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Autore: SparklingLetters    07/07/2014    1 recensioni
[Stable Queen]
Regina non ha vita facile, tra il complicato rapporto con la madre e l’isolamento dal resto del mondo. Poi, un giorno, fa amicizia con un ragazzino di nome Daniel…
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cora, Daniel, Henry (Padre), Regina Mills
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota dell’Autrice: Questo capitolo è una compilation di scene col motivo comune dell’inverno e del tempo natalizio. La stagione festiva si fa pesante quando Regina prende una decisione a proposito del principe e deve sopportarne le conseguenze. Aspettatevi problemi parentali, piaceri invernali, e verso la fine un momento cruciale per la relazione tra Regina e Daniel.

Capitolo 15
Twelve Days of Christmas

Il fuoco crepita nel focolare. È l’unica cosa che alleggerisca le sue orecchie dal silenzio teso e pieno di disagio della tavola natalizia. L’intera casa ne sta pagando il prezzo. L’odore di pino che arriva da dietro di lei porta con sé la visione dell’albero di Natale come lo ha visto quella mattina – riccamente decorato, con la stella dorata sulla sua cima che tocca l’alto soffitto, i suoi rami più bassi segati via per far spazio al mucchio di regali che non c’era. Non che abbia importanza. Lei si è data il regalo migliore, e nonostante il prezzo, non può evitare di sentire che è il meglio che avrebbe potuto ottenere.
Regina punzecchia svogliatamente la sua cialda con la forchetta. Cora sibila pericolosamente. Regina si mette in bocca un pezzettino della pasta e si obbliga a masticare e ad inghiottire, attenta ad eludere gli occhi di entrambi i suoi genitori. Il sentimento è fuori luogo, specialmente in quello che dovrebbe essere un momento di amore e gioia, ma non può evitarlo – vorrebbe che entrambi sparissero; sua madre per ciò che ha fatto, suo padre per ciò che ha mancato di fare.
«Mangia» dice Cora seccamente. Regina accoltella la sua cialda con più vigore del necessario. «Marmocchia ingrata». Questo non è affatto il peggio che lei abbia sentito dalla notte prima, così si limita ad abbassare ulteriormente la testa sul piatto per nascondere un sorrisetto che la coglie di sorpresa. La mamma si arrabbierà con se stessa per questo – per aver perso la calma, dimenticando le buone maniere davanti al proprio oltraggio; un linguaggio simile, dopotutto, non si addice ad una signora. «Non incurvarti su quel piatto!» soffia tra i denti. Regina avverte un movimento debole e pieno di disagio al capo opposto del tavolo. Nessun suono ulteriore arriva da quella direzione, però. Lei si dà una scrollata mentale. Cosa mi aspettavo?
Regina posa la propria forchetta e spinge via il piatto in un movimento composto ma deciso.
«Regina». C’è un margine pericoloso e minaccioso nella voce di Cora.
«Ho finito la mia colazione, madre. Posso essere scusata?» Da dove vengono quell’audacia, quella fermezza sia nel suo sguardo che nella sua voce? Regina sente un breve momento di sorpresa mista ad orgoglio ed una sensazione di compimento.
«No, non sarai certamente scusata!»
Così Regina rimane seduta, avvertendo in qualche modo che sua madre, questa volta, non può resistere a lungo. Avendo pronunciato la battuta con perfetta neutralità e cortesia, Regina è consapevole che Cora non ha niente da rimproverare, nessun modo di bollare il suo comportamento come insolente. Sostanzialmente, è caduta in una trappola che si è creata da sola – dopotutto c’è, sembra, un certo potere nelle vuote cortesie, e lei potrebbe averlo appena scoperto. Le cerchie di corte hanno mostrato a Regina quanto veleno, ridicolo, o semplicemente disinteresse si possa trasmettere emettendo qualche frase socialmente accettabile e apparentemente educata. Ironicamente, la detestabile vita sociale a cui Cora ha sottoposto sua figlia ha dato un’arma a Regina.
I suoi sospetti sono presto confermati. «Vai nella tua stanza» sibila Cora. «Non dimenticare ciò che hai la fortuna di avere» continua mentre Regina inizia ad alzarsi senza una parola. «Devo ancora ideare una punizione adeguata al tuo crimine. Ma arriverà. Come arriveranno altre misure preventive».
Crimine. Perché è ancora sorpresa che le sue azioni vi equivalgano agli occhi di sua madre? La punizione sarà spaventosa, questo è certo.
Regina non rimpiange niente.

