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Autore: Lelaiah    07/07/2014    1 recensioni
Da diversi anni il genere umano è entrato in contatto con il mondo soprannaturale e la convivenza, nonostante alcuni alti e bassi, sembra essere tranquilla. L'arrivo del branco MacGregor a New York ha creato un grande scompiglio tra gli altri gruppi di licantropi e stuzzicato la curiosità della stampa.
Tutto quello che vuole Evan, figlio dell'Alfa del clan appena arrivato da oltreoceano, è poter vivere la propria vita in pace. Possibilmente evitando la maggior parte dei contatti col padre e ignorando le richieste egoiste della bella ed algida Crystal, sua moglie.
Nella stessa città vive anche Amanda, giovane assistente che condivide l'appartamento con la sorella Frances e il fidanzato di lei, Andrew. La loro vita scorre tranquilla, lontana da qualsiasi coinvolgimento col soprannaturale... almeno fino a quando tutti loro non si ritroveranno nel bel mezzo di un attacco perpetuato da alcuni licantropi di un clan locale.
L'inaspettata trasformazione di Drew porterà questi due mondi ad entrare in collisione. Far collimare stili di vita dissimili sembrerà ancora più difficile quando la città verrà sconvolta da una serie di omicidi, questa volta ai danni della comunità soprannaturale.
Umani e licantropi riusciranno a collaborare? E magari anche ad innamorarsi?
Buona lettura!
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 14 Can we make a deal?
Scusate per l'immenso ritardo, ma dovevo dare un esame impegnativo e organizzarsi con altre persone non era semplice. Quindi niente tempo per scrivere >___<
Ok, questo è un capitolo di transizione, ma ci sono alcuni avvenimenti importanti... mi sto divertendo a complicare la vita ad Evan :P
Non indugio oltre e vi lascio alla lettura! :)

02-07-2017: Segnalo una piccola correzione. Nel capitolo viene menzionato un anello che, in precedenza, era d'argento. Dato che l'argento è un metallo nocivo per i licantropi, è stato sostituito dall'oro.







Cap. 14 Can we make a deal?


  Da quando il capitano gli aveva detto che aveva bisogno di conferire con lui, Eric non aveva fatto altro che mordersi nervosamente il labbro inferiore e torturarsi la cravatta della divisa.
Non sapeva cosa potesse volere Evan MacGregor da uno come lui e aveva paura di non poter essere all’altezza della richiesta.
Restò in quello stato di perenne agitazione fino alla fine della giornata lavorativa.
  Stette seduto alla propria scrivania, quasi certo che sarebbe stato quello il momento della tanto temuta chiacchierata.
Quando lo vide avvicinarsi, non poté trattenersi dal sobbalzare leggermente. “Non vuole mangiarti, stupido! Datti un contegno!”, si rimproverò. –Capitano.- gli fece un cenno col capo, mantenendo una postura abbastanza rigida.
-Rilassati, soldato.- Van capì subito il suo stato d’animo e cercò di metterlo a proprio agio. Iniziava a seccarlo essere considerato da tutti un possibile Dearan MacGregor, ossia un pazzo con manie di controllo pronto a dare in escandescenza al minimo segno d’insubordinazione.
Perché, ovviamente, era da parecchio che suo padre aveva assunto quel ruolo, nella sua testa.
Eric si affrettò ad abbassare lo sguardo. -Mi scusi…
Lo scozzese alzò gli occhi al cielo, cercando di non innervosirsi. “Non ho mai morso nessuno in forma umana. Lo giuro.”, pensò. –Prima hai detto di essere imparentato con Aleksandr… è tuo zio, dunque?- gli chiese.
A quella domanda, il ragazzo si accigliò. –Sì… è il fratello di mia madre.- confermò.
-Questo spiega il tuo cognome occidentale.- commentò l’altro.
-Be’, sì, mio padre è gallese.- confermò. –Perché mi sta facendo tutte queste domande? Le interessa la mia storia familiare?
-Avrei bisogno di parlare con Aleksandr. Si tratta di una questione personale. Potresti farmi avere un incontro con lui?- domandò. Solitamente non si affidava agli altri per ottenere quello che voleva, ma in quel caso non aveva nessun altro modo per entrare in contatto con quel licantropo.
