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Autore: Aurelianus    30/06/2014    6 recensioni
Storia scritta per il Contest indetto dal Gruppo Facebook crème de la crème di EFP.
Argomento: "L'Epoca Vittoriana e i suoi segreti".
“Presenza?” le fece eco “Mia cara, massacri gratuiti, schiavizzazione e maltrattamenti sugli indigeni, occupazione e sfruttamento del territorio senza alcuna coscienza non si possono minimizzare sotto la parola “presenza”; la verità è che all’Inghilterra non basta di aver già sottomesso un quarto del globo, vuole di più. Ma il vostro Governo e la vostra Regina devono imparare che ci sono cose a questo mondo che non vanno alterate. Ci sono cose a questo mondo in cui conficcare i propri artigli putridi e famelici non è possibile, oltre che sconveniente. Esistono forze che è meglio non importunare. O la propria arroganza, presto o tardi, si paga.”
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il brusio non le dava tregua, aveva caldo e soffriva di un pungete mal di testa. Il trucco pesante le si stava sciogliendo sul volto, tormentandola non poco; il maledetto corpetto la soffocava senza pietà. Sua madre aveva insistito veramente molto perché lo indossasse. “È all’ultima moda, apparirai più desiderabile” aveva detto “Devi adempiere al dovere nei confronti della tua famiglia: tuo padre fa affidamento anche su di te.”
Sospirò, costringendosi a sorridere e ad ascoltare il discorso  senza fine del nobile che aveva di fronte. Un capannello di giovani gentil donne, affiancate dalle loro accompagnatrici, si era radunato intorno a Lord Harry Norrington totalmente assorbite dalle sue stupide chiacchiere e aneddoti che, ovviamente, lo ritraevano come un eroe impegnato nella grande causa quale era la diffusione  della civiltà nei luoghi remoti del globo.
Stupide galline” pensò, concentrando lo sguardo sul liquido dorato racchiuso nel bicchiere di cristallo che reggeva con la mano destra. Se l’intrattenimento era fuori luogo e di scarsa qualità, questo non si poteva dire del cibo e delle bevande fornite e della musica suonata. Sorseggiò piano l’oro liquido, lasciandoselo scivolare lentamente in gola e sperando di avvertire istantaneamente il suo effetto inebriante. L’avrebbe aiutata a sopportare.
“Stiamo  introducendo la civiltà in quei luoghi. Presto, costruiremo una scuola per gli indigeni del luogo e gli permetteremo di inserirsi nella struttura produttiva che instaureremo” fece nel suo tono affettato e aristocratico. “Entro breve, saranno fieri di essere sudditi dell’Inghilterra” proseguì socchiudendo gli occhi e accogliendo, con falsa modestia, i commenti sulla sua eccessiva magnanimità.
“Oh, no mie care signore. Abbiamo insediato una presenza stabile in quel luogo anche per questo motivo: quei selvaggi non sono in grado di provvedere a se stessi. Hanno a disposizione una terra fertile come poche altre, eppure non la sfruttano né la coltivano. Credono in antiche e assurde divinità che, a loro detta, li rifornirebbero di tutto ciò di cui necessitano in cambio della loro cieca obbedienza e della loro devozione” insisté, sorridendo con aria da padre bonario. Molte giovani dame si distolsero lo sguardo, evitando di mostrare l’ilarità o il rossore alla vista dell’uomo.
Effettivamente, Harry Norrington, aveva degli straordinari occhi azzurri che ben si abbinavano ai capelli biondi; inoltre la sua figura alta e slanciata era valorizzata dal frac che gli calzava alla perfezione.
Se solo non fosse stato un tale idiota…
Doveva le sue attuali fortuna al padre, Edmund Norrington, distintosi nel recente conflitto con gli Zulu, aveva ricevuto l’incarico di colonizzare la nuova isola scoperta nei mari del Sud.
Una terra ricchissima, come testimoniava l’improvvisa estinzione di molti dei debiti contratti nel corso degli anni dalla loro nobile famiglia.
Ma per implementare la colonia occorrevano grandi somme di denaro. E solo una banca poteva disporre di simili risorse finanziarie.
