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Autore: tributideldistretto9e3_4    03/07/2014    1 recensioni
Non ero cosciente del perché di queste mie reazioni, ma Peeta era tutto ciò che avevo e adesso non ho più nulla. Vederlo in quello stato mi turba, un senso di inquietudine mi assale e mi abbandono ad una doccia calda. Snow non aveva distrutto solo il mio passato, ma anche il mio futuro.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Solo quando il mio sguardo, che finora aveva fissato apaticamente il bianco soffitto, cade sulle mani mi rendo conto che i polpastrelli delle dita sono raggrinziti per l’evidente troppo tempo passato a mollo nell’acqua. Ma non voglio uscire di lì, è caldo e comodo…è un piccolo paradiso dove mi rifugio per scappare ai miei pensieri e a volte ci riesco pure, a volte ci riesco davvero a dimenticare per un momento tutto quanto e a godermi un bel bagno serena, ma questa sera, non è una di quelle volte. Mi chiedo anche perché non riesco ad affrontare i miei problemi, perché mi lascio scivolare in quell’oblio senza prima riuscire a combattere. Peeta ci riesce, molto difficilmente ma ci riesce o almeno ci prova grazie a quei strani quadri. Io no. E mi dà tremendamente fastidio non riuscire a fare nulla, sentirmi intrappolata in una gabbia chiusa a chiave e senza poter uscire in nessun modo, mi fa rabbia scappare dai miei pensieri come una codarda, senza reagire, senza prendere in mano il coraggio e lottare. E’ come se i pensieri mi comandassero di obbedire ai loro propositi di bloccare la mia vita e frenare la felicità che tanto ho bramato e della quale oramai non resta che lo sbuffo di vapore di un treno lontano, di cadere nel loro oblio. Ed è ancora più fastidioso e ridicolo tutto questo, perché io sono Katniss Everdeen, ed io non ho mai ubbidito ai comandi. Non sono mai stata imprigionata, sono cresciuta libera nei boschi, a cacciare. Boschi. Gale. Prim.                                                                                                                                                            
 Un’altra fitta di dolore. Non fisico, che è ancora peggio. A quello ci sono abituata, dopo essere stata nell’arena due volte ed aver combattuto una guerra, sono pur sempre la Ghiandaia Imitatrice.                  
Solo la rabbia mi costringe ad uscire dall’acqua oramai gelida. Afferro un asciugamano e lo avvolgo distrattamente al corpo asciugandomi. La persona che si riflette nello specchio, continua a farmi ribrezzo. Tutta quella pelle diversa, cucita a toppe, come una bambola di pezza, una di quelle che vendono nel negozio giù al villaggio e che si potevano permettere solo i bambini delle famiglie meno povere. Un ibrido schifoso che non si regge nemmeno in piedi. Gli occhi grigi che una volta ricordavano il ferro, la forza, sono diventati sbiaditi e persi, in un mare di immagini strazianti. Lo sguardo duro e truce che mi caratterizzava ha lasciato spazio alle borse sotto gli occhi e alle guance affossate nella pelle pallida. Dei capelli morbidi e setosi che Venia preparava con così tanta cura non è rimasto che delle ciocche intrecciate abitualmente la mattina e disfate la sera prima di andare a letto. Non mi hanno lasciato niente. Sono un ibrido schifoso e Peeta ha sempre avuto ragione a definirmi in questo modo. Magari vado anche a dirglielo, almeno ho la scusa per sentirlo parlare, per sapere se sta bene, per sapere se mi odia ancora.                                                                                        
Strizzo i capelli con l’asciugamano e mi infilo la camicia da notte, poi mi abbandono al letto con i capelli ancora bagnati, nella speranza che il sonno mi porti via di lì, ma in realtà il sonno non è mai stato mio amico e mentre chiudo gli occhi questo letto mi sembra infinitamente grande.                                                                           
 Rue è un ibrido come quello dell’arena dei settantaquattresimi Hunger Games. Mi guarda coi suoi occhi grandi, castani e luminosi, ma illuminati da una luce completamente diversa, omicida.                                                              
 Mi afferra con gli artigli che squarciano la pelle del mio braccio lasciando un fiume di sangue e mi trascina dentro un mare nero disseminato degli occhi e del sorriso di Finnick, che mi squadrano compiaciuti. L’ibrido Rue si ferma difronte a Cato che sta strangolando Prim, lei urla, cerca di dimenarsi…implora aiuto, urla il mio nome, ma io non riesco a divincolarmi dalla presa di Rue che schiamazza soddisfatta, urlo anche io ma dalla mia bocca non esce alcun suono, Prim si accascia…Mi sveglio urlando. Sono sudata nonostante abbia ancora i capelli umidi. Affanno e inizio piangere senza riuscire ad evitarlo. Sono le tre e mezzo di mattina mi indica la sveglia sul comodino. Ho paura. So che se richiudo gli occhi quelle immagini torneranno ad assillarmi...ed io non voglio che Prim…no…Quanto vorrei che Peeta fosse qui ad accarezzarmi e a sussurrarmi che è tutto a posto…ma non c’è e non ci sarà mai più, quante volte devo ripetermelo che se n’è andato?! Ho cercato e cerco costantemente di convincere me stessa ad abituarmi alla realtà, ma non ci riesco. Come faccio a rinunciare all’unica cosa bella che mi resta?

