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Autore: Imaginary82    01/07/2014    6 recensioni
Quando sollevo lo sguardo è come ricevere un pugno nello stomaco.
Quegli occhi...due occhi color cioccolato mi fissano curiosi. Sono grandi, limpidi, luminosi. Nel momento in cui riesco a mettere a fuoco tutto il resto, vorrei che qualcuno mi desse uno scossone per ridestarmi dal sogno.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Quindicesimo Capitolo

Salve a tutti! Sì, lo so, in mostruoooooso ritardo. Ma non hanno ancora inventato l’applicazione che scrive automaticamente su Word ciò che io scrivo sul mio squadernino. E questo passaggio è quello che mi annoia di più, che mi fa rimuginare sulle scempiaggini che ho scritto e che, soprattutto, non ho il tempo di fare.

Ma bando alle ciance. Non amo particolarmente leggere lo stesso capitolo anche se da due punti di vista diversi, ma stavolta ho fatto un’eccezione perché lo ritenevo necessario. Quindi, la parola passa al nostro amato EJ, che in questo capitolo mi ha fatto tanta, ma tanta tenerezza.

Grazie mille a tutti coloro che continuano a leggere, recensire, aggiungere la storia e scrivermi in privato preoccupati per le sorti di Bella ed EJ. Ve l’ho detto, lento pede ma arriveremo ad una fine.

Buona lettura.

 

 

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QUINDICESIMO CAPITOLO

 

Never Alone.

 

Se il buongiorno si vede dal mattino, ho la netta sensazione che questa sarà una giornata di merda!
Ieri sera devo essermi addormentato con il telefono vicino all’orecchio e quando poco fa è suonata la sveglia sono letteralmente saltato per aria!

C’ho messo dieci minuti a calmarmi.

‘Fanculo, proprio oggi che devo cercare di rimanere calmo. Il pensiero di non poter rivedere Bella fino a stasera poi mi dà il colpo di grazia.
Inoltre devo chiamare Esme, e non perché me lo ha chiesto Emmett, ma perché voglio farlo, voglio raccontarle di Bella, voglio dirle di stasera, anche se sono sicuro che suo figlio le abbia già spifferato tutto.
Quando sento l’avviso di un messaggio in arrivo, raccolgo il telefono dal pavimento – sì, è caduto prima, quando è suonata la sveglia… Ok, l’ho lanciato io fuori dal letto, ma il commesso del negozio mi ha detto che la cover è a prova di urti, cadute, bombardamenti e bla bla bla – e lo leggo.

È Bella. Sorrido.

 

Buongiorno. Oggi sarà una lunga giornata L Non vedo l’ora che arrivi stasera.

 

Non sarà lunga questa giornata… sarà eterna!

 

Buongiorno pulce. Hai dormito bene?

 

Sì. È stato bello ieri sera, grazie <3

 

Grazie di cosa?

 

Le rispondo incuriosito dalle sue parole, mentre sorseggio un caffè nero e amaro nella speranza che mi svegli.

 

Di avermi fatto compagnia. Mi è piaciuto chiacchierare a letto con te ^__^

 

Mh… ringrazia che eravamo al telefono, Swan, perché, se fossi stato lì, chiacchierare e letto non sarebbero mai rientrati nella stessa frase.

 

Grazie a te, piccola Swan.

 

Mi piace quando mi chiami piccola Swan *___*

 

Ed io adoro farlo, penso, leggendo le sue parole, che arrivano qualche secondo dopo.

Continuo a fissare lo schermo, cercando di capire che diavolo vogliano dire quei simboli. Giro il telefono da una parte, poi dall’altra, ma nulla…

 

Hai un gatto?

 

Io? No, perché?

 

Ti sei seduta sul telefono?

 

Ma insomma, EJ! Che vuoi dire?

 

Pensavo che un gatto avesse calpestato la tastiera del tuo telefono o che ti ci fossi seduta sopra!

 

AGGIORNATI, MASEN! Sono faccine -___-“ (<- per la cronaca, questa vuol dire “meglio che non mi esprimo”).

 

È che ho lasciato il nido da un bel po’ e non capisco il linguaggio dei mocciosi.

 

Non posso trattenere un ghigno soddisfatto. Che darei per vedere la sua espressione adesso… Che darei per vederla tutta, adesso.

 

Mi hai appena dato della mocciosa?!  >.<

 

Scommetto che quella è la faccina contrariata… ti somiglia!

