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Autore: Toki_Doki    01/07/2014    1 recensioni
Monica, un'italiana ventiquattrenne che si trasferisce a Londra per realizzare il suo sogno. Si imbatterà nell'attore che ha sempre desiderato incontrare e che, forse, le rovinerà la vita. Ma chi può dirlo?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 03 Miss Bennet

Era passata una settimana da quando avevo incontrato Benedict e non avevo ancora avuto il tempo di guardarmi il dvd.
Avendo la serata libera, decisi di godermi finalmente quel film. Lo inserii nel lettore; mi sistemai sotto al piumone caldo con la mia fedelissima tazzona di Earl Grey, e premetti play.
A neanche metà pellicola, fui interrotta da un sms del Signor Miron che mi chiedeva se stessi meglio e se l’indomani me la fossi sentita di raggiungerlo al suo studio. Aveva una cosa urgente di cui parlarmi e non me la sentii di rimandare.
Accettai quindi quell’invito quasi disperato e continuai a guardare il film.
La mattina successiva arrivai all’appuntamento con una decina di minuti di anticipo sperando di potermela svignare il prima possibile.
Il Signor Miron era un insegnante fantastico, pieno di talento e gentilezza, ma era anche stravagante e delle volte ti tratteneva per ore a parlare del nulla. Per questo dubitavo della serietà di quell’incontro: per lui poteva essere questione di vita o di morte anche scegliere il colore dei calzini.
Presi l’ascensore e, inevitabilmente, ripensai all’incontro con Benedict: era diventata quasi un’ossessione. Persino a lavoro non potevo fare a meno di guardare fuori sperando di scorgerlo; ma niente: non si era più presentato in caffetteria. Ero addirittura andata nel negozio in cui aveva preso la copia di Orgoglio e Pregiudizio che mi aveva regalato, ma niente: era sparito.
Guardai l’orologio sbuffando. Mi diressi a passo svelto nello studio di Miron e bussai alla sua porta notando che la segretaria era assente.
Mi fece entrare e accomodare sulla grande sedia in pelle nera di fronte la sua scrivania. Continuò a firmare alcuni fogli, poi li sistemò nella sua ventiquattrore sbiadita e mi rivolse il suo sguardo.
“Come stai?”
“Un po’ meglio.” Dissi con la voce roca per il mal di gola.
“Torna presto al corso, mi raccomando!” Mi sorrise.
“Venerdì sarò di nuovo presente.” Abbozzai un sorriso.
“Vorrei parlarti di una cosa.” Si fece serio. “È davvero importante e vorrei tu ci pensassi bene prima di darmi una risposta.” Annuii e proseguì: “Quelli della rivista X mi hanno contattato ieri pomeriggio per avere informazioni su di te.” Sgranai gli occhi pensando mi stesse prendendo in giro. “Non pubblicheranno le tue foto nell’intervista di Benedict Cumberbatch, ma hanno voluto le tue credenziali e mi hanno chiesto di farti collaborare al prossimo servizio fotografico. Credo vogliano tenerti d’occhio.”
Avevo il cuore a mille.
“Non so davvero che dire.”
“Te la senti di iniziare un percorso con me?”
“Sotto la sua guida mi sento in mani sicure.” Sorrisi. “Non speravo di avere un’opportunità del genere.”
“Devi considerare i sacrifici che comporterà impegnarsi in tale lavoro. Potresti aver bisogno di lasciare la caffetteria; spostarti di continuo e accontentare i capricci della gente. Pensaci bene.”
Mi spaventò un po’ e mi sentii demoralizzata.
Lo ringraziai per la fiducia che riponeva in me, per i consigli che mi aveva dato e per il tempo che mi aveva lasciato per pensare.
Presi il cellulare e controllai che giorno fosse: 5 Marzo. Mi aveva dato tempo fino al 16, quando sarebbe stato impegnato per un altro servizio con quelli di X.
Avrei dovuto pensare a i pro e i contro; non potevo impegnarmi a metà accettando solo l’incarico del 16 e poi sparire nel nulla. Era stato chiaro su questo e di certo non l’avrei deluso.
Tornata a casa mi rinfilai il pigiama e mi misi al computer. Navigando un po’ in rete trovai degli articoli sugli Oscar e mi venne in mente che Benedict aveva presentato una categoria. Io aspettavo il momento in cui avrebbe presenziato come candidato!
Fu così che mi venne l’illuminazione: probabilmente non era ancora a Londra. Avevo sperato in una sua manifestazione miracolosa e invece era dall’altra parte dell’Oceano.