Il giovane lo fissò ancor più stupito. –Ehm… mi serve sapere il motivo… almeno quello.- mormorò, spaesato. Che il suo capitano fosse un ricettatore come suo zio? Non approvava quel genere di attività e l’aveva spesso detto ad alta voce, ma sapeva che non aveva il potere di cambiare lo stato delle cose.
Sperava solo di non esser caduto dalla padella nella brace.
-Un nuovo insediamento territoriale.- disse solamente Evan. Capiva la richiesta del suo sottoposto, ma non voleva nemmeno rivelargli tutti i retroscena.
-D’accordo. Vedrò che posso fare.- rispose Eric.
Evan gli fece un cenno col capo. –Grazie. Ci vediamo domani.- e detto questo uscì dall’ufficio, diretto verso il parcheggio privato del dipartimento.


-Amanda, sei sicura di quello che stai facendo?- lo sguardo preoccupato di Gabrielle non l’aveva lasciata un attimo, da quando erano uscite dal negozio.
L’amica le lanciò una rapida occhiata, poi continuò ad osservare la strada davanti a sé. –Sì… perché?- chiese.
-Perché ti hanno ferita in modo grave e non hai denunciato il fatto alla polizia.- le fece presente.
-Ho denunciato il fatto: Evan è un poliziotto.- puntualizzò la morettina.
Gabbie sorrise, sorniona. –Vedo che sei passata al tu.- commentò. Per poi tornare subito seria e aggiungere:-Non ti stai infilando in qualcosa più grande di te, vero?
A quelle parole, Mandy abbassò il capo e proseguì in silenzio per qualche metro. –Sì, hai ragione: è sicuramente qualcosa più grande di me. Ma non ho altra scelta, voglio aiutare Andrew.- rispose, tornando a guardarla direttamente negli occhi.
L’altra allora sospirò. –Non farti ammazzare, però.- si raccomandò. Sapeva che, quando Amanda si metteva in testa una cosa, era difficile farle cambiare idea. Puntava dritta all’obiettivo.
-Ci proverò. Le persone che ho attorno dovrebbero proteggermi…- tentò di rassicurarla.
-Dovrebbero?- Gabrielle sollevò un sopracciglio curato, visibilmente scettica.
La sua migliore amica ridacchiò brevemente. –Be’, posso contare sicuramente su Andrew. Gli altri non hanno obblighi nei miei confronti.- precisò.
-Ne sei sicura? Ti hanno quasi ammazzata per causa loro!- le fece presente.
-Ok, ma io non voglio che si sentano in debito nei miei confronti!- replicò, allargando le braccia.
-Be’… magari ne viene fuori qualcosa di buono, no?- ammiccò Gabbie. –Mister scozzese è tornato sulla piazza.
Mandy la guardò con tanto d’occhi, arrossì e poi si mise a ridere. –Non stai dicendo sul serio, vero?
-Perché?- fece l’altra.
-Credo che, dopo un’intera vita passata con la moglie, ne abbia abbastanza di donne.- osservò, sicura. “E sicuramente non ha tempo per imbarcarsi in una relazione, visto che stanno cercando d’ucciderlo.”, aggiunse mentalmente.
Gabrielle allora s’indignò. Si fermò nel bel mezzo del marciapiedi, facendo fermare anche la sua accompagnatrice. –Ehi, smettila di sminuirti. Tu non vali meno di quell’oca coi capelli perfetti e il vitino da vespa. Sono altre le cose a cui si deve dar valore!- la pungolò con l’indice, cercando di farle entrare bene in testa il concetto.
-Ok, ho capito, ho capito. Dovresti fare un corso per diventare una motivazionista.- brontolò.
-Potrebbe essere una soluzione contro la crisi.- ammiccò Gabrielle, facendola ridere.
Continuando a raccontare cose assurde e divertenti, le due si diressero verso la metropolitana, pronte a rientrare a casa dopo una giornata di lavoro.
Mandy, in particolare, non vedeva l’ora di sdraiarsi sul divano e lasciar riposare la gamba ferita.


  Quel giorno si sentiva irrequieto e temeva fosse a causa dell’imminente luna piena.
Alastair gli aveva spiegato cosa sarebbe successo all’approssimarsi di quel periodo ma, con tutti i cambiamenti in corso, gli era passato di mente.
  Ed in quel momento si trovava a dover tenere a freno i propri sensi, amplificati dall’influenza dell’astro. La bestia dentro di lui si stava agitando, mordendo il freno: voleva uscire, dar libero sfogo alla propria energia.
