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Autore: Niallsdonut    05/07/2014    15 recensioni
"Hei frocetto"
Uno scatto in avanti, un morso letale alla giugulare, il veleno acido che gli sgorgava nel cuore.
Buio.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Heart of Darkness

 

 

 

 

- The Light Blue of The Past

 

Cameron scese i quattro gradini che portavano al vialetto ciottolato del suo giardino. Lo percorse a passo sostenuto e arrivò al cancelletto bianco, che aveva dipinto col padre un paio di anni prima. Ora, la vernice che lo ricopriva cadeva a grandi pezzi sul giardino. Lo aprì e uscì fuori.

Era una bella giornata, seppur il clima fosse abbastanza freddo, una rarità per l'autunno californiano. Di solito potevi andare in piscina fino ad ottobre inoltrato, ma quell'anno ai primi di novembre dovevi già metterti il cappotto.

Cameron amava il freddo. Non doveva preoccuparsi di mettere magliette troppo strette o pantaloncini corti, anche se aveva un fisico degno di nota. D'inverno poteva mettere una delle sue innumerevoli felpone slargate, che gli coprivano anche le mani. Amava inoltre mettere scarponi grossi, come le Dottor Martens o le Timberland, che non si adattavano molto ad un'estate in California.

La scuola distava poco più di un kilometro, e a piedi sarebbe riuscito ad arrivare lì almeno cinque minuti prima che suonasse la campanella. Cameron era quel tipo di persona che, se aveva un appuntamento, arrivava al luogo prestabilito con mezz'ora di anticipo. Odiava far aspettare la gente quanto odiava aspettare.

I pensieri del ragazzo viaggiavano senza freni mentre le foglie marroncine iniziavano a staccarsi. Continuava a domandarsi il motivo di quell'autunno così precoce, senza trovare risposta.

In men che non si dica, si ritrovò davanti ai mastodontici cancelli aperti della North High School, la sua nuova scuola per il suo ultimo anno, dopodiché sarebbe partito per il college.

La struttura comprendeva un grande edificio arancione, che si distribuiva su un ampio giardino, circondato da un alto muro di pietra, interrotto a tratti irregolari da dei cancelli che permettevano l'entrata diretta a diversi punti della scuola.

Nel giardino principale, quello che dava sull'entrata della scuola, numerosi gruppi di ragazzi sostavano aspettando il suono della campanella, parlando ad alta voce e ridendo.

Cameron non era mai stato il tipo da gruppo di amici, ma più il tipo che se ne stava solo per i fatti suoi. Non era mai stato bravo a fare amicizia, anche se qualche amico lo aveva avuto, in passato. Ma dopo l'incidente che lo fece cadere in una profonda depressione all'età di soli sette anni, le cose erano peggiorate drasticamente. Erano statti anni duri, quelli, passati a spostarsi dalla poltrona di uno psichiatra ad un'altra. Non si ricordava nemmeno il nome del suo amico, tanto meno la faccia. Sapeva solo che erano amici da quando suo nonno era morto. Amava suo nonno, ancora più dei genitori. Al suo funerale, stette tutto il tempo fuori in giardino sotto un albero, a piangere e a schiacciare i piccoli insetti che bazzicavano nel suo prato. Ad un certo punto, comparve un bambino, circa della sua età, che si sedette accanto a lui, e che iniziò a parlare del più e del meno, cercando di tirarlo su di morale. Da quel giorno erano stati sempre insieme, fino a quando, un giorno d'autunno, una macchina perse il controllo per via della strada bagnata e schiacciò la testa del ragazzino. Cameron avrà per sempre in testa la visione del cranio del suo amico schiacciato come un cocomero e il suono prodotto da esso, un terribile suono di ossa rotte.

Dovette strofinarsi gli occhi per scacciare dalla mente quella visione. Non doveva pensarci, doveva iniziare a indirizzare la sua mente verso altre cose, come gli avevano consigliato i suoi vecchi psichiatri.

Si soffermò allora a guardare i variopinti murales che costellavano le mura della scuola, fatti dagli alunni della sezione di arte. Ma non fece in tempo a decifrare una scritta che un ragazzo alto e muscoloso apparve dietro di lui e gli mise una mano sulla spalla.

"Heilà", disse con voce chiara ma comunque agghiacciante.

