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Autore: Alkimia    04/07/2014    6 recensioni
[Post-TheWinterSoldier]
"La voce dell’uomo con lo scudo grida di nuovo quel nome. Dentro a un ricordo che sa di neve e paura, il Soldato sente lo sferragliare di un treno coprire le parole del suo amico, un addio che è la somma di tanti inverni.
Amico, il suo 'migliore amico', è questo che ha detto di essere. Se fosse vero, quello che al Soldato resta da provare è un sentimento che impiega qualche minuto a definire: vergogna.
Ma ciò che gli urla nella testa ora ha la voce della vendetta."

Steve ha promesso che ritroverà Bucky. Fury ha promesso che darà la caccia a ciò che è rimasto dell'Hydra. Entrambe le promesse richiedono l’aiuto dei pochi alleati di cui ci si può ancora fidare.
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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Fourteenth bullet: Al suo fianco
 
Well means, it works I'm on your side.
I said that? Well so, I lied.
Remember I tried not to be wary.
This failed me once too much.
 
GLASGOW
 
Il Soldato riemerge dal torpore. È come tornare a galla e fa male, perché man mano che riacquista coscienza sente anche il corpo indolenzito da una miriade di lividi e tagli, i muscoli irrigiditi e tesi.
Gli basta un’occhiata per capire che sono tornati nell’albergo di Glasgow, quello che lo stupisce è il viso chino su di lui.
«Mi spiace deluderti, non sono ancora morto» dice con voce impastata.
Sharon lo fissa, gli occhi spalancati e la mascella contratta. Alla fine, scuote la testa e gli avvicina un bicchiere d’acqua alle labbra.
C’è una gentilezza tesa nei suoi gesti, una gentilezza dovuta e goffa, da senso di colpa.
Non hai niente da farti perdonare, ragazza.
Al Soldato non importa neppure sapere perché lei lo ha tanto odiato, è sicuro che ne abbia avuto il diritto come ce lo ha il figlio di Howard Stark. E quella giovane donna ha dato prova di un grande temperamento se è riuscita a stargli accanto tutto quel tempo senza mai far trapelare nulla, se è stata capace di rimandare il risentimento e la vendetta.
«Mi hai salvata, da quel coltello» risponde Sharon, titubante.
Il Soldato impiega qualche istante a ricordare. Sì, lo ha fatto e non gli sembra di alcuna rilevanza.
Quello che gli sembra rilevante è l’uomo che ha ucciso in quella stanza. Arkady meritava una possibilità, la stessa che Steve ha concesso a lui. Ma non c’era tempo, il Soldato ha dovuto fare una scelta e quel rimorso nuovo, recente, si somma al bruciore di quelli passati e gli fa sentire agitarsi nei pensieri una tempesta che fa piangere lacrime che lui non sa versare.
Prova ad alzarsi e mettersi seduto, il suo corpo si ribella con un’infinità di stilettate di dolore.
«Se fai saltare qualche punto ti spacco la faccia» borbotta lei. «Natasha ci ha messo un’ora per ricucirti, ha quasi dovuto sparare a Steve per levarselo dalle scatole».
«Credo di essermi perduto una scena particolarmente esilarante».
Sharon fa un’espressione interdetta, poi si concede un mezzo sorriso. Il Soldato realizza solo in quel momento perché a Steve piaccia tanto.
«E Stark?»
«Lo hai riconosciuto?»
«Ho messo insieme i pezzi».
La ragazza annuisce. «Beh, lui e Steve si sono urlati contro per un po’. Ha un che di schizofrenico tutta questa cosa, Stark gli ha salvato la vita, ma poi ti ha quasi ridotto in frittata…».
Una volta suo padre mi ha detto che ho la scorza dura.
E io lo ucciso.
Il Soldato manda giù un altro sorso di acqua, in gola sente ancora il sapore nauseante del sangue.
«Hanno fatto pace, alla fine?» domanda con una smorfia.
«Più o meno, ma non credo che Stark ti chiederà scusa»
«Sono io che dovrei chiedere scusa a lui».
