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Autore: aki_penn    06/07/2014    6 recensioni
“Fare il bagno nel sangue delle vergini mi mantiene giovane” disse, guardandosi le mani dalle dita lunghe e affusolate, sporche di rosso. “Quella ragazza che ti sei portato appresso quando sei arrivato a Rosenrot, è vergine?” domandò poi, guardandolo. Tinkerbell strabuzzò gli occhi e balbettò “Ru-Ruthie? Io non…non so…non ho mai chiesto…” incespicò, preso alla sprovvista, per poi accigliarsi e sbottare “E comunque non ho alcuna intenzione di farti dissanguare la mia assistente, se permetti!”
Genere: Azione, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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WARNINGS: se avete letto fino a qui, probabilmente, siete abituati a budella, sangue e tante altre belle cose, metto comunque l’avvertimento perché, nonostante questo capitolo sia meno violento di altri, lo trovo un po’ peggio, per via del contesto. Spero che nessuno ne rimanga turbato. U.U

Make a wish -

Capitolo trentatré -

La chiave e la neve –

 

“Non posso tenerlo io” sentenziò Tai, mentre Chismes si rimetteva le sue scarpe rosse e piumate. “L’ho sempre saputo… ma adesso che non c’è più Wei non so neanche se voglio tenerlo” fece Tai, sconsolato.

Il maestro era riverso a terra poco più in là. L’avevano spostato da in mezzo alla strada, ci mancava solo che passasse un camion e lo investisse. Si sarebbe svegliato entro poco, ignaro di tutto quello che era accaduto. Tai aveva promesso di tenere il segreto per sé.

“Lo volete tenere voi?” chiese poi, alzando, sconsolato, lo sguardo dal gigantesco coniglio che stava dormicchiando con la testa sulle sue ginocchia. Gli piaceva accarezzarlo, aveva la pelliccia morbida.

Bonnie grugnì, studiando l’animale e Chismes, eccitatissima, gli diede una gomitata “È carino” esclamò. Lydia, che le faceva da collo di volpe, sbadigliò e si rimise a dormire.

“Non voglio che Nerina cerchi di mangiarselo” commentò. “Non se lo mangerà” rispose Chismes scocciata, alzando gli occhi al cielo.

“E va bene!” accettò in fine Bonnie, come se la cosa gli costasse una gran fatica. Tai sorrise “Gli piaci tanto!” rincarò, mentre il coniglio si svegliava e andava ad accoccolarsi sui piedi del genio. Bonnie arrossì, non era abituato a piacere così tanto a qualcuno.

“Però devi dargli un nome carino!” aggiunse poi il bimbo, accigliandosi e alzandosi in piedi.

“Carino tipo? Fiorellino? È un coniglio immenso, non posso dargli un nome carino!” rimbrottò il genio.

“E come lo vuoi chiamare, scusa?” chiese Tai, un po’ offeso. Bonnie fece una smorfia e afferrò il coniglio per i fianchi, alzandolo abbastanza perché si potessero guardare negli occhi. Si fissarono per qualche secondo, poi Bonnie decretò “Beh, sembra un coniglio mannaro, credo che lo chiamerò Werebunny!”

“Ma è un nome orrendo!” piagnucolò Tai. Chismes ridacchiò.

 

***

 

Ruthie strinse la mano attorno alla propria pinta di birra e guardò Tinkerbell con sguardo vacuo. Si guardò pensierosa in giro e poi disse “Non ho mai rischiato di morire sbranata da un leone”. E alzò il boccale prendendo una lunga sorsata. Quando lo riappoggiò sul tavolo era vuoto.

Tinkerbell alzò le sopracciglia “Era una frecciatina, quella?”

Ruthie alzò un sopracciglio, alticcia “Sono troppo ubriaca per fare frecciatine. Tu perché diamine non ti ubriachi mai?” sbottò, offesa. Tinkerbell fece un sorrisetto divertito, mentre guardava gli occhi lucidi della ragazza che dondolava un po’ la testa.

“Lo sai che non posso ubriacarmi”

“E perché?” sbottò, puntando i gomiti sul tavolo e tirando in fuori il labbro inferiore. Tinkerbell alzò gli occhi al cielo e stava per dire che era perché era un genio e le solite cose, ma Ruthie si era già dimenticata di lui e aveva alzato la mano per chiamare la cameriera. Era mezza sdraiata sul tavolo, ma la ragazza l’aveva ascoltata ed era scappata al banco a prendere la nuova birra che le era stata ordinata.