Cameron saltò per lo spavento, e si girò di scatto, cercando di calmare il suo cuore che aveva preso a battere come un tamburo.

"H-hei", disse in risposta.

"Tu devi essere quello nuovo, vero? Girava voce di un nuovo ragazzo in città, e sapevo per certo che saresti venuto in questa scuola. Io sono Noah, e questi dietro di me sono i miei amici".

Cameron si accorse solo in quel momento dei quattro o cinque ragazzi dietro le spalle di Noah. Erano grossi quando lui, e tutti sfoggiavano un ghigno sbilenco sulle labbra.

"Non vogliamo spaventarti per nulla, ma sappi che qui in giro comandiamo noi. Per cui, non azzardarti a fare nulla che vada contro le nostre volontà, e non avrai noie. Intesi?".

L'ultima parola venne quasi sputata da Noah.

"Intesi", rispose Cameron, il cui unico desiderio era quello di sparire lì, seduta stante.

"Bene", rispose Noah, che sorpassò Cameron e si diresse dentro i cancelli della scuola, seguito dalla sua combriccola.

Cameron stava sudando freddo. Non era la prima volta che aveva a che fare con i bulli, ma questi potevano bullizzare senza problemi i bulli che lo avevano preso di mira gli anni precedenti.

La campanella suonò, e Cameron si decise finalmente ad entrare nella scuola.

Appena dentro la struttura, si diresse verso la reception, che era appena dietro il primo angolo a sinistra. Qui sedeva una signora sulla settantina, che alzò appena lo sguardo per guardare il ragazzo.

"Cameron Dallas?", chiese.

"Sì, sono io".

"Ecco a te una piantina della scuola e i tuoi orari. Buona fortuna", disse la signora, con un sorriso di incoraggiamento.

Cameron prese i due fogli e ne lesse uno. La sua prima ora prevedeva matematica.

Seguendo le indicazioni sulla piantina, arrivò senza problemi all'aula del sprofessor Roof.

Appena si accostò all'uscio, una ventina di facce si girarono verso di lui all'unisono per guardarlo. Cameron si sentiva le gambe molli, e sentiva anche le sue gote che si stavano arrossando.

"Buongiorno, tu devi essere il nuovo alunno", disse un uomo tarchiato con dei folti baffi bianchi e un viso simpatico, corredato da un paio di occhialoni gialli.

"Si", rispose Cameron a mezza voce.

"Bene. Sul registro vedo che il tuo nome è Cameron. Benvenuto, allora. Puoi sederti in quel banco, vicino alla tua nuova compagna Yijun", disse, indicando un banco attaccato alla finestra che dava sul giardino nella penultima fila.

Cameron si diresse a passi svelti verso il posto indicatogli dal professore, e quindi si sedette.

La sua compagna di banco era una ragazzina cinese che se ne stava sulle sue, non si era nemmeno girata a presentarsi di persona, cosa che a Cameron fece più che piacere.

Il professor Roof iniziò a leggere la serie di nomi che componevano il registro di classe. C'erano veramente un sacco di persone straniere, compresa la cinese.

Ma una cosa sconvolse ancora di più Cameron. Quando il professore arrivò a "Nash Grier", una voce rispose "Presente". Quella voce scatenò in Cameron una cascata di emozioni indescrivibile, tanto forte che dovette reggersi al banco per non svenire.

Si girò verso il punto in cui quel suono aveva avuto origine, e vide un ragazzo seduto all'altro capo della stanza, che incrociò per un istante il suo sguardo. I suoi occhi erano più azzurri del cielo e più profondi del mare, una sorta di paradiso personale che poteva essere intravisto solo da poche persone elette. Era l'unica cosa che riuscì a distinguere dell'intera persona. Ma quegli occhi erano qualcosa di più, qualcosa di familiare. Qualcosa di già visto, come quando una canzone apparentemente appena ascoltata ti piace così tanto che ti pare di averla già sentita da qualche parte. Sta di fatto che quel ragazzo aveva qualcosa, quel qualcosa che Cameron non aveva mai notato in nessuno, se non in una persona.

Nash si rigirò a parlare con un paio di compagni dietro di lui, e Cameron si mise a fissare il banco.

