricordo mi fece venire ancor più mal di testa. Salii le scale e mi diressi verso il bagno. Mi diedi solamente una veloce risciacquata; sapevo cosa causava il flusso dell’acqua. E quello non era il momento adatto. Uscii in pochi minuti e mi diressi verso la mia camera. Mentre stavo aprendo l’armadio in cerca di qualche vestito vidi il mio aspetto sullo specchio. Sbarrai gli occhi. Un’estesa macchia color caffelatte, in contrasto con la mia pelle diafana, mi circondava l’intero collo, le spalle, le scapole e l’intera schiena, oltre alle mani. Questi erano i punti dove Marte mi aveva toccata. Aveva lasciato una sua memoria sul mio corpo, in modo da poter ricordare ogni istante della mia vita. Bhe… non era necessario questo per ricordare, mi sarebbe stato impossibile dimenticare. Non cambiava niente; aveva sfregiato il mio corpo, ma non era grave e non mi faceva stranamente più male. Presi l’unguento che Carlisle mi aveva dato la volta di Volterra; era ancora pieno e speravo riuscisse a rimediare qualcosa. Dopo averlo spalmato sui punti bruciati continuai la ricerca di vestiti da poter mettere.

Una strana maglietta che non riconobbi attirò la mia attenzione. Con lei c’erano anche degli strani pantaloncini. Curiosa li presi in mano per vederli bene. Un’ondata di dolce profumo m’invase. Era il suo profumo. Riuscii a riconoscerli; me li aveva dati quando mi aveva buttata a tradimento in acqua, affinché indossassi qualcosa di asciutto. Non mi ero mai ricordata di restituirli. Chiusi gli occhi, mi avvicinai ancora di più ed inspirai più forte. Era come una droga da cui non riuscivo a separarmi. In un momento di improvvisa lucidità li presi e li buttai dall’altra parte della stanza. No, così non andava, non andava. Lo stomaco si era raggrovigliato, il groppo alla gola comparso nuovamente ed il respiro bloccato. Ma non piangevo, e non l’avrei fatto. Lo spazio che il mio cuore aveva lasciato riprese a sanguinare. Non avrei più rivisto Jacob. Quell’orribile pensiero mi stava facendo diventare pazza. L’avevo compreso, ma ogni qualvolta ci pensavo mi faceva troppo male. Sarebbe stato impossibile vivere senza di lui. Capii che nello stesso momento in cui lui era morto, ero morta anch’io. Prima che la disperazione, in agguato da molto tempo, prendesse il sopravvento, mi diressi giù in cucina. La mia corsa fu fermata dalla vista di mia madre che, completa di borsa e cappotto, stava uscendo di casa. Mi stava guardando greve; era chiaro e plausibile che fosse ancora sconvolta per la mia improvvisa fuga e ricomparsa.

“Ho avuto il tempo di riflettere” cominciò severa “So che non posso costringerti a dirmi il perché della tua idiozia, e se lo facessi mi diresti una bugia” Mia madre mi conosceva davvero bene.

Ma non per questo non posso punirti. Sei stata davvero una… stupida a scappare di casa. Lo sai che se c’è qualche problema ne puoi parlare con me ed il fatto che te ne sia andata mi fa capire che hai più di un grave problema, motivo in più per parlarne con me” Mia madre aveva completamente ragione, se solo fosse stata una situazione normale.

“Per tanto” concluse “per un anno intero non potrai usare l’auto e non potrai uscire la sera. Inoltre le visite da amici sono proibite. Per quello che hai fatto passare a me e a Kathy questo credo sia il minimo. E non sto scherzando” Mamma mi stava puntando il dito minacciosamente contro; era davvero seria, non era uno scherzo.

Nonostante tutto ero contenta che mi avesse messa in punizione. Mi veniva quasi da sorridere per le sue parole; le aveva dette con lucidità e questo voleva dire che si era quasi del tutto ripresa. Annuii con la testa, cercando di dimostrare un’espressione dispiaciuta; se le avessi sorriso sarebbe tornata al comportamento di prima. Con un veloce cenno della testa affermò che aveva messo le cose in chiaro, come un vecchio generale dei Marines. Prima di uscire però mi diede un dolce bacio sulla fronte. Allora non potei resistere nel sorridere.   