Ma non poteva permetterselo, soprattutto non quando doveva prepararsi ad ospitare due licantropi nel proprio appartamento.
  Lui e Amanda si erano accordati per telefonare a Frances ed aggiornarla. Non sapeva come sarebbe andata a finire, ma voleva che lei sapesse cosa si stava perdendo, sperando che ciò potesse farle cambiare idea.
Terminò di asciugarsi i capelli e poi gettò l’asciugamano nel borsone. Quel giorno la lezione di nuoto era durata più del dovuto e lui si sentiva stranamente seccato dalla cosa.
Più del normale, ovviamente.
“Dev’essere la luna…”, pensò, prendendo un respiro profondo. Infilò le ultime cose nella sacca, recuperò la giacca e si avviò fuori dallo spogliatoio maschile. Passando davanti alla reception, salutò le due ragazze presenti e poi imboccò l’uscita.
  Una volta fuori respirò a pieni polmoni ed arricciò il naso: l’aria di New York non gli era mai sembrata così pesante. Ora che aveva i sensi sviluppati certe cose non riusciva proprio ad ignorarle.
Sospirando, si passò una mano tra i capelli scompigliati dalla cuffia e si avviò verso casa. Diede un rapido sguardo all’ora ed accelerò il passo. Quella sera Amanda avrebbe cucinato due belle fiorentine e lui adorava la carne italiana.
Meglio ancora se al sangue.
Quel pensiero lo colse leggermente di sorpresa. Sorrise brevemente, trovando ancora una volta conferma ai suoi timori ed aumentò il passo. “Il lupo dentro di me è veramente più forte, in questo periodo.”, constatò.
Superò in fretta il Guggenheim ed imboccò la prima rampa di scale che lo avrebbe portato alla metropolitana. Aveva voglia di farsi una corsa, ma il centro di New York non era sicuramente il posto adatto, nonostante i passanti sapessero che tra di loro si aggiravano soprannaturali.
Saltò gli ultimi due gradini e poi alzò lo sguardo verso il tabellone degli orari, cercando di capire a quale binario dovesse andare. Una volta trovata la corsia giusta, si avviò rapidamente, scansando le persone davanti a sé.
  Quando aprì la porta del proprio appartamento venne investito dall’invitante odore della carne. Lasciò cadere borsa e giacca all’ingresso e poi si affrettò a scendere per raggiungere la cena. Spalancò la porta dell’appartamento senza pensarci, facendo sobbalzare Amanda.
-Andrew!- esclamò lei, evitando per un pelo di rovesciare la padella.
-Scusami! Non volevo!- esclamò lui, mortificato. La raggiunse con uno scatto e, così facendo, la spaventò ancora di più. La ragazza mollò la presa sul forchettone e quello cadde a terra, tintinnando. –Scusa!- si chinò e raccolse l’oggetto.
Glielo porse con un’espressione dispiaciuta, mortificato per averla fatta spaventare. Amanda cercò di darsi un contegno e ridacchiò nervosamente. –Non ti preoccupare. Mi hai solamente colto alla sprovvista.- ammise.
Drew le lanciò un’occhiata prima di abbassare lo sguardo e mormorare:-Sei agitata, lo sento dal tuo battito.
-Sì, ma ora passa. Tranquillo.- lo rassicurò lei. –Com’è andata la lezione?- domandò, deviando la conversazione su un argomento più sicuro.
-Oh… è durata più del previsto. E ho rischiato di farmi scoprire dai ragazzi.- rivelò.
La morettina gli lanciò un’occhiata stupita. –Sul serio? Non l’hai detto a nessuno?- s’informò.
Lui allora scosse la testa, lasciandosi cadere sulla sedia più vicina. –Non vorrei si spaventassero o i genitori pensassero che non sono un istruttore affidabile. Non voglio perdere il mio lavoro: mi piace.- spiegò.
Mandy rigirò la carne col forchettone. –Potresti apparecchiare, per favore?- chiese. –Io non credo si spaventerebbero.- aggiunse subito dopo.
L’altro si mise ad apparecchiare in silenzio, meditando su quello che la giovane aveva appena detto. Dubitava che, là fuori, fossero tutti così comprensivi e disposti al cambiamento come si stava dimostrando lei.
Probabilmente qualcuno avrebbe tentato di allontanarlo dalla piscina o peggio. –No… non voglio che lo sappiano. È meglio così.- scosse la testa, recuperando i bicchieri.