Scusa gli sembra una parola così insignificante e riduttiva. E inutile.
Sharon si passa le mani tra i capelli e si porta due ciuffi biondi dietro le orecchie. China il capo inseguendo chissà quale riflessione e cercando a fondo dentro di sé le parole per esprimerla.
«Tu non sei responsabile dei crimini del Soldato di Inverno. Lo abbiamo capito tutti noi, lo capirà anche Stark, è un dannato genio dopotutto».
Lo avete capito tutti. Anche tu
Lui volta la testa sul cuscino per mettere meglio a fuoco la sua interlocutrice. Quelle parole sanno di resa, ma è un arrendersi pieno di dignità, che non merita altro che rispetto e ammirazione.
«Quindi non è stato per il coltello?» mormora, cercando di sorriderle. Ottenere la fiducia di un altro essere umano, capire di averla conquistata con le sole proprie forze gli sembra un’impresa che avrebbe detto impossibile fino a una manciata di giorni prima.
Si chiede se un assassino possa anche essere un uomo, se possa essere altro oltre le sue mani macchiate di sangue. Non trova risposte negli occhi scuri della ragazza, ma pensa a Natasha.
«Adesso non metterti a fare lo sbruffone». Sharon gli lancia un buffo sulla spalla, senza volere lo colpisce proprio in direzione della ferita. Lui ha un sussulto. «Scusa…».
Il Soldato getta la testa all’indietro e si rilassa, fa un lungo respiro e chiude gli occhi.
«Entro stasera starò bene» dice.
«Potremmo non avere alcuna fretta. Siamo di nuovo bloccati al punto di partenza».
No, non lo sono. Solo in quel momento, il Soldato rammenta le parole scambiate con lo scienziato prima di fargli saltare la testa.
L’Hydra si sta muovendo. Stanno tornando in America ora che sanno che lì nessuno verrà più a cercarli. Boston, ha detto il vecchio.
E loro devono muoversi, in fretta. Agire, colpire… vincere anche, magari. E sopravvivere.
Sono pensieri da soldato, aridi di logica e determinazione.
«E invece no. So dove dobbiamo andare… devo parlare con gli altri». Lui fa per alzarsi, di nuovo, la ragazza lo trattiene con un gesto deciso.
«Sì, ma stai calmo» esclama, contrariata. «Puoi parlare anche da steso. Così conciato non ci sei di alcuna utilità».
La porta della stanza si apre. La bella figura di Natasha compare nella cornice di legno, sull’uscio.
«Uhm, sentivo parlare, immaginavo ti fossi svegliato» dice ostentando un tono neutro.
Sharon corruga impercettibilmente le sopracciglia e sposta lo sguardo tra lei e il Soldato. Capisce in un istante che è meglio che tolga il disturbo.
«Vado a vedere se Steve… ha bisogno di me» esclama, dirigendosi fuori dalla stanza con una velocità assai poco spontanea.
Lui la guarda allontanarsi.
Ne ha bisogno, eccome. Pensa.
«Per un attimo ho creduto che Stark ti avesse dato il colpo di grazia» dice Natasha, appena restano soli, ha un’espressione strana, diversa. «Non volergliene, per essere un genio è dannatamente impulsivo»
«È strano come tutti pensiate che sia io a dovercela avere con lui. Non so se esserne stupito o confuso»
«Beh, non è stato un gesto molto sportivo, il suo»
«Ho ucciso sua madre e suo padre». Il Soldato si illude che dirlo ad alta voce, dirlo a Natasha, possa fare meno male, ma non è così.
«Lo so» replica lei, senza scomporsi. «Ma da uno con il quoziente intellettivo di Tony ci si aspetta che faccia due più due su una cosa tanto semplice: sei con noi da giorni, se fossi ancora ostile non staremmo combattendo insieme»
«Temo tu la faccia troppo facile».
Natasha inarca un sopracciglio, attraversa la stanza e va a sedersi accanto a lui, sul boro del letto. Il materasso si abbassa impercettibilmente per il suo peso. 