Sarei dovuta essere contenta. Le persone che da sempre mi avevano voluto bene ora stavano bene, avevano perdonato il mio comportamento a loro a dir poco inspiegabile, nonostante la sofferenza causata e non sarebbero più state in pericolo. Ma non lo ero, non ero felice. Era egoismo? Era egoismo non vedere più il sole? Una pianta che ha acqua a volontà, un luogo sicuro dove crescere, può essere egoista se si lamenta di non aver il sole? No. Ed io in quel momento mi sentivo come una pianta in un buio che non sarebbe mai diventato luce. Presto sarei appassita, inesorabilmente. Tentavo di essere una pianta forte, ma potevo solo dimostrarlo agli altri. Più che ad una pianta assomigliavo ad un albero. La maggior parte delle persone che non provano alcun particolare tipo di interesse per la biotanica difficilmente potevano affermare con certezza se un albero fosse vivo o morto. Vedendone uno potevano dire con certezza che fosse un albero forte e rigoglioso, senza però sapere che in realtà era morto. E avrebbero sempre considerato questo albero vivo e forte. Ecco, io mi sentivo questo albero. Senza sole sarei morta, ma la mia corteccia sarebbe rimasta; in questo modo coloro che mi circondavano avrebbero creduto che fossi ancora viva. Sorrisi tra me e me. Un albero, che buffo paragone. Sentivo la voglia di vivere lasciare il mio corpo ogni minuto che passava. In quel momento mi domandai seriamente se fossi riuscita a tenere fede a ciò che avevo detto ad Edward, se sarei riuscita ad andare comunque avanti. Ora non ne ero più tanto sicura. In cuor mio speravo che mamma e Kathy, anche se involontariamente, mi avrebbero trasmesso almeno parte di quella piccola forza che mi serviva. Ma l’acqua non poteva diventare Sole. Inoltre non conoscendo il mio problema non avrebbero potuto farlo di propria volontà. Ma forse… l’avrebbero saputo. Avrebbero saputo prima o poi che Jacob era… morto. Inoltre doveva esserci anche un funerale per lui e Jared. Avrebbero capito che il mio umore era legato a questo; sapevano che era un mio amico. Amico, ma nonsenso della mia vita’. Alla sola parola ‘funerale’ brividi mi percossero la schiena. Non volevo andare, non me la sentivo. Ma… era strano; al contempo desideravo anche andarci. Volevo vederlo per un ultima volta, volevo vedere quel sorriso tranquillo e sereno. Volevo entrare di nuovo in quel mondo che apparteneva unicamente a me a lui. Sapevo che lì sarei stata bene. Scossi convulsamente la testa. No, sarebbe stato peggio. Non sarei dovuta andare a quel funerale, non sarei dovuta andare più nemmeno al La Push, nonostante desiderassi trovare un ultimo raggio di sole in Billy. Ero però sicura che anche lui si fosse spento con la morte del figlio, come io, d’altronde. Presi un respiro profondo. Avevo accettato ormai tutto, ma mi sembrava così strano non poter piangere. Non riuscirci. Mi accasciai contro la parete e mi guardi attorno. Quel luogo, casa mia, in quel momento mi sembrava così conosciuto, ma al contempo così estraneo. Lo vedevo tutto grigio, buio, cupo e triste. Ed io volevo il Sole. No, non potevo starmene ancora lì. Senza avvertire nessuno uscii di casa. Era ancora giorno, quindi non avrei disubbidito a mamma, che sarebbe tornata tardi a casa. Inoltre sapevo che Kathy mi aveva vista uscire. E sapeva che questa volta non sarei scappata. Chiunque avrebbe notato che non stavo bene, ma solamente mia sorella sarebbe stata così audace a lasciarmi andare. Si fidava di me e sperava che così facendo mi sarei sentita meglio. Volevo un mondo di bene a mia sorella.

 

Mi inoltrai nella foresta; non era un posto favorevole per chi desiderava cercare raggi di sole. Una particolare quanto strana induzione mi spinse a varcare quella soglia alberata. La prima volta che avevo visto Jacob sotto forma di lupo era stato nella foresta. Qualcosa in me mi voleva far credere che lo avrei rivisto nuovamente. Scossi la testa convulsamente. Era più difficile di quanto pensassi vivere senza di lui. La mia mente l’aveva accettato, il mio cuore purtroppo ancora non del tutto, come invece credevo. Viveva ancora nella speranza di poterlo rivedere un giorno. Che ingenuo. Le mie gambe camminavano da sole e prima che realizzarsi ciò che in realtà mi stava accadendo mi ero già inoltrata tra gli alberi. Mi guardai intorno; non mi ricordavo di un paesaggio simile. Credevo di essermi persa, ma non era un problema, mi sarei teletrasportata tra poco per tornare di nuovo a casa. Ero sul procinto di farlo, ma quel qualcosa che mi aveva spinta ad andare lì mi costrinse anche a rimanere. Perché, in effetti, cosa avrei trovato a casa? Stare a casa, oppure qua, non avrebbe cambiato assolutamente niente. Cercai di fare respiri profondi; il suo profumo scovato nella maglietta era ancora dentro le mie narici. Mi tappai il naso con le dite e ripresi a respirare con la bocca, ma era tutto inutile, quel profumo rimaneva ancora lì. Guardai in alto. Oltre alle fronde degli alberi, in quella zona poco voluminose, si estendeva un plumbeo cielo grigio e ricoperto di nuvole che reprimevano i raggi di Sole. Una smorfia mi si dipinse sul volto. Io volevo vedere il Sole e quelle nuvole me lo stava impedendo. Perché? Perché maledette nuvole volevate impedirmi di vedere il mio Sole?! Perché esistevate?! Andate via! Andatevene!