Da una parte ero contenta che il motivo fosse quello, dall’altra per niente perché avrei continuato ad aspettarlo all’infinito ed invano. Stavo diventando patetica.
Mi ci voleva una vita sociale più attiva… anzi! Mi ci voleva una vita sociale, e magari anche una sentimentale. Non potevo restarmene chiusa nel mio mondo fatto di unicorni e fatine in eterno, decisi quindi di mandare un sms ad un mio compagno del corso fotografico per chiedergli di uscire. Mi rispose: Va benissimo. Io e i miei amici ci vediamo al Finix per le 10. Unisciti a noi ;) A dopo!
Optai per un sonnellino pomeridiano per non crollare la sera dato che non ero abituata a far tardi. Impostai la sveglia alle 17.50 per poi preparare la cena e preparare me all’uscita.
Non ero una che ci metteva ore nel sistemarsi, ma quella sera volevo rendermi il più carina possibile perché volevo fare buona impressione su Matthew e i suoi amici. C’eravamo conosciuti un mese prima al corso di Miron; aveva il tipico aspetto dei ragazzi nerd. Ero rimasta colpita dai suoi occhiali da vista e l’aspetto da perfettino. Si era poi rivelato un pasticcione casinista! Ci stavo bene con lui e finalmente mi ero decisa ad uscirci e a smettere di rifiutare i suoi inviti.
Arrivai puntualissima al locale. Mi guardai intorno per trovare Matt, ma di lui neanche l’ombra. Aspettai una decina di minuti poi gli telefonai: entrò la segreteria telefonica. Iniziai a preoccuparmi quando i minuti di ritardo divennero 45.
Camminavo nervosa su e giù per il marciapiede; il buttafuori mi guardava come gli facessi pena. D’un tratto qualcuno alle mie spalle, mi chiese se stessi bene: non stavo per niente bene! Mi voltai con un finto sorriso per evitare di incappare nella compassione di uno sconosciuto.
“Sto” sgranai gli occhi “bene.”
“Non te lo aspettavi, eh?!”
I suoi meravigliosi ricci rossi erano scomparsi. Continuai a guardarlo sbigottita.
“Matt! Ma quando li hai tagliati?” Si era rasato a zero!
“Oggi.” Mi sorrise divertito. “Scusa se ti ho fatto aspettare.”
Scrollai la testa.
“F-figurati. Entriamo?”
La serata passò… passò. Il locale era affollato nonostante fosse mercoledì; la gente spingeva e pogava come fosse ad un concerto Metal; la mia testa stava per esplodere e Matt era mezzo ubriaco.
L’idea che mi ero fatta era davvero sbagliata. Almeno avevo capito che con le prime impressioni non ci sapevo fare!
Guardai stufa l’orologio constatando che era ancora mezzanotte e Matt si era scolato già 3 drink insieme ad un paio di suoi amici fricchettoni. Quando tornò per l’ennesima volta dal bar, mi prese per mano e mi trascinò a ballare; non tentai neanche di opporre resistenza, tanto me la sarei svignata non appena si fosse distratto.
Il mio piano fallì: mi restò appiccicato e con gli occhi addosso per tutto il tempo. Mi sentivo mancare l’aria e le luci mi stavano dando alla testa, così gli dissi all’orecchio che avevo bisogno di uscire un attimo e mi voltai di scatto per scappare da quella gabbia. Mi scontrai con un armadio a cui feci rovesciare il drink sulla camicia bianca. Alzai lo sguardo impaurita sperando si lasciasse intenerire dal mio sguardo di fanciulla spaesata.
“Mi dispiace.” gridai cercando di farmi sentire.
“Tranquilla.” Mi disse all’orecchio abbassandosi.
“Ti prendo dei tovaglioli.”
“Accompagnami al bagno.” Al bagno con uno sconosciuto alto 1 e 90 con due spalle grosse così?!? Ehm…
“Il mio amico mi sta aspettando, non posso.”
Mi poggiò delicatamente la mano sulla spalla ed insistette; mi scansai per farmi lasciare ma non mollò. Poi il suo sguardo fu attratto da qualcosa, o qualcuno, dietro di me e mi lasciò per poi avviarsi ai bagni. Sospirai di sollievo ringraziando mentalmente Matt che era venuto in mio aiuto.
Mi voltai per poterci parlare ma rimasi di stucco: era lui, in carne ed ossa di nuovo davanti ai miei occhi. Deglutii e cercai di lottare contro il mio corpo che voleva accasciarsi a terra.
