Come Secchan si fece furbo
Quello stupido ragazzino si aggirava
iperventilando per la casa.
-Meelee… Meelee…- gemeva, gli occhi vuoti come un
drogato e le mani tese.
-Mele non c’è. È uscita. Torna tardi.- Sesshoumaru
gli diede il colpo di grazia.
Il ragazzo boccheggiò. Per un momento sembrò
stesse per svenire lì, nel centro della sala.
Poi si riscosse. –Ah. Ok.- Si
girò, aveva le spalle così curve che le mani ciondolavano davanti alle
ginocchia.
Sesshoumaru, con i suoi occhiali dalla montatura nuova (perché
all’altra aveva mordicchiato tutte le stanghette) assunse la sua migliore posa
da intellettuale (altro che Richard Gere).
Se il ragazzo si fosse gettato
dalla finestra per disperazione? Avrebbe dovuto far sparire i resti, o Mele si
sarebbe arrabbiata.
Se c’era quello di mezzo, Mele si arrabbiava spesso con
lui.
Lasciò perdere momentaneamente la sistemazione del suo CV (non dice mai
“curriculum”, perché CV fa più figo).
-Ehi.-, il nome, il nome! Fischiò per
richiamarlo indietro.
Sentì una porta sbattere, il rimbombo di una corsa.
–Meelee!!-
-Mele non c’è, ti ho detto.-
No, eh… NO. Se si faceva venire
una crisi isterica ora che erano a casa da soli, lo avrebbe affogato, lo avrebbe
avvelenato con le sue stesse varie lozioni per il corpo (che schifo, un
ragazzino che puzza peggio di una pasticceria dentro un centro
termale).
-Cosa vuoi da lei?
Quello si dondolava, e le sue braccia
facevano un po’ impressione, così morte.
-Devo andare a
danza.-
Sesshoumaru arricciò il naso. –Eh. Che problemi ci
sono?-
-Servizio sospeso!!-
Lo fissò da sopra gli occhiali. Ma lui era già
così sconvolto, che non ottenne nulla.
-Cioè?-
-Non ci sono i
pullman!!-
-Eh.-
-“Eh.” ?!-
Gli faceva il verso?!
-Come faccio ad
andare in città se non ci sono i pullman?!-
-Perché, pensi che lei ti possa
accompagnare fino in città? Non. Ha. La. Patente., ricordi? Non ha neanche
un’auto, per questo.-
-Sì, però lei ha tutti quegli amici…-
Sesshoumaru
strinse gli occhi. –Quali amici?-
-Bill, per esempio. Bill ha la D. Bill ha
un camion!-
Scosse la testa, pedante come al solito, e fece per ricordargli
che Bill i camion li guidava, ma visto in che stato mentale il poveretto
versava, soprassedé. Sospirò.
-Quando.-
-Cosa?-
-Quando devi andare a…
a quella cosa!-
-Domani. Domani, ore cinque e mezza, fino alle sette, in
via…-
-Sì, sì, gli estremi dopo. Ti porto io.-
-Co…cosa?-
-Ti porto io,
con la mia macchina.-
L’espressione mutò sul suo viso simultaneamente con le
ultime sillabe di “macchina”. Il ragazzo si gettò in avanti e Sesshoumaru si
preparò a scattare indietro, perché quell’idiota poteva benissimo avere in mente
di saltargli in braccio.
Fece di peggio.
Si buttò per terra, scivolando
fino a lui, gli abbracciò le ginocchia e ci premette contro il viso.
-Grazie,
grazie, ti farò il caffè fino a fine mese, ti porterò le ciabatte, sarò il tuo
schiavo personale finch…-
-Smettila.- Ecco, meglio evitare che facesse
affermazioni che nella sua piccola mente bacata avrebbero potuto avere reconditi
significati sessuali. Rabbrividì mentalmente.
-E staccati dai miei pantaloni.
Dio solo sa quali porcherie ti sei spalmato in faccia.-
Mele tornò verso le sei di sera, con una borsa
grande con dentro altre tre piccole più una nuova borsetta di stoffa, e i piedi
che a suo dire stavano per riempirsi di lividi.
Il ragazzino le saltellava
attorno come uno di quei cagnolini da salotto (Sesshoumaru si sentì
infinitamente superiore, in quel momento), e guardarono i libri, i
fumetti, le cose per i capelli, la maglietta rosa confetto della stessa
marca della borsa, ma ti rendi conto, finché non andò da loro cercando
di sopportare quel chiocciare per ricordare che era ora di cena.
Mele preparò
una cosa orrenda con mozzarella, pomodori, basilico, cetriolini e tonno
frullato, ma Sesshoumaru si sentiva troppo depresso per
lamentarsi.
-Sei stato gentile con Manenglî,
oggi.-
Frusciare di lenzuola.
Sesshoumaru proprio non riusciva a
dimenticare che quel nomignolo aveva a che fare con il miele (che
ribrezzo).
La sua mano calda sul fianco nudo. Mele si avvicinava così di
rado, quando faceva caldo.
-Sì. Era… sconfortato.-
-Povero!- La mano si
tolse. Sesshoumaru si accorse con terrore che lei stava per alzarsi. La
acchiappò all’ultimo momento.
-Ehi. Gli è passata, non ricordi?- Già. Lui
avrebbe voluto scordare l’immagine di quello che saltella come una capretta per
i corridoi (e quando si era fatto portare il caffé gli era proprio sembrato che
scodinzolasse).
-Sei stato davvero carino.-
Abbracciare Mele. Tutta quella
carne morbida dove affondare le dita (mordicchiarne un pezzetto. Pensava che
quella cena lo avesse sfamato?).
-Lo so. Tu me l’hai chiesto, e io cerco di
farlo.-
Mele si sarebbe commossa? Quando c’era quello di mezzo, Mele si
commoveva spesso.
-Oh, quanto sei un tesoro!-
Ecco fatto. Il seno di Mele
premuto sul petto. Non troppo, grazie, o toglie il respiro.
C’era da chiedere
perché preferiva che lei stesse sotto?
-Mele, non fa tanto caldo, stasera,
vero?-
-Aha. Vuoi che prenda la copertina?-
Sesshoumaru scosse piano la
testa. Ridere? Piangere? Prenderla con filosofia?
Le sollevò la maglia fino
alle spalle e la fece riaccomodare sul materasso.
La maglietta cadde vicino
alla gatta, che scappò via.
Mele si permise un “Oh” di
comprensione.