 

Sorrido mentre apro l’acqua della doccia, aspettando che si scaldi.

 

Fai poco lo spiritoso, Masen. Ringrazia di non essere qui.

 

No Swan… Tu ringrazia che io non sia lì.

 

Mi stai minacciando, pulce? E, sentiamo, che mi faresti?

 

Una fitta pungente mi colpisce al basso ventre solo al pensiero. Mi libero della biancheria con una mano, mentre con l’altra reggo il telefono, aspettando che Bella mi risponda. Ho appena sfilato la maglietta quando sento l’avviso del messaggio.

 

Ti bacerei. Ma solo per farti stare zitto U.U

 

Gli angoli della bocca si sollevano in un sorriso quando leggo la risposta.

E non è l’unica cosa che si solleva.

 

Lo terrò presente, Swan. Fammi scappare adesso, sono in ritardo ed è tutta colpa tua!

 

Chi lo avrebbe mai detto: Edward Masen che si ritrova a messaggiare come un idiota e ad eccitarsi come un pivello.

In un attimo ripenso a quella che è stata la mia vita fino a poco tempo fa: limousine, locali alla moda, lussuose camere d’albergo, champagne e donne. Tante donne. Spesso bellissime, in abiti costosi e biancheria sofisticata, con i loro intossicanti profumi ed i capelli perfettamente acconciati, pronti per essere scarmigliati dalle mie mani.

Mi piacevano, mi eccitavano… Mi soddisfacevano, il più delle volte.

Erano un modo per vivere la pagina strappata dal libro. Un modo per sentire qualcosa.

Se ci ripenso adesso, non mi fanno alcun effetto. Non sento niente. Non è quello che voglio. Non più.

È Bella che voglio. Voglio il libro, non la pagina. Possibilmente con un fottutissimo lieto fine.

Pensare ai baci che ci siamo scambiati, immaginare quelli che ancora non ci siamo dati, pensare a quando potrò stringerla, nuda, tra le braccia, mi eccita come nessuna è stata in grado di fare. Con la sua semplicità e innocenza, sprigiona una sensualità inconsapevole che mi toglie il fiato.

 

Ipocrita! Come se non ti piacerebbe vederla in reggicalze e autoreggenti.

 

Cazzo sì! Certo che mi piacerebbe. Mi sento mancare solo al pensiero. Per non parlare dell’ennesima erezione della giornata che mi costringerà ad entrare nella doccia di spalle perché non c’è spazio per me e per lui.

Ed è ancora mattina…

Faccio scorrere il vetro del box e mi lascio avvolgere dal calore umido che mi procura un brivido intenso. Giro completamente il miscelatore verso destra e mi faccio investire dal getto di acqua fredda, sperando che lavi via l’eccitazione e l’agitazione.

 

Per la prima ci vorrà una mano… in tutti i sensi.

 

* *** * *** *

 

Per strada combatto la voglia di deviare e passare dal Twilight. Un bacio di Bella è la cosa che vorrei di più in questo momento, ma so che non mi basterebbe e farei tardi e non posso. Maledizione!

Sento il telefono vibrare nella tasca dei jeans e sorrido. Ormai è una reazione automatica. Mi basta vedere la notifica sul display per regredire di almeno quindici anni.

Magari mi ha scritto di passare da lei. E chi sono io per deludere la mia ragazza?

 

Se non porti qui il tuo culo secco entro dieci minuti, giuro che non potrai più sedertici per i prossimi dieci anni!

 

‘Fanculo Emmett e addio deviazione.

Accelero il passo, da una parte frustrato ma dall’altra sicuramente impaziente di arrivare al Grear. Anche perché ci tengo al mio sedere!

Emmett è un tale cazzo di perfezionista. Comincia all’alba i preparativi per l’apertura serale. Sembra una casalinga ossessionata e isterica: dovrebbe vivere a Wisteria Lane.

Ma è anche per questo che il suo locale è uno dei più rinomati di Boston.

Quando arrivo, la porta sul retro è aperta. Quattro ragazzi stanno tirando a lucido la cucina. Tra loro riconosco Bree, che, quando mi vede, mi sorride e fa un cenno verso la sala.

- Come stai? – le chiedo passandole accanto.

- Bene, adesso. – mi risponde calma ma con gli occhi lucidi.

- Emmett ti fa avvicinare ai fornelli? – Bree sorride ed io sono contento di essere riuscito a scacciare quell’ombra.