Ruthie appoggiò pigramente il mento sulla tavolo e guardò Tinkerbell dal basso, sembrava un po’ un cane durante la cena dei propri padroni.

“La cameriera ha le tette rifatte” sentenziò, piatta.

Tinkerbell scosse le spalle, disinteressato “Le tue tette sono più belle”

Ruthie si rimise dritta così di scatto che per poco non cadde dalla panca “Mi hai guardato le tette, in Amazzonia! Avevi promesso che non l’avresti fatto!” disse, alzando un po’ la voce. Tinkerbell rise di gusto e aggiunse “Ho guardato quelle di tutte”

Ruthie arricciò il naso e scosse la testa, la testa era sia leggera che pesante, non riusciva a capire. Il pub era tranquillo, c’erano altri clienti, ma tutti parlavano tranquilli, l’unica persona che ogni tanto alzava un po’ la voce era proprio Ruthie, che aveva finito per bere un po’ troppo. La cameriera tornò di gran carriera e appoggiò un’altra pinta di birra davanti a Ruthie, prima di sorridere a lei e a Tinkerbell e scappare di nuovo via.

La ragazza si voltò a per guardarla andare via, ma Clay non aspettò oltre e sentenziò “Non ho mai fatto a botte quando andavo a scuola”, prima di bere una lunga sorsata dal suo boccale.

Ruthie si voltò di nuovo verso di lui, scocciata dal dover bere di nuovo “Io però ho ancora tutti i denti, mammoletta” disse, prima di imitarlo. Tinkerbell ridacchiò, per nulla offeso. Ruthie appoggiò il bicchiere sul tavolo, senza mollare la presa, però, e adagiò la testa su una mano, guardandolo con occhi vacui. Era chiaro che ormai non sarebbe più stata in grado di camminare dritta. Si guardarono per qualche secondo, poi Ruthie si rimise dritta con uno scatto e disse, prima di prendere un'altra boccata “Non ho mai fatto sesso alla fermata dell’autobus”

Tinkerbell fece una smorfia “Ma che schifo, Ruthie”, ma poi afferrò il boccale, impedendole di finire l’intero bicchiere in una sorsata.

“Adesso basta, però” le intimò, mentre lei deglutiva e gli puntava l’indice contro “Non farmi la predica, Tinkerbell, ho avuto un’adolescenza difficile, io, a differenza tua” e per poco con cascò di lato, giù dalla panca. Clay l’acchiappò appena in tempo, per una spalla. “Stai lì” le intimò, come se la cosa bastasse a renderla meno ubriaca. Ruthie lo guardò e fece una smorfia annoiata, mentre Tinkerbell tirava fuori il cellulare dalla tasca e guardava l’ora: mezzanotte e un minuto del venti febbraio.

“È ora di festeggiare: buon compleanno!” e così dicendo alzò il pollice, come per dire ‘okay’, ma sulla parte più alta, sull’unghia, c’era una fiammella, come se fosse stata una candelina. Ruthie abbassò lo sguardo sulla mano di Clay e boccheggiò perplessa, non sapendo bene cosa fare.

“Soffiaci sopra, prima che il resto dei clienti si accorga che mi sta andando a fuoco la mano destra!” le ordinò sottovoce e lei soffiò sulla sua rudimentale candela. Tinkerbell batté rumorosamente le mani ed esclamò “Tanti auguri!”. Dal tavolo affianco al loro qualcuno aggiunse, timidamente “Auguri”, ma Ruthie guardò di nuovo il genio, con uno sguardo vacuo e appoggiò la fronte sul tavolo “Portami a letto, Tinkerbell, per favore” piagnucolò.

Un minuto dopo, il genio stava salendo pesantemente le scale con Ruthie su una spalla, come un sacco di patate. “Sei ubriaca marcia” ridacchiò, divertito.

“E tu sei sobrio marcio!” esclamò lei, offesa, sgambettando a vuoto. Clay ridacchio e aprì la porta della loro stanza. Fu una lotta lavarsi i denti e mettersi il pigiama ma, alla fine, mentre anche Tinkerbell si infilava la felpa con cui di solito dormiva, Ruthie si era messa in posizione fetale, sulla coperta, a tremare.