Regina si guarda al braccio del principe, condotta lungo il sentiero vividamente illuminato che zigzaga tra gli arbusti modellati artificialmente, e riconosce a stento la persona che sta osservando. Chi è quella creatura sottomessa intrappolata in strati di tessuto lussuoso, che perde tempo prezioso ripetendo meccanicamente frasi che ormai sono radicate così profondamente nel suo cervello che lei non è più nemmeno consapevole di star pronunciando quelle parole? Non io, rabbrividisce interiormente, lei mi assomiglia a stento ormai. Con riluttanza, d’istinto, i suoi occhi vacanti seguono il braccio del principe mentre lui le indica un cespuglio di rose. La piccola gemma rosa che lui le porge non è ancora sbocciata – ed ora non lo farà mai. Lei l’annusa distrattamente, e non sente il più debole soffio di profumo. Bello alla vista, ma questo è tutto ciò che ha da offrire.
«Come cresce una rosa?»
«Milady…?» Il viso lievemente accigliato di lui le fluttua davanti. Lei ripete la domanda, risoluta, e lo guarda attentamente. Il principe riguadagna presto la sua calma, come sempre. «Da un seme piantato nel terreno» replica pazientemente, come se stesse spiegando la più semplice delle cose ad una bambina piccola.
«Chi deve piantare il seme, in che momento dell’anno, e in quale terreno? Quanto spesso deve essere annaffiato, e potato? Quando fiorisce?»
«Forse a milady farebbe piacere parlare di fiori col giardiniere reale? Sono belli, non è vero?» Lui fa lampeggiare i suoi denti perfetti in un ampio sorriso.
E, per la prima volta da secoli, Regina non si sente né frustrata né rassegnata in sua presenza. Per la prima volta, ricambia il suo sorriso con uno dei propri – uno genuino.
«Penso di no, Vostra Altezza, vi ringrazio. In effetti, temo che non dovremo più vederci».
«Scusatemi? Vi ho offeso?»
«Di certo voi, come me, siete consapevole di dove è diretto questo corteggiamento». Chiaramente, il principe non è abituato ad una tale franchezza, ma a Regina non importa. «Credo non sia che giusto dirvi prima e non poi che questa situazione non è più sostenibile».
«Milady… La vostra impazienza mi lusinga. Io stesso sono ugualmente impaziente di compiere il prossimo passo, ma mi dicono che è necessario un certo decoro». Regina scuote la testa – com’è riuscita anche solo a mantenere questa mascherata tanto a lungo? Come di consueto, il principe la fraintende. «Molto bene, milady. Parlerò con mio padre. Credo che i tempi siano maturi –porteremo avanti il fidanzamento».
«No. Non possiamo sposarci». Lo shock è chiaramente impresso sul volto di lui: alcuno è mai stato tanto audace quanto questa sciocca ragazza col sangue di una comune nelle vene? «Non capite? Non abbiamo niente in comune. Dovete anche essere consapevole del fatto che non c’è nessuna reale affinità tra noi. Voi non sapete nulla di me, persino dopo settimane, e non sembrate curarvene molto. Vedete? Non obbiettate – niente del vostro viso suggerisce che questo sia falso, anche se le vostre labbra potrebbero essere adesso sul punto di formare parole melense che sostengano il contrario». Colto sul fatto, lui abbassa gli occhi per un breve momento, e chiude la bocca. «È meglio per entrambi farla finita prima. Come potremmo, in simili circostanze, formare una famiglia, tanto meno governare un intero regno in prosperità?» La voce della ragione è qualcosa che non avevi mai pensato di sentire da me – o da alcuna ragazza, apparentemente. Da qualche parte in fondo alla sua mente altrimenti perfettamente chiara, si registra un senso di apprensione, il cui vestito ha un orlo frusciante che striscia sul pavimento piastrellato della stanza di sua madre. «Addio, Vostra Altezza». Regina si guarda girare sui tacchi, e affrettarsi verso il palazzo con un passo svelto e leggero. Sì, questa ragazza la riconosce. Rompe in una corsa lieve e gioiosa e, incontrando la figura, si fonde con lei senza difficoltà. Un pensiero finale la induce a voltarsi indietro e dirgli: «Vi prego, non serbate rancore verso la mia famiglia».