E quindi si era venuta creare una spietata corsa a chi si sarebbe assicurato il fruttuoso appalto. Nulla era proibito, ogni colpo, ogni risorsa era lecita pur di riuscire ad ottenere l’esclusiva sui finanziamenti nella nuova colonia. E se il Socio Anziano della Wright’s Bank aveva a disposizione una figlia graziosa da fornire come bene accessorio all’offerta vantaggiosa già sottoposta a Lord Norrington, tanto meglio. Il giovane rampollo era in età da matrimonio già da diversi anni ormai. 
Abbassò lo sguardo, evitando che l’espressione disgustata che le brillava sul volto, venisse scorta da tutta l’alta società Londinese.
Nauseata, approfittò del magnetismo emanato da Lord Harry, che aveva catturato anche sua zia Margareth, per scivolare indisturbata nel raggruppamento, a cui si erano aggiunti anche dei gentiluomini, fino ad uscirne.
Costeggiò le tavolate colme di cibi e bevande pregiate, dirigendosi verso le ampie vetrate che davano sui ballatoi. La sala era colma di invitati prestigiosi, Lord, Lady, esponenti dell’alta finanza e persino alcuni membri della Camera dei Comuni. Faceva sempre comodo avere appoggi nei giusti ambienti… il tutto era completato da un esercito di uomini e donne, racchiusi in accecanti divise immacolate; li osservò per un istante, notando come fossero del tutto assorbiti nelle loro mansioni. Non si sognarono nemmeno di incrociare il suo sguardo e si inchinarono lievemente al suo passaggio; agivano in modo da non farsi notare, quasi la loro stessa esistenza fosse un insulto nei suoi confronti.
I Norrington potevano anche definirsi amanti e fautori del progresso quanto volevano, ma la prassi nella loro stessa dimora smentiva questo fatto.
Si guardò attorno un istante, accertandosi che sua madre e quell’arpia di sua sorella  non la vedessero uscire.
Notò che dall’altra parte del grande salone, Lord Edmund era impegnato in una discussione con un folto gruppo di uomini. Tutti banchieri, naturalmente. E, naturalmente, suo padre spiccava fra tutti.
Attraversò la grande porta finestra, fuoriuscendo sul ballatoio che dava sopra i meravigliosi giardini della villa.
Sospirò, godendosi la fresca brezza che soffiava. Si rammaricò di non poter togliersi quell’indumento infernale che le comprimeva il busto in modo doloroso e insopportabile.
Fece scorrere lo sguardo sulla fontana in stile rinascimentale che dominava al centro del giardino, sino ad arrivare alle cancellate che separavano la villa dal mondo esterno. Un trionfo di oro e metallo forgiato con maestria in modo che creasse arabeschi affascinanti e inconfondibili: chiunque si sarebbe soffermato a esaminare quella creazione straordinaria che, di fatto, non era altro se non una banale anticamera atta a separare il mondo esterno dalla vera opera d’arte. Non a caso, ribattezzata Olympus; i suoi stessi proprietari si sentivano diversi dalla gente comune, persino dalle altre famiglie nobili. 
 I sogni di suo padre avrebbero potuto realizzarsi in ogni momento: il giovane Harry aveva dimostrato un particolare interesse nei suoi confronti. Il matrimonio avrebbe comportato il conseguimento della parìa per se stessa, oltre che per i suoi figli e quindi per i nipoti di suo padre, oltre che l’assicurazione che sarebbe stata la Wright’s Bank a essere la fonte del prestito di due milioni di sterline, necessarie a edificare il nuovo porto; solo la prima di molte opere in programma. A breve sarebbe seguita una ferrovia, poi altre miniere e poi di quell’isola cosa ne sarebbe stato?
“Prenderete freddo in questo modo, milady” la sorprese una voce alle sue spalle.
Ebbe un tuffo al cuore. Si voltò di scatto: un uomo era appoggiato alla parete della villa e la squadrava da capo a piedi. Non si capacitava di come avesse fatto a non notarlo quando era uscita, se non fosse stato impossibile avrebbe giurato che fosse apparso in quel momento.