- Mi fa preparare le insalate – risponde con una smorfia. E adesso sono io che rido, alzando gli occhi al cielo. Le poso una mano sulla spalla, stringendo affettuosamente, e mi volto per lasciare la cucina.

- Edward?

- Sì?

- Ti aspettano. Non hanno mai smesso di farlo.

- Lo so – dico senza voltarmi. – Sono tornato.

- Bene.

Bree era una randagia, come me. Cercava conforto nei luoghi sbagliati, nelle persone sbagliate. Era poco più che una ragazzina quando Carlisle ed Esme l’hanno accolta.

Ma lei non è stata una delusione, come me. Non è stata un’ingrata.

Penso ad Esme e mi si stringe il cuore.

Ripenso alla sua ultima chiamata e avverto un groppo in gola impossibile da mandare giù.

 

- Mh… e così questo è il nido d’amore dei coniugi Leech, eh? Impressionante.

- Non sei divertente, Edward. Togliti quei cazzo di vestiti… Non abbiamo molto tempo.

Non so se essere più eccitato dal pensiero di scopare con Tanya o dal fatto di farlo sotto il naso del marito, il facoltoso Arold Leech Volturi. Nel suo letto.

Mi guardo intorno e cerco di immaginare quale coglione possa anche solo pensare di intrappolare una come Tanya in una gabbia dorata.

Mi sfilo la giacca, mentre passo in rassegna le foto sul comò, racchiuse in elaborate cornici dorate.

- Edward…

Marito e moglie a decine di eventi mondani, con sorrisi fasi come i soldi del Monopoli.

Allento la cravatta e mi volto verso la padrona di casa, che mi attende, già nuda, sul letto.

Comincio a spogliarmi, lentamente, lo sguardo fisso sul suo seno perfetto, che si alza e si abbassa rapidamente.

Quando sfilo la camicia e sbottono i pantaloni, la sua mano scompare in mezzo alle gambe.

Scuoto impercettibilmente la testa senza riuscire a trattenere un ghigno divertito: sta facendo praticamente da sola ciò per cui ha pagato me. Profumatamente.

Ma il sorriso mi muore in faccia quando sento il telefono vibrare nella tasca. Cazzo! È la terza volta oggi.

Un brivido freddo mi percorre la schiena quando guardo il display: tre chiamate perse. Esme.

Cristo! Quella donna non mi dà un attimo di tregua! Ce l’ho ancora in mano quando riprende a vibrare. Continuo a guardare il nome lampeggiare come se da un momento all’altro al suo posto possa comparire qualcosa che mi dica cosa fare, che mi smuova dallo stato catatonico in cui sono piombato.

E ci pensa Tanya. I suoi gemiti, forti, esagerati, mi riportano alla realtà.

Blocco la chiamata e getto il telefono sulla poltrona, assieme al resto dei miei vestiti.

- Finalmente – sussurra mentre la raggiungo sul letto, sostituendo le mie dita alle sue.

- Quanto tempo abbiamo?

- U… Dio, Edward! Un’ora… siiiì… un’ora… al massimo…

- Più che sufficiente per farti urlare un paio di volte!

 

Quella è stata l’ultima volta che Esme mi ha cercato. Mesi fa. E so che Emmett vorrebbe prendermi a pugni per questo. Come dargli torto…

- Guarda chi si è degnato…

A proposito…

- Ciao Emm.

- Sei in ritardo.

- Anche io sono felice di rivederti e non sapevo di dover timbrare un cartellino.

- Fai poco lo spiritoso, rosso. Il tuo culo secco non è ancora al sicuro – mi minaccia con lo sguardo torvo, mentre si allontana. Ma è Emmett, insomma, un sentimentalone in centodieci chili di muscoli. Chi lo conosce sa benissimo che non farebbe male ad una mosca. A meno che non vada a ronzare attorno a Rose.

- Vuoi muovere il culo?

- Non sapevo fossi così ossessionato dal mio culo, Emm. Rosalie lo sa? Fossi in lei, comincerei a preoccuparmi.

Vorrei continuare a stuzzicarlo, ma mi blocco quando, una volta arrivati sul palco, lo vedo e allora i rimproveri di Emmett diventano solo un brusio lontano.

Mi avvicino quasi timoroso, sfiorando la superficie con la mano, come se solo toccandolo possa avere la conferma che è davvero qui, davanti a me. O che io sia davvero qui, davanti a lui.