-Come preferisci.- gli sorrise un attimo e poi aprì il frigorifero per recuperare l’insalata. –Vuoi un po’ di questa?
Il giovane licantropo si voltò e poi arricciò il labbro superiore. –No, per carità! Ho bisogno di proteine.- si schermì.
Amanda lo fissò per qualche istante, poi fece una smorfia e scoppiò a ridere. –D’accordo. Niente verdura per il grosso lupo cattivo.- scherzò.
Ridacchiando a sua volta, Andrew disse:-Magari qualche foglia.
Scuotendo la testa divertita, la ragazza fece due terrine e si mise a condirle. Ogni tanto buttava l’occhio alle bistecche, controllando a che punto fosse la cottura.
  Passarono alcuni minuti e spense il fuoco, impiattando la cena. Appoggiò l’insalata in tavola e poi servì la carne. Drew la ringraziò e poi si sfregò le mani, affamato. La bestia dentro di lui gorgogliò di piacere.
Mandy stava per prendere il primo boccone quando si fermò e, lanciata un’occhiata all’amico, chiese:-Ancora certo di volerle telefonare?
Lui si fermò con la forchetta per aria, colto di sorpresa. Serrò le labbra e poi annuì un paio di volte. –Sì. Sono sicuro.
-Potrebbe essere… frustrante.- gli fece presente lei.
-Mi terrò a bada, promesso.- rispose solamente, sollevando brevemente l’angolo della bocca.
Vedendo che genere di espressione aveva sfoggiato, la giovane preferì non tormentarlo più con le domande e di concentrarsi sulla cena.


***

-Abbiamo un problema.
Jared sollevò la testa, smettendo di bisbigliare con Kennet e guardò il suo sottoposto. Era uno dei giovani lupi e l’aveva mandato in avanscoperta con gli altri per insegnargli il lavoro di Sentinella.
-Oltre a quelli che abbiamo già?- domandò, adombrandosi. Le cose, in quegli ultimi giorni, stavano andando tutte per il verso sbagliato, nel pieno rispetto della legge di Murphy.
Il ragazzo annuì più volte, fuggendo il suo sguardo. –Jack, cos’è successo?- si sentì chiedere con tono imperioso.
Sobbalzò e tartagliò qualcosa poi, rendendosi conto di esser stato incomprensibile, ripetè con più calma:-Emily è sparita.
-Cosa?!- scattò l’uomo, levandosi in piedi con uno scatto fulmineo. Kennet mugugnò nel dormiveglia, disturbato dal rumore. Jared allora afferrò il giovane lupo e lo trascinò fuori dall’infermeria. –Cosa significa “sparita”?- chiese, scandendo bene ogni singola parola.
Jack si ritrasse di fronte alla sua ira, facendosi piccolo. Se fosse stato in forma animale avrebbe abbassato le orecchie e nascosto la coda tra le gambe. –Ha avuto una discussione con MacGregor, credo che l’abbiano scoperta.- specificò. –Poi è fuggita, semplicemente. Nessuno degli altri lupi è riuscito a starle dietro.
-E’ stata scoperta…?- la notizia turbò ulteriormente Jared. Che si fosse fatta smascherare apposta? Ma con quale obiettivo in mente?
Si mise a camminare in tondo, cercando di trovare un senso logico al comportamento della sua femmina Alfa. Non che la conoscesse bene: non avevano mai parlato molto e lui non voleva certamente una conversazione, quando la avvicinava.
“Non mi tradirebbe mai: sa che ho in pugno Blake.”, meditò. “Ma non capisco perché sia fuggita: le avevo detto di trovare un modo per restare. Qualsiasi modo.”
Jack osservò il suo capobranco marciare su e giù per la stanza per parecchio tempo, fino a quando quello non si fermò e lo guardò negli occhi. –Riferisci a tutte le Sentinelle di mettersi sulle tracce di Emily. Dì a Simon di rimanere di guardia alla casa. Muoviti!- abbaiò infine.
Il ragazzo non poté far altro che annuire e precipitarsi fuori.
“Rodrick non deve saperlo.”, si disse il capo dei Blacks. Non aveva bisogno di una ramanzina dal suo nuovo socio in affari.

***

-A quanto pare la grande fuga ha funzionato.- commentò David, lanciando un’occhiata fuori dalla finestra. Se ne stava appoggiato al muro da un po’, osservando i licantropi appostati tutt’attorno nell’isolato.
