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Autore: Robin7    02/07/2014    4 recensioni
Aveva combattuto per coloro che nessuno aveva difeso, che non sapevano come difendersi ma potevano solo soccombere sotto il fuoco amico della Marina. Aveva cercato di fare qualcosa per loro, accettando di prendere le redini di una organizzazione che aveva punito il male ma anche commesso ingiustizie e portato sofferenza.
Aveva iniziato quella battaglia lottando con queste intenzioni e per questi ideali, sfidando non solo il suo avversario ma anche – e soprattutto – ciò in cui Sakazuki credeva.
Ma aveva perso. Miseramente.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aokiji, Sengoku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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.Falling Rain.


Erano passati dieci giorni dall'inizio dello scontro. Dieci giorni da quando aveva messo piede in quell'isola, le cui terre erano state straziate, corrose e dilaniate senza alcun riguardo. Al suo posto, ora si poteva scorgere una distesa di ghiaccio, statico e immobile, affiancata – senza alcun rigore logico – da ribollente magma.
Eppure, doveva ammetterlo, sapeva dall'inizio che sarebbe finita così. Il magma, che avanza in fretta, copre e distrugge in un battito di ciglia, si era dimostrato ben più veloce del suo ghiaccio.
Quando il sole era sorto, il decimo giorno, un sottile raggio di sole era riuscito ad attraversare la coltre di nubi che avvolgeva i cieli di Punk Hazard. Per Aokiji, che aveva vissuto gli ultimi giorni cercando di non soccombere in quel caldo anomalo – e soffocante, per uno abituato a un confortante freddo – il solo venir illuminato da quel sottile filamento di luce, aveva dell'incredibile, rasentava il miracolo.
Attingendo a forze che non credeva di possedere, aveva resistito, colpito e ferito il suo avversario, innalzato imponenti mura di ghiaccio, ricreato barriere quando ormai credeva fosse tutto perduto.
Aveva cercato di non prestare attenzione alle suppliche delle sue membra, stremate dai lunghi sforzi dello scontro e dalle numerose ustioni, ma il limite in cui il ghiaccio nasceva e le sue membra finivano, aveva cessato di esistere: era lui stesso una forza della natura. Una forza della natura che lentamente e lottando fino all'ultimo, si era placata, lasciando dietro di sé un uomo sfinito, un guscio vuoto privo di energia.
Non ricordava esattamente il momento in cui Akainu aveva distrutto completamente le sue barriere, quando il dolore insostenibile era andato a sommarsi a quello che martoriava il suo corpo da giorni, portando con sé la sua gamba sinistra e trascinandolo nell'oblio.
Ma se sapeva quale sorte lo aspettava ben prima di iniziare lo scontro, perché non l'aveva evitata?


***


Sengoku il Buddha in persona gli aveva comunicato le proprie dimissioni.
«La verità è che sono vecchio, Kuzan.» gli aveva detto. «Troppo vecchio per questo posto. Questa guerra ha scosso il mondo, ha scosso anche questa istituzione.»