L’angolo sembra vuoto senza l’usuale abete, e il focolare sembra abbandonato senza il piatto dei tradizionali biscotti di Natale sulla sua mensola. Forse avrebbe dovuto almeno provare a portare un’immagine di gioia festiva nella casa.
L’albero soleva significare che lui e suo padre avevano trascorso il pomeriggio nei boschi, parlando in toni sommessi, e portando a casa con loro un po’ del fresco odore silvestre e del vivido fogliame per competere con la monotonia dei colori della stagione. Gli ornamenti avrebbero significato che erano stati al lavoro per molte sere nell’angolo del focolare, intagliando legno ed intrecciando della paglia. Lo strano pacchetto che ognuno di loro avrebbe trovato sotto l’albero avrebbero contenuto qualcosa di mondano, come posate recentemente intagliate per sostituire il vecchio set rovinato, o persino un paio di calze calde di pura lana se erano riusciti a mettere da parte qualche soldo.
Non solo non ci sono biscotti da sistemare su un piatto quest’anno, ma comunque non c’è più ragione di metterli sulla mensola del camino. Daniel è cresciuto un bel po’, e sua madre, fosse stata ancora viva, avrebbe dovuto pensare ad un nascondiglio differente per trattenerlo dal rubarne uno in un momento di debolezza. La zuppa di funghi di lei sarebbe stata più cremosa e saporita di quella che è riuscito a preparare per la sua solitaria cena di Natale.
La candela tremola mentre lui mette giù il suo cucchiaio, e Daniel va ad assicurarsi che la finestra sia chiusa come si deve. Il suo sguardo viaggia sino alla villa che gli ammicca con le sue finestre illuminate. Può quasi distinguere l’albero nella sala da pranzo – alto e rigoglioso, riccamente decorato, pensa. Lei sarà seduta accanto ad esso proprio ora, con i rami più bassi che le sfiorano la guancia mentre comincia ad aprire i propri regali? Forse più tardi riuscirà a uscire di nascosto e a venire a dargli un rapido saluto… Più probabilmente no.
«Buon Natale, mamma, papà. Buon Natale, Regina». Il suo sussurro appanna brevemente la finestra, e lui la strofina con una manica per pulirla e riuscire a vedere il profilo sfocato dell’albero. Adesso sei tutta la famiglia che ho.

Le campanelle della slitta suonano. Un sonoro scricchiolio risuona quando la frusta disegna un arco aggraziato attraverso l’aria. Le labbra di Regina si contraggono alla vista di uno dei cani che danza tra le gambe dei cavalli, mandando pezzi di neve a volare in aria. Mucchi di pelliccia morbida sono impilati sui sedili, pronti ad offrire riparo dal freddo pungente. Uno scroscio di risate accompagna lo scintillio accecante della neve calciata verso l’alto da piedi in corsa. Una piccola folla di cuochi e valletti si raduna lì attorno, nascondendo la slitta dalla vista, poi si disperdono rapidamente – i muscoli dei cavalli si tendono per un momento, e la slitta sbalza in avanti. Un paio di tracce chiaramente marcate appaiono impresse sul biancore immacolato dietro la slitta, poco a poco.
Il vetro della finestra è freddo contro la sua fronte, e lei lascia andare le tende per premere i palmi contro il vetro liscio. Le tende si chiudono dentro di lei, accarezzandole la schiena mentre lo fanno. Le punte delle sue dita pizzicano al retrogusto del gelo esterno. È quasi come se ora lei fosse fuori nell’aria gelata dell’inverno, tormentando la neve con dita nude, non inguantate. Quasi.
Le campanelle di una slitta suonano. Regina appoggia la guancia contro il telaio della finestra e le sue dita iniziano a tracciare disegni distratti sulla finestra appannata.

