- Condoglianze; Karula.
- Mai te ne parlai e mai tu me lo chiedesti; apprezzo queste tue due parole perché sono lieto di aver infranto un’ulteriore barriera tra noi due, ma la morte di Karula non mi fa più soffrire. Appartiene al passato, ormai.
- Parla ora, Kadas, dicendo parole a sufficienza per rispondermi. Chi ti ha dato quel nastro? Come sei venuto in possesso del nastro gemello di Karula che troppo a lungo ho cercato?
- Parla!
- Fuoco.
- Come ti ho detto, Kadas, ho superato il mio dolore. Ciò che hai distrutto era solo un simbolo di affetto e dolcezza. Il tuo gesto è stato superfluo e in cuor mio spero che non sia stata vendetta, altrimenti dovrei ammettere a malincuore che non solo non sei riuscito a migliorarti, ma addirittura saresti riuscito a peggiorarti.
- Taccuino.
Lancia con disprezzo, addosso al leone confuso, il taccuino maledetto. Il leone legge, le sue pupille svaniscono, la torre inizia a crollare. Un urlo, potentissimo, di dolore e di rabbia, un urlo dissennato, il ruggito del leone immortale spacca ogni singola pietra dell’alta torre fino a che, raggiunto l’orologio, l’immensa potenza vocale generata dall’ira sconquassa le fondamenta dell’obelisco dei ricordi. Niente di ciò che era, ormai, è ancora come prima. Digrignando i denti, a voce bassa, il leone travolto dall’istinto stritola il taccuino e sibila:
- No adesso basta. Supererai il tuo dolore nell’oltretomba. E’ giunta la tua ora, verme schifoso.