Alzò gli occhi dai rapporti che teneva tra le mani e lo guardò. «Ha scosso i miei ideali, la mia visione del mondo, delle persone e di me stesso. Capisci?»
Kuzan ricambiò il suo sguardo, mostrandosi serio e attento ma senza sforzarsi di annuire o di far capire, in qualsiasi modo, che aveva intuito dove Sengoku voleva andare a parare. Prendendo il suo silenzio come un invito a continuare, il Grand'ammiraglio riprese il suo discorso, tornando a guardare le carte che ingombravano la scrivania. «Il mondo sta cambiando, te ne sei accorto anche tu. È finita un'epoca e io devo seguire il suo esempio e farmi da parte, perché non c'è spazio per un vecchio come me nell'era che sta sorgendo.»
Questa volta fu Aokiji ad alzare lo sguardo, cercando quello del suo superiore. «So cosa stai per dire, e non mi piace per niente.» lo avvertì, sollevando una mano per fermarlo.
«Insomma, Kuzan!» scattò il Buddha, battendo un pugno sul tavolo e facendo sobbalzare la capretta che riposava su un divanetto vicino. «Ragiona: la Marina non ha più bisogno di me, non sono più adatto a questo ruolo. L'unico su cui posso contare, al momento, sei tu. Dimostra un po' di interesse per una volta, e assumiti le tue responsabilità. Sei un Ammiraglio, per la miseria, comportati come tale!»
Per tutta risposta, Aokiji sbadigliò, grattandosi la nuca e sistemandosi meglio sulla poltrona. «Tu vorresti davvero dimetterti e affidarmi il comando della Marina?» chiese, giusto per assicurarsi di aver capito bene. Sengoku annuì con forza, serio come non mai.
«A questo punto, trovo molto probabile che ti sia dimenticato con quale Ammiraglio stai parlando...» borbottò allora il ricciolo. Il Grand'ammiraglio non aveva udito con chiarezza le sue parole, e gli stava rivolgendo un'occhiata interrogativa, ma lui non aveva intenzione di ripetere.
«Quindi... che ne pensi?» tornò alla carica Sengoku, decidendo di ignorare l'ultimo commento dell'amico.
«Penso che questa discussione non abbia ragione di esistere. Io non voglio prendere il tuo posto.» asserì deciso Aokiji.
Un lampo di rabbia attraversò gli occhi del suo superiore, che contrasse i muscoli della mascella al sentire le sue parole. «Sei davvero sicuro di quello che dici?» chiese, deciso a giocare la sua ultima carta. «Io credo che se tu venissi a conoscenza dell'identità dell'altro candidato, ti rimangeresti quello che hai detto.»
Un sorriso amaro increspò le labbra del ricciolo, che ancora una volta intuiva le prossime parole che avrebbe pronunciato il collega.
«Sei davvero pronto a sottostare a Sakazuki?» domandò finalmente Sengoku.
Kuzan non rispose, si limitò a fissarlo. Le braccia ricaddero sulle gambe, i pugni serrati in una ferrea morsa.
«Io ho proposto te, come mio successore» continuò il Buddha, incoraggiato dal suo silenzio «ma Sakazuki, come potrai immaginare, soprattutto dopo quanto successo durante la guerra, continua a riscuotere diversi consensi.»
«Diversi?» ripeté Kuzan.
«Sì, e da persone ben più in alto di me.» sbuffò irritato. Aokiji si fece ancora più attento dopo la sua reazione.
«Non starai parlando dei Cinque Astri di Saggezza, vero?» chiese, piegandosi in avanti, poggiando una mano sulla scrivania.
Sengoku esitò un attimo prima di annuire, abbassando lo sguardo. Kuzan scoppiò in una risata fredda e vuota, e tornò ad poggiarsi allo schienale. «Amico mio, non ho proprio speranze!» ammise, scuotendo il capo.
«Ehi, guarda che il mio parere conta ancora qualcosa! Fino a prova contraria, a capo della Marina ci sono ancora io!» lo ammonì il Buddha, puntando un dito verso il suo ampio petto.
«Sì, scusa, hai ragione.» sorrise, grattandosi la nuca. Sengoku non poté fare a meno di notare quanto spesso ripetesse quel gesto. Kuzan era il tipo di persona che pensava solo ai fatti propri, che si sforzava soltanto di trovare il modo per dormire tranquillo e rilassarsi. Ma quando metteva in moto il cervello,quando c'era da ragionare e prendere decisioni, la mano non mancava di scattare verso il retro del capo. Quel gesto serviva solo a scaricare il tumulto di emozioni e pensieri che si agitavano nella sua testa, abituato a nasconderli sotto veli e muri di indifferenza.
«Sei davvero pronto a sottostare a Sakazuki?» chiese di nuovo.
Forse Sengoku, sul momento, non si era reso conto di cosa stesse chiedendo al suo collega. O forse, gli aveva posto la domanda in quei termini proprio perché ne era pienamente consapevole.
Perché Aokiji non sarebbe mai rimasto agli ordini di uno degli uomini che più disprezzava al mondo, e di certo si sarebbe opposto con tutte le sue forze alla promozione. Far diventare Akainu Grand'ammiraglio significava concedergli ancora più libertà di agire secondo il concetto di giustizia che Aokiji ripudiava con tutto se stesso.
E quando il Buddha incrociò nuovamente lo sguardo dell'amico, capì di aver vinto.