Il bussare alla porta la meraviglia – la mamma non bussa mai, e nessun altro è autorizzato ad entrare. Forse è una domestica? O…? No, lui non oserebbe.
«Posso entrare?»
«Papà? Sei tu…» …dopotutto. «La mamma si arrabbierà». Perché ha detto questo?
Sembra aver colpito; lui evita i suoi occhi per un momento. «Ti ho portato un libro nuovo per trascorrere il tempo» offre quietamente e lo mette sopra al cassettone.
«Grazie». Quel che vuole più di ogni altra cosa è che lui lo faccia smettere, che ponga una fine a questa sofferenza – ma non è così ingenua.
«Tesoro… non guardi? Per favore?» La sua voce trema appena. «Cora, per favore…»
Lei cede, per il suo bene, ed esamina la copertina con occhi assenti. «Ma mamma, io…» Questo è troppo crudele, le parole della mamma troppo dolorose. Il disprezzo, la delusione e la rabbia nelle sue parole tagliano più profondamente dei coltelli.
«Ho pensato potesse piacerti, bambina – mentre sei tenuta lontana dagli animali veri e vivi» prova di nuovo lui, flebilmente.
Non è il libro ciò di cui lei ha bisogno. Ma è questo che fa il papà; offre piccoli conforti in momenti duri. Momenti che richiedono mezzi molto più radicali – se solo lui… «Cora, ti prego, lasciala stare…»
Perché il papà sembra sempre occupare così poco spazio? Potrà non essere un uomo grosso, ma anche così, sembra cercare costantemente di ridursi alla minor taglia possibile. La mamma, d’altra parte, sembra torreggiare su uomini molto più alti di lei. «Stanne fuori, folle!» E lui si fa piccolo nell’ombra della mamma, mentre Regina rimane esposta alla sua ira che consuma tutto.
«Tesoro… Mi dispiace». Lui non fa nessun movimento verso di lei ma si limita a restare inchiodato sul posto, curvo come sempre. «Avrei dovuto sostenerti… Avrei dovuto tener testa a tua madre. Temo di non essere il padre che meriti, o di cui hai bisogno».
«Papà!» esclama Regina. Le sue parole l’hanno colpita profondamente, e lei realizza che darebbe qualsiasi cosa per non averlo sentito pronunciarle. «Non dire questo!»
«Ma è vero» obietta lui col triste fantasma di un sorriso, inconsapevole della sua angoscia.
«Non dirlo mai!» protesta lei ad alta voce. Forse fa così male perché è quello che stava pensando segretamente prima che lui lo esprimesse? Forse se lo merita per aver pensato male di lui – lui tra tutti, che è sempre stato nient’altro che gentile con lei. «Papà, io ti voglio bene. La mamma è… una persona difficile a cui tenere testa». E prima che lui possa dire alto, lei gli avvolge attorno le proprie braccia.
Solo quando sente le lacrime di lui inzupparle la spalla realizza di essere, in effetti, quella che lo sta confortando. Un vuoto divorante prende posto nel suo cuore – un sentimento che conosce bene – e anche mentre abbraccia la cosa più vicina ad un alleato che abbia, la solitudine si abbatte su di lei come l’onda di una marea.

