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Autore: Dream_Dust    07/07/2014    2 recensioni
La notte di Samhain è un momento magico, un periodo dove il velo tra i due mondi è talmente sottile che i morti potrebbero addirittura tornare a camminare tra i vivi. Venite a scoprire voi stessi cosa potrebbe accadere in questo giorno che gli antichi celti definivano "la fine dell'Estate".
Genere: Comico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Samhain
 
«Dobbiamo allestire un ballo».

«Eh?»

Eleonor, che poco prima era stravaccata a dormire sul morbido divano di velluto rosso nel grande salotto principale, adesso osservava il tizio che l’aveva destata dal suo sonno con una faccia assonnata e vagamente interrogativa.

Cosa voleva fare lui?

«Hai udito bene fanciulla, perciò alzati e smettila di oziare».

L’espressione incredula della ragazza si tramutò di colpo in una smorfia scocciata.
Come si permetteva? Non era per caso lui quello che l’aveva costretta a sgobbare come un mulo per tutta la mattinata con lo stupido pretesto che fosse sabato? E adesso insinuava pure che stesse oziando? Lei non stava affatto facendo ciò, si stava solo riposando dopo che un inumano sfruttatore di minori l’aveva obbligata a svolgere inutili lavoretti con la scusa che anche lei dovesse “rendersi utile alla società”.

Quella dove viveva poi non era una società, era una gabbia di tipi strani uno più diverso dell’altro accumunati dal fatto di vivere tutti sotto la stessa prigio… cioè, tetto.

Eleonor sbuffò e si girò dall’altra parte. Una ciocca di capelli castani le scivolò sulla faccia, oscurandole la vista.

«Non ne ho voglia…» bofonchiò. La sua voce giunse ovattata dalle profondità dei cuscini in cui aveva affondato il viso. Non si azzardò nemmeno a chiedere perché mai volesse allestire un ballo. Sapeva quanto fosse egocentrico quell’individuo e sicuramente avrebbe ricevuto una spiegazione che l’avrebbe lasciata basita.

«Prego?» L’uomo vestito di nero alzò un sopracciglio.

«Non.mi.va.» Scandì bene.

Attese sconsolata una risposta che già sapeva sarebbe stata negativa, ma non udì pronunciare alcuna parola dal suo interlocutore. Alzò il capo per vedere cosa stesse facendo, ma con sua sorpresa notò che l’uomo era sparito.

Si grattò la testa, allibita, per poi scorgere con la coda dell’occhio una presenza appoggiata allo schienale del divano. Si voltò di lato e si trovò faccia a faccia con il signor Delacroix che la fissava con occhi penetranti. Era inginocchiato a terra dietro al sofà  e teneva la testa nell’incavo delle braccia poggiate sul velluto morbido.

La ragazza ebbe un sussulto e ritrasse il capo, intimorita. Certo che era strano quello…

«Sai, il tuo diniego non va affatto bene» sibilò. La parte inferiore del viso era nascosta dalle braccia, perciò quando parlò non vide muoversi le labbra, ma solo gli affilati baffetti neri posti sotto al naso.

«Non mi piace che si metta in discussione il mio volere…»

«Be’, fattene una ragione» esclamò stizzita la ragazza «Non sei mica mio padre». Chiuse gli occhi e voltò il capo, offesa.

Passarono alcuni istanti di silenzio prima che si rendesse conto della cavolata che aveva appena sparato. Eh, no non funzionava più come scusa, almeno non con lui.
Eleonor aprì un occhio e guardò l’uomo che infatti stava sogghignando. Sembrava una specie di grande gatto, affamato e pericoloso.

«Non lo sono?» Domandò, in tono fintamente sorpreso.

La giovane si innervosì «Sei il tizio che mi ha adottato, ok? Tecnicamente non mio padre, oh.»

«Ma l’altro giorno mi hai chiamato papà. Oh, eri così adorabile!» La punzecchiò lui.

«Tu mi hai costretto a chiamarti così!» Sbottò infuriata, lanciandogli uno sguardo di puro odio.

«Moi?» L’altro si indicò, con innocenza.

«No, mio nonno in pigiama. Ma certo, tu! Chi altri poteva sabotare la caldaia e farmi venire l’acqua a bollore mentre ero sotto la doccia, eh?  Sei un vile ricattatore!» Sbraitò Eleonor infuriata, puntandogli contro un dito accusatore, poi di colpo si fece triste «Mi hai lasciato lì sotto per quasi un’ora, ho ustioni su tutto il corpo che lo dimostrano» piagnucolò.

«Se tu magari ti fossi decisa a dirlo prima, non avresti sofferto» rispose con semplicità il signor Delacroix, guardandosi le unghie con disinteresse.

Eleonor non disse nulla, ma rimase con la bocca spalancata in un misto di rabbia e dolore.

«Ma tornando alla nostra discussione principale, tu andrai ad allestire il ballo come tutti gli altri, senza se e senza ma. Mi sono spiegato?» La scrutò nuovamente con quello sguardo, mentre tutta la sua persona emanava autorità. I suoi piccoli occhi d’un grigio acquoso sembravano le argentee onde di un mare in tempesta.

Eleonor però non si fece intimorire e lanciandogli un’occhiata di sfida si avvicinò a lui, incrociando le braccia sul petto. «E se mi rifiutassi?»
L’uomo ghignò, uno dei suoi soliti sorrisi inquietanti. Sembrava solo che stesse aspettando con trepidazione una risposta simile.