-Quanti ne sono rimasti?- s’informò Evan. Stava leggendo un comunicato da parte del comandante Rogers che lo informava circa la morte di un licantropo all’interno del territorio del suo stesso branco. Nulla di strano, se non fosse che il soggetto non aveva avuto nessuno scontro col Campione ed era stato ritrovato in condizioni pietose.
-Evan, hai già parlato con Aleksandr?- si sentì chiedere. Non diede ascolto alle parole dell’amico ed aprì la cartella allegata alla breve e concisa e-mail. –Evan…?
Alzò la mano, chiedendogli silenzio e si mise a scorrere le foto con confusione sempre crescente. Quelle che stava osservando erano le testimonianze fotografiche di una delle scene del delitto più raccapriccianti che avesse mai visto.
Non ottenendo risposta, l’inglese si avvicinò allo schermo del computer e diede un’occhiata. –Oddio… cosa sono queste?- chiese, gli occhi dilatati.
-Foto di una scena del delitto.- commentò Van, continuando a setacciare le foto in cerca di una spiegazione logica. –Ma non capisco chi possa aver perpetuato l’omicidio.- ammise, guardandolo apertamente.
-Uno squilibrato?- fu la proposta di Dave.
-Da quanto dicono i rapporti, pare sia stato il fratello. Ma l’uomo asserisce di non esser stato nel territorio del branco per l’intera settimana, per impegni lavorativi.- osservò.
-E cosa ne pensa l’Alfa?
Evan ridusse la cartella delle immagini e scorse il testo mandatogli dal suo superiore. –Vuole un’Ammenda.
David si accigliò. –Di che tipo?- s’informò, temendo già il peggio.
-Di sangue. Ultimo sangue.- rispose.
L’inglese si passò una mano tra i capelli, appoggiandosi al tavolo. –C’è qualcosa che non mi convince. Perché scorticare il fratello? Quella è una pratica inusuale per i licantropi. Ricorda di più quella dei cacciatori.- commentò.
-Già.- annuì l’altro. –Se il fratello avesse voluto ucciderlo avrebbe potuto chiedere uno scontro all’interno del Ring.
-Cosa vuole da te Rogers? Devi indagare?- chiese a quel punto l’architetto.
-No, voleva solo mettermi al corrente. Porterà avanti le ricerche con la squadra omicidi.- rispose. –Voleva solo contattarmi per sapere se quella poteva essere una pratica del vecchio mondo.
-Dio, ci credono proprio dei barbari!- s’indignò David.  –E pensare che quasi tutte le loro architetture derivano da esempi europei!
Evan gli lanciò un’occhiata, divertito dall’osservazione fatta dall’amico. Ogni tanto il suo spirito da architetto usciva alla luce, spesso nei momenti più impensati.
Terminò di leggere le ultime note e poi abbassò il coperchiò del portatile. –Meglio che vada da Aleksandr, se no non potremo trasferirci. Tu tieni d’occhio i nostri ospiti, d’accordo?
Il moro annuì, tornando ad avvicinarsi alla finestra. –Certamente.


***

  Stava morendo, lo sapeva.
La fine dei suoi giorni era ormai vicina, ma lui non poteva andarsene. Aveva ancora tante cose da fare e tanti luoghi in cui andare.
Aveva ancora tanti licantropi da uccidere.
“Non posso morire proprio ora. Non posso.”, si disse, appoggiando interamente il proprio peso al bastone che si era intagliato personalmente. Il suo problema alle anche era peggiorato con l’età e non riusciva quasi più a camminare eretto.
  Ma tutto ciò non l’avrebbe fermato.
Ogni notte, da quando era un ragazzino, lo sguardo vitreo di Brennan aveva scosso i suoi sogni. Ricordava le urla e le colonne di fumo salire dal suo villaggio. Ricordava il corpo dell’amico diventare freddo e le lacrime offuscargli la vista.
Ricordava la rabbia, cieca e assordante.
Il tempo era riuscito a cancellare quasi tutte quelle immagini dalla sua mente, rendendole frammentate e poco più che briciole, ma la rabbia… quella era diventata odio.
  E Cainnech aveva iniziato a perpetuare la propria vendetta.
Aveva abbandonato la valle in cui era nato per addentrarsi nei territori selvaggi, cercando di raggiungere i piccoli borghi fortificati sulla costa. Ci aveva messo mesi, ma alla fine ne aveva raggiunto uno e, con un po’ di fortuna, aveva trovato un passaggio.
