.Falling Rain.
Erano passati dieci giorni dall'inizio
dello scontro.
Dieci giorni da quando aveva messo piede in quell'isola, le cui terre
erano state straziate, corrose e dilaniate senza alcun riguardo. Al
suo posto, ora si poteva scorgere una distesa di ghiaccio, statico e
immobile, affiancata – senza alcun rigore logico –
da ribollente
magma.
Eppure, doveva ammetterlo, sapeva dall'inizio che
sarebbe finita così. Il magma, che avanza in fretta, copre e
distrugge in un battito di ciglia, si era dimostrato ben più
veloce
del suo ghiaccio.
Quando il sole era sorto, il decimo giorno, un sottile
raggio di sole era riuscito ad attraversare la coltre di nubi che
avvolgeva i cieli di Punk Hazard. Per Aokiji, che aveva vissuto gli
ultimi giorni cercando di non soccombere in quel caldo anomalo
– e
soffocante, per uno abituato a un confortante freddo – il
solo
venir illuminato da quel sottile filamento di luce, aveva
dell'incredibile, rasentava il miracolo.
Attingendo a forze che non credeva di possedere, aveva
resistito, colpito e ferito il suo avversario, innalzato imponenti
mura di ghiaccio, ricreato barriere quando ormai credeva fosse tutto
perduto.
Aveva cercato di non prestare attenzione alle suppliche
delle sue membra, stremate dai lunghi sforzi dello scontro e dalle
numerose ustioni, ma il limite in cui il ghiaccio nasceva e le sue
membra finivano, aveva cessato di esistere: era lui stesso una forza
della natura. Una forza della natura che lentamente e lottando fino
all'ultimo, si era placata, lasciando dietro di sé un uomo
sfinito,
un guscio vuoto privo di energia.
Non ricordava esattamente il momento in cui Akainu aveva
distrutto completamente le sue barriere, quando il dolore
insostenibile era andato a sommarsi a quello che martoriava il suo
corpo da giorni, portando con sé la sua gamba sinistra e
trascinandolo nell'oblio.
Ma se sapeva quale sorte lo aspettava ben prima di
iniziare lo scontro, perché non l'aveva evitata?
***
Sengoku il Buddha in persona gli aveva
comunicato le
proprie dimissioni.
«La verità è che
sono vecchio, Kuzan.» gli aveva detto. «Troppo
vecchio per questo
posto. Questa guerra ha scosso il mondo, ha scosso anche questa
istituzione.»
Alzò gli occhi
dai rapporti che teneva tra le mani e lo guardò.
«Ha scosso i miei
ideali, la mia visione del mondo, delle persone e di me stesso.
Capisci?»
Kuzan ricambiò
il suo sguardo, mostrandosi serio e attento ma senza sforzarsi di
annuire o di far capire, in qualsiasi modo, che aveva intuito dove
Sengoku voleva andare a parare. Prendendo il suo silenzio come un
invito a continuare, il Grand'ammiraglio riprese il suo discorso,
tornando a guardare le carte che ingombravano la scrivania.
«Il
mondo sta cambiando, te ne sei accorto anche tu. È finita
un'epoca e
io devo seguire il suo esempio e farmi da parte, perché non
c'è
spazio per un vecchio come me nell'era che sta sorgendo.»
Questa volta fu
Aokiji ad alzare lo sguardo, cercando quello del suo superiore.
«So
cosa stai per dire, e non mi piace per niente.» lo
avvertì,
sollevando una mano per fermarlo.
«Insomma,
Kuzan!» scattò il Buddha, battendo un pugno sul
tavolo e facendo
sobbalzare la capretta che riposava su un divanetto vicino.
«Ragiona:
la Marina non ha più bisogno di me, non sono più
adatto a questo
ruolo. L'unico su cui posso contare, al momento, sei tu. Dimostra un
po' di interesse per una volta, e assumiti le tue
responsabilità.
Sei un Ammiraglio, per la miseria, comportati come tale!»
Per tutta
risposta, Aokiji sbadigliò, grattandosi la nuca e
sistemandosi
meglio sulla poltrona. «Tu vorresti davvero dimetterti e
affidarmi
il comando della Marina?» chiese, giusto per assicurarsi di
aver
capito bene. Sengoku annuì con forza, serio come non mai.
«A questo punto,
trovo molto probabile che ti sia dimenticato con quale Ammiraglio
stai parlando...» borbottò allora il ricciolo. Il
Grand'ammiraglio
non aveva udito con chiarezza le sue parole, e gli stava rivolgendo
un'occhiata interrogativa, ma lui non aveva intenzione di ripetere.
«Quindi... che
ne pensi?» tornò alla carica Sengoku, decidendo di
ignorare
l'ultimo commento dell'amico.
«Penso che
questa discussione non abbia ragione di esistere. Io non voglio
prendere il tuo posto.» asserì deciso Aokiji.