“…andate via…” mugugnai a denti stretti senza rendermene conto continuando a guardare il cielo.

Le guardavo con odio e rabbia, perché erano l’unica cosa che mi separava dalla felicità. La Luna rifletteva la luce del Sole. E senza di lui, si sarebbe spenta. Sarebbe continuata a ruotare intorno alla Terra, ma nessuno l’avrebbe più vista. Ma in realtà sapevo che non dovevo rivolgermi verso quelle nuvole; mi stavo rivolgendo alle nuvole invisibili che circondavano me ed oscuravano la mia visuale della realtà.

NatashaDi nuovo la sua voce. Girai la testa di scatto e lo rividi un’altra volta. Prima ancora di mettere a fuoco la sua immagine lui sparì. NatashaMi girai dalla parte opposta, ma non c’era nessuno. Era ritornato.Natasha” “Natasha” “Natasha” “Natasha

Sentivo la sua voce dappertutto. Continuava a chiamare il mio nome. Continuavo a girarmi ripetutamente per vederlo, ma non c’era da nessuna parte.Natasha Rimbombava imperterrita nella mia testa, come se volesse spaccarla. Me la presi fra le mani per reprimere quel dolore. Perché? Perché mi tormenti? Natasha No, basta, smettila…

“BASTA!” urlai disperata in mezzo alla foresta. L’unico rumore era solo quello degli uccelli spaventati dalle mie urla e dell’eco della mia voce che stava scomparendo. Le mani continuavano a premere la testa. Se questa voce sarebbe riapparsa non ce l’avrei mai fatta a reggere e continuare a vivere. Mi accasciai al suolo, stringendomi le gambe in una morsa e cominciando lentamente a dondolare. I miei occhi cominciarono a luccicare. Ovunque sarei andata sarei sempre rimasta sola.

Tutto si era risolto; Marte era morto e tutto sarebbe finalmente tornato alla normalità. Certo, ma tutto era cambiato; tutto era peggiorato. Come un tornado che distrugge tutto al suo passaggio. C’ero solo io in mezzo ad un paesaggio completamente distrutto. Tutto si era risolto certo, ma cosa avevamo guadagnato? Ero sola; la famiglia di Denali era morta, Jared e Jacob erano morti, i licantropi erano distrutti dalla morte dei loro due compagni ed i Cullen se n’erano andati. Già… perché l’avevano fatto? Perché se n’erano andati? Perché non avevano aspettato per rimproverarmi di tutto? Se n’erano andati, abbandonandomi. Una smorfia si dipinse sulle labbra. Allora ero davvero un fardello e basta per loro? Appena le cose si erano sistemate se n’erano andati, liberi di un grosso peso? Eppure le parole di Carlisle, Alice, Edward e JasperSospirai. La loro fuga doveva per forza centrare con le mie azioni, anzi, sciocchezze. Per tanto non dovevo lamentarmi se se n’erano andati. Si erano stufati, certo, di me e del mio comportamento suicida. Ed avevano ragione. Poi c’erano i licantropi; avevano perso due dei loro compagni. Equivale a dire due fratelli. Equivale dire Kathy, per me. Come mi sarei sentita se avessi perso Kathy? Non volevo nemmeno pensarci. Le uniche dove potevo trovare uno straccio di sostegno erano mamma e Kathy, ma era un sostegno poco chiaro, ambiguo. Non conoscevano tutta la storia e non le avrei mai coinvolte. Ero da sola.

Quando mi fui ripresa mi alzai e ricominciai a camminare. Camminare non sarebbe servito, come qualsiasi altra cosa, ma lo stavo facendo, perché… qualcosa mi spingeva a farlo. Le mie gambe mi trascinavano senza che io le guidassi; per il resto la mia mente era completamente vuota, persa tra il rumore delle fronde degli alberi e dei cinguettii degli uccelli. Un tuono in lontananza mi riscosse; presto si sarebbe messo a piovere. Quando tuonò per un attimo mi domandai dove fossi, ma subito mi fu chiaro. Ero a RedRock, il luogo dove Jacob per la prima volta mi aveva tirato uno schiaffo. Era un posto che riguardava Jacob, pertanto me ne dovevo andare.