***


Fu proprio il dolore a farlo ridestare. Si svegliò avvolto dall'oscurità, più terrorizzato di quanto gli piacesse ammettere. Gli bastò un istante per accorgersi di star urlando a pieni polmoni, le palpebre serrate, il cuore a mille.
La gamba sinistra sembrava avvolta dal magma, e così la mano destra e la spalla. I polmoni in fiamme, alla ricerca d'aria, lo costrinsero a riprendere fiato, lasciandolo a gemere mestamente. Attingendo a chissà quali forze, riuscì a poggiarsi sui gomiti, cercando di ignorare lo strazio crescente delle sue membra ferite.
Nell'istante in cui il suo sguardo si poggiò sulla gamba sinistra – o meglio, su ciò che ne restava – cominciò a piovere. Si lasciò cadere all'indietro, senza più forze, con il solo desiderio di morire in quel preciso istante.
La pioggia lo avvolse come una cappa, e sentì la bocca riempirsi d'acqua quando la aprì per liberare tutto il dolore, la disperazione e l'angoscia che scuotevano il suo animo.
Le urla si acquietarono lentamente, e Kuzan si scoprì incapace di capire se quelle che sentiva sul proprio viso erano lacrime, o soltanto la pioggia.
Aveva perso. Sakazuki aveva avuto la meglio, alla fine.
Sapevi quale sorte ti aspettava ben prima di iniziare lo scontro. Lo sapevi, lo sapevi! Perché non l'hai evitata?
Con la mente annebbiata dal dolore e dalla stanchezza, ripensò al colloquio con Sengoku, quando aveva deciso di assecondare la sua richiesta; e la voce dell'amico risuonò forte nella sua testa, un concerto stonato di frasi, accozzaglie di parole che non riusciva comprendere. Gemendo nuovamente, si portò la mano sana alla tempia, cercando di fermare la tempesta di pensieri che sconvolgeva la sua mente già annebbiata dall'opprimente dolore.
Perché? Perché? Perché non l'hai evitata, Kuzan?!, continuava a ripetergli una voce nella testa. Gli tornarono alla mente i giorni prima dello scontro, quando incrociando lo sguardo dei colleghi, riusciva a leggervi dentro l'ammirazione per aver accettato di combattere e, talvolta, il disprezzo per gli ideali che l'avevano fatto arrivare fin lì.
Ricordò le parole di Smoker: «Vedi di non addormentarti mentre combatti!».
Ricordò Garp, la sua pacca paterna sulla spalla, i suoi occhi che ardevano e desideravano vedere Sakazuki sconfitto – probabilmente nella vana speranza di alleviare così un po' del dolore per la morte di Ace.
Ricordò lo sguardo di sufficienza che gli rivolse Kizaru quando lo incontrò al QG. Kuzan aveva sempre avuto il sospetto che Borsalino considerasse le divergenze tra i suoi due colleghi delle scaramucce tra bambini capricciosi. Aveva sempre avuto un'alta opinione di sé, e probabilmente questo si era convertito nella convinzione che i propri ideali fossero intoccabili e giusti, gli unici degni di essere perseguiti.
E arrivò infine a ricordare perché aveva combattuto e perché aveva sfidato il
Magu Magu no Mi con il suo ghiaccio.
Per gli abitanti di Ohara, spazzati via senza possibilità di salvezza senza alcun valido motivo. Per le vittime innocenti che Sakazuki continuava a mietere senza pietà per conseguire i suoi obbiettivi, per seguire la sua morbosa e malata Giustizia Assoluta.
Aveva combattuto per coloro che nessuno aveva difeso, che non sapevano come difendersi ma potevano solo soccombere sotto il fuoco amico della Marina. Aveva cercato di fare qualcosa per loro, accettando di prendere le redini di una organizzazione che aveva punito il male ma anche commesso ingiustizie e portato sofferenza, sempre in nome di tale compito.
Aveva iniziato quella battaglia lottando con queste intenzioni e per questi ideali, sfidando non solo il suo avversario ma anche – e soprattutto – ciò in cui Sakazuki credeva.
Ma aveva perso. Miseramente. E la pioggia che lo avvolgeva, il cielo cupo, la devastazione che lo circondava e il dolore straziante delle sue membra glielo ricordavano continuamente e senza pietà.
Le palpebre di Kuzan stavano diventando sempre più pesanti mentre si arrovellava il cervello per trovare la risposta alla domanda che lo tormentava dal suo risveglio.
Prima di lasciarsi andare all'oscurità che stava avvolgendo la sua mente, si rispose che ne era valsa la pena. Era ridotto a un pezzo di carne sanguinolenta, incapace di muoversi e sopraffatto dal dolore; non riusciva a trovare un motivo per andare avanti, e dopo quanto successo non c'era alcuna possibilità di tornare nella Marina; aveva perso la sua casa, il suo lavoro, la sua gamba... Ma ne era valsa la pena, perché aveva perso tutto, ma lottando per qualcosa in cui credeva con tutto il suo essere.
E chiudendo gli occhi, si disse che così la sconfitta sarebbe stata un po' più semplice da accettare.


Angolo dell'autrice.
Non ho molto da dire, davvero. Per che mi conosce, sa già che amo Kuzan. È la seconda volta che scrivo una one-shot incentrata unicamente su di lui, e come la scorsa volta, ho messo tutta me stessa qui dentro.
Come avrete capito, è ambientata al risveglio di Kuzan dopo lo scontro con Akainu a Punk Hazard, mentre nel flashback (scritto in corsivo) ho voluto ricreare una parte di ONE PIECE che Oda non ha potuto trattare in modo così dettagliato, dato la sua scarsa importanza per il proseguimento del filone principale dell'opera.
So che Aokiji non è un personaggio molto apprezzato – sia su EFP che nel fandom di OP in generale – ma a mio parere è sottovalutato. È un uomo che vuole agire in modo giusto senza ferire chi non ha colpa, e senza attenersi alle rigide – e spesso sbagliate – leggi della Marina, che come abbiamo visto, è composta da individui che andrebbero rinchiusi alla pari dei pirati a cui danno la caccia. Per le sue intenzioni, secondo me, è semplicemente un personaggio da ammirare, che è quello che mi attengo a fare.
Come sempre le recensioni sono graditissime! Fatemi sapere dove ho commesso qualche errore – è impossibile che riesca a correggere tutto, anche se ricontrollo un milione di volte prima di pubblicare.
Alla prossima!


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