Quando apre la finestra, è già lì, che disturba lo strato liscio di neve sul suo davanzale. Scintilla con un tocco chiaro, nitido, diverso da quello del luccichio sparso e smorzato della neve. L’estremità che si allunga e che punta in alto proietta una lunga ombra scura.
Regina si sporge, allungando il collo, e fissa la faccia di una curiosa bestia dentosa che scopre le sue zanne ghiacciate da sotto il tetto incappucciato di neve.
Una volta era un dolce, quando lei era piccola.
Combattendo l’inquietante apatia, lei s’impone di allungare la mano verso il ghiaccio isolato caduto sulla sua finestra. Brilla ancor più splendente quando lei spazza via la neve, e manda sprazzi accecanti; Regina chiude gli occhi davanti alla sua indomita nitidezza. È freddo e spiacevole al tocco, e lei non riesce a capire come una volta poteva fingere che fosse una squisitezza – ma se lo porta comunque alla bocca e lo sonda cautamente con la lingua.

*
Quando lui apre la porta ed esce, una goccia agghiacciante gli si schianta sul naso. Un’altra lo colpisce dritto nell’occhio mentre lui si ferma per meravigliarsi della linea a zigzag che pende da sopra. Il modo in cui la luce del sole passa obliquamente attraverso i ghiaccioli abbondantemente schierati lo incanta.
Una volta era un dolce. Potrebbe esserlo ancora.
Incapace di resistere, Daniel tende una mano, ma è di gran lunga troppo alto; dovrà saltare. Occorre qualche tentativo, ma alla fine riesce a staccare un lungo frammento.
Ronzinante nitrisce dentro le stalle.
Il cono lucente è freddo e rinfrescante nelle sue mani, e lui non riesce ad afferrare come la pura meraviglia dei ghiaccioli possa mai perdere il suo fascino. Devono essercene tonnellate fuori dalla finestra di Regina, che fanno capolino da sotto il tetto innevato. Il sole deve lanciare raggi dorati, e in cambio la foresta ghiacciata di punte deve lanciare scintille dorate.
L’acqua gocciola nei suoi palmi mentre si scioglie sotto il calore delle sue mani, ed ha un gusto dolce e puro.

È difficile credere che la sua detenzione stia giungendo ad una fine, ed ancora più difficile immaginare che avrebbe provato così poca gioia alla prospettiva.
«…niente più sciocchezze, Regina!» La mamma ha davvero pestato i piedi? «Mi stai ascoltando? Non tollero questo comportamento!»
Regina annuisce una volta e tiene la testa china. Con la mamma che la tempesta di regole recentemente forgiate e misure punitive, potrebbe essere o un pessimo o un ottimo momento per questi pensieri; in ogni modo, non c’è nulla che lei possa fare a proposito.
Uscita furtivamente dalla propria stanza il giorno di Natale con due pacchetti confezionati con cura, Regina aveva sentito una fitta di senso di colpa nel trovare vuoto l’albero sontuosamente addobbato. Ciononostante, era andata a posare i due pacchetti sotto di esso: Per la mamma, e Per il papà, dicevano le etichette.
Sta dritta con il viso distolto, fissandosi i piedi, mentre la mamma continua instancabilmente la sua scenata. Come vorrebbe che avesse detto qualcosa allora! Ma no – come adesso il rimprovero è parte della punizione, così lo era il silenzio appuntito mentre scartava il regalo. Regina si domanda perché la mamma non l’abbia semplicemente lasciato impacchettato – anche quella sarebbe stata una chiara asserzione. Forse era curiosa. In ogni modo, Regina non ha mai saputo come la mamma abbia trovato il dono che lei ha scelto con tanta cura.
«…la tua detenzione è finita. Come ho detto, però, terrò un occhio su di te – giorno e notte, Regina, finché non vedrò almeno una qualche intenzione di miglioramento. È chiaro?» Il vestito della mamma fruscia, e il suo profumo le punge le narici – si è avvicinata, imponendo la propria presenza su di lei in modo ancor più pressante.
Regina annuisce.
«Guardami». Lei obbedisce. L’espressione sul viso della mamma è la stessa che ha indossato per giorni – un’espressione distaccata di rabbia fredda. «La cena sarà servita tra un momento. Vestiti». Senza ulteriori parole, si gira per andarsene.
Disperatamente, Regina prorompe: «Mamma? L’hai mai usato – almeno una volta?»
Lei non si gira nemmeno a guardarla mentre risponde. «Usato cosa?»