NatashaDi nuovo quella voce, non era possibile. Proveniva da dietro di me; mi girai lentamente. Questa volta lui non scomparve; lo ritrovai a pochi metri da me, seduto sullo stesso masso dell’ultima volta. Aveva persino la catenina che gli avevo regalato. A pensarci bene anch’io mi trovavo nello stesso punto dell’ultima volta. Esattamente come prima, nel bosco di Rubin Ocean Beach, i suoi occhi erano vacui, mentre si specchiavano nei miei. A differenza delle altre volte questo non scompariva. Non c’era altra spiegazione, ero peggiorata.

“…basta, lasciami stare…” dissi a denti stretti, girandomi e andandomene via. Ora basta, non sarei mai andata a La Push.

Natasha” Quella voce mi fece fermare improvvisamente. Era diversa dalle altre volte. Era sempre la sua, ma era più chiara, non più un eco lontano. Era poco più di un sussurro, ma era chiara.  Mi girai lentamente; era ancora lì. Perché mi voleva fare così male? Non era più seduto, ma in piedi. I suoi occhi erano sempre vacui. E finti, perché tutto quello che avevo davanti era finto, uno scherzo della mia mente. Cominciò anche a parlare, e fu un brutto colpo.

“…s…sei…viva? Natasha…sei….viva?” La sua voce si era fatto ancora più lieve. Abbassai la testa e la scossi freneticamente. Gli occhi ritornarono ad essere lucidi. Perché mi stavi facendo soffrire in questo modo?
“Smettila, Jacob, smettila! Lasciami, per favore!” urlai verso il Jacob immaginario davanti a me.

Natasha… io non sono morto…guardarmi” continuò lui davanti a me. Io non gli obbedii, continuavo a scuotere convulsamente la testa. Stavo soffrendo tantissimo; me la presi così con il mio cuore. Era colpa sua se stavo soffrendo, solo perché non era ancora in grado di accettare la morte di Jacob. Ed ora mi stava facendo soffrire. Provai quindi a contrastarlo con la ragione.

“SMETTILA! JACOB È MORTO! L’ho visto mentre moriva, mentre mi diceva che mi amava e si scusava con me! L’ho visto mentre sorrideva per l’ultima volta! JACOB È MORTO!!!” urlai con tutto il fiato che avevo nei polmoni. Sentii due lacrime scendermi dalle guance ed arretrai con tutta l’intenzione di andarmene da lì. Qualcosa mi prese quelle stesse guance. Il respiro si fermò per un bel po’. Lo sentivo, era vero. Era caldo. Quel Jacob davanti a me mi aveva preso le guance. Il mio cuore smise di battere. Di fronte a me c’era lui, il suo viso. I suoi occhi, sempre di un nero profondo, avevano un non so che di luminoso e luccicante. Era lì a pochi metri da me.

“…ho sentito il tuo sangue nella mia bocca…” Sentii brividi lungo la schiena. Erano le stesse parole che mi aveva detto in quel posto. Da molto non riuscivo a respirare. C’era un’unica spiegazione se ora riuscivo a toccare Jacob; stavo sognando. Stavo vivendo un vero e proprio incubo. Non immaginavo il rimpianto che avrei avuto non appena svegliata. Stavo vivendo un’illusione, ed io non volevo vivere in una falsa speranza. Il Jacob davanti a me ora mi stava perseguitando; erano le stesse parole, nello stesso luogo, non poteva essere nient’altro. Inoltre stava sorridendo, non poteva sorridere dicendo quelle stesse parole.

“Ho sentito il tuo sangue nella mia bocca” ripeté ancora. Io chiusi gli occhi e scossi la testa. Era tutto un sogno assurdo; volevo solo svegliarmi. Notai che questa volta la sua voce era più decisa. Continuavo a trattenere il respiro. Sentivo il suo tocco caldo sulle mie guance. Quando riaprii gli occhi me ne pentii quasi subito; quegli occhi neri mi sommersero e sprofondai. La sua espressione era strana, quasi confusa. Non me ne importava, volevo andarmene da lui. Stavo ancora trattenendo il respiro. Fu allora che sorrise. Sentii battere il mio cuore di nuovo ed il respiro si fece regolare. Quando mi sarei svegliata mi sarebbe stato pressoché impossibile riprendermi. Con quel sorriso sarei sempre stata legata a quel Jacob che mi stava toccando le guance. Quel sogno mi avrebbe fatto tanto male quanto bene. Quel sorriso, poi sembrava quasi vero.

sei viva…” continuò allungando quello splendido sorriso. Perché… perché continuava a credere che fossi morta? Jacob era morto, non io. Cosa stava facendo il mio cuore alla mia mente? Ho sentito il tuo sangue nella mia bocca. Perché il mio cuore dovrebbe far ricordare alla mia mente quella frase? Poi però all’improvvisò capii…