«Oh, allora potrebbe accadere qualcosa di veramente spiacevole…» esclamò, congiungendo le dita delle mani in una posa alquanto diabolica.

«A te?»

«No, a vous

«Ah. E che tipo di “cosa spiacevole”, sentiamo?» Disse Eleonor con strafottenza, mantenendo il suo tono di sfida.

Non aveva paura di lui, ormai le aveva sperimentate tutte, non c’era più niente che potesse farle.

«Potrebbe accidentalmente accadere che tutti gli elettrodomestici di casa misteriosamente scompaiano dalla tua vista non appena tu cerchi di accenderli, e nel caso tu effettivamente abbia intenzione di provare, scatterebbe immediatamente qualcosa che mi avvertirebbe di tale inopportuna mancanza di obbedienza, e in tale circostanza, io non potrei far altro che punirti. Ma tutto ciò è ovviamente un concetto ipotetico, mia cara».

Parlò in tono così serafico che quasi la ragazza credette fosse scherzoso. Ma con lui non si scherza.

«Per elettrodomestico intendi, la tv?» Indagò lei, facendosi sospettosa.

«Ah-ah». Sorrise, divertito.

Già questa notizia fece gelare il sangue nelle vene dell’adolescente e l’uomo lo notò. Ma Eleonor non si sarebbe data per vinta.
«Anche il tosta pane, il computer, il frigorifero, il forno, la lavatrice, il cellulare e la doccia?»

Il signor Delacroix annuì a ogni oggetto elencato.

«Ma il cellulare e la doccia non sono elettrodomestici!»

«Mia la casa mie le regole, ma chérie».

La ragazza divenne rossa di rabbia e sussurrò a denti stretti: «Tu. Sei. Il. Male!»

«Felice che tu lo abbia notato, donzella. Orsù, ho avuto la clemenza di darti un’altra opzione, quale scegli tra le due?» Esclamò l’uomo con occhi socchiusi ed espressione furbesca.

Si mise in una posizione più comoda e aspettò con trepidante attesa la sua risposta.
Infatti, dopo attente riflessioni, la ragazza si prese la testa tra le mani e urlò: «Va bene! Allestirò il tuo stupido ed inutile ballo! Ma sappi che sei la feccia del mondo, l’essere più infimo, perfido, calcolatore e malvagio che io abbia mai avuto la sventura di incontrare in tutta la mia vita!»

Cazzo, odiava con tutto il cuore ammetterlo, ma l’aveva incastrata. Che il cielo lo maledisse.

Quello però sembrò non curarsi della sfuriata della giovane e osservandola di sottecchi si alzò con tutta calma « È un piacere fare affari con te, figlia adorata. Sei proprio una ragazzina acuta, degna erede di tuo padre» cinguettò allegro, scompigliandole i capelli.

Eleonor fu tentata di tirargli un morso, ma lo considerò troppo rischioso, quindi si limitò a scacciare la sua mano in malo modo. «Tu non sei mio padre!» Ribadì mentre lo vedeva allontanarsi, felice e sogghignante.

«Ci vediamo più tardi, mon amie» la salutò mentre usciva dalla stanza.

Dopo avergli lanciato un’altra occhiataccia, Eleonor si abbandonò sul divano, sbuffando sconsolata, mentre ascoltava il crepitio del fuoco ardere caldo nel caminetto. Fuori dalla grande vetrata di fronte a se, il cielo era nuvoloso, ma si poteva vedere il sole calare all’orizzonte.
Faceva uno strano effetto tutto ciò lì, in quella immensa villa cupa e antica, rilucente di un misterioso splendore che si perde nei meandri del tempo. La polvere che imbiancava i libri di ogni scaffale era come i granelli di una clessidra che scorre, e il grande orologio in numeri romani posto proprio sulla facciata della casa, rintoccava le ore con solenne lentezza.

La ragazza sorrise. Le piaceva abitare in quel posto, per una come lei che amava il gotico e il sovrannaturale, quello era senza ombra di dubbio il luogo più bello del mondo.

Posto in cima al cucuzzolo di una collinetta, alla larga da sguardi indiscreti, circondata dalle ombrose fronde degli alberi -che parevano i capelli di arboree fanciulle- e dall’immenso giardino, Eleonor non avrebbe potuto chiedere di meglio. E poi che forza, avevano pure un cimitero! Con tanto di scheletri e cadaveri, che figo!

Osservò con attenzione un’altra foglia secca staccarsi da una magnolia posta appena fuori dalla finestra e la vide ondeggiare strasportata dal vento con una certa malinconia.

“Anche all’orfanotrofio c’erano le magnolie...” pensò, quasi rapita dal movimento danzante della foglia. Questo le ricordò Alex, l’amica per eccellenza, l’unica che le avesse tenuto compagnia tutti quegli anni nell’orfanotrofio,  la persona alla quale era più legata in assoluto e che era stata costretta a lasciare.

Senza che lei lo volesse, i suoi occhi divennero lucidi e avvertì uno strano groppo alla gola. Poi però si riscosse, dicendosi che Alex non l’avrebbe voluta vedere intristirsi per lei. Doveva essere felice, felice per la sua nuova casa e la sua nuova vita.

Allora Eleonor sorrise, adesso nuovamente in pace con se stessa. Fece per rimettersi a dormire, ma una sgradevole sensazione di gelo le ricordò che doveva allestire una stupida festa per un ignobile e stupido tizio.
Nuova vita o no, lì c’era ben poco da essere felici. “Dio, quanto lo odio.”
  
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