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Autore: Dream_Dust    07/07/2014    2 recensioni
La notte di Samhain è un momento magico, un periodo dove il velo tra i due mondi è talmente sottile che i morti potrebbero addirittura tornare a camminare tra i vivi. Venite a scoprire voi stessi cosa potrebbe accadere in questo giorno che gli antichi celti definivano "la fine dell'Estate".
Genere: Comico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Un po’ più a destra, un po’ più a destra…. No, così è troppo, vai a sinistra. Sinistra ho detto!» Urlò Ben alla sorella, che intanto dall'alto del balcone, cercava di fissare una lunga tenda rosso scarlatto con ricami d’oro raffiguranti complicati disegni di piante e fiori.

«Certo se anche tu ti spiegassi meglio, eh» lo riprese lei di rimando.
Ben stavolta non l’ascoltò, ma si limitò a continuare a darle indicazioni.

Mentre Eleonor  proseguiva ad appoggiare candele di vari colori e candelabri d’argento in ogni spazio della casa indicateli, si fermò a osservare come procedeva il lavoro dei due gemelli.

Be’anche loro erano a buon punto, constatò.

Con la coda dell’occhio, la ragazza vide Elettra scendere da una delle due rampe di scale ed asciugarsi la fronte sudata con uno sbuffo, mentre affiancava Ben.

Secondo il modesto parere di Eleonor, era una bella ragazza, almeno quanto il fratello. Alta, slanciata e dalle spalle robuste, la sentinella di casa era fatale quanto la sua spada, un fioretto da moschettiere dall'impugnatura d’argento e la lama scura. I lunghi capelli biondi erano meno splendenti rispetto a quelli del fratello, sporcati da ciocche di un castano chiaro. Anche gli occhi apparivano diversi, specchi d’un verde profondo torbido, privi della luce che illuminava i laghi smeraldini di Ben.

«Tu adesso fai l’altra parte» esclamò la ragazza, indicando al fratello la parte di balconcino che dava sulla seconda scalinata, quella a destra.

Ben però puntò i piedi «Eh no, io ho già fissato lo stendardo con lo stemma e il tappeto rosso all’ingresso, perciò ora tocca a te mettere anche l’altra tenda, cara mia».

«Beniamino, inutile caccola, ho detto che tocca a te fissare l’altra tenda» ringhiò Elettra.

Ben scosse la testa con rabbia e alcuni capelli biondi gli andarono a coprire un occhio verde smeraldo. «Ti ho ripetuto millanta mila volte di non chiamarmi con il mio nome intero, e ti ho vietato di chiamarmi anche caccola!»

«Io ti chiamo come mi pare e piace, sputo. Sono la maggiore».

Il ragazzo alzò una mano come per indicarla e poi la fece ricadere su una coscia, provocando un sonoro schiocco «Sentitela, come se questo ti desse il diritto di offendermi, e poi, chi ti ha detto che sei la maggiore, eh? Siamo gemelli». Specificò lui incassando la testa fra le spalle.

«Io sono la maggiore perché anche se siamo nati nello stesso giorno, ho visto la luce prima di te». Esclamò orgogliosa lei «Me la ricordo ancora, era così abbagliante…»

«Ma se eri in fasce, come fai a ricordartene? Tu sei tutta matta…»

Elettra, furibonda, si avvicinò a lui talmente tanto da sfiorargli la punta del naso con il proprio, poi sbraitò: «Se io sono matta allora tu sei cretino!»

Ben inarcò le sopracciglia e urlò: «E tu allora sei cicciona!»
La sorella si allontanò di scatto da lui, assumendo un’espressione oltraggiata «Come hai osato…?» Boccheggiò.
 
Poi, il suo viso si tramutò in una pura maschera di agghiacciante furia omicida «Ripetilo».

Ben, con un sorrisone quasi ebete, non se lo fece dire due volte. «Sei ciccio…» La sorella non gli diede tempo di terminare la frase. Come un bufalo che carica il bersaglio, si avventò su di lui, iniziando a tirargli i capelli e a morderlo dove capitava.

Eleonor, che intanto li osservava da lontano, prima scoppiò a ridere, ma poi, vedendo che nessuno arrivava per separarli, iniziò a preoccuparsi. 

Sarebbe toccato a lei far cessare la lite? Non aveva alcuna voglia di beccarsi un pugno o un calcio da qualche parte, perciò rimase ancora un po’ a vederli scannarsi, indecisa sul da farsi.

“Che strano” pensò. “Di solito in queste situazioni interviene sempre…”

«Per l’amor del cielo, ragazzi! Non posso lasciarvi un secondo da soli che iniziate a fare a botte… Ed Elettra, per favore, smettila di azzannare il collo di tuo fratello. Questo non si addice affatto a una signorina».