Ho sentito il tuo sangue nella mia bocca. Sangue, sangue, sangue. Inorridii all’istante e dentro di me crebbe anche un senso di nausea. Sangue; Jacob aveva sentito il mio sangue; era entrato in contatto con il mio sangue. Il mio… sangue. Cominciai a tremare; la testa mi faceva male. C’era un motivo se Marte voleva me; il mio sangue. Non era come quello delle altre persone; era esattamente ciò che mi rendeva diversa. E Jacob ne era entrato in contatto. Il mio sangue rendeva i vampiri invincibili. Ed hai licantropi? Cosa avrebbe potuto provocare? Non gli era indifferente; provocava anche a loro strane conseguenze. Nella mia testa questi pensieri vorticavano veloci fino quasi a confondermi. Quindi anche Jacob

“Io non sono morto Natasha” Questa volta udii da una prospettiva diversa le sue parole. Dire che lo guardavo totalmente allibita e completamente confusa era un eufemismo. Non riuscivo a capire, né a credere, neppure a realizzare uno straccio di pensiero in quel momento.

“È stato perché ho ingoiato il tuo sangue…per questo mi sono salvato…non sono morto” ripeté. Le sue parole riuscirono a realizzare ciò che la mente, troppo confusa per farlo, non era riuscita a fare. La testa cominciò a farmi male, davvero male. Era tutto un sogno, non poteva essere vero. Che cosa mi stava succedendo? No, non poteva essere vero. Qualcosa si posò sulle mie labbra. Sentii una specie di scossa. Poi fu come se tutto nel mio corpo riprese a funzionare. I polmoni si riempirono d’aria e mi sentii stranamente leggera. Il Jacob davanti a me mi stava baciando. Sentivo le sue labbra calde e morbide sulle mie. Non avrei mai potuto immaginare un bacio così. Jacob era veramente… Mi staccai improvvisamente da lui. Finalmente lo guardai nello stesso modo in cui si vede una persona e non un fantasma. Il suo viso era animato da un largo sorriso. I suoi occhi invece erano felici, non avevo mai visto degli occhi così felici. Lo guardai dal basso verso l’alto. Quel bacio poi… Era lui, non stavo sognando… il mio sangue lo aveva… lui era…

Arretrai da lui. Dentro di me sentivo tutto così confuso… Avevo cominciato a respirare più velocemente. Avevo il fiato corto e ciò fu sufficiente a mandarmi in iperventilazione. La vista mi si stava offuscando. Caddi a terra. Successe come il primo pianto di un bambino appena nato. Non appena crollai inizia a piangere, quasi istericamente. Non era la caduta che mi fece male, ma era uno sfogo. Un pianto libertario, per liberare tutto. Jacob era lì, ne ero convinta. Ma…era stato, quella volta l’avevo visto davvero morire! Ed ora era qui con me! Com’era possibile?! Ancora non ci credevo. Ma era lui, ne ero sicura. Jacob non era morto! Per tutto il pianto non gli staccai gli occhi di dosso, per paura che se ne andasse. Anche lui non toglieva lo sguardo da me. Si stava mordendo le labbra e aveva gli occhi lucidi. O così mi sembrò; non ne ero sicura a causa delle lacrime che mi rendevano la vista sfocata.

“Piangere non serve a niente… Natasha… non ha più senso…” ma anche la sua voce si era fatta roca. Lo vidi mettersi una mano sugli occhi, probabilmente per nascondere le lacrime. Il secondo dopo però si chinò velocemente su di me, mi prese in braccio e mi alzò. Strinsi le braccia attorno al suo collo. Sentii il calore delle sue braccia avvolgermi. Ecco, le nuvole se n’erano andate. Per la prima volta mi sentivo illuminata dai raggi del mio Sole. Per la prima volta dopo tanto tempo mi sentivo veramente felice. Il mio Sole era realmente tornato. Ero ancora terribilmente confusa e scioccata. Avevo visto Jacob morire davanti a me, ma ora eccolo qui. Pensavo fosse solo un sogno, ma era terribilmente tutto troppo reale. Mi aveva detto che era stato il potere del mio sangue a salvarlo; io gli credevo, ma c’erano ancora troppe cose da mettere in chiaro. Avevo tanta paura che non fosse vero, che effettivamente fosse solo tutto un sogno. Continuai a stringerlo stretto a me, come d’altronde lui stava facendo con me. Fu proprio lui a staccarsi pochi minuti dopo. Il suo viso era rigato dalle lacrime, ma pensò bene di asciugarsi con una mano.

“Credevamo fossi morta Natasha…” cominciò con voce roca, triste, ma al contempo sollevata. Io lo guardai confusa. No, ero io che dovevo credere che Jacob fosse morto. Perché avrebbe dovuto crederlo? Cominciò a parlare con voce calma, anche se ci riuscì solo in parte.