Il Soldato fa ancora fatica a guardarla negli occhi. Da quando ha scoperto che lei è stata l’unica cosa bella nell’inferno delle sue memorie, gli fa male sostenere il suo sguardo. Ma cedere alla tentazione di raccontarle tutto sarebbe meschino e lui ha fin troppi scheletri nell’armadio per concedersi ancore altre azioni scorrette.
Il suo sguardo scivola piano sul profilo della donna, la schiena diritta, il collo sottile, la cascata di capelli rossi. Pensa ci siano altre tentazioni a cui resistere, e forse sono peggiori e più dolorose della verità. Stringe il pugno del braccio sano sotto al lenzuolo: sa che non ha nessun diritto di pensarla sua.
«Beh, con Sharon sembra che tu abbia fatto pace» gli dice lei. E l’uomo capisce che Natasha conosce esattamente il motivo per cui Sharon Carter ce l’aveva con lui. Non crede di essersi guadagnato il diritto di domandare.
«Non so chi le ho ucciso, ma pare di sì».
Natasha, dal canto suo, ritiene che lui debba continuare a non saperlo.
«Se riescono a perdonarti gli altri, non vedo perché non possa farlo anche tu»
«Cominci a parlare come Steve, hai idea di quanto questo ti renda poco attraente?»
«Steve è molto attraente, in realtà».
Ridono piano. A lui non importa se la risata gli rimbalza nel petto e gli procura altre fitte, il sorriso si accorda a quello di Natasha e va da solo. Si chiede se era per questo che lui l’aveva amata così tanto, non può essere stata solo la sua bellezza perfetta da felino a fare breccia attraverso la corazza del mostro.
«Come va il braccio?».
Il fottuto braccio che non ha retto Steve
«Credo non funzioni più bene» ammette, sconfortato.
«Troverò qualcuno che convinca Stark a dargli un’occhiata. Se glielo chiedo io, sarebbe capace di dirmi di no per dispetto, una volta glielo fatta sotto il naso e il suo cervello di genio non me l’ha ancora perdonata».
È confortante sapere che Tony Stark non è tipo da essere incline al perdono.
Deve essere come uno di quei fantasmi che se lo nomini troppe volte poi compare sul serio, perché ora il figlio di Howard spinge la testa nella stanza e lancia un’occhiata all’interno, attraverso la porta schiusa.
«Ho interrotto qualcosa?» borbotta.
«Come se ti interessasse…» sospira Natasha in un filo di voce.
L’uomo entra senza aspettare di essere invitato e si chiude la porta alle spalle; apre e chiude più volte la bocca come a iniziare un discorso, come uno di quei monologhi provati davanti allo specchio. Il Soldato lo guarda, in attesa. 
Alla fine, Stark fa uno sbuffo, come se avesse deciso di mandare all’aria ogni tentativo di diplomazia - che non sembra essere il suo forte, in ogni caso.
«Non dirò che mi sia dispiaciuto spalmarti sul quel muro, perché francamente è stato molto divertente, e poi dovevo testare a dovere i propulsori ora che le armature funzionano con un reattore Arc esterno».
Comprensibile. La parte dell’essere spalmato sul muro almeno, la seconda parte del discorso è quasi arabo.
Al Soldato non resta che guardarlo, un po’ confuso, e lasciarlo finire.
«Comunque, giuro sul bianco dei calzini di Rogers che non ti attaccherò più senza ragione»
«Avevi tutte le ragioni, Stark»
«No, cioè non proprio, Popeye. Ho riflettuto, e sì, in genere lo faccio molto rapidamente: non è con te che devo prendermela per l’incidente, ma con l’HYDRA. E tu mi servi, ci servi, per farle il culo a strisce quindi… beh, la mia simpatia è proverbiale e…»
«Nessuno ha detto che sei in squadra» dichiara Natasha melliflua, sbattendo le ciglia. Ma si capisce che è solo un’affermazione retorica, e che Stark non è il tipo da avere bisogno di un invito né del permesso di chicchessia.