Si avvicinò al mio orecchio e mi sussurrò un ciao. Il cuore sembrava volermi esplodere. Lo salutai con un gesto della mano, poi si avvicinò di nuovo e mi propose di uscire.
Quando respirai l’aria fredda della sera mi sentii come rinascere.
“Meno male che mi hai ricordato di prendere il giacchetto!” Gli sorrisi.
Si tirò indietro i capelli che gli si erano scompigliati, poi alzò la testa al cielo e rimase in silenzio a guardare le stelle.
Mi avvicinai e mi poggiai anch’io al muretto. Con la mano sfioravo la sua; avevo la testa in panne. Erano giorni che speravo di incontrarlo e ora me lo ritrovavo così vicino!
“Non hai un bell’aspetto.”
Sgranai gli occhi e lo guardai sconcertata.
“Beh, grazie.” Distolsi subito lo sguardo imbarazzatissima.
“Intendevo dire che non sembri star bene.”
“Ho il mal di gola, ma credo che il mio terribile aspetto sia dato dal mal di testa tremendo che mi hanno fatto venire quella musica assordante e quelle luci fastidiose. Mi sentivo in gabbia.” Sospirai rilasciando una nuvoletta nell’aria.
“Non è per te.”
“Decisamente.”
Restammo in silenzio non so per quanto tempo, però non era un silenzio imbarazzante; non mi sentivo neanche in obbligo di dire qualcosa: stavo bene così.
Con la coda dell’occhio lo vidi spostare il suo sguardo su di me.
“Stai meglio ora, ma ti consiglio di non rientrare.”
“Grazie dottore.” Gli sorrisi ma non ricambiò.
Era rimasto per tutto il tempo serio ed imperturbabile. Si scostò dal muretto e mi si posizionò di fronte. Restò a fissarmi per qualche istante.
“Rientriamo?”
“Mi hai appena det-”
“Non voglio lasciarti qui fuori da sola.”
Mi scostai anch’io e mi diressi al locale. Mi seguì in silenzio, poi poco prima di entrare, mi disse:
“Mi sono dimenticato di fumarmi la sigaretta.” Mi voltai ridacchiando. “Mi fai compagnia?” Il mio cuore mancò un battito.
Restammo vicino l’entrata il tempo di quella sigaretta. Lo guardavo come fosse la cosa più bella e rara al mondo. Non mi sarebbe mai passata se avessi continuato ad incontrarlo.
“Quando sei rientrato a Londra?”
Mi guardò per un attimo; espirò il fumo dalle labbra e poi mi rispose:
“La notte scorsa. Li hai seguiti in diretta?” Feci no con la testa.
“Non li ho ancora visti in realtà. Ho lavorato senza sosta per 3 giorni filati.”
Corrucciò la fronte.
“Come mai?”
“La mia collega è malata e devo fare anche i suoi turni.” Sbuffai. “Oggi per fortuna ho avuto il giorno libero perché mi ha sostituita la moglie del proprietario.”
Spense la cicca e la buttò nel posacenere del cestino dei rifiuti.
“È una caffetteria deliziosa.” Mi sorrise. Finalmente aggiungerei!
“Mi piace lavorare lì.” Mi tornò in mente la proposta della rivista X  ma cercai di non pensarci. Dopo qualche istante aggiunsi: “Ah! Grazie davvero per il dvd! Non dovevi.”
“Figurati. Non è stato difficile trovarlo, e poi i sensi di colpa non mi avrebbero lasciato dormire se non avessi avuto il tuo prezioso film.” Mi fece l’occhiolino.
Il cuore non voleva saperne di rallentarmi.
“L’hai vi-” Fui interrotta da Matthew che era uscito a cercarmi.
Mi si buttò praticamente addosso.
“Tu sei…?” Gli chiese puntandogli contro il collo della bottiglia che aveva in mano. “Sei tu, vero?” Benedict lo guardò torvo.
“Io sono io.” Mi rivolse uno sguardo gelido. “Ti lascio nelle mani del tuo ragazzo.”
Si voltò e rientrò dando quasi una spallata ad un ragazzo che stava uscendo.
Mi scrollai quel coglione di Matt da dosso e raggiunsi Benedict dentro; lo cercai tra la folla ma non riuscii a trovarlo. Mi bruciavano gli occhi: avrei voluto picchiare il mio ormai non più amico. Feci un altro giro, anche tra i tavoli, ma niente: era sparito. Mi ricordai poi che al piano superiore c’erano i privè; di sicuro stava là.
Andai a salutare gli amici di Matt ed uscii per andarmene a casa senza neanche salutare quel deficiente: mi aveva rovinato la serata. Digrignai i denti nervosissima.