Era alto e abbigliato con un indumento di cui si poteva dire tutto, fuorché che fosse elegante, per quanto pulito e in ordine. Era interamente  nero e ben si accostava ai capelli corvini dello sconosciuto, così come agli inquietanti pozzi d’oscurità che aveva al posto degli occhi; ciò nonostante, non poteva negare che fosse in qualche modo… affascinante.
“Chi siete voi, signore?” domandò.
“Oh, questo non ha importanza,” replicò con un sorriso spiazzante, “piuttosto, voi, cosa ci fate qui tutta sola. Avete perso per strada il vostro Chaperon?”
“No, non ne ho bisogno. Se volete scusarmi” rispose, stizzita.
“Peccato: proseguire questo dialogo senza vostra zia, signorina Wright, sarebbe sconveniente. Ma, dato che la conversazione all’interno langue e pare essersi soffermata su pomposi elogi e panegirici improvvisati al momento nei confronti dei Norrington, penso si possa fare un’eccezione” fece strizzando l’occhio destro.
In quell’istante fu certa che una vampata di colore le imporporò il viso e non solo per via dell’ira.
“Chi siete voi, come mi conoscete?!”
L’uomo si esibì in una risata calda e coinvolgente “State tranquilla, mia signora. Voi siete Krystal Wright, figlia primogenita di Lionel Wright, Socio Anziano della Wright’s Bank” la tranquillizzò con un tono solenne, mentre portava una mano al petto e socchiudeva gli occhi.
“Tutti vi conoscono, mia splendida signora. Voi siete quasi certamente la futura moglie di Lord Harry e vostro padre, oltre ad essere uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra, probabilmente sarà la fonte delle risorse che serviranno a devastare l’isola. O Eden come si ostinano a volerla ribattezzare alcuni” terminò, cambiando tono quel tanto che basta da farle capire che considerava la questione molto seriamente, a differenza del resto, a quanto pareva.
Lo scrutò nuovamente, prendendosi il tempo per esaminarlo meglio, questa volta: Era davvero alto, la sovrastava di tutta la testa. Il vestito che indossava non sarebbe stato considerato affatto come appropriato, era piuttosto stretto sul suo corpo, quanto bastava da far capire che l’estraneo possedeva un fisico muscoloso come pochi. Era davvero imponente, incuteva quasi timore. La sua pelle aveva un piacevole colorito ambrato, ed era esposta solo sul volto e sulle mani. Mani forti e grandi. Inspiegabilmente desiderò di essere stretta da quelle braccia possenti.
Scuotendo lievemente il capo, scacciò quei desideri inopportuni, consapevole che le sue guance avevano assunto un colorito un po’ più roseo.
Ma il particolare più accattivante rimanevano i suoi occhi. Le dimensioni delle iridi le parevano più grandi del normale, inoltre erano così nere da risultare indistinguibili dalla pupilla. E anche se non ne fu certa, le sembrò di cogliere una sorta di inspiegabile bagliore in quegli occhi; qualcosa che la spingeva a puntarvi lo sguardo, per non rivolgerlo più altrove.
Forse stava esagerando, eppure non poteva negare di essere affascinata da lui e da quella vena di proibito che si era ricavata uno spazio nella conversazione.
Krystal decise di rimanere: sicuramente sarebbe stato più interessante che ascoltare i discorsi dei damerini all’interno. E inoltre valeva la pena uscire dalla solita monotona e ripetitiva routine, fatta di persone e modi di fare sempre uguali. Forse si sarebbe assicurata una bella strigliata, ma era pronta a subirla.
“Non intendo proseguire oltre questa conversazione se non avrò il piacere di sapere con chi sto parlando” pontificò.
“Oh, d’accordo. Potete chiamarmi Aaron” disse facendo spallucce.
“Aaron… e?” insisté.
“Aaron e basta. Quell’appellativo non ha più importanza alcuna, oramai” replicò.
 Krystal si appoggiò alla parapetto in marmo e lo interrogò: “A quanto pare non siete molto d’accordo sulla nostra presenza nell’isola.”
