Capitolo 3: Nami & Zoro
L’uomo ha la sua alchimia.
Dal nulla riesce a far nascere la vita.
Un sasso informe, diventa la pietra portante di una città.
La sua guerra rende una nazione libera e potente.
Il dolore più estremo, diventa amore incondizionato.
Un sobbalzo, e Nami sbuffa ancora.
-Questa linea fa schifo- borbotta, contando con il pensiero le gocce di pioggia che si infrangono contro il finestrino -È piena di buche-
Due braccia possenti e forti, la stringono a un petto grande e caldo, scaldandola e proteggendola dalle buche della stadia.
Non sono più loro a farla scuotere di vita.
-Potevamo prendere la macchina- le ghigna in un orecchio, accarezzandole le braccia .
-No- fissa Zoro, strusciando il nasino freddo contro la sua gola -È successo qui-
Lo sente sghignazzare, e muoversi su di lei, scivolando sui sedili grigi e pieni di acari, bagnandola, con la giacca fradicia per l’acquazzone che li ha sorpresi mentre montavano sul tram.
Lo sente strusciarsi su di lei, abbracciarla con forza, accarezzarle il ventre in crescita e baciarle la gola leggerete bagnata.
Lo sente muoversi.
Non è più fermo.
È vivo, e si muove con lei lungo la strada tortuosa della vita, spesso rovinata da buche incolmabili, in cui cadono entrambi, ma ora è più facile venirne fuori, perché non sono più uomini primitivi nella savana.
Sono due uomini primitivi.
E se uno guarda le spalle dell’altro, è più facile capire se è il vento a muove il canneto o una belva feroce.
E se è una belva feroce, la si può sconfiggere insieme.
-Il vecchio Genzo non si arrabbierà se tardiamo?- le morde un labbro, baciandola piano.
La vede sorridere, ma non piange, e può solo pensare che il suo sorriso, è la cosa più bella del mondo.
-Papà sapeva che dovevamo prima fermarci da mamma e Kuina- scrolla le spalle, baciandolo dolcemente.
Sente la bocca di Zoro ghignare, sorridere e muoversi contro la sua, infilando la lingua nel suo palato a baciarla con passione.
-… e poi…- sussurra piano, passando un mano tra i capelli verdi e bagnati -… devono vederla-
Zoro ghigna ancora, gli è ormai impossibile non farlo, e accarezza il pancino di quattro mesi della compagna.
È una bambina, lo sanno già senza che il medico glielo dica.
Si sentono certe cose, quando vuoi bene a una persona.
Stanno in silenzio per il resto del viaggio, stringendosi per mano.
Fissando, guardando, studiando il loro riflesso sul finestrino bagnato di pioggia.
Vera pioggia.
Anche se stanno fermi a fissare la vita riflettersi sul vetro, da loro verso l’oltre che è nel traffico cittadino, non hanno più voglia di restare immobili.
La vita a volte ci da dei pungi micidiali nello stomaco, spezzando il respiro e rompendo qualche osso, lasciandoci poi annegare nel nostro dolore.
A volte.
Altre invece, sembra quasi un contro senso, ci butta a terra non per ucciderci ma per farci rialzare sempre più forti di quando siamo caduti.
A volte cadiamo soli, e ci rialziamo in coppia.
A volte cadiamo ai due lati opposti del mondo, ma ci rialziamo nello stesso istante e luogo.
A volte cadiamo e invece che affogare, ci ritroviamo a galleggiare mano nella mano con quello che da sempre cerchiamo.
A volte.
Perché la vita è così: a volte fa la stanza, con il solo obiettivo di farci guardare indietro e osservare se, nel canneto, c’è la belva o il vento.
Fa così, e basta.
Fa così, perché è semplicemente lei.
È Vita.
L’uomo ha la sua alchimia.
Dal nulla riesce a far nascere la vita.
Un sasso informe, diventa la pietra portante di una città.
La sua guerra rende una nazione libera e potente.
Il dolore più estremo, diventa amore incondizionato.
Un sobbalzo, e Nami sbuffa ancora.
-Questa linea fa schifo- borbotta, contando con il pensiero le gocce di pioggia che si infrangono contro il finestrino -È piena di buche-
Due braccia possenti e forti, la stringono a un petto grande e caldo, scaldandola e proteggendola dalle buche della stadia.
Non sono più loro a farla scuotere di vita.
-Potevamo prendere la macchina- le ghigna in un orecchio, accarezzandole le braccia .
-No- fissa Zoro, strusciando il nasino freddo contro la sua gola -È successo qui-
Lo sente sghignazzare, e muoversi su di lei, scivolando sui sedili grigi e pieni di acari, bagnandola, con la giacca fradicia per l’acquazzone che li ha sorpresi mentre montavano sul tram.
Lo sente strusciarsi su di lei, abbracciarla con forza, accarezzarle il ventre in crescita e baciarle la gola leggerete bagnata.
Lo sente muoversi.
Non è più fermo.
È vivo, e si muove con lei lungo la strada tortuosa della vita, spesso rovinata da buche incolmabili, in cui cadono entrambi, ma ora è più facile venirne fuori, perché non sono più uomini primitivi nella savana.
Sono due uomini primitivi.
E se uno guarda le spalle dell’altro, è più facile capire se è il vento a muove il canneto o una belva feroce.
E se è una belva feroce, la si può sconfiggere insieme.
-Il vecchio Genzo non si arrabbierà se tardiamo?- le morde un labbro, baciandola piano.
La vede sorridere, ma non piange, e può solo pensare che il suo sorriso, è la cosa più bella del mondo.
-Papà sapeva che dovevamo prima fermarci da mamma e Kuina- scrolla le spalle, baciandolo dolcemente.
Sente la bocca di Zoro ghignare, sorridere e muoversi contro la sua, infilando la lingua nel suo palato a baciarla con passione.
-… e poi…- sussurra piano, passando un mano tra i capelli verdi e bagnati -… devono vederla-
Zoro ghigna ancora, gli è ormai impossibile non farlo, e accarezza il pancino di quattro mesi della compagna.
È una bambina, lo sanno già senza che il medico glielo dica.
Si sentono certe cose, quando vuoi bene a una persona.
Stanno in silenzio per il resto del viaggio, stringendosi per mano.
Fissando, guardando, studiando il loro riflesso sul finestrino bagnato di pioggia.
Vera pioggia.
Anche se stanno fermi a fissare la vita riflettersi sul vetro, da loro verso l’oltre che è nel traffico cittadino, non hanno più voglia di restare immobili.
La vita a volte ci da dei pungi micidiali nello stomaco, spezzando il respiro e rompendo qualche osso, lasciandoci poi annegare nel nostro dolore.
A volte.
Altre invece, sembra quasi un contro senso, ci butta a terra non per ucciderci ma per farci rialzare sempre più forti di quando siamo caduti.
A volte cadiamo soli, e ci rialziamo in coppia.
A volte cadiamo ai due lati opposti del mondo, ma ci rialziamo nello stesso istante e luogo.
A volte cadiamo e invece che affogare, ci ritroviamo a galleggiare mano nella mano con quello che da sempre cerchiamo.
A volte.
Perché la vita è così: a volte fa la stanza, con il solo obiettivo di farci guardare indietro e osservare se, nel canneto, c’è la belva o il vento.
Fa così, e basta.
Fa così, perché è semplicemente lei.
È Vita.