Un lampo di
rabbia attraversò gli occhi del suo superiore, che contrasse
i
muscoli della mascella al sentire le sue parole. «Sei davvero
sicuro
di quello che dici?» chiese, deciso a giocare la sua ultima
carta.
«Io credo che se tu venissi a conoscenza
dell'identità dell'altro
candidato, ti rimangeresti quello che hai detto.»
Un sorriso amaro
increspò le labbra del ricciolo, che ancora una volta
intuiva le
prossime parole che avrebbe pronunciato il collega.
«Sei davvero
pronto a sottostare a Sakazuki?» domandò
finalmente Sengoku.
Kuzan non
rispose, si limitò a fissarlo. Le braccia ricaddero sulle
gambe, i
pugni serrati in una ferrea morsa.
«Io ho proposto
te, come mio successore» continuò il Buddha,
incoraggiato dal suo
silenzio «ma Sakazuki, come potrai immaginare, soprattutto
dopo
quanto successo durante la guerra, continua a riscuotere diversi
consensi.»
«Diversi?»
ripeté Kuzan.
«Sì, e da
persone ben più in alto di me.» sbuffò
irritato. Aokiji si fece
ancora più attento dopo la sua reazione.
«Non starai
parlando dei Cinque Astri di Saggezza, vero?» chiese,
piegandosi in
avanti, poggiando una mano sulla scrivania.
Sengoku esitò un
attimo prima di annuire, abbassando lo sguardo. Kuzan
scoppiò in una
risata fredda e vuota, e tornò ad poggiarsi allo schienale.
«Amico
mio, non ho proprio speranze!» ammise, scuotendo il capo.
«Ehi, guarda che
il mio parere conta ancora qualcosa! Fino a prova contraria, a capo
della Marina ci sono ancora io!» lo ammonì il
Buddha, puntando un
dito verso il suo ampio petto.
«Sì, scusa, hai
ragione.» sorrise, grattandosi la nuca. Sengoku non
poté fare a
meno di notare quanto spesso ripetesse quel gesto. Kuzan era il tipo
di persona che pensava solo ai fatti propri, che si sforzava soltanto
di trovare il modo per dormire tranquillo e rilassarsi. Ma quando
metteva in moto il cervello,quando c'era da ragionare e prendere
decisioni, la mano non mancava di scattare verso il retro del capo.
Quel gesto serviva solo a scaricare il tumulto di emozioni e pensieri
che si agitavano nella sua testa, abituato a nasconderli sotto veli e
muri di indifferenza.
«Sei davvero
pronto a sottostare a Sakazuki?» chiese di nuovo.
Forse Sengoku,
sul momento, non si era reso conto di cosa stesse chiedendo al suo
collega. O forse, gli aveva posto la domanda in quei termini proprio
perché ne era pienamente consapevole.
Perché Aokiji
non sarebbe mai rimasto agli ordini di uno degli uomini che
più
disprezzava al mondo, e di certo si sarebbe opposto con tutte le sue
forze alla promozione. Far diventare Akainu Grand'ammiraglio
significava concedergli ancora più libertà di
agire secondo il
concetto di giustizia che Aokiji ripudiava con tutto se stesso.
E quando il
Buddha incrociò nuovamente lo sguardo dell'amico,
capì di aver
vinto.
***
Fu proprio il dolore a farlo ridestare. Si
svegliò
avvolto dall'oscurità, più terrorizzato di quanto
gli piacesse
ammettere. Gli bastò un istante per accorgersi di star
urlando a
pieni polmoni, le palpebre serrate, il cuore a mille.
La gamba sinistra sembrava avvolta dal magma, e così la
mano destra e la spalla. I polmoni in fiamme, alla ricerca d'aria, lo
costrinsero a riprendere fiato, lasciandolo a gemere mestamente.
Attingendo a chissà quali forze, riuscì a
poggiarsi sui gomiti,
cercando di ignorare lo strazio crescente delle sue membra ferite.
Nell'istante in cui
il suo sguardo si poggiò sulla gamba sinistra – o
meglio, su ciò
che ne restava – cominciò a piovere. Si
lasciò cadere
all'indietro, senza più forze, con il solo desiderio di
morire in
quel preciso istante.
La pioggia lo
avvolse come una cappa, e sentì la bocca riempirsi d'acqua
quando la
aprì per liberare tutto il dolore, la disperazione e
l'angoscia che
scuotevano il suo animo.
Le urla si
acquietarono lentamente, e Kuzan si scoprì incapace di
capire se
quelle che sentiva sul proprio viso erano lacrime, o soltanto la
pioggia.
Aveva perso.
Sakazuki aveva avuto la meglio, alla fine.
Sapevi quale
sorte ti aspettava ben prima di iniziare lo scontro. Lo
sapevi, lo sapevi! Perché non l'hai evitata?
Con la mente
annebbiata dal dolore e dalla stanchezza, ripensò al
colloquio con
Sengoku, quando aveva deciso di assecondare la sua richiesta; e la
voce dell'amico risuonò forte nella sua testa, un concerto
stonato
di frasi, accozzaglie di parole che non riusciva comprendere. Gemendo
nuovamente, si portò la mano sana alla tempia, cercando di
fermare
la tempesta di pensieri che sconvolgeva la sua mente già
annebbiata
dall'opprimente dolore.