Uscendo, scorsi Benedict a fumare con un’altra persona; cercai di capire chi fosse ma non lo avevo mai visto prima. Passandogli davanti lo salutai con un timido sorriso ed un gesto della mano, ma mi ignorò e tornò a parlare col suo amico. Mi sentii morire: peggio di così non poteva andare!
Allungai il passo sentendomi gli occhi pieni di lacrime.
“Quanto corri!” Mi voltai e lo vidi al mio fianco. “Dove te ne vai tutta sola?”
“A casa.” Non riuscii a dire nient’altro.
Si mise le mani nelle tasche dei pantaloni e sospirò.
“Non fa proprio per te!” Fece un mezzo sorriso.
“Tu invece sei abituato…”
Feci sì con la testa senza aggiungere altro.
Più che altro continuava a camminarmi accanto; voleva accompagni fino a casa?
“Dove diavolo hai parcheggiato?” Chiese seccato.
“A parte che non ti ho chiesto io di seguirmi, quindi non alterarti, e poi sto andando a prendere un autobus!”
“Sei venuta con i mezzi?” Chiese sorpreso.
“Sì, ma per il ritorno contavo sul mio amico.”
“Hai fatto affidamento sulla persona sbagliata.”
Gli rivolsi il mio sguardo, ma lui fissava davanti a sé. Aveva un portamento davvero elegante; mi faceva impazzire.
“È la prima volta che esco con lui e i suoi amici. Mi ero fatta un’idea completamente sbagliata di lui.” Sbuffai.
“È un errore giudicare qualcuno senza prima conoscerlo, Miss Bennet.”
Mi guardò e mi sentii arrossire. Distolsi subito lo sguardo.
“Q-quella è la mia fermata.” La indicai.
“Sicura di voler prendere un notturno?” Feci spallucce.
“L’alternativa è tornare con quel cogl- cretino.” Mi corressi e ridacchiò.
“Dove abiti?”
“Nella zona di Queensway. Ci vogliono 20 minuti scarsi da qui.” Gli sorrisi.
“Con la mia macchina ce ne mettiamo la metà.” Continuava a far vagare gli occhi sulla strada.
Avevo il cuore in gola.
“Ma no, figurati! Non voglio recarti tanto disturbo.” Iniziai a gesticolare imbarazzata.
Si grattò la nuca e sorrise tra sé e sé.
“Perdonami, non volevo metterti in difficoltà.”
Mi fermai davanti la fermata. C’erano un paio di ragazze che iniziarono a fissarlo. Mi sentivo a disagio. Mi avvicinai per potergli parlare senza esser sentita da quelle due.
“Meglio che torni al locale, non voglio che si rovini anche la tua di serata.”
Con un cenno del capo mi fece capire che voleva che tornassi indietro con lui.
Mi incamminai verso il locale senza proferire parola: ero completamente nel pallone!
Mi guidò verso la sua auto; mi aprì lo sportello e mi fece accomodare: era davvero un gentiluomo!
Arrivammo pochi minuti dopo. Si parcheggiò quasi davanti il palazzo in cui abitavo, poi si slacciò la cintura e si voltò verso di me.
“Buona notte.” Affermò serio.
Una vocina nella mia testa mi urlava di chiedergli di salire a bere qualcosa, ma le mie labbra non ne volevano sapere di muoversi.
“Anche a te.” Dissi con un nodo alla gola. “Grazie del passaggio.” Sorrisi appena e scesi dalla macchina.
Mentre chiudevo lo sportello già mi maledicevo mentalmente per non aver avuto il coraggio di provare ad invitarlo. Non potevo continuare a sperare nella buona sorte: dovevo decidermi ad agire in modo concreto. Bussai al finestrino e lo aprì.
“Se passi in caffetteria ti offro un tea per sdebitarmi.” Gli sorrisi incerta.
“Vedremo.” Non si degnò neanche di sorridere come gesto di cortesia. Mi ero demoralizzata.
Mi salutò con un gesto della mano e ripartì lasciandomi sola nel bel mezzo della strada a fissare il vuoto, con in testa mille pensieri.
Mi buttai a peso morto sul letto ed iniziai ad immaginare cosa sarebbe potuto succedere se davvero fosse venuto per quel tea.
Almeno la fantasia nessuno poteva togliermela!




N.d.a.
Salve a tutti!! Spero vi sia piaciuto :3 Voi avreste invitato Ben a salire? E' una tentazione a cui non si può rinunciare, eh?! ;)
Alla prossima!!
   
 
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