Da lontano, Eleonor tirò un sospiro di sollievo.
Per fortuna era arrivato Albert. Un po’ in ritardo stavolta, ma almeno era arrivato.

Il maggiordomo di casa tenne a bada i due ragazzi così che non potessero avvicinarsi, poi dopo averli rimproverati nuovamente, diede loro il permesso di riposarsi.

Entrambi gioirono a quella notizia, e di corsa si diressero nella loro stanza.

Albert esalò un lungo sospiro di sfinimento, poi con una mano si tirò indietro i capelli color platino.
Eleonor non poté fare a meno di arrossire. Cavolo, quanto era bello Albert!

Sapeva di non dover fare certi pensieri su un uomo che di sicuro aveva il triplo della sua età, ma non ne poteva fare a meno. L’aitante maggiordomo era proprio il suo tipo.
Con i capelli lisci di un impressionante biondo platino e un paio di occhi azzurri color ghiaccio, Albert era senza dubbio il solito uomo che faceva impazzire le donne.

Sul mento dal viso lungo e la mascella forte, si trovava  appena una spruzzatina di barba bionda, possibile da notare solo prestandovi attenzione.

Eleonor, immersa nelle sue profonde riflessioni riguardanti la fortuna che aveva avuto a trovarsi in casa un pezzo d’uomo del genere, non lo vide nemmeno avvicinarsi a lei.

Sobbalzò appena si sentì chiamare  «Ehm, scusa. Ero distratta, dicevi?»

Albert sorrise «Tranquilla. Dicevo che anche tu sei vuoi puoi riposarti. Ho appena terminato di sistemare le decorazioni floreali e spedito gli inviti. Se sei stanca posso terminare io al tuo posto, di mettere le candele, intendo».

Eleonor si sentì quasi commossa. “Oh, Albertuccio. Tu faresti questo per me?”
Fu quasi tentata di accettare la sua proposta, ma poi scosse la testa con forza.

«Ti ringrazio per l’aiuto, ma tu hai già fatto tanto. Qui posso finire io, non mi manca molto» rispose sorridendo la ragazza.

In realtà, quello era uno sforzo che le costava alquanto. 
Era da dopo pranzo, quando si era appisolata sul divano e quell’infame l’era venuta a svegliare che non la finiva più di mettere candele, candeline, candelabri, candelotti e chi più ne ha più ne metta.

Ma per Albert, si disse, questo e altro.
L’uomo allora si allontanò da lei e si esibì in un lieve inchino.

«Grazie, miss Eleonor».

«Di niente».

La ragazza lo vide allontanarsi, ma dopo non molto tornò indietro «Ah, quasi dimenticavo. Il signor Delacroix mi ha riferito di avvertire tutti che gli ospiti giungeranno alle otto in punto.»

«Oh, va bene». Annuì la ragazza.

Mentre tornava a piazzare le candele in ogni parte della casa, e anche in giardino, iniziò a farsi sospettosa: lì c’era sotto qualcosa che non andava, quel ballo doveva aver per forza un altro fine. 

Era impossibile che il signor Delacroix, si mettesse a dare una festa privata nel suo giardino così, tanto per divertimento. No no, da quando lo conosceva e da quel che aveva capito di lui, la società moderna lo disgustava, cercava di evitare i contatti con le persone in qualsiasi modo. 

In effetti, sembrava un po’ socio fobico. Forse era per questo che giù in paese correvano strane voci su di lui e tutti i cittadini si tenevano alla larga dalla sua dimora? Udiva i chiacchiericci della gente di passaggio quando andava a scuola.

Non che fosse considerato un reietto della società, anzi, era rispettato ed ammirato da molti, ma per una persona che non esce mai di casa e non si vede se non di notte, forse alcune domande iniziano a sorgere spontanee, no?

Eleonor stessa la prima volta che lo incontrò, era timorata e affascinata al tempo stesso.
Quell’individuo esercitava uno strano effetto su coloro che gli stavano accanto, lei lo aveva addirittura scambiato per vampiro. Ma come biasimarla, un po’ ci somigliava.

Capelli corvini impomatati all'indietro con appena due ciuffi che ricadevano dalla ampia fronte pallida, sottili baffetti affilati, portamento nobile ed elegante, in un certo senso antico… Forse chiunque lo avrebbe additato come un non morto, scommetteva che fossero queste le voci che correvano giù in paese.

Chissà. Ma la domanda principale rimaneva tale: perché organizzare un ballo in casa propria?

Non molto più tardi, ad Eleonor giunse risposta.

Alle sette in punto, tutti i componenti della casa vennero radunati nel grande salone principale, lo spazio immenso dove si sarebbero svolte le danze, proprio di fronte all'ingresso.