Al rumore di una sedia trascinata sul pavimento, mi volto e lo vedo sedersi incrociando le grosse braccia al petto.

- Avanti, Mozart! Vediamo un po’ che sai fare. È sabato, e sto rischiando grosso a darti di nuovo fiducia.

- Con tutto il rispetto, non credo tu sia sufficientemente… qualificato, per dare un giudizio. Considerati i tuoi gusti musicali – gli dico sollevando un sopracciglio.

- Vedila da quest’altro punto di vista – risponde con aria di sfida. – Dovrai impressionarmi davvero tanto per convincermi di non aver fatto una grande cazzata… considerando i miei gusti musicali!

Uno a zero per Emmett!

Alzo gli occhi al cielo ma confesso di sentire una lieve agitazione. Mi siedo, sfioro i tasti bianchi, sentendoli scorrere sotto le dita, morbidi. Suono qualche nota, poi qualche accordo, compiacendomi della perfetta accordatura. Mi sistemo meglio sullo sgabello e, immaginando Bella davanti a me, comincio a suonare.

Avverto immediatamente la differenza, il calore delle note, l’intensità della vibrazione, l’acustica perfetta della sala. Suonare questo pianoforte è un’esperienza ultraterrena. La musica scivola via dalle mie mani, si amplifica nella sala e torna dritta al cuore. Con gli occhi chiusi, rivivo tutte le emozioni che ho provato in queste ultime settimane: la gioia di ritrovare Bella, l’ansia di perderla, la paura di farle del male, l’affetto infantile che si trasforma in ammirazione, attrazione… amore. Tutte le parole che ci siamo scambiati, tutti i gesti che abbiamo compiuto sono racchiusi in questa canzone.

Dopo l’ultima nota rimango qualche secondo con gli occhi chiusi, aspettando che si dissolva la musica.

Questo è il mio modo per dirti che ti amo.

Un battito fragoroso di mani mi fa sussultare.

- Cazzo! Edward… È… com’è che si dice in quel vostro cazzo di ambiente musicale?

Emmett è in piedi, ha gli occhi lucidi e non smette di imprecare e farneticare. Una cosa è certa, la canzone gli è piaciuta.

- C’è da sistemare qualcosa nell’amplificazione – gli dico, sperando che si dia un contegno.

- Sì certo. Tutto quello che vuoi. Per te e per quelle fottutissime mani. Fate tutto quello che vi chiede – ordina ai tecnici con il tono autoritario da padrone. Poi mi dà le spalle e si dirige verso la cucina. – Jeanpieeeerre, tira fuori tutto il cioccolato che abbiamo! Prevedo un enorme richiesta di soufflé stasera!

 

* *** * *** *

 

Lavoro assieme ai tecnici del suono per un paio d’ore e, di tanto in tanto, rispondo a Bella che mi chiede qualche indizio per l’appuntamento di stasera. Che io, ovviamente, non le do. Mi dice che non sa come vestirsi, come se questo fosse un problema. Sarebbe bellissima, elegante e deliziosa anche in pigiama. Cerca di estorcermi informazioni con la terribile ipotesi che potrebbe seguire i consigli di Jessica e, in effetti, rabbrividisco al solo pensiero. Ma non mi incanta. La conosco troppo bene e non adotterebbe mai il Jessica-mettifuorilamercanzia-style.

Se ti conosco bene, come credo, Swan, avrai tirato fuori dall’armadio un pantalone elegante, magari nero, e, non potendo mettere le tue sneakers preferite, opterai per un paio di ballerine. Sarai meravigliosa, come sempre, ma per tutta la serata penserò a quanto quei vestiti starebbero meglio sul pavimento. Soprattutto dopo l’assaggio che ho avuto ieri mattina.

Non riesco a levarmi dalla mente l’immagine delle sue gambe nude, e sento ancora sotto le dita la morbidezza della pelle dei suoi fianchi, così liscia, setosa.

- Mozart? Hai finito? La band deve cominciare a provare, se sua grandiosità lo permette.

Alzo gli occhi al cielo per l’ennesima volta e maledico mentalmente Emmett per il suo proverbiale tempismo. Do un ultimo sguardo al pianoforte e mi allontano dal palco.

A stasera…

Un brivido, di eccitazione, di paura…

- Allora? Chi è?

- Chi è chi?

- Ma come chi? Lei, la ragazza della canzone…

Sarà anche un buzzurro, ma Emmett è una delle persone più sensibili che io conosca. Non gli si può nascondere nulla. O quasi.

