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Autore: SoleSun    07/07/2014    1 recensioni
La prima cosa di cui fu consapevole era il buio.
Buio esterno: non un filo di luce arrivava alla sua mente; buio interno: non percepiva il suo corpo. Era, senza nome, senza spazio, senza ricordi. Galleggiava nell'oscurità, nel nulla.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo svegliò la luce di un nuovo giorno, con un chiarore che si espandeva dal buco verso l'interno. Aprì le palpebre, e improvvisamente fu molto più consapevole del proprio corpo rispetto al giorno prima. Una sensazione di costrizione alla nuca e al petto, e il resto del corpo che fluttuava. Mosse le mani, una fatica immane. Erano immerse in un liquido viscoso, o forse era solo acqua e lui era debole. Mosse la testa, ma si accorse che poteva solo girarla lievemente di lato. Bloccata. Provò a muovere i piedi, che si agitarono liberi nel fluido. Li mosse con più convinzione, e gli sembrò di sfiorare una superficie sotto di sé. Per quanto poteva vedere, intorno aveva lastre di vetro. Era rinchiuso! In preda al panico prese ad agitarsi, lottando col fluido che lo circondava, con legacci e costrizioni che non poteva vedere ma che percepiva intorno al collo e al torace. Gridò per la paura, ma uscì solo un rauco squittio dalla sua gola bloccata dallo scarso utilizzo. Il suono riverberò in modo strano, e si accorse per la prima volta che qualcosa gli riempiva la bocca. Mosse le labbra, la lingua, il naso, e alla fine capì che indossava qualcosa sulla parte bassa del volto, che gli copriva il naso e gli entrava in gola. E allora lo colpì un nuovo ricordo, l'ultimo prima del buio infinito. Era in un laboratorio, pieno di medici e di tecnici, di strumentazioni elettroniche e di computers. L'avevano imbragato, legandogli il petto e passandogli un sostegno intorno al collo, gli avevano messo una maschera molto aderente sulla parte inferiore del viso, con un tubo che gli entrava in bocca; poi l'avevano calato in una teca, parte di una fila di altre quattro, piena di un liquido denso e freddo, che si era chiuso sopra la sua testa. Dal tubo entrava aria e un anestetizzante: si era addormentato, per svegliarsi qui, in questa situazione. Perché era successo tutto questo? Lui l'aveva voluto. Dopo l'incidente che gli aveva portato via la sua Clara (Oh dei! Clara!). E la scintilla di vita che forse portava in grembo. Gli vennero alla mente come un incubo i giorni e i mesi passati come un automa, funzionante per quanto riguardava il lavoro, ma morto dentro. Immerso nel dolore e nella desolazione, distaccato da parenti e amici che ormai erano poco più di figure fumose e fastidiose che si muovevano ai margini della sua consapevolezza, con l'immagine di lei sorridente che si sovrapponeva a quella della palla di fuoco che aveva avvolto il suo velivolo. Strazio e angoscia gli riempirono di nuovo l'animo. Si fece forza, andando avanti a ricordare. Aveva sentito di un nuovo programma di crioconservazione in studio presso l'Università della sua città. Gli scienziati cercavano volontari che volessero farsi congelare per un numero definito di anni. L'idea l'allettò da subito: qualche decina di anni congelato, in un oblio in cui non provare dolore. Poi al risveglio un mondo diverso, senza più nessuno che gli ricordasse Clara e ciò che aveva perso. La possibilità di un nuovo inizio, più sereno. Aveva scelto di fare la cavia per il periodo di conservazione di 80 anni. Di certo mentre chiudeva gli occhi in attesa che gli venissero iniettate le sostanze per crioconservare la sua vitalità e che la temperatura nella teca scendesse a 50°C sotto lo zero Celsius non immaginava che al risveglio avrebbe trovato...questo. Un laboratorio abbandonato da tempo, forse anni, in condizioni disastrose. Com'era possibile che la sua teca fosse sopravvissuta più o meno intatta fino a quel momento? Ricordò che ogni teca era alimentata con un pannello solare di ultima generazione al quale era collegata direttamente, a differenza del resto delle attrezzature che si alimentavano dalla rete normale dell'Università. Probabilmente il pannello della sua e i cavi di collegamento non si erano danneggiati insieme al resto. Se concentrava la sua attenzione, cosa molto difficile visti gli anni – quanti? - di assenza di qualsiasi pensiero, riusciva a sentire un refolo d'aria proveniente dal tubo in gola e un vago ronzio sopra la sua testa. Si accorse che il livello del liquido era più o meno all'altezza della sua bocca. Lo sforzo di pensare, di capire, di muovere il collo e le braccia, ma soprattutto il dolore l'avevano spossato. Clara non c'era più, e forse nemmeno tutte le persone che conosceva. Anche se al momento del congelamento era quello che aveva voluto, ora che si trovava davanti a questa desolazione, solo, non poté che farsi prendere dallo sconforto. Non era forse meglio morire? Ma forse sarebbe morto lo stesso, di fame e sete. E avrebbe raggiunto la sua Clara. Nuove lacrime, stanche, dolenti, presero a scorrergli lungo le guance. Di nuovo scivolò nel benedetto oblio del sonno.
  
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