Eleonor ebbe il piacere di vedere anche il cuoco, che di solito non usciva mai dalla cucina. Ora che ci pensava, non sapeva nemmeno dove dormisse. 

Come si chiamava? Co… Cornelius… Ah, si! Connor.
Quel tipo era quello che le faceva più paura di tutti, anche del signor Delacroix.

Era tozzo, grosso, non molto alto a dire il vero, ma incuteva lo stesso timore. Qualcosa della sua faccia squadrata e barbuta però lasciava intendere che fosse un individuo giovane, anche se a primo impatto non si sarebbe affatto detto.

Doveva avere su per giù la stessa età di Albert, anche se la barba, le sopracciglia folte e l’espressione truce non lo aiutavano affatto.

D’improvviso, il cuoco guardò verso di lei, con ancora il completo da lavoro sporco di salsa ed il caratteristico cappello bianco poggiato sulla testa. Le lanciò un’occhiata spaventosa, ed Eleonor si affrettò a distogliere lo sguardo, ma sentì che i suoi occhi d’inchiostro erano ancora fissi su di lei.

Era una sensazione altamente sgradevole, come sentirsi addosso gli occhi di un predatore che ti fissano smaniosi. 
Le parve di avvertire il suo fiato caldo sul collo, e la sua voce che le gridava nelle orecchie parole inarticolate per poi tramutarsi  nel ringhio basso e famelico di un grosso cane, un cane nero dagli occhi di brace.

Eleonor serrò le palpebre con forza, in preda a un terrore ceco sorto dal nulla. Poi le riaprì di scatto, come risvegliatasi da una specie di trance, e vide che il cuoco non era più intento a scrutarla.

La ragazza si poggiò una mano sul cuore per sentirlo battere all'impazzata. Si toccò la fronte per scoprire che era umida. 
 Deglutì sonoramente e tirò un lieve sospiro di sollievo. 

Adesso, aveva ufficialmente più paura di prima.

Sentì un rumore di passi avvicinarsi e dalle lunghe rampe di scale, ornate da un tappeto rosso, apparve la figura alta e scura di Vincent Delacroix. 

Faceva uno strano effetto, all'apice dei gradini, proprio di fronte alla grande vetrata principale dove morivano le ultime luci del sole. Sembrava che lui stesso fosse la causa della scomparsa dell’astro luminoso.

Illuminato dalla luce del crepuscolo, l’uomo se ne stette lassù a osservarli tutti uno ad uno, come se fossero il suo reame e lui ne fosse il sovrano indiscusso. Indossava come suo solito un elegante completo da uomo interamente nero, mentre legato al collo aveva un vaporoso plastron scarlatto, nel quale era conficcata una specie di grande spilla dai bordi dorati al cui centro brillava un gioiello dalla sfumatura sanguigna. 
Eleonor fino a quel momento, aveva sempre pensato si trattasse di un rubino, ma non aveva mai chiesto conferma.

Scese alcuni gradini con la fierezza degna di un nobile, il portamento di un conte. Da ogni passo traspirava forza, potere. Le affusolate dita da pianista accarezzarono il corrimano in legno di acero come se fosse il collo di una delicata fanciulla e gli anelli d’oro e d’argento vennero illuminati dalla fiamma delle candele, le gemme incastonate rifletterono tenue luci di arcobaleno.

Poi terminò il suo passo cadenzato e giunto quasi di fronte a loro parlò. La sua voce fu l’unica che  avessero mai desiderato ascoltare in quel momento. «Signori, come oramai dovreste sapere, manca poco più di un’ora all'inizio delle danze. Ebbene, questa sera non impartirò ordini di alcun genere».
Tutti si scambiarono degli sguardi sorpresi e l’uomo si prese tempo per assaporare quella meraviglia destata dalle sue parole. 

«Noto il vostro stupore che nasconde malcelata gioia, amici miei. Ma vi assicuro, che per quanto possa sembrare strano, desidero sinceramente che ognuno di voi non si dia peso di svolgere alcuna mansione. Ascoltate e fidatevi delle mie parole, questo non è un giorno come tutti gli altri, è sacro e ne avrete la prova.    
                                                                                                                                         
«Voi potete chiamarlo Ognissanti, Giorno dei Morti, Halloween –anche se non è per quest’ultimo il caso–, ma rammentate che le sue origini hanno radici ben più antiche. Prima della Chiesa, dell’avvento del Cristianesimo e dell’alba americana, in questi tre giorni veniva festeggiato il capodanno Celtico. L’ultimo giorno d’Estate, quando si termina il raccolto prima del lungo Inverno. Il giorno dove il confine tra il mondo terreno e quello degli spiriti è esiguo ed i morti possono tornare a camminare tra i vivi. Se verrete esclusi da questa festa perderete voi stessi, poiché quest’oggi non ha tempo, l’anno passato non è terminato, ma quello nuovo non è ancora giunto. La dea Ecate solleva il velo tra i due mondi, e non ci sono limiti a ciò che i vostri occhi potranno vedere. Festeggiate signori miei, poiché questo è Samhain, il crepuscolo dell’anno!» Terminò allargando le braccia con fare teatrale e un sorriso smagliante.