“È freddo. Perché il Canada è così a nord?” piagnucolò. Clay alzò un sopracciglio e con un balzo saltò sul letto. “Probabilmente, se ti mettessi sotto le coperte, andrebbe meglio” la redarguì lui, divertito. Ruthie mosse pigramente il braccio sinistro, palpando in giro, senza nemmeno aprire gli occhi “Non la trovo”

Clay fece una smorfia “Ci sei sopra” e strattonò la coperta finché sia lui che Ruthie non furono sotto. Ruthie grugnì “Perché non mi hai portato in un posto caldo, invece che in Canada. Il freddo mi fa schifo. Mi fa schifo” sussurrò, sempre più piano, come se si stesse già addormentando.

Tinkerbell le passò una mano sul fianco e appoggiò la testa tra le scapole di lei. Ruthie gli dava le spalle. “Non arroventarmi come se fossi una panchina” biascicò, stringendo la mano di lui, con la sua, gelida. Un secondo dopo si era già addormentata.

“Come faccio a ucciderti?” disse Tinkerbell, tra sé e sé.

 

***

 

Non era riuscita a farsi dire da Ronnie dove Commander teneva i suoi semi d’Ortica. Pareva che nessuno lo sapesse, ma questo non l’aveva fermata. Aveva aperto la porta dello studio di Cloris, con la sua nuova chiave d’oro, quella che le aveva dato il diacono Brodie, e si era ritrovata a uscire da un vecchio armadio che odorava di naftalina.

Era in fondo a un corridoio, in una casa silenziosa. Dall’altra parte del corridoio c’era una finestra con gli scuri aperti e Alih poteva vedere fuori. Rimase qualche secondo a fissare i vetri.

C’era qualche cosa di strano in quel posto. Fuori dalla finestra era notte, questo era evidente, il cielo era nero, ma, allo stesso tempo, era una notte luminosa.

Si era ripromessa di rimanere in quel posto il meno possibile, ma non poté fare a meno di attraversare tutto il corridoio ignorando le porte chiuse dietro le quali poteva nascondersi Commander, per andare a guardare oltre il vetro di quella finestra.

Ciò che vide fu la cosa più sorprendente della sua vita: un mare bianco dal quale spuntavano alcuni alberi, neri nel buio, ma anche quelli soccombevano al bianco che stava coprendo tutto. Pioveva, ma non era acqua: quelli che cadevano dal cielo sembravano tanti piccoli pezzi di zucchero filato, come quello che le aveva fatto assaggiare una volta Ronnie. Le aveva detto che quella roba veniva dall’Altro Mondo, ma non le aveva detto che cadesse dal cielo. Quello era un mare dolce!

Per un secondo pensò quasi di uscire e mangiarne un po’ e così pensando appoggiò quasi senza rendersene conto, la mano contro il vetro. La ritrasse come se bruciasse e, per un secondo, le era quasi sembrato di provare bruciore: il vetro era così freddo da fare male. Non aveva mai toccato qualche cosa di così gelido, al Grande Mare. Si ritrasse, tenendosi la mano gelata nell’altra, calda. Solo allora si rese conto di sentire freddo.

Aveva i pantaloni corti e una camicia vecchia di Cloris, a cui Big Jim aveva tagliato le maniche all’altezza delle spalle, e aveva la pelle d’oca. Gli stivali, che la facevano sudare quando era sul ponte della Rainbow Dancer, sembravano adatti più per un posto del genere che per il grande mare. Con la mano strinse la chiave d’oro che portava al collo, se se la fosse vista brutta sarebbe tornata di corsa al Grande Mare e non avrebbe detto niente della sua avventura, se fosse riuscita a rubare tutti i semi a Commander, allora, forse Cloris l’avrebbe perdonata e non avrebbe più minacciato di buttarla a mare.

Tornò indietro, aveva lasciate aperto le ante dell’armadio dal quale era uscita. Fece qualche passo e, nel buio, passò accanto a un vecchio specchio ovale, in bella mostra su una cassettiera antica. Il mobile era pulito, sembrava che qualcuno spolverasse tutti i giorni, diversamente da ciò che succedeva alla Rainbow Dancer, ma le maniglie dei cassetti erano arrugginite.