- Lei è… un’amica d’infanzia.

- Mh. Un’amica d’infanzia, eh? – Non tenta nemmeno di celare lo scetticismo.

- Beh, una cara amica d’infanzia.

- Una cara amica d’infanzia – ripete, enfatizzando quel “cara”. – Mh mh… E vuoi che me la beva?! Con quella faccia?

- Cosa? Ma quale faccia?

Quella da coglione che hai da settimane!

- Benvenuto!

Guardo Emmett con sguardo interrogativo, cercando di capire cosa abbia sniffato o cosa si sia fumato.

- Nel club degli innamorati – aggiunge come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Da quando ha incontrato Rosalie, Emmett vede il mondo attraverso spesse lenti rosa e sembra camminare costantemente ad un metro da terra. L’ho sempre preso per il culo per questo, ma adesso…

Adesso sei un coglione come lui!

‘Fanculo! Se essere innamorato vuol dire essere coglione, allora eccomi qua, Edward Masen Cullen, il coglione più grande del mondo!

- Emmett?

- Dimmi, Casanova.

- Sai che ho un nome?

- Sai che mamma ha un telefono?

Due a zero per lui!

- Quando hai conosciuto Rosalie… Beh, ecco, come hai capito che era lei? Sì, insomma, che era quella giusta.

- Oh oh… Ma allora fai sul serio, eh?! – La sua gomitata mi coglie così alla sprovvista che quasi cado per terra. Mi passo le dita tra i capelli, esasperato, pentendomi di aver chiesto consiglio alla persona più infantile del mondo.

- Lascia perdere – gli dico allontanandomi.

- Edward? – Mi ha chiamato per nome, il suo tono è serio. – So che può sembrare sdolcinato, soprattutto per uno come te.

- Uno come me, come?

- Uno allergico all’intera gamma delle emozioni umane.

- Emm…

- Fammi finire. Non c’è modo di sapere se lei è quella giusta. L’amore è un acquisto a scatola chiusa, un investimento. Non  puoi avere la certezza prima di impegnare il tuo cuore. Ogni storia ha i suoi rischi, ma sta a noi impegnarci perché funzioni.

- Sembra facile.

- No, non lo è, affatto. E non c’è altro che io possa dirti per tranquillizzarti. Ma questo te lo posso dire: se lei è il tuo primo pensiero al mattino, se per qualsiasi cosa che ti capita non vedi l’ora di raccontarglielo, se il suono della sua voce ti sembra la melodia più bella del mondo, se rabbrividisci al solo pensiero di toccarla, se parlare con lei è stimolante, ma allo stesso tempo stare in silenzio è piacevole e rilassante…

 

Bella non è il mio primo pensiero, è l’unico. Qualsiasi cosa io faccia, lei è sempre lì. E sì, qualsiasi cosa mi accada, non vedo l’ora di raccontarla a lei, anche se ci siamo salutati solo qualche minuto prima. La sua voce non sembra la più bella melodia del mondo, la sua voce semplicemente è la più bella melodia del mondo. E quando ride… il mondo intero dovrebbe smettere di girare per ascoltare la sua risata. Tutti dovrebbero vedere come dalle labbra arriva agli occhi e la luce che sprigiona il suo viso.

Il solo pensiero di toccarla, di accarezzarla, di stringerla tra le braccia, mi fa scoppiare il cuore nel petto. Non so cosa succederà quando arriverà il momento.

E parlare con lei è fantastico. Ha un’opinione su tutto e la esprime sempre in modo appassionato e coinvolgente.

Ma sono gli attimi di silenzio i momenti più preziosi. Quel senso di familiarità così rilassante e rassicurante.

 

- Hey, rosso!

Talmente immerso nei miei pensieri, non ho fatto più caso a ciò che stava dicendo Emmett.

- Sì, dimmi… ti ascolto.

- Se tutto questo non fosse sufficiente, pensa a ciò che hai fatto prima.

- Cosa?

- La canzone. Se non è amore quello, allora non so proprio cosa possa esserlo.

Amore…

Sorrido ripensando alla mia musica, alla musica che ho composto per Bella. Emmett ha ragione: è amore. Prima che possa anche solo pensare a ciò che sto facendo, lo circondo con le braccia.

- Grazie.

Dopo un’iniziale esitazione, lui ricambia la stretta. Mi stacco dopo qualche secondo, leggermente imbarazzato.