Scendo in cucina e mi preparo velocemente un thè caldo, sperando mi sciolga un po’ i nervi e mi siedo a sorseggiarlo sul divano, inzuppando un biscotto alla cannella. Li ha fatti lui, li fa quasi ogni mattina e li porta a me e ad Haymitch. Li lascia a Sae nel primo mattino ed io spesso dormo ma sento la porta aprirsi e i suoi passi pesanti  e regolari echeggiare al piano inferiore.
Poi all’improvviso mi viene una gran voglia di osservare le stelle. Le ho sempre amate. Astronomia era tra le mie materie preferite a scuola. Così mi spingo strascicando verso il giardino e mi immergo nell’erba curata e le aiuole disseminate di fiori variopinti, tra cui le primule che Peeta ha piantato qualche tempo fa.                                                 
Un cespuglio è a tratti illuminato da puntini fosforescenti, ci impiego un po’ a riconoscere le lucciole, da queste parti sono rare. Da piccola me le mostrava papà quando si poggiavano sull’erba difronte la nostra misera casa. Ricordo che la prima volta che li vidi rimasi stupefatta e non volevo tornare più dentro a dormire. Avevo talmente paura di non rivederle più che mi avvicinai per raccoglierne una, queste smisero di brillare lasciandomi al buio e mio padre mi riportò dentro con la promessa che un giorno le avrei riviste. Prim era ancora piccola e dormiva in braccio a mamma, non le vide mai.                                 


Qualcosa che mi solletica il braccio mi fa sussultare svegliandomi. Una piccola formica zampetta sul mio braccio trascinandosi dietro una briciola del biscotto che devo aver lasciato cadere ieri mentre finivo di sgranocchiarlo sull’erba, circondata da un cielo trapunto di piccoli brillantini e da un quarto di luna.                                                                Mi sono addormentata distesa sul verde senza rendermene conto, ho perso la cognizione del tempo. Chissà che ore sono. Non ho nessuna intenzione di alzarmi di lì, così rimango ad osservare le primule soffocate dall’erbaccia e dai fiori rampicanti. Dovrei fare un po’ di giardinaggio ogni tanto, ma non ho voglia di fare nulla oggi, rimarrò lì in pace, oggi, domani, forse trascorrerò lì il resto dei miei giorni. Senza mangiare e senza bere. Prima o poi metterò fine alla mia vita, raggiungerò Prim e gli altri e starò meglio, sì, penso proprio che smetterò di soffrire, è meglio così, nessuno ha bisogno della mia presenza.                                                                                        
 Sae la Zozza lavora qui per me da quando sono tornata al distretto 12 da Capitol City e dichiarata “mentalmente confusa”, la sua presenza mi è necessaria, la casa andrebbe in rovina senza di lei.  Oltre a cucinare fa molte altre cose utili ed ogni tanto la aiuto, a stendere i panni ad esempio, o a lavare i pavimenti o a spolverare le mensole del salotto. Mi rendo utile almeno, cercando di fare qualcosa e non rendendole il tutto ancora più pesante, anche lei ha la sua famiglia da badare, e poi tenermi occupata mi aiuta a non pensare. C’è una cosa che Sae fa per me e di cui le sono incredibilmente grata: risponde al telefono.                                     