Voleva raggiungere le coste più a sud, dove sapeva risiedevano parecchi branchi di licantropi e parecchi cacciatori.
Aveva macinato miglia, faticando non poco.
Quando alla fine aveva raggiunto il suo obiettivo, l’odio si era ormai radicato in lui, facendolo diventare un giovane uomo ombroso e avido di conoscenza.
Aveva trovato un cacciatore che faceva al caso suo e l’aveva scongiurato di renderlo suo allievo. L’uomo aveva più volte rifiutato e Cainnech aveva preso a seguirlo ovunque andasse.
Fino a quando, un giorno, gli aveva salvato la vita uccidendo un licantropo.
Il giovane si era guardato le mani, sconvolto e poi aveva spostato lo sguardo sul corpo del lupo mentre questo riassumeva sembianze umane.
Il cacciatore era rimasto impressionato e l’aveva accettato.
“L’ho ucciso proprio con queste mani. All’epoca non avevo idea di come ci fossi riuscito, ma adesso potrei farlo anche ad occhi chiusi.”, si disse, raggiungendo il tavolo che si trovava al centro del suo rifugio.
Si lasciò cadere pesantemente sull’unica sedia presente ed appoggiò i pugni sul supporto di legno, graffiato dall’uso.
Appuntò lo sguardo su un punto imprecisato della stanza e si focalizzò sui ricordi, ripercorrendo la sua (inaspettatamente) lunga carriera di cacciatore.
Ricordava ancora ogni singola notte passata a leggere manuali di erboristeria e di caccia, memorizzando tutte le informazioni possibili. Aveva trascorso ore sulle pergamene ed altrettanto tempo ad allenarsi con le armi.
Fino a quando non era stato pronto e aveva ricevuto il benestare del suo maestro.
  Da quel momento era partito alla volta delle verdi colline scozzesi, le armi in spalla e la torque regalatagli dalla madre al collo. Era l’unica cosa di valore che possedeva e l’unico ricordo tangibile della sua vita precedente.
Farsi conoscere come cacciatore era stato difficile, all’inizio, ma poi le voci si erano sparse e le commissioni erano aumentate. Non potendosi affidare alla forza delle proprie gambe, Cainnech aveva imparato ad usare la testa.
Aveva rischiato più volte di venir ucciso, ma aveva sempre riportato a casa la pelle. La propria e quella del licantropo di turno.
La gente lo pagava per potersi liberare di quelle creature, credendo fossero portatori di sfortuna. Lui sapeva che era una stupida superstizione, ma era una scusa più che buona per permettergli di agire e vendicare Brennan e sua madre.
“Ho tolto così tante vite e ancora non è stata fatta giustizia.”, pensò, rafforzando la stretta del proprio pugno. “Non è ancora abbastanza.”, portò l’altra mano al proprio collo, dove trovò il familiare contatto col metallo lavorato della torque.
  La strinse con forza e chiuse gli occhi, supplicando la Madre di concedergli altra forza per proseguire nel suo cammino.
Assaporò nuovamente tutte le sue uccisioni, cercandovi sostegno. Rivide tutte quelle grandi bestie cadere vittima delle sue abilità. Rivisse l’ebrezza della cattura e delle uccisioni.
Continuò per un tempo lunghissimo, perso nei meandri della propria mente. Le dita sempre chiuse saldamente attorno alla collana.
Non si accorse nemmeno di esser morto. E, quando lo fece, gli sembrò di non esserlo.
Lanciò un’occhiata confusa alla sua misera casa e poi abbassò gli occhi sulla torque. Il monile lo chiamava, ammaliante e se ne sentiva attratto.
Così attratto che il suo odio e la sua volontà di vendetta gli permisero di diventarne parte integrante.
Avrebbe potuto vivere in eterno, racchiuso in quella prigione dorata. Avrebbe potuto aspettare e compiere comunque quello che si era prefisso.

***

  L’incontro era all’Alexander Hamilton Playground.
Quando Eric glielo aveva riferito aveva sollevato le sopracciglia, perplesso. Il ragazzo aveva confermato con un’alzata di spalle, facendogli capire che quella scelta non dipendeva da lui.
Senza fare altre domande aveva annuito, confermando la sua presenza.