Alih si passò le mani sulle braccia e guardò il proprio riflesso, le punte dei capelli che aveva legato in una coda di cavallo, erano tinte di magenta. Si toccò la mandibola, grazie a Ronnie aveva di nuovo tutti i denti e il braccio era tornato normale. Pregò di non dover più provare un dolore del genere.

Distolse lo sguardo dallo specchio e si guardò in giro, c’erano quattro porte, due a destra, due a sinistra, tutte uguali a ben guardare, Alih non aveva idea di dove avrebbe potuto trovare il Capitano e i suoi semi d’Ortica.

Tornò davanti all’armadio e chiuse entrambe le ante, poi fissò la porta alla propria destra. Le quattro porte erano completamente identiche, non c’era nulla che le facesse pensare che una fosse quella giusta, quindi sospirò ed estrasse la propria spada dal fodero, poi poggiò la mano libera sulla maniglia e aprì la porta.

Subito fu accolta da un forte odore di muffa. La stanza era perfino più fredda del corridoio, nella penombra poté intravedere la sagoma di un letto, non sembrava vi fossero lenzuola, né coperte, solo un materasso vecchio e nudo. C’erano varie scatole impilate alla rinfusa nella camera, ma nessuna forma di vita. Nessuno entrava in quella stanza da parecchio tempo, dedusse Alih, chiudendo lentamente l’uscio. Non aveva staccato la mano dalla maniglia nemmeno un secondo. La serratura scricchiolò quando Alih accostò di nuovo la porta, ma lei non ci fece caso e si voltò verso l’altra camera, esattamente di fronte alla porta che aveva appena chiuso.

Prese un altro lungo respiro: se ce ne fosse stato bisogno avrebbe aperto tutte quelle porte, Commander era in quella casa, da qualche parte.

In due passi fu davanti alla porta speculare e l’aprì il più silenziosamente possibile. Diversamente dalla prima, quella si aprì senza un solo cigolio, scivolò come se nemmeno esistesse, doveva essere stata oliata da poco.

La stanza, a differenza della precedente, era più calda del corridoio. C’era odore di lenzuola appena lavate, c’era un vecchio armadio e un grande letto, sotto le coperte c’era qualcuno, Alih poteva vederne la sagoma, sentirne il respiro.

Avvicinò la porta, in modo che nella stanza filtrasse solo una striscia di luce, abbastanza da permetterle di vedere nella penombra.

Si avvicinò al grande letto, dove la magra striscia di luce andava a morire e vi girò attorno, senza staccare gli occhi dalla sagoma che intuiva essere sotto le coperte. Non aveva mai visto il Capitano, si chiese come fosse, era sempre stata sicura che sarebbe stata in grado di riconoscerlo. Lo descrivevano come un uomo violento, ma come distingui un uomo rissoso e violento da un altro, mentre dorme?

Si fermò davanti alla figura nascosta, proprio accanto al comodino, e strinse entrambe le mani all’elsa della spada. Avrebbe potuto ucciderlo e prendere indisturbata i semi, aveva sentito dire che il padre di Diablo, una volta, aveva ucciso un genio. Sul cuscino doveva esserci la testa, Alih la mirò, senza chiedersi davvero come sarebbe stato uccidere una persona. Non lo vedeva nemmeno come un uomo, non aveva mai ucciso nessuno, come sarebbe stato dopo aver tagliato la testa a Commander?

Un soffio di vento, che non avrebbe dovuto esserci, chiuse la porta sbattendola. Alih alzò la testa dal suo bersaglio col cuore in gola, senza davvero rendersi conto di cosa stesse succedendo.

Fu come un’eruzione, il letto esplose, le coperte volarono via e in un attimo la ragazzina si trovò sbattuta per terra. La lama della lancia di Commander sfrecciò sotto gli occhi di lei e si piantò nel pavimento in legno. Alih urlò per il dolore, la lancia le aveva tagliato la faccia a metà. Calde lacrime iniziarono a sgorgarle dagli occhi. Le aveva tagliato il naso? Le aveva tagliato il naso? Alih non riusciva a capirlo, tutta la faccia, dagli occhi a scendere, era un inferno doloroso.