"Ragazzi, oggi iniziamo il calcolo integrale. Sarà materia d'esame, per cui non prendete l'argomento sotto gamba, ma iniziate subito a seguire e a cercare di capire", disse il professor Roof, che stava iniziando a scrivere dei calcoli con numeri complessi alla lavagna.

L'ora trascorse abbastanza velocemente, ma più Cameron si sforzava di concentrarsi sui calcoli, più i muscoli del suo collo si tendevano per farlo girare verso Nash. Alla fine della lezione, aveva capito più o meno che quella era stata un'ora di matematica.

Le ore successive comprendevano biologia e storia. Fortunatamente, per ora Cameron condivideva solo matematica con Nash, perciò fu molto più semplice seguire le lezioni.

Alla fine delle tre ore suonò la campanella che sanciva l'inizio della pausa pranzo.

Cameron si chiese dove fosse la mensa, ma decise di seguire la massa degli studenti al posto di controllare inutilmente la mappa e di dare nell'occhio.

Dopo pochi minuti e qualche svolta a destra e a sinistra, si ritrovò in una stanza grande forse più di casa sua con il giardino compreso, stimando che avrebbe potuto tranquillamente contenere mille persone senza che fossero troppo schiacciate tra di loro.

Si diresse subito verso il self-service e iniziò a servirsi. Arrivato in fondo al bancone, pagò il cibo che aveva preso e iniziò a guardarsi intorno, per cercare un tavolo. Optò per un tavolo circolare, abbastanza lontano dagli altri studenti, nell'angolo in fondo alla mensa, vicino alla porta che dava sul retro. Quasi corse per prendere il posto.

Iniziò a mangiare tranquillamente la sua fetta di pizza, ma non riuscì ad arrivare alla crosta che di nuovo Noah e il suo gruppo si avvicinò a lui.

"Heilà, frocetto. Passate bene le prime ore?", chiese sorridendo.

"Si, abbastanza", rispose Cameron, tenendo lo sguardo basso.

"Stavo pensando di saltare la prossima ora per organizzare una bella partita di pallacanestro nel giardino vicino all'aula di informatica. Ci stai?".

Era chiaro che lo stava invitanto solo per batterlo e per deriderlo. Cameron non era mai stato un asso negli sport, tanto meno a basket, dato che la sua statura non gli permetteva grandi prestazioni.

"No, grazie. Preferirei non saltare ore di scuola almeno il primo giorno".

"Oh, ma dai, è un'ora soltanto. Non penso che qualcuno se ne accorgerà".

"No, davvero. Non conosco nemmeno le regole".

"Ma non c'è problema, te le insegnamo noi", disse Noah

"A suon di botte", pensò Cameron.

"No, davvero, non penso...".

Una folata di vento accompagnò l'arrivo di Nash Grier, e il cuore di Cameron riprese a correre.

Non capiva come avesse fatto ad arrivare così velocemente da portare con sé una folata di vento, ma non poté trovare risposta perché iniziò subito a parlare.

"Hai problemi con Cameron, Gilinsky?", chiese Nash a Noah.

"Lo stavo invitando ad una partita di pallacanestro, sai, per farlo integrare con il gruppo".

"Oh, penso che Cameron possa farne a meno, come ti ha già detto tre volte. Perché non giri i tacchi e te ne vai, rosso?".

"Attento a te, lurido bianco, non pensare che la vittoria della notte scorsa ti possa dare il diritto al controllo di questo territorio. E' ancora sotto mano nostra, ricordatelo", rispose Noah, tagliente, quasi sbraitando. Sembrava che i suoi occhi si stessero riempiendo di sangue.

"Non costringermi a farti il culo ancora, Noah. Fai dietro front e sparisci".

Nash faceva quasi paura. Il suo viso non fu mosso da nessun tipo di emozione mentre pronunciava quelle parole, ma il tono della voce avrebbe potuto fermare un esercito.

Noah si girò e se ne andò piano, seguito dai suoi amici.

Nash aspettò che uscisse dalla mensa, per poi girarsi e sedersi al tavolo di Cameron. Avrebbe voluto chiedergli di andarsene, ma attaccò subito a parlare.

"Mi dispiace che ti abbia già dato fastidio, è la sua specialità".

"Non ti preoccupare, ci sono abituato. E comunque me la stavo cavando da solo".

"Sentivo la tua paura fin dall'altro capo della stanza, Cameron".