La crosta sottile e ghiacciata in cima alla coperta di neve risplende alla luce ricca del sole d’inverno, e scricchiola deliziosamente sotto i loro piedi. Per un po’, Regina cammina in silenzio, curiosando la campagna con occhi larghi e brillanti. Poi, di punto in bianco, scoppia in una risata argentina tanto contagiosa che presto Daniel si ritrova piegato in due per l’ilarità.
«Sono tornata» ansima alla fine lei in risposta ad una domanda mai posta. È di nuovo libera di uscire, libera da balli e principe, e per qualche giorno persino dalla mamma – come può non ridere?
Daniel ricambia un largo sorriso; in qualche modo si sente incapace di parlare, il suo petto pieno sino ad esplodere di un calore che il sole non può eguagliare. Si limita a puntare verso la loro destra, nella sfera d’ottone nel chiaro cielo biancastro.
In mezzo al paesaggio nevoso giace il lago orlato da un boschetto di alberi incappucciati di neve. La sua superficie è uno specchio lucente grigio-azzurro cosparso di pezze casualmente distanziate di morbidezza bianca. Regina rimane senza fiato alla vista.
«Facciamo a gara sino a quella roccia» dice d’impulso subito dopo, e sfreccia oltre a lui con una risata spensierata che risuonano dietro di lei. Assicurando le due paia di pattini sulle sue spalle con un ampio sorriso, Daniel inizia a correre.
Il ghiaccio è tanto spesso quanto sperava, e lui ritira il proprio piede con soddisfazione sapendo che saranno al sicuro. Regina lo oltrepassa sui propri pattini ed atterra sulla propria schiena nel momento in cui i suoi pattini toccano il ghiaccio. Un Daniel pietrificato si precipita ad aiutarla, e lei ammette tra le risate di non aver mai pattinato prima. Lui inizia a spiegare, ma Regina gli afferra impazientemente le mani con uno scintillio allegro negli occhi, e le gambe di Daniel si muovono al momento opportuno, mostrandole come fare e guidandola.
«Più veloce!» grida lei. Lui le stringe le mani più forte.
«Allora aiutami!» replica, ed è impressionato da quanto velocemente capisce come si fa.
I loro dintorni diventano una macchia indistinta mentre guadagnano velocità, lui che la traina dalle mani in un movimento all’indietro, lei che spinge in avanti con un’espressione gioiosa che s’intona a quella di lui. Le lame dei loro pattini disegnano archi e zigzag sul ghiaccio. Quando Daniel grida di tenersi forte e li fa roteare in un cerchio, Regina perde l’equilibrio. In uno sforzo disperato di proteggerla, Daniel la attira a sé con uno strattone e atterra duramente sulla propria schiena, ammortizzando la caduta di Regina col proprio corpo. L’aria viene sbalzata fuori da lui per qualche battito cardiaco.
«Stai bene?» farfuglia freneticamente. Un terribile momento di shock lo invade mentre sente le spalle di lei alzarsi ed abbassarsi rapidamente. «Regina? Regina!» La spinge in su con cura, ansioso di vedere il suo viso – un viso, nota con perplessità, contorto da risate silenziose. L’equivalente reale della pietra che gli cade dal petto sarebbe più che sufficiente per spaccare il più solido strato di ghiaccio.
Ci vuole un momento prima che Regina si riprenda abbastanza da sedersi sul ghiaccio accanto a lui, continuando a stringergli le mani. Abbassa lo sguardo su di lui, poi lo alza sul cielo, sugli alberi, sull’argine innevato, e di nuovo su di lui, con nient’altro che esultanza. «Sono viva, Daniel. Sono viva».