  Ed ora si trovava fermo davanti alla cancellata, intendo a scrutare la moltitudine di bambini intenta a correre e saltare. Stava usando tutti i propri sensi per individuare Aleksandr e si stupì molto nel vederlo arrivare con Eric a fianco ed una bambina di circa cinque anni appollaiata sulle spalle.
Si tolse lentamente il casco, ancora più perplesso, e guardò apertamente nella direzione del gruppo. Quando il suo sottoposto lo vide scambiò qualche parola con lo zio e poi gli fece un impercettibile segno col capo.
  Evan allora scese dalla moto e lasciò il casco sul sedile, sicuro che nessuno si sarebbe azzardato a tentare un furto. Si passò una mano tra i capelli e cercò di capire perché Aleksandr avesse voluto incontrarlo in un parco giochi.
“Non importa, basta ottenere il suo appoggio.”, si disse, attraversando la strada con passo rapido. Alcune mamme nei pressi gli lanciarono occhiate incuriosite, forse perché l’avevano riconosciuto a causa di tutte le foto pubblicate sui giornali per via del divorzio da Crystal.
Non se ne curò ed entrò nello spazio di gioco, stando attento ad evitare scontri coi bambini. Non che avesse qualcosa contro di loro, semplicemente sapeva di avere un aspetto un po’ minaccioso, ai loro occhi.
Con poche falcate raggiunse il gruppetto familiare e si fermò davanti all’Alfa del branco di Hamilton Heights.
-Aleksandr.- lo salutò con un cenno del capo, mostrandogli il collo. Con quella mossa segnalava le proprie intenzioni pacifiche.
-Tu dovresti essere il famoso Evan MacGregor.- replicò l’uomo, fissandolo da capo a piedi. A ben guardarlo, aveva qualcosa che ricordava Eric, ma tutto in lui era più spigoloso e di diversi toni più chiaro. I suoi occhi, poi, potevano rivaleggiare con quelli di Van tant’erano inquietanti: l’azzurro dell’iride aveva la stessa consistenza di una lastra di ghiaccio.
-In persona.- rispose lo scozzese. Abbassò la zip del giubbino di pelle ed estrasse una collana di acciaio, a cui era appeso un anello d’oro brunito. –Se vuoi confermare…- si sfilò il monile e glielo allungò.
Aleksandr lo prese e lo studiò con attenzione. –Un leone coronato… qual è il vostro motto?- domandò, nella voce l’eco di un accento non ancora perduto.
-‘S rioghal mo dhream.- rispose Evan. –La mia razza è reale.- aggiunse subito dopo, a beneficio dei presenti.
-Non c’è da stupirsi se il vostro Alfa è così impertinente.- commentò Aleksandr, riconsegnandogli l’oggetto.
-Dearan è sempre stato così. Sin da quando ne ho memoria.- ammise, senza scomporsi.
Il russo assottigliò gli occhi, calcolatore. –E voi? Voi che tipo di Alfa siete?
Il giovane MacGregor restituì lo sguardo, cercando però di capire a cosa servisse quella specie di interrogatorio. Non aveva intenzione di mettergli i bastoni tra le ruote, ma solamente di trasferirsi nel suo territorio.
Probabilmente il suo ospite non la pensava così.
Van si lappò le labbra e, dopo una breve occhiata ad Eric, rispose:-Uno meno avido.
Il suo interlocutore sorrise, forse soddisfatto dalla risposta. Poi, però, abbassò lo sguardo su quella che, a prima vista, sembrava sua figlia. La bambina alzò la testa e i due si guardarono per qualche istante.
Alla fine di quella silenziosa conversazione, la piccola scese dalla panchina su cui era seduta con un saltello e si avvicinò ad Evan. Confuso, il ragazzo si accosciò in modo da poter essere alla sua altezza.
-Priviet.- mormorò lei, sorridendo angelicamente. Aveva capelli color del miele e ciglia chiare ad ornare due occhi talmente scuri da sembrare pozzi di tenebra. Il colore dei capelli era quello del padre, ma gli occhi appartenevano sicuramente alla madre.
Evan sollevò gli angoli della bocca, senza esibire un vero sorriso. –Ciao, piccola.- la salutò.
-Vuoi fare del male alla mia famiglia?- gli chiese lei, guardandolo.
Lo scozzese si accigliò, ma disse:-No. Affatto.
La bambina gettò un’occhiata alle proprie spalle, quasi fosse indecisa, poi tornò a voltarsi verso di lui. –Vuoi solo una nuova casa?- domandò.
L’altro annuì. –Sì, una casa per me e i miei compagni.