- Wow – esclama, sfregandosi la testa con la mano.

- Beh, allora io vado. Ricordati il tavolo…

- Sì, sì certo. A stasera, Mozart.

- A stasera.

- Edward?

- Dimmi.

- Non deluderci.

Queste due parole mi scuotono violentemente, spegnendo in un attimo tutto l’entusiasmo. Inspiro profondamente, cercando di ricacciare giù l’ansia e con convinzione gli rispondo: - Non lo farò.

 

* *** * *** *

 

Esco dal Grear e mi dirigo verso casa. Questa giornata si sta dimostrando più intensa del previsto. Ma accanto alla paura e all’ansia c’è anche una sensazione di completezza, di appagamento, come se finalmente non mi sentissi più fuoriposto.

Accelero il passo, sovrappensiero, inizialmente imboccando strade a caso, ma subito dopo perfettamente consapevole della destinazione del mio girovagare. Mi ritrovo quasi a correre, fino ad arrivare di fronte alla vetrina del negozio, col fiato corto e il cuore che martella nel petto. E non per lo sforzo.

 

Ogni volta che entro, sento pizzicare le narici per l’odore di legno e vernice. Mi sfrego il naso col dorso della mano, mentre cammino lentamente con lo sguardo fisso per terra.

Vedo scorrere la moquette rosso scuro dell’area esposizione. Mi fermo per un attimo, prima di oltrepassare il limite con il parquet lucido dell’area vendita. L’odore si fa sempre più intenso, ma mi piace. Oltrepasso la cassa e, quando mi affaccio dalla porta, la vedo di spalle, inginocchiata vicino ad una strana poltrona, mentre passa la mano sul legno tarlato.

Ogni volta vorrei correre ad abbracciarla e dirle grazie, ma ogni volta me ne sto lì aspettando che si accorga di me.

- Edward, caro, finalmente.

- Buongiorno signora Cullen.

- Esme. Quante volte devo dirti di chiamarmi Esme?

- Ok… Esme.

- Meglio. Su su, andiamo. È arrivato un nuovo pianoforte, un pezzo unico, e non vedo l’ora di sentirti suonare.

 

Spingo la porta e non so se il suono del campanello sia reale o se sia frutto della mia immaginazione influenzata dai ricordi. Mi sento pizzicare le narici, mi sfrego il naso e mi incammino verso il retro.

Esme dà le spalle alla porta ed è dentro ad un armadio, letteralmente. Carlisle la rimprovera sempre, le chiede di prestare maggior attenzione a chi entra in negozio, ma lei puntualmente si fa cogliere alla sprovvista. Grazie a Dio non è mai successo nulla.

- Ehm… - mi schiarisco la voce e quasi mi tremano le mani per l’agitazione ed il senso di colpa.

Quando si volta e mi vede, posso distinguere chiaramente il guizzo di gioia che le attraversa il viso.

- Edward!

- Buongiorno signora Cullen – le dico sorridendo.

- Edward… - sussurra più piano, la voce rotta da un singhiozzo.

Sono io a fare il primo passo, ma in un attimo le sue braccia mi avvolgono e mi stringono. Nonostante sia più bassa di me e di corporatura minuta, mi sento protetto e ritorno piccolo come quando ero bambino.

Inspiro il suo odore. Profuma di rosa e di vernice… profuma di mamma.

- Oh Edward, sono stata così in pena per te.

- Mi dispiace Esme, io…

- Non importa. Sei qui adesso – mi dice prendendomi il viso tra le mani e baciandomi le guance. – Vieni, beviamo un caffè. Voglio sapere tutto di questa ragazza.

Emmett, sei un fottuto pettegolo!

- Ricordami di ringraziare tuo figlio.

- Andiamo, non fare così. Era solo contento di…

- Esme… - la interrompo afferrando la tazza che mi porge e guardandola scettico.

- Hai ragione – sospira – non stava più nella pelle, mi ha telefonato non appena sei uscito dal locale – conclude ridacchiando.

Scuoto la testa rassegnato. Non che sia arrabbiato, anzi, vedere questa luce negli occhi di Esme mi rallegra e mi tranquillizza. Bevo un sorso di caffè caldo, che sa di casa, di famiglia, di colazioni insieme, di risate e felicità.

- Allora? – mi incalza.