“Pochi minuti fa siamo andati dai succhiasangue…” Riprese fiato per un minuto; stava parlando con una vena di disperazione che incuteva una certa paura.

“Ci hanno detto che sei andata da Marte da sola e che… eri morta insieme a lui a causa della diga che è crollata!!!” Ora aveva cominciato ad urlare. Mentre parlava la sua espressione era mano a mano mutata. Ora era arrabbiata e furiosa, ma soprattutto preoccupata. Abbassai lo sguardo. Ecco perché i Cullen se n’erano andati senza aspettarmi, mi credevano morta. Ma come facevano a sapere che ero morta in quel modo? Nonostante fossi occupata, non li avevo visti. Forse… mi ricordai di quegli occhi dorati, scuri, che avevo visto prima di essere inghiottita da quella montagna d’acqua. Forse non me li ero immaginati, Carlisle era davvero lì. Allora anche adesso credevano che fossi morta. Mi riscossi e tornai a guardare Jacob. Continuava a guardarmi con una certa aria di rimprovero. Come sarei riuscita a dirglielo? La nostra conversazione però venne interrotta da qualcosa. Un rumore in lontananza colse la nostra attenzione. Poi si udì una voce, sempre più vicina.

“JACOB! JACOB!” la riconobbi, era la voce di Seth, il giovane Clearwater. Sembrava assolutamente fuori di sé.

“Proprio quando succedono le cose più importanti non sei un lupo?! Ti abbiamo cercato dappertutto! Charlie ha telefonato e ha detto che Natasha è…!” Finalmente fuoriuscì dalla foresta ed in breve fu a pochi centimetri da noi. Sì fermò non appena vide che ero vicino a Jacob. Sul suo viso comparve un sorriso a trentadue denti. Il suo sguardo passava velocemente da me a lui. Poi si decise a muoversi e si diresse verso di me, travolgendomi nel vero senso della parola. Sentii le sue braccia forti e calde stritolarmi. Si staccò di me pochi secondi dopo. Il suo sorriso non era ancora scomparso. Aprì bocca, ma da quella non uscì nessun suono; era troppo entusiasta di vedermi. Tornò a guardare elettrizzato Jacob, poi gli si illuminarono gli occhi.

“Ah già!” disse gioioso. Corse verso di lui e gli saltò addosso prendendolo per una spalla. Tornò poi a guardare verso di me.

Natasha! Hai visto?! Jacob è vivo! È vivo! È vivo! È vivo! È vivo!” continuava a ripetere la stessa parola saltellando sul posto, sempre con quel sorriso a trentadue denti, sempre tenendosi a ridosso di Jacob. Era elettrizzato ed euforico. Ed aveva anche uno strano sguardo isterico.

“Vado a chiamare gli altri!” quasi urlò per l’emozione di vedere me e Jacob insieme.

Seth” richiamò la sua attenzione Jacob un po’ imbarazzato. Infatti entrambi eravamo imbarazzati, io soprattutto. Tenevo la testa bassa, ben attenta a non alzarla.

“Tutto quello che vuoi, Jacob” disse Seht ancora euforico. Jacob indicò verso il basso e Seth lo imitò. Ero abituata a vedere i compagni di Jacob in pantaloncini, a causa della loro alta temperatura corporea; ma Seth in quel momento non aveva nemmeno quelli. Molto probabilmente prima si era trasformato in lupo e si era dimenticato di indossarli. Al momento non indossava assolutamente niente.

“…ah…” se ne uscì Seth, non più allegro come prima.

“…ehm…” continuò, senza sapere esattamente cosa dire. Si era imbarazzato.

Seth, vai a dire agli altri che Natasha è qui con me. Arriveremo tra un po’” cercò di spezzare il ghiaccio Jacob.

“…o…ok…ehm…ciao… Natasha” disse questa volta totalmente rosso in viso.

“Ciao Seth” gli risposi continuando a tenere la testa bassa. Subito dopo Seth si diresse nuovamente verso la foresta, e scomparve. Ora eravamo di nuovo io e Jacob. L’arrivo di Seth aveva creato un nuovo tipo di tensione. Sì, perché avevo avuto conferma da un’altra persona che Jacob era vivo e la stessa cosa valeva per lui con me. Era stata la conversazione iniziata da Jacob poco prima che Seth arrivasse a creare quell’atmosfera. Un’atmosfera totalmente reale. Solo pochi centimetri separavano me e Jacob, ma non osavamo toccarci. In entrambi l’espressione era tesa. Nessuno dei due voleva iniziare a parlare. Perché c’erano moltissime cose di cui parlare. Fui io ad iniziare. Alzai lo sguardo verso il suo.