La spada le era sfuggita dalle mani, quando cercò di allungare il braccio per riprenderla, il piede di Commander calò come un martello sulle sue dita e Alih urlò di nuovo, mentre le ossa si sbriciolavano. Singhiozzò e pianse, tra le lacrime cercò di alzare la testa per vedere il faccia il suo aggressore, ma la lama era ancora ficcata per terra accanto alla sua faccia. Il movimento peggiorò solo le cose, la lama tagliò di nuovo la carne e lei singhiozzò di nuovo, senza avere nemmeno la forza di urlare.

Fu Commander a staccare la lancia del pavimento, di malagrazia, facendola di nuovo passare sul viso di Alih, evitando l’occhio destro per un soffio.

“Chi sei, stronzetta?” domandò una voce tranquilla, ma profonda. Ad Alih fece più paura di qualsiasi altra cosa al mondo. Lei sbavò e sputò, ma non rispose. Commander non aspettò un secondo in più e piantò il manico di legno dietro al ginocchio della ragazzina, rompendo l’articolazione. Alih urlò di nuovo, disperata, singhiozzò e sbavò sul pavimento, mentre la faccia era ormai fradicia di lacrima e sangue.

“Mi-mi chiamo Alih” biascicò con la bocca impastata dal dolore. Il capitano si chinò e la prese per la camicetta, letteralmente sollevandola. La ragazzina non ebbe nemmeno la forza di opporre resistenza, cercando di scalciare. Le faceva male tutto, e fu ancora peggio quando il genio la sbatté contro la finestra, il corpo di Alih sfondò il vetro e poi gli scuri.

Lei urlò di nuovo, il vetro si infranse stracciandole la camicetta e riempiendola di tagli, l’impatto con il legno degli scuri le incrinò due costole, la cosa peggiore fu però l’impatto col terreno. Quel mare di zucchero filato bruciava. Era così gelido che Alih sentì la pelle quasi ustionata. La gamba batté sul terreno e il dolore fu lancinante. Cercò di rimettersi un poco dritta, facendo forza sui gomiti. Tutte le dita della mano che il capitano aveva pestato erano storte in una posizione innaturale, Alih la guardò, tremante.

Lo zucchero filato era morbido e freddo, ma non era davvero zucchero. Davanti agli occhi vedeva vermi di luce intermittenti, il dolore al naso e alla gamba non la abbandonava, sommato a quello alle costole. In quel momento si rese conto che non sarebbe tornata più a casa.

Sopra la finestra della camera del capitano, quella con gli scuri sfondati, c’era una luce da esterno, era estremamente bianca, e rifletteva sullo zucchero bianco che pioveva dal cielo. Un fiocco di zucchero si appoggiò sul mento e si sciolse. La sua pelle bruciava a contatto con il ghiaccio.

Alih batté le palpebre due e tre volte quando la luce sopra la finestra si oscurò in parte. Commander era uscito dal buco lasciato dal corpo della ragazzina, scavalcando il davanzale senza difficoltà. La ragazzina non riusciva davvero ad analizzare la situazione, stava perdendo sangue e la testa le faceva male, i gomiti, affondati nello zucchero freddo iniziavano a bruciare.

Quando il capitano si fermò, Alih non poteva vedere davvero i suoi lineamenti in ombra, ma era un uomo enorme, se fossero stati in piedi vicini, dubitava di potergli arrivare alla spalla. Alzò faticosamente la testa e lo fissò, con gli occhi pieni di lacrime.

“Pensavo che i pirati si sarebbero convinti che non era il caso di venirmi a disturbare” disse, piano, girandole attorno e Alih, poté vederlo in volto. Aveva i capelli completamente rasati e una brutta cicatrice sulla tempia. In mano aveva una lunga lancia, quella che aveva usato per tagliarle il naso.

“Non sono un pirata” biascicò Alih, in preda al panico. Gli occhi del genio si dilatarono e la ragazzina aprì la bocca per urlare, ma lui si era già chinato sul di lei. La prese per la testa, per poco un dito non le si infilò in un occhio, in compenso spinse dolorosamente nella ferita fresca sotto gli occhi. Alih urlò di nuovo, quando il capitano le strappò una ciocca di capelli sulla nuca, con rabbia.