E lo faccio. Le racconto della famiglia Swan, di Renée e di suo marito Charlie. E poi comincio a parlarle di Bella, di come fosse da bambina, di come negli anni mi sia capitato di ripensare spesso a lei, di come l’abbia incontrata quel pomeriggio al Twilight. Esme segue il mio racconto con interesse, non perdendosi nemmeno una parola, annuendo di tanto in tanto e sorseggiando il suo caffè.

Le racconto del pianoforte di mia madre, della ritrovata voglia di suonare, dell’ispirazione per comporre.

- Emmett mi ha detto che la canzone è molto bella, Edward. – Mi guarda con un’espressione dolcissima e riesco solo a pensare a quanto sia importante questa donna per me, a quanto mi sia mancata.

- Verresti? – le chiedo sporgendomi sul tavolo verso di lei. – Stasera, a sentirmi. – Esme allunga la mano ed io gliela stringo senza pensarci due volte.

- Non me lo perderei per nulla al mondo. Mi è dispiaciuto così tanto non sentirti più suonare. Sai che Emmett non ha fatto avvicinare nessuno al pianoforte? Diceva che ti saresti incazzato – aggiunge titubante, alzando gli occhi al cielo per aver detto una brutta parola. E io sorrido immaginandola riprendere suo figlio, intimandogli di moderare il linguaggio. - Sapeva che saresti tornato prima o poi – aggiunge – io invece cominciavo a non sperarci più.

- Mi dispiace. Credimi, non mi sono reso conto del male che ti ho fatto. Del dispiacere che vi ho causato.

- Non dispiacerti, tesoro. Hai fatto del male solo a te stesso ed è questa la cosa che mi faceva più soffrire.

Lo sguardo di Esme è cambiato improvvisamente. È addolorato e la tristezza nei suoi occhi è come uno schiaffo in pieno volto. Non so perché ma ho una strana sensazione e comincio a sentirmi a disagio.

- Io… Non è stato un bel periodo. – Riesco a malapena a parlare. Allargo il collo del maglione per cercare di alleviare questo senso di soffocamento che provo. – Era… tutto buio. Mi sentivo… mi sentivo in trappola, senza via d’uscita. – La sua mano stringe la mia, forte. – Non volevo allontanarmi. Perdonami, Esme. – Sollevo il viso, guardandola negli occhi. Non so nemmeno quando le lacrime hanno cominciato a rigarmi le guance. – Io non volevo… - singhiozzo. – Non volevo che vedevi chi fossi…

- Sssh… sssh, Edward. – Le sue braccia mi stringono da dietro e la sua fronte si posa sulla mia spalla. Sentirla così vicina, sentire il suo calore, il suo profumo ha il potere di calmarmi da una parte, ma di farmi rendere conto delle bestialità che ho fatto dall’altra.

- Lo so… - mi sussurra improvvisamente all’orecchio ed io mi blocco all’istante, incapace anche di respirare.

Cosa sa? No, non può essere…

- Tu… come… - balbetto, pietrificato dalla paura, dalla vergogna. Vorrei alzarmi e correre via, ma le gambe sono pesanti come macigni ed il corpo di Esme mi pesa addosso rendendomi impossibile ogni movimento. Il cuore mi martella nelle orecchie e vorrei prendermi a pugni per essere stato un così tale illuso…

Un così tale idiota!

Non so che dire, non so che fare. Improvvisamente Esme scioglie l’abbraccio e si siede affianco a me. Rimango col capo chino, incapace di alzare lo sguardo e scontrarmi con il disgusto nei suoi occhi.

- Non te l’ho mai detto, Edward, e forse avrei dovuto farlo. Sin dalla prima volta in cui ti ho visto, smarrito, ferito, abbandonato, avrei voluto abbracciarti e tenerti con me. Avrei voluto proteggerti allo stesso modo in cui ho voluto proteggere i miei figli la prima volta che li ho stretti tra le braccia. Averti qui, sentirti suonare, insegnarti, mi rendeva così felice.

Sento la sua mano avvolgermi la guancia e mi abbandono a quel contatto. Dovrei ripugnarla e invece mi accarezza come una madre fa col proprio figlio.

- Tesoro – mi dice per la seconda volta. Ed io sussulto per la seconda volta. – Nessuno dovrebbe vivere quello che hai vissuto tu. Oh Edward, non riesco nemmeno ad immaginare quanta sofferenza tu debba aver provato.

- Ma questo non giustifica ciò che ho fatto.