Eleonor si sentì affascinata dal suo discorso, come se un saggio le avesse tramandato un segreto che da tempo era rimasto celato alle menti di comuni mortali. Nutrì ancor più ammirazione nei confronti di quell'individuo unito a timore reverenziale.

Samhain? Ultimo giorno d'Estate? Cosa significava?
Calarono alcuni istanti di silenzio nell'immenso salone, poi qualcuno si decise a parlare.

«Si, tutto questo è molto interessante, ma noi sul serio non dovremo fare niente?» Domandò Elettra, circospetta, agitando una mano come per scacciare un insetto.

L'uomo scosse la testa, sorridendo. 

Eleonor vide il viso della ragazza illuminarsi, poi con un grido di gioia, batté un cinque a Ben.

Anche Albert sembrò più rilassato, mentre Connor continuò a mantenere la sua faccia costantemente imbronciata.

Poi, il signor Delacroix fece un gesto sbrigativo con le mani «Orsù, adesso dileguatevi e andate a mettervi qualcosa di carino per stasera. Albert, hai  spedito tutti gli inviti?»

« Ma io non ho niente di carino!» Si lamentò Ben.

L'uomo lo ignorò, posando il suo sguardo sul maggiordomo. Quello si poggiò  una mano inguantata sul petto ed esclamò: «Certo signore. Ho anche aggiunto la nota a piè di pagina come mi aveva ordinato».

«Ottimo!»

«Che nota sarebbe?» Indagò Elettra, curiosa.

L'uomo scese gli ultimi gradini e giunse in mezzo a loro, poi sorrise alla ragazza.

«Oh, niente di importante. Solo che la festa sarà aperta ad un pubblico di età pari o superiore ai 26 anni». 

«Ah» fu la risposta apatica della bionda, per niente sorpresa.

Dal canto suo però, Eleonor lo fu; ciò le sembrò profondamente ingiusto e discriminatorio, nei suoi confronti e in quelli dei suoi coetanei. Inoltre, con quella semplice frase aveva infranto le sue possibilità di incontrare ragazzi della sua età con cui poter fare amicizia.

«Ma perché metti un limite di età, scusa? Qual è il problema?» Si azzardò a domandare, irritata.

Vincent socchiuse gli occhi grigi e le lanciò uno dei suoi soliti sguardi intensi. La ragazza nemmeno se ne accorse, ma era indietreggiata di qualche passo finendo accanto a Elettra.

Dio, certo che anche lui la metteva in soggezione!

Dopo poco però, sul suo volto si affacciò un sorrisone gioviale che possibilmente la spaventò ancora di più.

«Ah, ma la risposta alla tua domanda è semplice, mia cara». Fece una piccola pausa ad effetto, poi allargò le braccia come se stesse facendo notare la misura di un grosso pesce «Io odio i ragazzini!» esclamò semplicemente.

Eleonor rimase di stucco, ma poi si disse che ciò spiegava molte cose, come il suo sfruttamento da parte sua, ad esempio. Annuì, convinta della risposta ricevuta.

Dietro di lei, la ragazza sentì qualcuno tirare su col naso. Era Ben, che con un'espressione sconsolata, sollevò un dito incerto a indicarsi il volto «Odi anche noi?»

Con passo svelto e continuando a sorridere, l'uomo si portò dietro i tre ragazzi, abbracciandoli in contemporanea «Ma certo che si. Io odio tutti indistintamente, non è fantastico?»
«No!»

«Tu sei pazzo…»

«Bhuahaha, il signor Vincent ci odia!» Ben scoppiò in lacrime, la sorella di mala voglia lo consolò e insieme se ne andarono di sopra.

Anche Eleonor fece per andarsene, ormai stanca di tutta quella stranezza, quando notò il signor Delacroix afferrare saldamente Connor per una spalla e sussurrargli all'orecchio qualcosa. Vide il cuoco stringere i pugni e serrare la mandibola, per poi liquidarlo con una risposta affrettata.

La ragazza trovò quel comportamento bizzarro, ma non se ne diede pena più di tanto. Salì le scale con passo pesante, desiderosa ora soltanto di riposarsi un po' prima dell'arrivo degli ospiti.

Sentì in cuor suo che quella sarebbe stata una serata ancor più impegnativa delle altre.
  
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