“Presenza?” le fece eco “Mia cara, massacri gratuiti, schiavizzazione e maltrattamenti sugli indigeni, occupazione e sfruttamento del  territorio senza alcuna coscienza non si possono minimizzare sotto la parola “presenza”; la verità è che all’Inghilterra non basta di aver già sottomesso un quarto del globo, vuole di più. Ma il vostro Governo e la vostra Regina devono imparare che ci sono cose a questo mondo che non vanno alterate. Ci sono cose a questo mondo in cui conficcare i propri artigli putridi e famelici non è possibile, oltre che sconveniente. Esistono forze che è meglio non importunare. O la propria arroganza, presto o tardi, si paga.”
“A sentirvi, signore, si potrebbe dire che siete fermamente contrario alla colonizzazione di quelle terre” intervenne lei.
“Chiamatela come preferite, ma è un’occupazione militare che calpesta la popolazione autoctona e la costringe a lavorare per qualcuno che non considerano il proprio legittimo sovrano, senza peraltro apportare alcun beneficio a quest’ultimi. Un’occupazione permessa da oltre cinquemila Aragoste e dai loro Martini-Henry” concluse, citando il nomignolo con cui erano conosciute le truppe coloniali per via delle loro caratteristiche divise rosse. Krystal osservò che quando l’uomo intendeva marcare un concetto, spesso ripeteva delle parole chiave, quasi volesse ben imprimerle nella mente dei suoi interlocutori.
“Cinquemila? Non che io sia un’esperta in materia bellica, ma non sono molte, addirittura troppe, per quella zona?” lo interpellò, sorpresa.
“La popolazione del luogo ha dato problemi e… non solo loro. È sicuro che la forza d’occupazione sarà più che raddoppiata entro l’anno a venire: c’è troppo in gioco.”
“Trovo difficile che un’accozzaglia di indigeni tutt’altro che coesa, senza alcuna nozione bellica moderna e mal armata, possa tenere testa alle truppe di Sua Maestà” affermò, certa.
Lo sconosciuto arricciò un angolo delle labbra, sorridendo appena. “Voi, di preciso, cosa sapete di Eden?”
“Non molto, ad essere sinceri. So che circolano leggende a dir poco bizzarre su quei luoghi, ma darvi credito sarebbe da sciocchi” rispose.
“Ad esempio?” la invitò a proseguire, divertito.
Krystal arricciò il naso e si porto i pugni ai fianchi “Vi prendete gioco di me, signore?” lo apostrofò, indignata.
Il suo interlocutore si esibì in un sorriso meraviglioso, mettendo in mostra la candida e regolare dentatura, prima di risponderle “Non mi permetterei mai, mia signora. Sono realmente interessato a questi racconti. Proseguite se ciò vi aggrada, ve ne prego.”
La ragazza voltò bruscamente  la testa a sinistra, assumendo una posa altèra. 
“Ebbene, ho udito racconti riguardo a delle discrepanze nella mappatura dell’isola: le cartine terrestri non collimano per nulla con quelle marine, verosimilmente il problema è un semplice errore, tuttavia si tratterebbe di un errore davvero colossale. L’esploratore Habakuk Tate che ha attraversato Eden da parte a parte e l’ha anche circumnavigata, ha avuto l’ardire di affermare che l’isola sarebbe più grande all’interno. Infatti, a suo dire, partendo da capo Tate e procedendo in circolo occorrerebbero solamente tre giorni per doppiare nuovamente il capo; viceversa, sarebbero necessari circa sei mesi di marce forzate per attraversare l’isola via terra e non certo per gli ostacoli naturali.  Ridicolo, non trovate?”
“Forse per nascondere il fatto che si era smarrito nelle foreste dell’entroterra, ha inventato questa idiozia” sorrise, scaldandola.
“S-sì, emh, certo.”
“Altre leggende, mia signora?”
“A dire il vero sì, tuttavia questa volta si tratta di un fatto risaputo. Per un motivo che la Natura non ha voluto spiegare, ha donato di tutto a questa regione: oro, diamanti, carbone, terre fertili, legname pregiato e altre ricchezze che non si sono degnati di elencarmi. Tutto nello stesso fazzoletto di terra, o lenzuolo oltremodo smisurato, secondo alcuni” disse e sentendosi compiaciuta quando riuscì a suscitare un lieve sorriso in Aaron.