Ancora si stupiva che si ricordasse il suo nome. Una sua compagna di matematica che aveva incotrato anche a biologia e storia continuava a chiamarlo Calum.

Cameron divenne paonazzo e abbassò lo sguardo sul suo budino, che tremava meno di lui.

"So che ti sei trasferito", disse Nash, "da dove vieni?".

"Ohio", rispose Cameron senza alzare lo sguardo dal suo pranzo.

"Ohio, mh...capisco perché te ne sei andato", disse, concludendo con una risata cristallina, che infondeva l'aria di allegria, tanto che anche Cameron accennò un sorriso di sbieco.

La campanella che segnava la fine della pausa pranzo suonò, e Cameron fu costretto a lasciare il resto del suo pranzo sul tavolo.

"Ti accompagno in classe", disse Nash, che si era già alzato ed era pronto per andare, "che lezione hai ora?".

"Filosofia", rispose Cameron, mentre iniziarono ad incamminarsi.

"Ah, l'aula del professor Ratford è dietro l'angolo".

Il tragitto durò pochi minuti, ma i due ragazzi ebbero il tempo di parlare del più e del meno. Cameron si rese conto solo in classe di aver parlato amabilmente con uno sconosciuto, o più che altro, uno conosciuto appena dieci minuti prima. Ma Nash, si vedeva, era il classico tipo di ragazzo che riesce a tirarti in mezzo ad una conversazione in qualsiasi momento, senza badare al particolare umore che hai. Sarebbe riuscito anche a far parlare i sassi di come stava andando la guerra in Iraq se solo ci avesse provato.

Dopo aver lasciato che Nash andasse per la sua strada (aveva la lezione di informatica), Cameron entrò in classe, dopo essersi presentato alla classe.

Il resto della giornata passò tranquillo, senza altre interruzioni di sorta.

Quando nel primo pomeriggio l'ultima campanella della giornata suonò, lui insieme ai suoi compagni si diressero verso le uscite.

Ci mise pochi minuti a uscire dalla scuola, e ancora meno per tornare a casa.

Stava per girare l'angolo per entrare nella via di casa quando capì che qualcosa stava andando storto. Si trovava in un vicolo stretto da due palazzine, abbastanza ignoto alla gente del posto, e, non appena sollevò lo sguardo, si accorse di essere circondato da cinque o sei ragazzi, tutti il doppio di lui. A capo del gruppo vi era Noah Gilinsky, che lo guardava con uno sguardo folle, con gli occhi sbarrati ed iniettati di sangue, con la bocca semi aperta che faceva uscire un rantolio quasi animalesco. Sembrava che Noah stesso per avere un attacco epilettico.

"Heilà, frocetto". La sua voce sembrava il verso di una bestia.

Cameron era paralizzato, ma non avrebbe avuto nemmeno il tempo di gridare aiuto, perché Noah si era già mosso con una velocità disumana.

Un balzo in avanti, un morso letale alla giugulare, il veleno acido che veniva pompato dal cuore in tutto il corpo. I muscoli si tirarono fino quasi a strapparsi, e la pelle sembrava che andasse a fuoco. I pensieri di Cameron vertevano tutti su episodi di guerra, disgrazie e morte. Prima di perdere i sensi, rivide ancora la scena del suo vecchio amico schiacciato dall'auto. Ma prima di morire, il ragazzino aveva guardato Cameron, e i suoi occhi erano azzurro cielo.

Buio.








Prestavolto Nash: Nash Grier

Prestavolto Noah: Jack Gilinsky 

 

 

 

 

-Writer

Ciao a tutti! Come promesso, ho raggiunto un buon numero di recensioni per il primo capitolo, perciò ecco qua il secondo. Si delinea di più il personaggio di Cameron (sì, ripeto, è Cameron Dallas), ed entrano in gioco Noah Gilinsky (che si rifa a Jack Gilinsky, membro dei Magcon) e Nash Grier, per cui io ho una cotta assurda ahah (anche lui è un membro dei Magcon). Non rivelo nulla, ovviamente, perché quando riceverò altre dieci recensioni per questo capitolo posterò il terzo, promesso.

Vi saluto lasciandovi il mio recapito Twitter (@calumstattooes), se volete scrivermi per qualsiasi cosa, anche per insultarmi, io ci sono c:

niallsdonut

 

  
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