- Giustifica la tua fragilità. Guardami, - sollevo lo sguardo e mi volto – non posso dirti di essere fiera di ciò che hai fatto. Ogni giorno di silenzio da parte tua, ogni volta che non rispondevi al telefono era come una pugnalata. Ma ora sei qui, sei con me, sei tornato.

- Sono tornato.

- E non ti lascerò più andare via. Non ti permetterò di allontanarti da me.

Mi butto tra le sue braccia e lei mi stringe baciandomi la testa. Le sue lacrime tra i miei capelli, le mie a bagnare la sua felpa.

- È finita. – dico tra i singhiozzi. Lo butto fuori liberandomi di un peso soffocante.

- Sì… sì… - mi rassicura massaggiandomi la schiena – è tutto finito e non permetterò che ti accada nulla di male. Te lo prometto.

Ce ne stiamo così per non so quanto tempo. Quando Esme si accorge che mi sono calmato, si allontana lentamente e mi prepara un altro caffè dopo essersi accertata che  il mio, nel frattempo, è diventato freddo.

- Non la conosco ancora ma sento di volerle già bene.

- Di chi parli?

- Di Bella. Ho l’impressione che c’entri lei in tutto questo.

La mia piccola, dolce Swan…

- Sì, è merito suo. È solo merito suo – dico sorridendo.

Vorrei rimanere qui, continuare a parlare con lei, ma si sta facendo tardi e non voglio far aspettare Bella.

Tu non vuoi più aspettare per vederla.

Sì, assolutamente! Sono io. E allora? Sono quasi ventiquattr’ore che non la vedo e non la sento. E sì, posso quasi vedere il mio subconscio che alza gli occhi al cielo. Ma per me può anche tapparsi la bocca ed evaporare una buona volta.

- Esme, mi dispiace ma devo andare. È tardi e mi devo preparare… per stasera.

- Ma certo, caro. Va’ pure. Ci vediamo dopo. – Mi stringe velocemente lasciandomi un bacio sulla guancia.

Sto per andare via, ma una domanda mi vortica nella testa anche se non sono sicuro di voler sapere la risposta.

- Come hai fatto a…? Chi te lo ha detto?

- Ho sentito alcuni discorsi al Golf Club, nella sauna. Non ne ero sicura, ho solo unito i pezzi e, prima, tu me ne hai data la conferma.

Mi sento un miserabile per averle causato tanta sofferenza tanta vergogna.

- Chi altro lo sa? – Immagino lo sguardo deluso di Carlisle e mi sento quasi mancare.

- Solo io. E non ho intenzione di dirlo a nessuno.

- Grazie. Grazie Esme.

- Non ringraziarmi, Edward. Voglio solo che tu sia felice. – Non merito tutta questa comprensione, tutta questa dolcezza. In fondo, io non sono nessuno per lei e non ho fatto nulla per meritare la sua stima, il suo affetto. Eppure questa donna tiene a me e me lo ha sempre dimostrato ed io voglio essere degno del suo affetto, voglio che sia fiera di me. Voglio che Bella sia fiera di me.

Ripercorro velocemente la strada fino a casa. Non ho mai camminato tanto in vita mia come nell’ultimo periodo. E mi piace. Da quando ho chiuso i battenti, spendere soldi per taxi e limousine è fuori discussione. Ad eccezione di stasera, ovviamente.

Il mio cuore martella nel petto mentre cerco di fare mente locale.

Ok, calma… Barba e doccia, tanto per cominciare.

Mentre mi tampono i capelli con un asciugamano, sperando che assumano una forma decente, apro l’armadio e ne tiro fuori il mio completo migliore, quello che mi ha regalato Esme per la prima volta che ho suonato al Grear e che non ho mai usato per i miei incontri di lavoro. È perfetto per stasera, insomma. C’è anche la cravatta, ma dopo un paio di prove decido di non metterla.

Prima di procedere, mi concedo un attimo… Cerco il telefono e mando un messaggio a Bella:

 

Mi sei mancata, piccola Swan. Non vedo l’ora di rivederti. A tra poco.

 

 Non aspetto nemmeno una risposta. Come una molla, scatto in piedi e comincio a prepararmi.

 

 

 

 

 

 

Ed eccoci qui. Anche il prossimo capitolo è pronto… su carta! Per cui, se tarderò ad aggiornare sapete già il motivo.

In generale è pronta tutta la storyline e solo a buttarla giù ho pianto… Bah.

Vi auguro la buonanotte.

Miki.

 

 

 

 

 

 

   
 
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