“Poi, be, rimane la leggenda più stravagante: si sa per certo che gli indigeni adorano strane creature che, secondo le loro credenze, proverrebbero dal centro dell’isola. Alcune pattuglie collocate nell’entroterra avrebbero segnalato avvistamenti a dir poco assurdi. Lord Harry ha affermato che quegli uomini sono stati severamente puniti per aver bevuto durante il loro servizio. La spiegazione più probabile è un’altra: sull’isola sono state identificate specie di animali sino ad ora sconosciute; quasi certamente i soldati avranno scambiato questi animali esotici per le famose creature venerate dagli isolani. E in fondo, sono state erette statue a loro immagine in tutta l’isola. Ho sentito dire che queste sculture sono davvero di pregevole fattura; di notte, al buio, magari…”
“Oh, è vero. Quelle statue sono davvero molto belle” sussurrò Aaron con lo sguardo perso nel vuoto.
“E non conoscete altro su Eden, signorina Wright? Nessun’altra leggenda, nessun altro aneddoto?” incalzò.
“Ce ne sono diversi, in effetti. A quale vi riferite, signore?”
“Oh, ma riguardo ad una diserzione, naturalmente.”
Tamburi di allarme iniziarono a suonarle in un angolo della mente, “Cosa intendete, esattamente, con diserzione, se non vi dispiace?”
“Quando ho parlato di massacri gratuiti, signorina Wright, non ho affatto esagerato; semmai il contrario,” le rispose, “presumo che l’abbiate compreso da sola, ormai. Io ero là, col il ruolo di ufficiale nell’esercito di Sua Maestà” confessò.
Krystal annuì, mentre il suo cuore accelerava improvvisamente i battiti ad un ritmo forsennato.
Dopo averla scrutata per alcuni istanti, si decise a raccontare: “I Kvi, così si autodefiniscono i popoli che abitano l’isola, non accettavano la nostra autorità. Dicevano di essere disposti ad ospitarci e di commerciare con noi, vendendoci ad un prezzo ragionevole i minerali di cui avevamo bisogno. Avremmo dovuto capirlo da quella sottile offerta,” disse, “non ci offrirono uno scambio, ma un regolare contratto di vendita; sono un popolo molto più evoluto di quanto ci immaginassimo. Un popolo del genere non crede alle favole senza un motivo fondato… ma ai Norrington la cosa non piacque: i primi coloni stavano sopraggiungendo, le prime miniere e i primi insediamenti dovevano essere approntate. Per questo ci ordinarono di attaccarli e di piegarli. Avremmo dovuto saccheggiare e incendiare ogni singolo insediamento, villaggio, abitazione…”
“Oh, mio Dio” si lasciò sfuggire, inorridita.
“E cosa faceste?”
“Ubbidimmo” confessò, “Ma c’è un limite alla sofferenza che un uomo può causare” proseguì, distogliendo il tenebroso sguardo dai suoi occhi e puntandolo oltre le cancellate.
“Avevamo l’ordine ti sottomettere i Kvi nel modo più brutale possibile. Dopo un po’ alcune dozzine di uomini, tristemente una porzione molto piccola del contingente, ne hanno avuto abbastanza. Abbiamo disertato, eravamo nauseati da quello spargimento di sangue innocente senza fine.”
Krystal non poté fare a meno di abbandonare la posa rilassata che aveva assunto, quando comprese chi aveva di fronte. Per la prima volta della serata, e forse della vita, desiderò che sua zia Margareth fosse accanto a lei; almeno non sarebbe stata sola.
Aaron sorrise di nuovo, il sorriso più bello che avesse sfoggiato sino a quel momento.
La ragazza fu certa di iniziare a scorgere delle increspature agitarsi nelle iridi dell’uomo.
Spaventata indietreggiò.
Aaron si volse verso di lei e avanzò, arrivandole ad un solo passo di distanza.
“Che cosa volete fare?!” urlò, levando le mani per proteggersi.