Perché? Perché?
Perché non l'hai evitata, Kuzan?!, continuava a
ripetergli una
voce nella testa. Gli tornarono alla mente i giorni prima dello
scontro, quando incrociando lo sguardo dei colleghi, riusciva a
leggervi dentro l'ammirazione per aver accettato di combattere e,
talvolta, il disprezzo per gli ideali che l'avevano fatto arrivare
fin lì.
Ricordò le parole
di Smoker: «Vedi di non addormentarti mentre
combatti!».
Ricordò Garp, la
sua pacca paterna sulla spalla, i suoi occhi che ardevano e desideravano
vedere Sakazuki sconfitto – probabilmente nella vana speranza
di
alleviare così un po' del dolore per la morte di Ace.
Ricordò lo sguardo
di sufficienza che gli rivolse Kizaru quando lo incontrò al
QG.
Kuzan aveva sempre avuto il sospetto che Borsalino considerasse le
divergenze tra i suoi due colleghi delle scaramucce tra bambini
capricciosi. Aveva sempre avuto un'alta opinione di sé, e
probabilmente questo si era convertito nella convinzione che i propri
ideali fossero intoccabili e giusti, gli unici degni di essere
perseguiti.
E
arrivò infine a ricordare perché aveva combattuto
e perché aveva
sfidato il Magu
Magu no Mi
con
il suo ghiaccio.
Per gli abitanti di
Ohara, spazzati via senza possibilità di salvezza senza
alcun valido
motivo. Per le vittime innocenti che Sakazuki continuava a mietere
senza pietà per conseguire i suoi obbiettivi, per seguire la
sua
morbosa e malata Giustizia Assoluta.
Aveva combattuto per
coloro che nessuno aveva difeso, che non sapevano come difendersi ma
potevano solo soccombere sotto il fuoco amico della Marina. Aveva
cercato di fare qualcosa per loro, accettando di prendere le redini
di una organizzazione che aveva punito il male ma anche commesso
ingiustizie e portato sofferenza, sempre in nome di tale compito.
Aveva iniziato
quella battaglia lottando con queste intenzioni e per questi ideali,
sfidando non solo il suo avversario ma anche – e soprattutto
–
ciò in cui Sakazuki credeva.
Ma aveva perso.
Miseramente. E la pioggia che lo avvolgeva, il cielo cupo, la
devastazione che lo circondava e il dolore straziante delle sue
membra glielo ricordavano continuamente e senza pietà.
Le palpebre di Kuzan
stavano diventando sempre più pesanti mentre si arrovellava
il
cervello per trovare la risposta alla domanda che lo tormentava dal
suo risveglio.
Prima di lasciarsi
andare all'oscurità che stava avvolgendo la sua mente, si
rispose
che ne era valsa la pena. Era ridotto a un pezzo di carne
sanguinolenta, incapace di muoversi e sopraffatto dal dolore; non
riusciva a trovare un motivo per andare avanti, e dopo quanto
successo non c'era alcuna possibilità di tornare nella
Marina; aveva
perso la sua casa, il suo lavoro, la sua gamba... Ma ne era valsa la
pena, perché aveva perso tutto, ma lottando per qualcosa in
cui
credeva con tutto il suo essere.
E chiudendo gli
occhi, si disse che così la sconfitta sarebbe stata un po'
più
semplice da accettare.
Angolo dell'autrice.
Non ho molto da
dire, davvero. Per che mi conosce, sa già che amo Kuzan.
È la
seconda volta che scrivo una one-shot incentrata unicamente su di
lui, e come la scorsa volta, ho messo tutta me stessa qui dentro.
Come avrete capito,
è ambientata al risveglio di Kuzan dopo lo scontro con
Akainu a Punk
Hazard, mentre nel flashback (scritto in corsivo) ho voluto ricreare
una parte di ONE PIECE che Oda non ha potuto trattare in modo
così
dettagliato, dato la sua scarsa importanza per il proseguimento del
filone principale dell'opera.
So che Aokiji non è
un personaggio molto apprezzato – sia su EFP che nel fandom
di OP
in generale – ma a mio parere è sottovalutato.
È un uomo che
vuole agire in modo giusto senza ferire chi non ha colpa, e senza
attenersi alle rigide – e spesso sbagliate – leggi
della Marina,
che come abbiamo visto, è composta da individui che
andrebbero
rinchiusi alla pari dei pirati a cui danno la caccia. Per le sue
intenzioni, secondo me, è semplicemente un personaggio da
ammirare,
che è quello che mi attengo a fare.
Come sempre le
recensioni sono graditissime! Fatemi sapere dove ho commesso qualche
errore – è impossibile che riesca a correggere
tutto, anche se
ricontrollo un milione di volte prima di pubblicare.
Alla prossima!
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