Per un lungo periodo ho lasciato che squillasse senza curarmi di rispondere e sapere chi era tanto interessato o aveva talmente tanta urgenza di parlare con me. Probabilmente era qualcuno di Capitol City che aveva bisogno di qualche favore, o la Presidente Paylor, magari mi voleva lì al suo fianco per sorridere e annuire mentre lei pronunciava qualche suo discorso in diretta televisiva per Panem sperando che la mia presenza potesse rassicurare il popolo. Le solite messe in scena. Ma Katniss Everdeen non aveva intenzione di tornare a far parte di quei giochetti e quelle farse, così decisi di non curarmi di quel suono insistente finchè non me ne abituai.  Poteva anche essere mia madre. Me lo sono chiesto migliaia di volte. Ma se proprio avesse tenuto a me sarebbe venuta qui. So che prima o poi mi toccherà parlarle, è sempre mia madre, ed è sola, proprio come me, non sono l’unica che ha perso una sorella, lei ha perso una figlia.                                                                         
Fu proprio con queste parole che Sae mi convinse a rispondere al telefono, dicendomi che ogni tanto chiamava anche Peeta- stento a crederci, sul serio- così dopo un lungo discorsetto dovetti cedere, a patto che rispondesse lei e che mi avvisasse se fosse qualcuno che aveva davvero bisogno di me.
 La porta si aprì nell’attimo seguente, e la figura disinvolta di Sae si materializzò all’ingresso, per poi gettarsi in cucina, come ogni mattina. Non sapeva che la colazione che stava per preparare, sarebbe rimasta lì sul tavolo, io da qui, non mi alzo proprio.
-Katniss svegliati! La colazione è pronta!
Nessuna risposta, ovviamente. Non ne ho il coraggio e nemmeno la forza, di parlare.
-Katniss dove diamine sei!?
Volge i suoi passi al piano di sopra, con scarso risultato, infatti ritorna in salotto dopo qualche minuto. Impiega mezzora a cercarmi negli angoli più remoti della casa, che scorgo attraverso una fessura della tenda che copre la finestra che dà all’entrata del giardino. Alla fine mi trova. Sdraiata sull’erba, gli occhi rossi, la camicia bianca sporcata di verde dell’erba e di terra. Sae indugia un momento poi cerca di farmi alzare.
-Lasciami Sae.-è la prima volta che parlo dopo due giorni di silenzio, un rumoroso interno silenzio.
-Katniss entra dentro, fa caldo qui fuori, potrebbe prenderti un’insolazione- mi risponde in tono pacato
-Lasciami ho detto!- le urlo contro, perché è più forte di me e potrebbe trascinarmi dentro
-Hai dormito qui?! Sei matta!?- mi chiede, annuisco- Entra dentro, dai.-
Come risposta ha il mio silenzio.

Per il resto della giornata cerca di farmi mangiare, mi porta fuori una scodella di zuppa di verdure con della carne spezzettata, comprata dal macellaio in città. Ma anche quella è destinata a diventare un avanzo. Così come la cena. Alla fine Sae, sbuffa, tra l’irritato e il preoccupato. Ma al mio determinato silenzio, decide di andarsene, non prima però, di aver tentato di riportarmi dentro. Quando è già sera inoltrata non può fare altro che andarsene, sussurrandomi di tornare dentro almeno per dormire. Cosa che ovviamente non faccio, né farò. Passano un paio di giorni, Sae continua a cercare di darmi da mangiare, continua a cucinare e a posare nel frigo gli avanzi, per poi portarli ad Haymitch. Persino lui è venuto fin qui per vedere che cosa stavo pensando di fare.
-Si può sapere con chi ce l’hai stavolta ,Dolcezza?
Non risposi. Odiavo quel suo tono provocante e mieloso.