“Si dice che in tutte le leggende ci sia un fondo di verità, mia signora,” le disse chinandosi e sussurrandole all’orecchio, provocandogli un brivido.
“Si dice che certe forze, certi misteri, non debbano essere svelati o si rischia di pagare un tributo molto pesante. E certe volte, dare credito ai moniti locali sarebbe utile” seguitò stringendole delicatamente un polso. 
Una scarica di elettricità le percorse il braccio, pervadendola di una sensazione piacevole assolutamente fuori luogo, in quel momento. Chissà cosa avrebbe provato se non avesse indossato il guanto…
“Lasciatemi” lo ammonì, fulminandolo.
Aaron ubbidì e si allontanò di un passo, ma continuò a fissarla con i suoi inquietanti occhi neri.
“Il nostro reparto ci stava fucilando con l’accusa di diserzione, quando loro sono arrivati”
“Di cosa state parlando, di grazia?!”  lo incalzò in tono sferzante, spazientita.
“Delle leggende” rispose sorridendo con un angolo della bocca.
“Li hanno presi di sorpresa, li hanno attaccati senza tregua, metodici, implacabili e spietati. Deliberatamente senza concedere quartiere. Dopo pochi minuti era già tutto finito e cento uomini di Sua Maestà erano morti.”
Si portò un mano alla bocca, agghiacciata “Non parlerete sul serio, vero? Devono essere stati questi Kvi ad avervi attaccati” cercò di razionalizzare.
“È quello che ha detto anche Edmund Norrington,” rispose, “perciò ha aumentato il contingente da duemila uomini a cinquemila, intensificando le rappresaglie e cercando di sedare un’immaginaria sommossa. Ma i Kvi sanno di dover solo aspettare che i loro padroni intervengano e massacrino il grosso delle truppe d’occupazione. E loro attendono.”
“Vi ostinate a parlare in questo modo criptico e insondabile: siate più chiaro, per l’amor del Cielo!” lo bacchettò “Chi sono queste leggende? Chi ha massacrato chi?”
“Ma l’attesa è terminata” la ignorò, prendendo a parlare in tono solenne “Solo pochi devono ancora pagare: oggi giustizia sarà fatta” decretò.
“Ah, è del tutto inutile!” sbottò Krystal a suo indirizzo.
Si volse verso la porta finestra, cercando di approfittare della distrazione dell’uomo per tornare all’interno e interrompere un discorso che stava volgendo all’assurdo.
Ma i contorni del suo campo visivo fecero opachi e indefiniti, il suono degli strumenti e il rumore del ricevimento, già affievoliti dal vetro, si smorzarono ancor di più.
“Cosa?” si lasciò sfuggire, intimorita.
Si volse di scatto e il panorama cambiò.
Il giardino era scomparso, dal balcone vedeva una vasta pianura dove era calata una notte senza luna.
Una marcia, dalle note inconfondibili, echeggiava nell’aria.
“La marcia dei granatieri?” domandò, confusa.
Si girò a cercare Aaron: era sparito, seguito da tutto il resto. Nulla c’era più, solo la piana erbosa che ora la circondava interamente.
Avanti” ordinò un uomo in divisa. Un ufficiale.
Era alla testa di un reggimento di fucilieri, fiancheggiato dalle truppe coloniali su entrambi i lati.
Centinaia di uomini in divisa le venivano contro, arrancando. Sporchi, dalle divise scarlatte e lacere, che non riuscivano a nascondere le bende insanguinate che molti di loro portavano avvolte sui punti più disparati.  
Reduci da uno scontro.
Uno scontro che non doveva essere andato troppo bene.
Strani bagliori argentati, seguiti da fruscii e fischi acuti, si abbatterono sulla disordinata massa di soldati inglesi.
Decine di uomini caddero senza emettere un gemito, annichiliti all’istante.
Urla di terrore si levarono nella notte.
“Sono tornati” piagnucolò un soldato, prima di lasciare la formazione e tentare la fuga. Un ago d’argento lo falciò prima che riuscisse a compiere tre passi.
“Uomini, su due linee!” sbraitò l’ufficiale.
