Allora, allora, ecco il secondo capitolo… spero di aver
sopperito alle mancanze che c’erano nel primo, e ringrazio chi me le ha segnalate…
proprio perché non sono molto esperta sono grata a chi, essendo più bravo/a mi
dia indicazioni ^^ sono pronta ad imparare. Bene, in questo secondo capitolo ho
provato ad approfondire un po’ la situazione, ma non sono molto soddisfatta…
vabbè, ringrazio solo chi leggerà, ed adesso, via!
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Bound at every limb by
my shackles of fear
Sealed with lies through so many tears
Lost from within, pursuing the end
I fight for the chance to be lied to again
(lies- evanescence)
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Kei
aveva provato ancora a chiamare il collega, senza risultato. Alla fine,
annoiato, decise di rivolgersi a Boris. –senti, facciamo senza di lui. Io mi
sono rotto di aspettarlo.- disse Kei davanti al silenzio prolungato del suo
interlocutore. Stabilirono un nuovo
appuntamento, ed il tatuato tornò ad asciugarsi i capelli ed inevitabilmente il
suo pensiero tornò a Rei, alla loro storia, al modo assurdo in cui era
cominciata… sorrise, si concesse questa debolezza, mentre si abbandonava al
ricordo di quel primo bacio impacciato che si erano scambiati la seconda volta
che si erano visti, in preda ai fumi dell’alcol. Per lui era stato un po’ come
uno sfoga di tensione, un sospiro di sollievo tirato dopo l’ennesima missione
dall’apparenza suicida. E poi però tutto si era evoluto, e per quanto avesse
voluto evitarlo, erano entrati in ballo i sentimenti, le emozioni… aveva
sbagliato, ma era un errore così dolce che avrebbe amato ripeterlo
all’infinito. Doveva averlo fatto proprio arrabbiare, Rei, con tutte i suoi
silenzi, le sue palesi bugie, perché il cinese non era mai stato tanto freddo
come negli ultimi giorni, non era mai stato così distaccato. Mentre si passava
una mano sui tatuaggi che gli segnavano le guance gli venne in mente che non
gli aveva mai detto quanto lo amasse veramente, perché lo amava, lo sapeva,
eppure ora che rischiava di perderlo quel sentimento era diventato quasi
scomodo, lo bruciava dall’interno, minacciando di fargli implodere il cuore
incapace di accettare l’assenza di quella figura che era stata la causa di una
felicità inespressa ed incredibile di cui non aveva ancora goduto a
sufficienza.
Riuscì
a fatica a riscuotersi da quei pensieri troppo sdolcinati e si finì di
preparare.
Rei
si svegliò in una stanza buia e fetida, con un dolore lacerante alla testa,
nonché un notevole fastidio ai polsi. Ci impiegò qualche secondo prima di
rendersi conto di quello che era successo: aveva discusso con Kei, e poi era
uscito di corsa, e un ragazzo con gli occhi di ghiaccio l’aveva avvicinato e
fatto salire su una macchina coi vetri oscurati. Doveva averlo drogato, perché
non ricordava altro. Le sue gambe erano indolenzite a causa della posa
innaturale che avevano assunto, ma quando cercò di stenderle si rese conto di
avere pochissimo spazio per muoversi. Decise di rinunciare e provò ad abituare
lo sguardo a quella pochissima luce che proveniva da quella che aveva tutta
l’aria di essere una candela posizionata su una mensola che, a quel che poteva
vedere, era l’unico elemento di mobilio presente nel loculo. Dopo qualche
secondo riuscì a distinguere la figura eretta e composta di qualcuno che lo
stava osservando da un angolo. Con lentezza misurata, la figura si avvicinò,
fino a permettergli di distinguere con indubbia chiarezza, la stessa persona
che lo aveva avvicinato. –buon giorno cinesino… o forse dovrei dire buona sera,
dipende dai punti di vista…- si era accucciato davanti a lui, per poterlo
fissare direttamente negli occhi. La cosa che più di tutto inquietò Rei fu quel
sorriso crudele dipinto sul suo volto, così spaventosamente simile a quello di
un bambino che osserva una farfalla alla quale ha intenzione di strappare le
ali. –lo sia, cinesino, perché ti ho portato qui? Perché hai fatto qualcosa di
brutto. Non solo tu e i tuoi amici ci avete messo i bastoni tra le ruote
talmente tante volte che ore dobbiamo avere sempre qualcuno che ci pari il
culo, ma in più sei anche una spia, triade schifoso.- disse senza smettere di
sorridere. Srotolò il panno che stringeva nella mano sinistra, mostrando una
serie di strumenti acuminati e brillanti, che Rei conosceva fin troppo bene.
Con accuratezza, scelse una lama, corta, tozza, ma affilata come un rasoio. Con
impegno ed attenzione incise a fondo un riga sottile, che, partendo dalla
fronte, correva trasversalmente sino allo zigomo, passando per il sopracciglio.
Rei non emise un fiato, ne allora, ne durante il tempo che seguì, durante il
quale il russo utilizzò tutti i suoi mezzi mentre la rabbia saliva, proprio a
causa di quelle urla che non sentiva. Ma non aveva intenzione di urlare, il
moro, non per quel dolore fisico che aveva imparato a sopportare tanto bene, ma
perché sapeva che se avevano scoperto dei suoi collegamenti con i cinesi, conoscevano
senza dubbio anche a quali persone era legato, e quindi già sapevano già anche
di Kei. E non ci avrebbero messo molto: una volta capito che in quel modo non
avrebbe parlato avrebbero fatto ricorso alla carta del ricatto, a quella carta
che faceva sempre cedere chiunque, la minaccia di quella persona per proteggere
la quale si sarebbe disposti a abbandonare qualsiasi altra cosa.