«Oh, ma per favore. Vi serve qualcuno per decripitare il pen-drive che non sei riuscita a leggere. E poi chi farà il discorsetto a Rogers ora che si è trovato la ragazza?».
Natasha scuote la testa.
«A proposito del pen-drive, agente Romanoff, se vuoi essere così gentile da andarlo a prendere, potrei cominciare a mettermi a lavoro mentre il nostro amico si riprende, così risparmiamo tempo».
Lei esita, riflette un istante se è prudente lasciare loro due soli in una stanza, ma evidente si fida abbastanza di Stark da credergli sulla parola quando ha detto che non attaccherà più il Soldato senza motivo. A pensarci, sembra una frase aperta a fin troppe interpretazioni, ma Tony Stark è evidentemente troppo intelligente per mettersi a fare casino in un albergo e rischiare di attirare l’attenzione su tutti loro.
Alla fine, Natasha esce dalla stanza e li lascia soli.
Tony si volta un istante a guardarla mentre richiude la porta dietro di sé.
«Sai, crede di non starmi simpatica. Si sbaglia» dice.
«Buon per lei, ho idea che la vita diventi molto difficile per quelli che non ti stanno simpatici» replica il Soldato con un’alzata di spalle.
In tutto quel trambusto si è dimenticato di parlare a Natasha di Boston e del fatto che devono ripartire il prima possibile per l’America. 
Stark fa dondolare la testa in un vago cenno di assenso. «So di te e lei, della Russia. Vedi di non fare casini» conclude lapidario, prima di uscire anche lui dalla camera.
 
***
 
Dentro la loro stanza, Sharon è seduta sul bordo del letto a esaminare un borsone di armi che Natasha ha portato via dal palazzo, prima di darlo alle fiamme.
Isolato com’è, quel posto sarà cenere prima che qualcuno noti l’incendio e arrivino a spegnerlo.
Steve non ha fatto domande, ma l’accanimento di Natasha contro quella base deve avere ragioni che affondano nel suo passato fatto di ombre nere e bandiere rosse.
«Come stai?» chiede invece a Sharon, andandosi a sedere accanto a lei.
La ragazza sorride. «Ripeti così spesso questa domanda che mi viene da pensare che avresti dovuto fare il medico»
«Volevo farlo, ma non c’erano abbastanza soldi per mandarmi al college».
Perché Steve Rogers è anche questo, è il suo passato, quello lontanissimo che gli urla nel petto ogni volta che si sente stanco e gli ricorda da dove viene, chi era, chi deve essere.
Quello che è Captain America è sempre stata una scelta, mai un destino. Per questo ci crede così tanto, ancora, nonostante tutto.
«Tu piuttosto, come stai? Sei quasi morto, di nuovo. Bucky è quasi morto, di nuovo». La ragazza gli posa delicatamente una mano sull’avambraccio.
«Sai com’è, dopo un po’ ci si abitua» Steve fa una mezza smorfia. «A proposito, grazie per esserti presa cura di lui mentre io e Natasha cercavamo di far ragionare Stark»
«Non è un cucciolo indifeso a cui fare da balia, lo sai vero?».
No, non lo è, lo sa. Ma ogni volta che lo guarda riesce a vedere la carne viva di tutte le sue ferite, nervi scoperti che lo rendono così fragile che lui non riesce a non avere paura. I suoi pensieri su Bucky lo fanno sentire così in bilico, sono pensieri sparsi in un campo minato.
La sortita di Tony glielo ha ricordato con una certa veemenza.
Quando lui era un ragazzino rachitico perennemente a caccia di guai, Bucky lo ha difeso ogni singola volta, lo ha salvato dalle conseguenze della sua testardaggine. Captain America non è stato in grado di proteggere il suo amico di sempre quando l’occasione lo ha richiesto.
