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Autore: MyShadow19    03/07/2014    1 recensioni
Verba è un racconto dalle lievi tonalità fantasy di grande atmosfera. Narra di Kadas Luthfelt, protagonista tenebroso che avrebbe molte, troppe cose da raccontare... se solo la sua filosofia non glielo impedisse; ogni parola è l'evocazione di un concetto, il più grande veicolo delle idee, la struttura su cui si forma il pensiero e quindi la base del modus ponens degli esseri viventi. La filosofia di Kadas è così forte che quando lui pronuncia una parola tutto questo cessa di essere una convinzione e diventa una verità: la realtà attorno a lui cambia. Per questo pesa attentamente quello che dice. Una parola vale più di mille immagini.
Ogni capitolo è molto breve perché lo stile di scrittura è pesante; spero che apprezzerete. Buona lettura!
Genere: Dark, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Incerti e cedevoli gli arti inferiori tentano con fatica di vincere il peso del vuoto. Il vuoto non è leggero quando incarna la disperazione. Il vuoto non è leggero quando è un effetto di distruzione. Dalla pietra la pesante ma vuota figura di Kadas rasa al suolo si solleva trascinata dalla mano del robusto rivale. L’autocoscienza non esiste più: un barlume nero tradiscono gli occhi dell’assassino. L’autocoscienza non esiste più: un sorriso instabile mistificano le labbra dell’assassino. Eretto ed immobile il corpo fragile è sorretto dagli arti inferiori di polvere solida. Non un passo può essere compiuto senza che questi diventino di nuovo polvere libera. Ritrovato il sennò nell’immobilità, esamina il suo io e vi trova del buio; ritrovata la calma nella stabilità, esamina il suo rivale e vi trova della luce.
  • Condoglianze; Karula.
Una tempesta invisibile scuote la statica tensione, un’onda di calore unisce i due cuori in tempesta, un naviglio temerario sfida l’ondata di oppressione. Le parole di Kadas generano un indistinto turbinio di luce ed ombra ai piedi della alta torre, sulla soglia del vasto mondo. L’empatia è l’umido pennello che sfuma le brusche tonalità della luce e dell’ombra. Non altre parole ma il sentimento di chi ha amato ed ha perso uniscono per un breve momento dopo anni i due nemici. Non altre parole ma la comprensione verso chi ha visto perire un corpo o uno spirito uniscono per un momento dopo anni i due nemici. Nulla più, tuttavia; così com’era venuta quella tempesta, quell’onda e quel naviglio si placano, si infrangono e si perdono all’orizzonte. In un momento ancor più breve di quant’era rimasta quell’unione se ne va.
  • Mai te ne parlai e mai tu me lo chiedesti; apprezzo queste tue due parole perché sono lieto di aver infranto un’ulteriore barriera tra noi due, ma la morte di Karula non mi fa più soffrire. Appartiene al passato, ormai.
Sembra quasi di udire gli scricchiolii quando Kadas si abbassa per raggiungere con le mani i suoi stivali; sembra quasi di vedere un manichino muoversi quando Kadas estrae qualcosa dall’interno dei suoi stivali. Il barlume nero alla luce della luna arride al sorrido instabile riflesso nel fuoco. Il lampo di spirito della poesia del nulla affretta la voglia di nullificare ogni passato. La compulsione segue l’accettazione della cancellazione dei propri ricordi, laddove tutto ciò che era deve essere distrutto. Non più la mente governa l’automa troppo forte per rompersi. Tra l’indice e il medio, rattrappiti e serrati, Kadas stringe un nastro, il cui colore rosso del tessuto mimetizza le chiazze di sangue infetto. Strappato via da una coppia di nastri gemelli, esso porta con sé i residui di uno scabroso passato. Il leone vede il nastro. Le sue ampie spalle cedono, schiacciate dal peso dei possenti bicipiti, che cedono; i possenti bicipiti cedono, schiacciati dal peso delle energiche mani, che cedono; le mani cedono, schiacciate dal peso della sua mente, che cede. Mai aveva tremato un leone dinnanzi ad un assassino, ma l’assassino aveva fatto ora tremare il leone. Il leone, l’uccisore selvaggio, e l’assassino, l’uccisore a freddo. Specularmente a Kadas, anche Marcus estrae un nastro, quasi identico, da sotto la sua pelle, vicino al cuore.
  • Parla ora, Kadas, dicendo parole a sufficienza per rispondermi. Chi ti ha dato quel nastro? Come sei venuto in possesso del nastro gemello di Karula che troppo a lungo ho cercato?
Nessuna parola esce dalla bocca dell’assassino stavolta. Nessuna parola è stata pronunciata sta volta, perché l’empatia è troppo forte. E così, messa al servizio di una verità sconcertante, l’empatia è complice di quel misfatto. Si limitano a fissarlo, quegli occhi distratti da un barlume nero. Ruggisce, il leone.
  • Parla!
Incalzato, ma non spaventato, dal ruggito, infine Kadas parla.
  • Fuoco.
Il fuoco più selvaggio e innaturale divampa e divora i due nastri, ardendo ogni residua briciola di un passato. Ricambiato il favore, il leone vede sconcertato le fiamme dell’oblio avvolgere e distruggere anche i propri ricordi.
  • Come ti ho detto, Kadas, ho superato il mio dolore. Ciò che hai distrutto era solo un simbolo di affetto e dolcezza. Il tuo gesto è stato superfluo e in cuor mio spero che non sia stata vendetta, altrimenti dovrei ammettere a malincuore che non solo non sei riuscito a migliorarti, ma addirittura saresti riuscito a peggiorarti.
Invertite le parti, Kadas è adesso sicuro di sé. Invertite le parti, Marcus è adesso dubbioso. Dall’alto verso il basso, Kadas, ritrovato lo spirito di assassino che aveva agli albori perduto, ritrovata assieme ad esso la forza di imporsi sul presente, ritrovato infine il coraggio di affrontare il futuro, lo scruta, pronunciando la parola che rappresentano il colpo di grazia.
  • Taccuino.
Una piuma nera è quella che usa per scrivere sul taccuino vuoto. Una piuma nera macchiata di peccato, una piuma nera pervasa da impurezza, una piuma nera che ferisce come una spada è quella che usa per scrivere sul taccuino vuoto. “Non credo che tu vorrai aiutarmi, Marcus. Io sono il più impuro tra gli impuri, non c’è salvezza per me. Dopo averci per molto tempo provato, con Aurora e senza, sono giunto alla conclusione che ella si sbagliava. Io non sono in grado di guarirmi da solo. Karula non è morta per malattia. L’ho uccisa io. L’ho avvelenata.”
Lancia con disprezzo, addosso al leone confuso, il taccuino maledetto. Il leone legge, le sue pupille svaniscono, la torre inizia a crollare. Un urlo, potentissimo, di dolore e di rabbia, un urlo dissennato, il ruggito del leone immortale spacca ogni singola pietra dell’alta torre fino a che, raggiunto l’orologio, l’immensa potenza vocale generata dall’ira sconquassa le fondamenta dell’obelisco dei ricordi. Niente di ciò che era, ormai, è ancora come prima. Digrignando i denti, a voce bassa, il leone travolto dall’istinto stritola il taccuino e sibila:
  • No adesso basta. Supererai il tuo dolore nell’oltretomba. E’ giunta la tua ora, verme schifoso.  
  
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