-La principessina mette il broncio non mangia e non risponde? Guarda che a noi non ce ne frega una mazza se muori. Cerchiamo solo di evitarlo, dopo tutti i morti che ci sono stati, almeno la metà dei quali, morti per pararti il culo, sarebbe uno spreco e un insulto lasciarti morire, contrariamente a te, noi sappiamo cosa sia il rispetto. Adesso Dolcezza, penso proprio che me ne andrò, non serve a niente parlare ad una tizia che si ritiene forte e ribelle, quando invece è solo una debole codarda. Pensa a Peeta. Lui si che è forte, lui, che non lo ha mai considerato nessuno, mai prima di te almeno. Sei la Ghiandaia Imitatrice. Dovresti almeno provare ad essere forte. E’ difficile per tutti, non solo per te, sai?-mi disse.
Mi espose i suoi pensieri in modo pacato, come se niente fosse. E rimasi scioccata. Avrei voluto prenderlo a morsi. Alzarmi e gridargli tutto quello che ho dentro, graffiare quella faccia che si ritrova, e sbatterlo al muro. Lo odio. Lo odio con tutto il cuore. Lo odio perché so che ha ragione. Lo odio perché mi ha spiattellato in faccia la realtà in modo crudele e soprattutto perché mi ha ricordato di Peeta. Ma come risposta riceve anche lui solo il mio silenzio. Ho la gola talmente secca che non riesco ad emettere alcun suono. Haymitch se ne va, non prima che riesca sentire Sae sussurrare- “hai esagerato stavolta…avresti dovuto andarci più piano, è ancora scioccata”- “Se l’è cercata. Le è andata bene che non le ho spaccato la faccia.”- per poi allontanarsi e uscire di casa.
Sono passati altri due giorni. La vista mi si è offuscata e la testa mi gira continuamente. Gli incubi mi perseguitano anche da sveglia oramai. Sorseggio solo un po’ d’acqua raramente, sentendomi anche in colpa. E’ sera, saranno le nove o le dieci più o meno. Sae è appena uscita di casa a portare come al solito gli avanzi a quell’imbecille. Le stelle, sono stupende stasera. Vorrei continuare ad ammirarle ma mi si chiudono gli occhi da soli…e mi addormento più velocemente di quanto non me ne renda conto.                                                                                                                                
Vedo Peeta. Sono felice di vederlo così tranquillo, e non accecato dall’odio e dalla  paura che prova verso di me. Si avvicina con una strana calma dipinta nel suo viso.  Alza una mano verso di me, e io penso che mi stia per accarezzarmi. E invece mi ritrovo le sue mani annodate alla mia trachea. Urlo. Realizzando solo dopo che è un incubo, anche se un tempo è stato realtà e solo a pensarci sono scossa da brividi, sia per questo che per la temperatura che è visibilmente scesa. Sento dei passi, pesanti e regolari e non c’è bisogno che lo veda davvero con i miei occhi, so già a chi appartengono. Devo aver urlato davvero forte, perché Peeta si figura in giardino. Ho paura che mi faccia del male. Ma mi rendo subito conto che è spaventato quasi quanto me, lo si legge nei suoi occhi azzurri.
Se questo non è un incubo, allora è un sogno.                                                     




Note delle Autrici (anche se le scrivo solo io)
Allora… buonsalve a tutti!
Eccoci con il primo effettivo capitolo della fanfiction.
Qui abbiamo una Katniss mezza rincoglionita –Cristo santo, questa ragazza per lucidità mi ricorda Marius- ancora sotto shock per la morte del volatile da cortile comunemente chiamato Primrose (In realtà la adoriamo. Prim, you are a BOMB!)
Poi arriva quel grande tizio di Haymitch, che le ricorda che non è una principessina e che non può fare ciò che vuole, perché così facendo viola il ricordo di chi è morto per lei.
Ho già detto che adoro quel tizio? Mamma mia, quant’è diretto e furbo! (FANGIRL MODE: on)
E poi arriva Peeta.
OH!
Speriamo che come primo capitolo piaccia. E ripeto, non ho scritto io la ff. Io mi limito a scrivere piccole parti e le note, e leggere il nuovo capitolo non ancora pubblicato.
Fateci sapere se c’è qualcosa che vi ha dato fastidio e/o cosa ne pensate.
Benchè io non approvi frasi del genere –RECENSITEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE!-, devo dire che ci piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate.
Ci scusiamo per eventuali errori grammaticali e di HTML. Quanto detesto l’HTML…
Au Revoir et Vive La France!
Ime&Jo


 
   
 
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