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Autore: marguerite_murcielago    03/07/2014    1 recensioni
Giro del mondo.
Grecia_Lui avvicinò le labbra e mi sussurrò all’orecchio: – S'agapó̱ , Athi̱ná mou.
Impressi a fuoco quelle parole che non conoscevo, e che tradussi più tardi, insieme alla guida. Ti amo, mia Atena. In seguito, lui negò di averle pronunciate, e non seppe tradurle.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Scozia

 

 

C’erano Duncan e Lily, i fratelli McSheon, Coira, il piccolo Sorley, Finn, Rhona e Gormlaith.
Lui – Dalzell – era seduto in mezzo all’erba alta, fingendo di riposare. In realtà stava cercando un bel fiore da donare a Gormlaith – l’aveva fatto altre volte: bastava passarle accanto mentre gli altri erano assorti in un gioco e infilarglielo dietro l’orecchio, o tra i lacci del vestito.
Si sentiva sfortunato: tutto il fianco della collina era al sole e gli steli erano tutti dorati, ma non poteva tagliare la luce e donargliela. Un giorno, forse, più grande. Si rigirò il coltellino tra le mani.
Gli altri erano scesi al fiume e giocavano a schizzarsi dove l’acqua era più bassa.

 

Ci sono sogni che si dimenticano, sogni che spaventano e ingrigiscono tutto un giorno, poi c’è quel sogno che è un ricordo. Dalzell lo storpio si rigira nel sonno, gemendo, stringendo con una mano il mantello bucherellato – se glielo rubassero morirebbe di freddo, quindi lo stringe con tanta forza che al mattino, per staccarsi, piange dal dolore.
Il Sogno continua, anche se il freddo gli morde il corpo.

 

Uno splendido animale scendeva dalla collina opposta. Aveva le zampe lunghe e forti, il corpo enorme e muscoloso, un bellissimo e lucido manto nero. Camminava nell’acqua, davanti a loro, senza timore, muovendo la coda.
Qualcuno propose di montarlo. Fergus McSheon andò ad accarezzarlo e quello chinò la testa: era mansueto. Sciamarono tutti attorno al cavallo, litigandosi il diritto di montarlo per primi. Lui si chinò a raccogliere una giunchiglia, lieto, poi la tenne in mano insieme al coltello.
In groppa al cavallo c’erano Duncan, Fergus McSheon, Rhona, Coira, il piccolo Sorley, Lily, Finn, Wallace McSheon e Gormlaith, in quest’ordine. Dalzell si chiese come potessero tanti bambini stare in groppa a un cavallo solo, ma Gormlaith si girò e gli sorrise e allora anche lui salì.

 

Piange: le lacrime si ghiacciano nel guscio delle palpebre, sono dolorose. Per un attimo mugola e fa per aprire gli occhi; i cristalli si rompono e il dolore si attenua, come se le mani che lo graffiavano fossero sparite.

 

Capirono che qualcosa non andava quando il cavallo nitrì – e fu un nitrito che somigliava terribilmente a una risata cattiva – e partì di gran carriera, sollevando spruzzi di acqua man mano che correva verso monte, laddove l’acqua era più fonda e la corrente più forte.
Duncan tentò di liberarsi, ma la sua mano era incollata alla criniera; la mano di Fergus McSheon era incollata alla schiena di Duncan; la mano di Rhona era incollata alla schiena di Fergus; la mano di Coira era incollata alla schiena di Rhona; la manina di Sorley era incollata alla schiena di Coira; la mano di Lily era incollata alla schiena di Sorley; la mano di Finn era incollata alla schiena di Lily; la mano di Wallace McSheon era incollata alla schiena di Finn; la mano di Gormlaith era incollata alla schiena di Wallace; e la sua mano era incollata alla schiena di Gormlaith.
Nella mano libera aveva ancora la giunchiglia e il coltellino. Il cavallo nitriva e sbuffava e correva all’impazzata verso l’acqua che ribolliva tra le rocce. Piangendo lasciò cadere il fiore e strinse forte il manico del coltellino.
Colpì una volta. Due volte. Tre volte. Arrivò a sette volte e perse il conto: voleva solo staccarsi prima che fosse troppo tardi, così continuò a infierire con la lama sulla giuntura tra il polso e la mano. Era tutto sporco di sangue e faceva malissimo tagliare i fili bianchi dei nervi. Affondò tutto il coltello nella ferita e andò su e giù con la mano, su e giù finché non riuscì a separare le ossa.
Gormlaith gridava e piangeva con il viso tutto rosso – lo chiamava, ma lui era già caduto da quella bestia infernale. Sentì una roccia appuntita contro il ginocchio e altro dolore, altro sangue.

 

Distende la gamba zoppa sotto il mantello e le ossa scrocchiano, le une sulle altre, fa male anche quello – inutilmente, perché poi i muscoli deboli raggrinziscono e la gamba torna a piegarsi. Sa che il Sogno è quasi finito, ma non riesce a sfruttare il dormiveglia per svegliarsi del tutto.

 

Gridava e si stringeva il moncherino sanguinante nell’altra mano.
Gridava per l’orrore del sangue e dell’osso spaccato e dei nervi scoperti.
Gridava per il dolore della scheggia di pietra acuminata in mezzo al ginocchio.
Gridava per la paura e per il terrore e per il desiderio di essere cieco o di fuggire e per il sangue che veniva giù da dove il cavallo nero si era inabissato e per la giunchiglia rossa e flaccida e per gli intestini e i cuori piccoli come pugni e i fegati e tutti i pezzi che galleggiavano e si urtavano con un rumore molle e viscido.