Immagina un domani in cui ci sarà di nuovo la pace e la calma e lui potrà prendersi cura del suo amico con l’impegno e la dedizione che la questione richiede. Poi però si rende conto che non sa da che parte cominciare, che Bucky è come un vaso rotto, anche se si rimettono insieme i pezzi resteranno sempre i segni delle fratture e forse qualche frammento è andato perso per sempre.
Non è colpa tua, Steve
Sono le prime parole che ha sentito al riguardo. Glielo disse una Natasha esausta e sanguinante mentre le squadre STRIKE li portavano via da Washington ammanettati e sconfitti.
Non è colpa sua, ma Bucky è e sempre rimarrà il suo più grande rimorso. È una consapevolezza che scavalca ogni logica, contro la quale Captain America non ha scudi per difendersi.    
Poi incontra gli occhi di Sharon, fuori da quel turbinio di pensieri che fanno male. La guarda in viso, vorrebbe baciarla di nuovo, vorrebbe restare lì a non fare nient’altro che baciarla.
Avvicina il viso al suo con un lentezza che sembra chiedere il permesso, ne sente il respiro sulle guance.
«Steeeve!». Tony Stark bussa con forza alla porta ed entra senza aspettare che gli rispondano. «Oh, accidenti, oggi sembra che io non sia capace di non rovinare momenti di coppia, ma avete ancora i vesti addosso quindi non mi sento troppo in colpa».
Steve aveva quasi scordato che con lui in giro è tutto molto più complicato.
«Che cosa c’è?» gli chiede, cercando di mantenere la calma. Nota che ha uno zaino a tracolla, sembra fatto di un qualche materiale uscito fuori da un film di fantascienza, e tiene un computer portatile su un braccio - diverso da tutti quelli che Steve ha visto in giro, sullo schermo si riesce a intravedere la barra di caricamento di un programma.
«Il tuo amico Sam mi ha detto di dirti che Natasha ha detto di dirmi se do una controllata al braccio del tuo amico».
Steve inspira e conta fino a dieci. «Non pensavo fossimo all’asilo»
«Ha cominciato la Romanoff!» lo rimbecca Tony con il suo tono da bambino petulante. «Credevo volessi assistere. Prima, mentre Natasha lo ricuciva sembravi mamma chioccia… quella è una mitragliatrice?»
«È un fucile a canne mozze» risponde Sharon, abbassando lo sguardo sul borsone con le armi. «Vuoi vedere come funziona?»
Stark arriccia le labbra. «Vieni o no, Rogers? Pensavo di dare un’occhiata a quel braccio mentre il computer finisce di decriptare il pen-drive»
«Lo stai già decriptando?»
«Con chi credi avere a che fare?».
Con lessere umano più impossibile sulla faccia della terra.
Steve lancia a Sharon uno sguardo di scusa e si alza per seguire Tony fuori dalla stanza. Lo sguardo euforico che gli brilla negli occhi non gli piace nemmeno un po’.
 
***
 
Tony Stark sente l’impellente bisogno di un drink, di quelli come si deve, preparati con il meglio del meglio che tiene stipato nel mobile bar di casa sua.
Sta ponderando la possibilità di scrivere un sms a Banner per fargli sapere che finalmente metterà le mani sul braccio meccanico del Soldato di Inverno - quel braccio è stato il loro argomento di conversazione preferito, una volta terminata la maratona di Breaking Bad. Nel fascicolo che hanno letto, non c’erano molte spiegazioni tecniche al riguardo e loro hanno passato serate interminabili a cercare di indovinare quale tipo di tecnologia lo rendesse così figo.
Perché il braccio è una figata. Il tizio a cui il braccio è attaccato, beh…
Se potesse avere il suo drink forse riuscirebbe a mettere meglio a fuoco i propri pensieri al riguardo. A guardarlo, un po’ gli ricorda il caro Rogers di due anni prima: un ragazzone dall’aria sperduta, con occhi da cucciolo che stenderebbero un intero esercito di maestre di scuola - e fa ancora più tenerezza di Rogers, perché, questo bisogno dirlo, ne ha passate di peggiori. E merita di avere la sua parte nel prendere a calci in culo l’HYDRA, o quello che ne resta, o quello che è diventata adesso, e per fare questo merita di essere preservato in salute - sia fisica che psichica, possibilmente.