Un centinaio di soldati si dispose in due file delle medesime dimensioni, puntando le armi nella direzione da cui provenivano i mortali dardi.
“Prima linea, fuoco!” ordinò l’ufficiale.
Una mortale scarica di colpi attraverso il vuoto, sparendo nel buio.
La prima fila si inginocchiò, intenta a ricaricare le armi; la seconda la oltrepassò prendendo la mira.
Dozzine di indistinte ombre apparvero nell’oscurità, caricando la formazione britannica.
“Fuoco!” urlò l’ufficiale, con un’inconfondibile nota di paura.
I tuoni secchi dei Martini-Henry si fecero udire ancora, i colpi fendettero l’aria abbattendosi sulla massa di spettri in avvicinamento, falciandone un numero ridicolo. Appena una manciata.
“Scontro all’arma bianca!” dispose l’ufficiale sguainando una sciabola scintillante.
La seconda fila si rialzò in piedi e sparò un’ultima scarica, poi innestò le baionette.
Gli spettri aumentarono il ritmo forsennato della corsa ed emisero un’infernale grido di battaglia; quando furono a pochi passi dalla prima linea inglese, come un sol uomo, alzarono il braccio destro da cui scaturirono fiammeggianti lame verdi.
Krystal si voltò, inorridita.
Il suono della carne che veniva lacerata per un attimo l’assordò.
Avvertì subito che qualcosa era cambiato, era di nuovo sul balcone.
Anche se l’eco del dolciastro odore di sangue permeò, per un istante ancora, l’aria.
Aaron le stava davanti.
“C-che, che cosa ho visto?”
“Il passato, mia signora. Più precisamente, avete visto eventi risalenti a tre giorni fa. La notizia del massacro non è ancora pervenuta qui. Tutti credono che l’isola sia saldamente nelle loro mani, ma i loro eserciti sono stati distrutti e i loro coloni ributtati in mare” rispose.
“Eppure,” aggiunse, “i veri responsabili non hanno ancora pagato.”
L’aria ai lati di Aaron iniziò a tremolare, esattamente come accade allo spazio attorno ad un fuoco rovente.
Due creature gigantesche apparvero.
Krystal soffocò un grido e si ritrasse.
“Non temere, non ti faranno del male: loro sono Cacciatori di Giustizia, le loro prede sono solo i colpevoli. Tutti coloro che si sono rifiutati di massacrare gli inermi Kvi, me compreso, sono stati risparmiati e ricompensati con qualcosa di unico” disse, mentre dalla sua mano sinistra nacque un fuoco nero, che illuminò i due giganti.
Krystal li guardò: dovevano essere alti almeno due metri e mezzo, Aaron appariva come un bambino fra loro due. Erano incredibilmente muscolosi e avevano la pelle di una tonalità fra l’azzurro e il grigio, interrotta solo dall’armatura color ruggine che indossavano. Le loro teste, dalla conformazione triangolare, erano sprovviste di bocca. Avevano solo due profondi occhi verdi, che brillavano debolmente.
“Devo essere impazzita” si rimproverò.
Le fiamme nella mano dell’uomo si estinsero improvvisamente, rigettando nell’oscurità i due esseri.
“Krystal, cara. Cosa ci fate qui tutta…”
Lord Harry, accompagnato da zia Margareth, aveva appena oltrepassato la soglia della porta finestra.
“Tu?!?” sbottò all’indirizzo di Aaron “Non so come te la sia cavata, sporco traditore, pusillanime feccia, ma ti assicuro che ora la pagherai molto cara” minacciò.
“Lo ribadisco, non avete nulla da temere Krystal. Solamente non intralciate il lavoro dei Cacciatori. Quando tutto questo sarà finito, è probabile che vi sarà fatto il favore di rimuoverlo dalla vostra memoria. Come a tutti gli altri commensali, del resto” disse Aaron.
Come se fosse il segnale che attendevano, due lame gemelle apparvero nell’oscurità e gli spettri si mostrarono.
“Ora giustizia sarà fatta” sussurrò.
Lord Harry morì ancor prima di riuscire ed emettere un gemito.
L’Inghilterra dimenticò. Lei no.


  
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