Era
trascorsa più di una settimana da quando Rei se ne era andato, e Kei era decisamente
nervoso. Nonostante non fosse sua abitudine aveva provato a chiamarlo talmente
tante volte da aver perso il conto, ovviamente senza nessun risultato.
Era
preoccupato, molto, e l’atteggiamento assunto da Yuri Ivanov non aiutava; aveva
smesso di minacciarlo, di ricattarlo con la storia della sua relazione. Questo
non era normale per uno come lui che approfittava di ogni occasione per avere
dei punti di vantaggio.
Erano
passati in tutto dieci giorni quando il suo telefono squillò. Come ormai faceva
sempre, si precipitò a rispondere, con la tacita speranza che fosse lui, anche se ormai non era che un gesto
irrazionale.
Sbuffò
con frustrazione quando vide che era Yuri. Parlò con voce frustrata,
arrabbiata, adirata, e più il suo nervosismo cresceva, più l’altro sembrava
divertirsi. Dopo qualche minuto in cui il rosso non fece altro che dire cose
del tutto inutili, all’improvviso esclamò: - Hiwatari, ho un lavoretto per te. Non so quanto potrà essere lungo, ma
sicuramente ti ci divertirai- Kei stette un istante in silenzio. – posso
rifiutare? Non vorrei allontanarmi da qui- il suo interlocutore rise, facendo
alterare ulteriormente il tatuato. – oh mio caro, il rifiuto non è contemplato!
Hai presente quella triade, quella che ci ha bloccato quel carico di prostitute?
Bene, ne ho trovato uno pochi giorni fa, e l’ho lavorato a puntino… ma non
posso occuparmi di finirlo, mi hanno dato un altro incarico. Quindi vai in
fretta alla sede centrale, perché c’è Ivan che ti aspetta.- Kei, finalmente
attratto dalla prospettiva di poter sfogare tutti quegli scomodi sentimenti su
un essere umano, interruppe il “collega” –sì, ok, ma voglio sapere del
compenso- la risate che sentì provenire dall’altro capo dell’apparecchio fu a
dir poco agghiacciante. Non riusciva proprio a comprendere da dove gli
provenisse tutta quella ilarità, tanto più che gli stava cedendo un lavoro
importante. –oh, del compenso parleremo a lavoro concluso. Non ti preoccupare,
avrai un pagamento adeguato. Anzi, credo andrà bene anche se lo proporrai tu,
il tuo compenso…- Kei rimase in silenzio, interdetto.- ti stavo dicendo, ti
aspetterà Ivan. Ha l’ordine di accompagnarti alla cella, e poi di lasciarti lì.
Hai un massimo di due giorni, ma dovrai comunicare dopo le prime due ore quanto
tempo hai intenzione di “trattenerti”. Una volta finito, puoi richiamare
quell’idiota di Ivan in ogni momento, perché ha l’ordine di rimanere a tua
disposizione… ah, quasi dimenticavo, mi raccomando, divertiti!- esclamò con
gioia. Kei sorrise tra se e se. – non preoccuparti, lo sai che mi diverto
sempre in queste occasioni- assicurò prima di abbassare la cornetta.
Yuri emise un verso di pura soddisfazione quando
vide l’espressione ebete dipintasi sul volto di Rei. –caro il mio cinesino, hai
capito ora chi ti sei scopato per tutto questo tempo?- le risate di quell’uomo
erano acute e penetranti, quasi dolorose alle sue orecchie che da giorni non
sentivano altro che il silenzio interrotto dallo zampettio dei topi o dalla
voce di quello stesso uomo.
Quanto avrebbe voluto strapparsele, quelle orecchie,
prima di essere costretto a sentire quella telefonate, la cosa che più di tutte
le ferite, più di tutte le torture, gli aveva fatto male. Kei non lo stava
cercando, in fondo perché avrebbe dovuto farlo? Aveva detto di volerlo lasciare…
I suoi pensieri furono interrotti dalle dita gelido
dell’essere che l’aveva catturato che percorrevano con lentezza atroce le linee
del suo volto e del suo collo. Quel tocco gli faceva ribrezzo, avrebbe tanto
voluto potersene sottrarre. Si ritrasse con uno scatto che creò dolore ad ogni
singola particella
Del
suo essere, ma che allontanò quelle dita schifose. – chi lo sa se ti
riconoscerà? Il tuo caro Kei… in fondo sei ridotto in condizioni patetiche…-
rise di nuovo, e poi si alzò, allontanandosi. –sei solo uno schifoso! Un
vigliacco!- sputò finalmente. Il russo si voltò, sempre sogghignando: - tornerò
ancora, per fare fuori quel che sarà rimasto del tuo amante- poi fece una
plateale giravolta su se stesso prima di andarsene definitivamente.
Quando
la figura fu avvolta completamente dal buio, Rei si abbandonò ad un pianto
liberatore. Non gli importava che qualcuno potesse sentirlo, che qualcuno
potesse trionfare a quella sua sconfitta, perché la sua fine stava arrivando,
sotto la forma della persona che amava.