“Non sei un pirata, stronza? Non sei un pirata con questa merda che hai in testa?” chiese, adirato, facendo fatica a contenere la rabbia. Afferrò la lancia che aveva lasciato cadere e le tagliò tutti i capelli rimasti, come se stesse pelando una patata, tagliando e strappando senza riguardi. Parecchie volte Alih sentì la lama sfiorarle la testa, cercò di divincolarsi come poteva, nonostante le costole doloranti e la gamba colpita, che sembrava morta, in posizione innaturale, in mezzo alla neve e al sangue, ma il capitano la teneva così stretta per il collo che sentiva l’aria mancarle. Pianse forte allungando le mani nella neve, fino a che il capitano non la lasciò di nuovo caracollare per terra di mala grazia. Si alzò a guardarla, sanguinante e inerme. La sua spada giaceva ancora nella camera del genio, completamente inutile. Non aveva nemmeno pensato a usare la polvere di semi d’Ortica che stava nei suoi capelli, prima che lui glieli tagliasse via tutti.

“Chi ti manda?” domandò “Diablo? Ebén? Cloris?”

Ad Alih sembrò che il nome di Cloris fosse più marcato degli altri. Respirò forte e tossì, prima di singhiozzare “Non mi manda nessuno… nessuno…” era vero, era lì perché voleva dimostrare a Cloris che anche lei valeva qualche cosa, anche se con Bonnie e Chismes aveva combinato un casino. Ma lei non valeva niente e sarebbe morta uccisa dal capitano, come era capitato a chiunque avesse cercato di derubarlo.

Commander annuì e con slanciò le strappò dal collo la collana alla quale teneva appesa la chiave d’oro che le aveva regalato Deacon Brodie.

“Quindi nessuno si aspetta di vederti tornare” constatò, con un certo divertimento. Alih si rese conto che quello era l’unico mezzo che aveva per tornare a casa, e l’aveva in mano il genio.

“La chiav…” iniziò a dire lei, ma rimase a bocca aperta, spaventata, quando la mano dell’uomo prese fuoco.

“Non ci torni sulle tue gambe, al Grande Mare, stronza” disse, allungando il pugno verso di lei, ma tenendolo sempre in alto.

La ragazzina non capì subito cosa stesse accadendo, per qualche secondo non successe niente, ma poi, una grossa goccia dorata scivolò dalla mano a pugno dell’uomo, atterrando sfrigolante sul  suo seno destro.

Alih urlò come non aveva mai urlato, mentre il resto della chiave fusa le pioveva addosso. qualche goccia finì sul braccio destro, mentre il suo seno si scioglieva come burro al sole in un delirio di sangue, dolore e carne putrescente.

Il capitano si allontanò di un passò, mentre Alih si contorceva nella neve. Inarcò un sopracciglio, sentendo i polsi pulsare in modo fastidioso. Si passò la lingua sulle labbra, senza distogliere gli occhi dalla ragazzina, poi le si avvicinò di nuovo e avvicinò le labbra al suo orecchio.

“Ci penserà l’inverno, a ucciderti” e così dicendo si rialzò e le diede un calcio al ginocchio rotto. Alih non urlò nemmeno più, rivoltandosi nella neve, ormai troppo annebbiata dal dolore.

Un attimo dopo il genio era sparito e lei era sola nella neve luminosa.

 

Aki_Penn parla a vanvera: a scrivere questo capitolo mi sono divertita un bel po’. È corto ma, a parer mio, è abbastanza denso, quindi ho deciso di tagliarlo qui. Spero che vi siate divertiti a leggerlo come io mi sono divertita a scriverlo.

Si capisce che Ruthie e Clay stanno giocando a ‘Non ho mai’? XD

Credo che la scena finale sia un po’ cattiva, dopo più di trenta capitoli immagino che nessuno si ritrovi impreparato davanti a un po’ di sangue, ma visto che in questo caso si tratta di un uomo adulto che se la prende con una quattordicenne, spero davvero che nessuno si prenderà male. Grazie a Kuro per essere il mio motore di ricerca quando io non trovo quello che cerco o solo ho paura di cercarlo. In questo caso, entrambe le cose!

(Il capitolo trentaquattro è stato faticosissimo da scrivere ed è venuto pure corto, spero che col trentacinque mi riprenderò!)

Come sempre, grazie a tutti quelli che leggono, siete degli amorini. <3

   
 
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