«Buon tardo Natale, Regina».
Gli occhi di lei si aprono con un colpetto alle sue parole. «Daniel…» dice ansimando, ed i suoi occhi si riempiono di lacrime. Niente poteva prepararla per questo, eppure capisce immediatamente. «Per me?»
«Certo che è per te» replica Daniel. «Ricordo che mi hai detto che non ti è mai stato permesso di decorare il tuo albero perché è un lavoro da servitori – e ho pensato che dovresti farlo». Una bolla di felicità si dilata nel suo stomaco alla vista della sua gioia.
«Dovremmo farlo insieme». Lei gli fa un cenno, già dentro sino al gomito alla scatola degli ornamenti natalizi sotto l’alberello.
Stelle, fiocchi di neve e cuori di diverse forme e dimensioni trovano la loro strada dalla scatola alla mano ai rami; ghirlande e renne ed angeli si uniscono a loro. Quando l’albero è appropriatamente adornato, Regina lo guarda di traverso e torna a rovistare nella scatola. Daniel stende il palmo con un sorriso.
«Va’ avanti» annuisce, e Regina mette l’elaborata cometa in cima all’albero. Entrambi stanno indietro per ammirare il risultato. È piccolo e semplice, le pagliuzze gialle degli ornamenti graziosamente contrastate contro gli aghi verdi.
«Il mio primo albero di Natale» dice quietamente lei. Poi aggiunge con una stretta alla sua mano: «Grazie».

«Assomiglia anche solo remotamente ad un angelo?»
Mentre lei si rialza aiutandosi con braccia e gambe, procedendo cautamente così da non rovinare il proprio lavoro, il cappuccio le scivola via. I suoi capelli sono bagnati e pesanti di grappoli di neve che si scioglie rapidamente aggrovigliati qua e là. Essendo arrivata ad una distanza sicura dall’impronta nella neve attentamente scolpita, Regina inizia a scrollarsi e a spazzare via i rimanenti gruppi di neve dai lunghi, scuri sipari dei suoi capelli tirati sopra la sua spalla.
«Sì» annuisce Daniel con un sorriso inconsapevole; ma non è l’angelo di neve che sta guardando. Tu sì.