Ecco, è il momento in cui Tony si scopre intenerito e protettivo verso il Soldato di Inverno che prende atto di quanto grande e urgente sia il suo bisogno di avere quel drink.
Sono cose che provengono da una parte del suo cervello di cui lui non conosce i meccanismi.
L’altra parte del suo meraviglioso cervello da milioni di fatturato annuo gli ripete che, ehi, quello è pur sempre il tizio che ha provocato l’incidente in cui sua madre e suo padre hanno perso la vita. E poi, la voce della sua coscienza, che ha preso a parlare con il tono pomposo di Captain Teddy Bear, rimarca un concetto che nessuna coscienza potrebbe ignorare: non era in sé quando è successo.
Tu potresti forse incolpare te stesso di tutte le cazzate che hai fatto da ubriaco?
Non è mica la stessa cosa. Ma mi piace sentire la voce di Rogers che dice parolacce
Sei grosso con larmatura, tolta quella che cosa sei?
Eh no, caro il mio grillo parlante, questo è giocare sporco.
Che razza di coscienza di merda dev’essere una che gli riporta alla mente la domanda che più di tutte lo ha tormentato dopo la battaglia di New York?
Steve Rogers gli tiene aperta la porta per lasciarlo entrare nella stanza dove il Soldato se ne sta a riposare.
Maledetto sia Captain America e il suo cuore senza macchia e senza paura. E maledetto sia il musetto da coniglietto del suo amico smemorato.
Il Soldato socchiude gli occhi velati di stanchezza e guarda Tony mentre appoggia il laptop sulla scrivania sgangherata in un angolo della stanza. Non cerca lo sguardo di Steve per chiedergli se sia tutto a posto, sembra essere fiducioso, o forse è solo rassegnato.
«Dobbiamo tornare in America» dice, dal nulla.
«Come?». Steve si ferma ai piedi del letto.
«L’Hydra è a Boston - almeno, spero che sia proprio Boston»
«È tipo un delirio da shock post-traumatico, una visione mistica o cosa?» chiede Tony, cominciando a estrarre gli attrezzi del mestiere dal suo zaino.
«Me lo ha detto lo scienziato che ho incontrato nella palazzina»
«Quale scienziato?». Steve sembra essersi perso qualche passaggio - tipico di lui, del resto.
«È una lunga storia. Dobbiamo tornare in America»
«Mi piace l’idea, almeno giochiamo in casa» replica Tony. Estrae un palmare targato Stark e manda un messaggio a Happy, che gli faccia avere quanto prima il suo aereo. «Ma prima di una dozzina di ore non ce ne andremo da qui, anche i miei aerei hanno le loro tempistiche. Intanto, diamo un’occhiata a quel braccio».
Il Soldato volta il capo sul cuscino, nella sua direzione
Ragazzo, devi farti una doccia e mangiare qualcosa
Ragazzo un corno. Quanti anni ha, novanta, novantacinque?
«Grazie, Stark»
«Sì. Ora che abbiamo avuto un altro assaggio della buona educazione degli anni Quaranta - come se Rogers non ce ne abbia già fatto fare indigestione - dimmi una cosa, Jon Snow, come ti chiamano i tuoi amici vecchi e nuovi?»
«Pare che a Steve piaccia Bucky»
«Tutto questo è molto romantico».
Tony muove le dita come un pianista che si prepara a eseguire un assolo. Passa il palmare per tutta la lunghezza del braccio e aspetta che il dispositivo faccia i suoi rilevamenti.
«Ha pure i sensori tattili, wow, non ci siamo fatti mancare niente» esclama, senza badare a quanto la sua voce stia suonando improvvisamente stridula.
«E non suona con i meta detector. Ma non ti saprei dire come»
«È per un dispositivo che genere un campo elettrostatico che…» Tony guarda prima Bucky, poi Steve. «Non importa, tanto voi non parlate la mia lingua. Ah, dov’è Banner una volta che poteva essere utile!».