“Credo che tu mi debba delle spiegazioni” il mio tono era fermo. Eh già, era il momento per me e Jacob di iniziare una lunga conversazione.

“Come tu me ne devi a me” Anche dal suo non traspariva nessuna emozione.

No, non poteva essere tutto come prima se non chiarivamo questioni importanti. Non potevamo baciarci ed abbracciarci senza prima chiarire. In quel esatto momento avrei trascorso ancora un po’ di tempo tra le sue braccia, nella gioia che lui non era morto. Ma non sarebbe stato reale amore il mio. Dovevo contenere il desiderio di abbracciarlo fino a quando non avessimo chiarito. Era indispensabile a questo punto. Lo guardai negli occhi, anche lui la stava pensando come me.

“Dobbiamo discutere di molte cose” continuai io.

“Già” fece lui serio. Fu come se il mio corpo si muovesse da solo. Quell’atmosfera aveva fatto crescere in me una strana rabbia. Gli tirai un ceffone; non appena lo feci mi sentii più libera.

“Ehi! Hai detto discutere!” mi rinfacciò lui tenendosi la guancia con la mano. Ringraziai il fatto che potessi colpirlo e fargli sentire dolore. Ma solo per un attimo.

“Questo è per avermi dato uno schiaffo, per avermi abbandonata, per avermi detto delle totali falsità che mi hanno fatto terribilmente soffrire, per essere fuggito e per non esserti aperto sui tuoi problemi che coinvolgono me!” sbottai io. Lui mi guardò imperturbabile e mi diede un pizzicotto sul braccio.

“Ahi!” sbottai io tenendo il punto ferito con la mano guardandolo allibita.

“Questo è per aver baciato un succhiasangue davanti a me e per esserti comportata con così tanta stupidità ed idiozia da farmi quasi vergognare di te per ben due volte. Quasi ringhiò queste parole, ponendo particolare enfasi su ‘succhiasangue’,stupidità ed idiozia’. Rimasi per un attimo spaesata ed offesa per quello che aveva detto e soprattutto per come, con disprezzo. Ecco, questi erano i problemi che dovevamo in questo momento affrontare. Certo, le mie di accuse erano sensate, ma più pensavo alle sue, più credevo che fossero molto più riprovevoli. Davanti alle sue le mie quasi perdevano importanza. I suoi occhi mi stavano perforando la pelle. Abbassai lo sguardo per cercare di sfuggirli. C’era l’assoluto bisogno di parlare.

“Da dove iniziamo?” fece leggermente acido Jacob.

“Dall’inizio” gli risposi con il medesimo tono.

 

 

 

 

 

Ah!Ah!Ah! Credevate veramente che permettessi a Jacob di morire realmente?! Ok, va bene un racconto triste, ma non disperato! Io per prima non avrei mai fatto morire Jacob! (eh, giàgiàgiàgià…) Ma l’idea di far credere che fosse realmente morto mi attizzava troppo! hihihihihi…! Comunque eccoci qua! Questo è il penultimo capitolo! È ormai ufficiale. In realtà questo dovrebbe essere anche l’ultimo, visto che in quanto a fatti importanti non c’è più niente da raccontare. Il prossimo capitolo in pratica serva a riassumere il tutto. Il fatto però che mi sia venuto più lungo del normale mi fa pensare che c’è stata un bel po’ di roba da riassumere… Comunque il prossimo (ed ultimo! WE!) è già stato scritto, per tanto basteranno solamente un paio di giorni (o forse più) per rivederlo e correggerlo. Visto che le mie promesse non sono molto attendibili, non vi prometto che aggiornerò tra breve, ma mi impegnerò nel farlo!

Insomma, Marte muore (come succede a quasi tutti i cattivi; lo so, ha poca originalità) e Jacob non è morto. Insomma, ho deciso di mettere un po’ di eventi felici dopo due capitoli pieni di catastrofi. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Vi avverto che il prossimo sarà un po’ lunghetto, ma sarà l’ultimo! Ed è così che finalmente questa ff ha una fine! Concludo ringraziando tutti i lettori che continuano a seguire questa fanfiction (odio le formalità, ma questa fa una grande eccezione e non mi stuferò mai di farla!)! Ma soprattutto un grazie speciale per coloro che fino ad adesso hanno commentato! Sono contentissima che quello che scrivo venga apprezzato in questo modo! Grazie ancora infinitamente a tutti!