È il dodicesimo giorno di Natale. Rami di alloro coprono i pavimenti, aspettando di essere portati via, così come le corone, le ghirlande e le candele. Il grande pino piove aghi asciutti e sbiaditi mentre numerosi servitori lottano per farlo passare attraverso la porta. I cuochi portano in giro piatti di avanzi di biscotti e torte, che ora saranno dati loro poiché possano dividerli con le loro famiglie.
Regina guarda l’ultimo ramo di agrifoglio decorato che viene raccolto da un valletto. La sala sembra già squallida e inutile spogliata di tutte le decorazioni festive. Quando l’uomo propone di lasciarle un ricordo, comunque, lei rifiuta – queste vacanze non hanno esattamente creato le memorie più piacevoli.
Quando l’ultimo cuoco se ne va, la casa torna nuovamente silenziosa – la mamma è ancora via e il papà non si è fatto vedere molto negli ultimi giorni. Regina è proprio sul punto di girarsi e dirigersi verso la propria stanza quando dei passi affrettati entrano nella sala.
«Daniel?» esclama sorpresa. «Non vieni mai dentro casa».
«Sono nei guai?» domanda lui con un gran sorriso. Sperava di essere abbastanza fortunato da imbattersi in lei mentre era lì.
«Non lo so… lo sei?» dice lei con un cipiglio. «Oh…» Fa un mezzo sorriso quando capisce. «Cosa stai facendo?»
«Sto aiutando con le pulizie. Mi è stato promesso qualcuno di quei biscotti zuccherati in cambio». Lui le fa l’occhiolino. «La cucina è vicina».
Questa volta lei sta al gioco. «Un pagamento? E io che pensavo fossi caritatevole».
«Mi dispiace deluderti». Daniel struscia un po’ i piedi prima di continuare. «Oltretutto ammetto che avevo un altro motivo».
«Oh?» Lei alza un sopracciglio.
«Volevo chiederti se t’interesserebbe venire a tirare giù l’albero di Natale con me. È una tradizione proprio come decorarlo, capisci».
«Verrò dopo cena» sorride lei.
«Così e basta?»
«Cosa vuoi dire?»
«È solo… Di solito dobbiamo stare così attenti a fare tutto di nascosto. È strano avere tanta libertà». Proprio mentre dice queste parole realizza quanto più intensamente lei debba provarlo.
«Lo so. È per questo che sono così felice che riusciamo a stare insieme di più in questi giorni – voglio sfruttarlo al meglio. Mi sei mancato, Daniel».
«Anche tu mi sei mancata».
Per un momento si limitano a stare lì, guardandosi, sorridendo. Daniel è quello che distoglie gli occhi, anche se non lo fa perché lo vuole.
«Cosa c’è?» chiede lei con una nota di preoccupazione, toccandogli lievemente il braccio mentre lo fa.
«Farei meglio ad andare» replica lui, senza incontrare il suo sguardo.
«No, aspetta. Stai bene?»
«Certo» dice casualmente lui. Poi, notando l’espressione confusa sul suo volto, sente una fitta di senso di colpa. «Va tutto bene. Sono solo davvero felice di poterti vedere più spesso». È la verità, discute con l’altra voce nella sua testa, adesso è più vero che mai. E questo, per così dire, capita essere la cosa esatta che gli causa preoccupazione. Perché non è l’intera verità, sospetta – e il sospetto cresce con ogni giorno che passa.
«Ti credo» dice lei dopo averlo guardato per un po’ negli occhi, e gli stringe le braccia. «Anch’io. Dovresti sapere che hai salvato il mio Natale quest’anno. E, be’, forse non solo il Natale…»
Smette di parlare, arrossendo lievemente.
Il suo sorriso illumina la stanza, e tutti i guai sembrano svanire.
Daniel si inclina verso Regina e, magicamente, lei fa lo stesso, e nessuno dei due sembra ricordarsi di girare la guancia, o forse scelgono di non farlo, o forse è solo più grande di loro – le loro labbra si toccano leggermente per il più breve dei momenti.
Lo stomaco di lui sembra essere scomparso, ma il cuore gli martella con un’intensità inaudita. Quando si separano, si fissano l’un l’altra ad occhi spalancati. Nessuno dei due parla. Il momento sembra interminabile. Il colore sale alle guance di lei, un cremisi scuro, e lui sente a propria volta un’ondata di calore. Cos’ha fatto? Non ha nemmeno mai osato pensare pensieri simili prima, e adesso ha oltrepassato tutti i limiti! Ora cosa succederà alla loro amicizia?
«Ci vediamo dopo, Regina» dice Daniel con voce roca, e fugge.
Regina rimane immobile anche dopo che lui se n’è andato, anche se le sue mani scattano alle sue labbra. È davvero successo? Cosa significa? I baci sulle labbra sono abituali tra amici? Non avendone altri all’infuori di Daniel, Regina non lo sa.
Il suo sguardo assente vaga verso il soffitto; hanno dimenticato il vischio.
Ci vuole un po’ prima che Regina realizzi di star sorridendo scioccamente. È ancora ferma nella sala, inchiodata sul posto, e il suo cuore sembra ancora mettere a dura prova la sua gabbia toracica, anche se ora in una maniera più calma e regolare. In una maniera felice.











NdT:
Per restare in tema natalizio (anche se sì, lo so, non è proprio il periodo giusto), spero che questo capitolo possa considerarsi un bel regalo.
Grazie mille a robydesy per aver aggiunto questa storia alle preferite!
Il prossimo aggiornamento arriverà venerdì 11, se ce la faccio :)
  
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