 

Venti anni e diciassette villaggi dopo, Dalzell lo storpio chiede l’elemosina davanti alla chiesa. Anche stanotte, pensa tendendo l’unica mano rattrappita, ha fatto quel Sogno. Ieri quattro ragazzacci gli hanno lanciato una mezza pagnotta ammuffita – che ha mangiato davanti ai loro occhi, senza batter ciglio davanti alle loro risate crudeli – e oggi non andrà meglio.
Poiché non ha più niente, ha sviluppato un’immaginazione fervida. Nei giorni freddi e bui come questo, ad esempio, riesce a evocare Gormlaith – riesce a vederla, a immaginarla come una donna, a parlarle nel silenzio della neve. Se per esempio le dice “Come stai oggi?”, lei gli risponde “Molto meglio, ora che ti vedo”.
Gli occhi gli si riempiono di lacrime.
Poiché Gormlaith non c’è più – forse c’è ancora il suo teschio in fondo al fiume, che rotola qui e lì con la corrente e fa clic-cloc contro i ciottoli – la veste come una dama ricca, con begli abiti scuri che fanno risaltare la sua pelle di panna. Le ha allungato i capelli di oro bruno, le ha dato ciglia folte e lunghissime. – Ti amo – dice nell’aria rarefatta – ho amato solo te, Gormlaith.
Davvero, se il kelpie non si fosse portato via quei nove bambini... o se lui avesse tagliato la mano a lei... sarebbero cresciuti insieme e si sarebbero sposati. Non è crudele il desiderio di averti tagliato la mano, dice alla Gormlaith dei suoi pensieri, avrei dato qualunque cosa per salvarti.
Piange per un po’, ignorato da tutti, ma adesso che è giorno e nessuno può rubargli il mantello si asciuga le lacrime prima che ghiaccino e feriscano.
– Fate la carità: un pezzo di pane per Dalzell lo storpio!

 

Prima dell’alba, il cielo si annacqua – il nero diventa verde, e azzurro, e bianco. Dalzell guarda in alto: la fortezza è stata espugnata. Sulla torre più alta, a una delle finestre, penzola il corpo senza vita di una dama; i suoi capelli dovrebbero essere biondi, ma nella luce dell’aurora sono grigio argento, striati di sangue.
– Ehi, storpio! Sei venuto a combattere anche tu? – lo apostrofa un soldato ubriaco – Guarda che la battaglia è finita da ore.
– Sì, ho visto – replica lui, fissando il fumo che sale dai resti di una stalla.
Il soldato tuffa il viso in un secchio ricolmo di acqua piovana e, quando risolleva la testa, sembra più sveglio e lucido: – Cosa ci fai qui, allora? Sul mio onore, in tanti anni di guerra non ho mai visto un mendicante che osasse passare sulle rovine fumanti di una battaglia.
Dalzell si stringe nelle spalle.
– Di che clan sei? – continua il soldato, raccattando le sue cose.
– Clan? Nessun clan. Mi chiamo Dalzell. Dalzell lo storpio per gli intimi – risponde con voce piana.
Il soldato rimane in silenzio. – È piuttosto crudele come nome – osserva, con una vaga incertezza. Lui si stringe di nuovo nelle spalle. – È la verità – osserva.
Alza ancora lo sguardo per osservare ancora la donna morta alla finestra: ora vede meglio anche le sue mani, abbandonate sulla pietra. Il soldato segue i suoi occhi e commenta: – Scommetto che non hai mai visto nulla del genere.
– In realtà ho visto di peggio.
Riprende la via delle colline, verso Sud, piegato sotto il mantello. Il mattino è limpido, lavato dalla pioggia; una nuvola sfilacciata gli sorride ironica, prima di essere dispersa dalla brezza.

 

Dalle parti di Edinburgh incontra un kelpie.
Non è – di certo – quello che ha ucciso Duncan, Lily, i McSheon, Rhona... e tutti gli altri. C’è molta acqua in Scozia, molti demoni per tutta quell’acqua. Tutto ciò che sa, quando vede quell’uomo alto, bello e distinto, è che si tratta di un kelpie.

Potrei ucciderlo, si dice, potrei. Ne sono in grado.
È molto giovane – Gormlaith dice “senza tempo” e svanisce nella foschia – con la pelle chiara, le ossa fini. I suoi occhi sono verdeazzurri, i suoi capelli – lo sa grazie al vento che soffia – sono molto leggeri.
– Io so chi sei – dice con rabbia – so cosa sei.
Ha i capelli neri, l’uomo-kelpie, ma non si cura di ripararsi dal vento – è così che lui, Dalzell, ha visto le alghe che gli crescono sulla pelle, le erbe lacustri verdi tra il nero. Infila la mano sotto le vesti, in una tasca segreta a contatto con la pelle.
Tira fuori il coltello, la lama rivestita d’argento è macchiata e ossidata, ma non importa.
Con gli occhi vede l’uomo-kelpie a pochi passi, longilineo e sicuro di sé, ma l’immagine si deforma sulla strada per il cervello.
Ed è ancora un bambino, con il sole che splende come oro su di lui e sul prato...

 

Colpì una volta. Due volte. Tre volte. Arrivò a sette volte e perse il conto.

 

Venti anni e diciassette villaggi dopo il kelpie, Dalzell lo storpio decide di aver vissuto abbastanza. Si lascia alle spalle un cavallo sgozzato, il proprio mantello e Gormlaith, che non è più una dama, ma una bambina radiosa che gli prende le mani – tutte e due – e lo guida verso il cielo.
– Ho perso il coltello – dice lui con un lieve dolore al petto, ma Gormlaith scuote la testa.

 

– Forse non era così importante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autore:
Sì, be’, uh. Questa ossessione per vendetta/rimpianto/nostalgia è un po’ strana.
Foto da weheartit, il kelpie è un demone acquatico scozzese – nel caso non si fosse capito.

   
 
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