Sfiora con la punta di un sottilissimo cacciavite una placca a metà della curva del bicipite artificiale, le parti del braccio si sollevano come lo sportellino per le pile di un giocattolo a batteria. Tony guarda all’interno come se fosse la cosa più bella che abbia mai visto - è sicuramente una delle cose più belle che abbia mai visto, anche se Pepper detiene il primato assoluto. 
«Oh, alla fine è una sciocchezza» esclama, scrollando le spalle e fa cenno a Steve di avvicinarsi e guardare. Il Capitano sembra provare una sottile repulsione per quel macchinario, forse perché pensa al motivo orribile per il quale è stato costruito, ma la nasconde bene.
 «Ogni tanto, se lo si usa troppo senza manutenzione, i fili si accavallano a causa dei movimenti e creano dei falsi contatti che non fanno arrivare la giusta forza alle dita della mano e alla parte tra il gomito e il polso. Se io ora faccio così…».
Tony sposta due fili grigi proprio come vene. Si sente un leggerissimo ronzio elettrico e il Soldato si contrae e si morde le labbra per non urlare.
«Nervi ed elettricità, una pessima combinazione» conclude Tony con noncuranza. Steve sbuffa, dilatando le narici e lo guarda in cagnesco. «Un attimo di pazienza, Bucky, e sistemo tutto»
«Credo che vada disattivato il collegamento con l’innesto nella spalla, prima» dice il Soldato, ostentando tutta la calma e la pazienza di questo mondo - educazione stile anni Quaranta, neppure decenni di crioterapia possono levartela dalla testa.
Certo che va disattivato il collegamento con linnesto nella spalla, lo sa benissimo, lo aveva capito ancora prima di aprire quell'affare. Ma Tony Stark ha bisogno di mezzo minuto di vendetta, poi dopo tornerà a preoccuparsi di quanto tenero e bisognoso di protezione gli riesca a sembrare il povero caro Bucky ora che si sta dedicando ad attività più costruttive dell’omicidio seriale su commissione.
Incurante delle proteste di Steve e dei gesti di dolore del Soldato, Tony finisce di sistemare i fili e poi richiude gli sportellini.
«Non penso che gli ingegneri dell’HYDRA non si fossero accorti del problema» dice dopo qualche minuto, continuando a guardare il braccio e a leggere le informazioni ottenute dalla scansione con il suo palmare. «Credo che lo abbiano lasciato così per fare in modo che tu avessi sempre bisogno della loro manutenzione e non ti facessi venire idee da adolescente in piena fase di ribellione. Ma prometto che appena torniamo a casa, do una sistemata alla faccenda».
Il Soldato lo guarda senza dire niente, la fronte ancora velata di sudore per il male sopportato.
«Signore, il decriptaggio dei file che aveva richiesto è completo» trilla la voce di Jarvis dal laptop appoggiato alla scrivania.
«Sii gentile, Capitano, passami quell’affare».
Steve lo guarda con un’alzata di sopracciglia, ma obbedisce. Tony si appoggia il computer sulle ginocchia e apre le cartelle di dati ora finalmente accessibili.
Sente su di sé gli sguardi degli altri due nella stanza, si rende conto che la sua espressione si sta facendo sempre più preoccupata e cupa.
Porco cazzo!
Spalanca gli occhi e alza la testa di scatto.
«Chiama gli altri, Steve» esclama, atterrito. Stavolta non c’è nessuna ironia, nessuna traccia del suo tono dispettoso e petulante. Il Capitano registra subito la gravità della situazione.
«Cosa è successo?» gli chiede.
«Quei dannati figli di puttana».
 

 
 
 
 
 
La citazione iniziale è dal brano Milquetoas degli Helmet.
Dato che non lo faccio mai, oggi vorrei lasciare un doveroso grazie a tutti voi che leggete ^_^
A venerdì prossimo con l’aggiornamento. 
   
 
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