 

x BloodyKamelot:  Sei felice che Jacob sia morto?! Che sorpresa! Curiosità: Adesso magari ti disperi perché si è scoperto che è vivo?XD Grazie ancora per il complimento e per il commento! J

 

x mylifeabeautifullie: bhe… Marte è morto… Jacob non lo è… per la fine della storia ho finalmente detto basta con le catastrofi!^^ Era ora, no? Sono comunque contenta di non avere causato l’incombere della tua ira XD! Sono invece stracontentissima che tu abbia potuto percepire le stesse emozioni di Natasha attraverso il mio modo di scrivere! E grazie ancora infinite per il complimento! ^///^ (ß me tanto tanto lusingata)

 

x AngelOfLove: ECCO! ECCO! Lo sapevo! ‘Ti è venuto un pensiero che Jacob potesse morire, eh?! Se solo non l’avessi già scritto ti direi a te di scrivere l’ultimo capitolo! Sono sicurissima che lo avresti scritto ESATTAMENTE con gli stessi fatti che ho scritto io…! Scoprirò dove ti nascondi, Edward Cullen! Mwahahahah! Parlando di Edward Cullen ed arrivati a questo punto, visto che nel prossimo capitolo non succede niente di relativamente importante, bhe, ti posso dire che né lui, né altri Cullen moriranno. (AHIAhiAhi! Questa volta hai fatto cilecca, Edward!) È più forte di me, anche perché non so quale scegliere. Carlisle e Jasper sono assolutamente tabù; il mio stesso equilibrio morale andrebbe distrutto. Di conseguenza nemmeno Alice, sarebbe l’equivalente ad uccidere Jasper. Emmett nemmeno, così orsacchiottone e simpatico che è non ne ha nessuna colpa. Di conseguenza neppure Rosalie, mi fa una certa pena con la storia che ha avuto toglierle anche Emmett. Edward no perché se no non avrei nessuno da torturare XD! E di conseguenza nemmeno Bella. Per cinque secondi della mia vita ho pensato ad Esme, così facevo venire una bella crisi a Carlisle, ma poi mi sono imposta di no. Esme, non si tocca! Anche se poco importa questi miei pensieri, io li ho detti lo stesso XD! Comunque è inutile, anche se non la dici, ci sono serie probabilità che la tua ideuzza sia vera! Grazie ancora per il commento! Alla prossima! J

 

x _chocola_: ‘…tu…tu…tu…tu…’ è il rumore della linea del telefono, vero? XD Scusa per la pessima battuta! Comunque no, la salute mentale sta benone (oddio… diciamo che non è peggiorata…) e quella del mio computer si sta riprendendo (insomma…), grazie per esserti preoccupata! Bhe… credo che con questo capitolo la tua salute mentale si sia ristabilita un poco (spero)! Giuro che io non c’entro se ti stai facendo ogni giorno più male! (promessa di lupetto=jacobjacobjacob…*____* Auuuhh!). Mmmhhh… sono sospettosa… ho fatto uccidere Jacob e tu mi dici ‘ti voglio bene’mmhh… sono sospettosa…! Ma ovviamente sto scherzando XD! Lo sai una cosa, anche a me piacciono i lieti fine, (anche se non troppo, diciamo la maggior parte)! XD. Ps: parlando della tua sanità mentale… morta… che eufemismo! Diciamo che ora è all’ospedale (ospedale=medico=carlisle= *_______*) Grazie ancora per il commento! Sono felicissima che questa ff ti piaccia sempre di più! E spero che anche il finale sia all’altezza! Ciauz!

 

x pazzerella_92: AhA! Mi hai scoperto! Sì, sono Quentin Tarantino! Solo che di nome non faccio Quentin, il mio cognome non è Tarantino, sono una donna, sono italiana, ho quindici anni e non ho mai avuto a che fare con il cinema. Ma per il resto sono lui in tutto e per tutto! XD …No! La nuvola di Fantozzi….NOOOO! Qulla bella e dolce nuvoletta non si tocca! Appartiene a Fantozzi, e basta! OK! Il mio indirizzo è… bhe… in realtà non ho un indirizzo, visto il luogo dove abito. Comunque, vai in quel posto che si chiama ‘Circolo polare nordico’. Giungi al polo Nord, vai dritta per cinquanta metri (magari chiedi al primo Emmet… ehm…volevo dire orso bianco che passa informazioni, là tutti mi conoscono!) Il primo igloo sulla sinistra è mio!^^ Cooooomunque spero tanto che con questo capitolo tu ti sia un po’ più….ehm…diciamo…rilassata! ^^° Bhe… diciamo che con la storia del complemento di fine e causa per spiegartela meglio diciamo che tutti quanti non stanno combattendo per colpa di Natasha, come se fosse solamente un peso (perché la colpa è di Marte…blablabla…) ma combattono affinché Natasha non venga ferita, perché, per l’appunto, tengono a lei. Bhediciamo che mi faccio tante seghe mentali anch’io XD! Comunque buon viaggio ed ancora ancora tantissime grazie per il tuo splendido complimento! Bacio!

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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