La piccola meditò un po’ su quelle parole, poi tornò trotterellando dal padre. Si arrampicò sulla panchina e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, per poi correre verso gli scivoli subito dopo.
-Sofiya mi ha detto che non stai mentendo.- esordì Aleksandr.
-Avresti potuto capirlo anche tu stesso…- osservò Evan, stupito da quell’affermazione.
L’uomo stirò le labbra in quello che doveva essere un sorriso. –Vero. Ma alcuni lupi sanno mentire molto bene e lei è molto brava a capirlo.- spiegò.
-Credi voglia fregarti?
-Molti vogliono fregarmi o hanno tentato di farlo. Non mi piace quel genere di persona.- commentò, calmo.
-Non voglio appropriarmi del tuo territorio né dei tuoi affari. Mi serve solamente il tuo permesso per spostare il mio branco.- replicò Evan. Iniziava a stancarsi di quel giochetto psicologico.
-Zio, come ti ho spiegato, il capitano vuole solo…- iniziò Eric. Aleksandr, però, lo zittì con un gesto della mano e il giovane non poté fare a meno di mordersi la lingua ed abbassare lo sguardo, imbarazzato.
-Capitano… è vero che avete un problema coi Blacks?- s’informò il russo.
Van annuì. –Decisamente. Anche se sono loro a volere qualcosa da me, non il contrario.- rispose.
-Non sopporto i Blacks, in particolare il loro Alfa, Jared.- digrignò i denti, infastidito dal suono stesso di quel nome. Van non disse nulla, attendendo pazientemente che l’uomo prendesse la propria decisione. Non voleva inimicarsi anche lui.
Mentre ragionava sul da farsi, Aleksandr scrutò più volte il nipote, pensieroso. Eric lo notò e cercò di farsi piccolo, temendo una qualche strana decisione da parte dello zio.
-Accetterò il vostro insediamento nel mio territorio ad una condizione.- sentenziò.
Evan si fece guardingo. –Quale?
-Voglio che prendiate Eric con voi.- Aleksandr lo disse senza fare una piega, fissando il suo interlocutore dritto negli occhi.
-Cosa?!- sbottò il diretto interessato, incredulo. –Perché vuoi mandarmi via?
-Perché tu non sei tagliato per i miei affari e Anya non mi perdonerebbe mai la tua morte.- replicò, inflessibile.
Il viso del giovane s’imporporò tantissimo prima che sbottasse:-A mamma non frega un accidente di me!
A quelle parole gli occhi di Aleksandr diventarono duri come il ghiaccio. Si alzò in piedi con uno scatto e fulminò il nipote. –Non sputare menzogne su tua madre. Lei ti vuole un bene dell’anima e, insieme a tuo padre, sta facendo un lavoro egregio in Russia.- gli sibilò il faccia, tenendolo strettamente per il colletto della camicia.
-E allora perché…?
-Perché così potrai crescere come licantropo e sarai in grado di essere indipendente.- l’uomo lo scosse energicamente, cercando di inculcargli bene il concetto in testa.
-Ma io…
Gli occhi di suo zio lampeggiarono. –Niente ma. Non osare opporti.- lo minacciò.
Eric allora guardò il proprio capitano e tentò di scusarsi con gli occhi. Non avrebbe mai immaginato che la situazione si sarebbe evoluta in quel modo. Non voleva assolutamente diventare un peso per qualcuno e non voleva che gli affibbiassero una balia (anche se alta quasi due metri e con una potenza fisica non indifferente).
-Non posso obbligare qualcuno ad unirsi al branco: va contro i miei principi.- fece notare lo scozzese.
-Ma è l’unico modo per potervi insediare ad Hamilton Heights.- gli fece notare Aleksandr.
Van allora guardò il ragazzo, in silenzio. “Un altro cucciolo indifeso da proteggere… ultimamente stanno diventando un po’ troppi.”, pensò. C’era già Andrew, senza contare che presto avrebbero avuto anche il figlio di Emily con loro. “E Amanda.”, gli ricordò il suo subconscio.
Se rifiutava, però, avrebbe dovuto trovare un’altra soluzione.
Nella sua mente si scatenò una battaglia e gli ci volle un po’ per analizzare tutti i pro e i contro. Alla fine, però, l’unica cosa che gli rimaneva da fare era sospirare e asserire:-D’accordo. Lo accoglierò nel branco.
Aleksandr sorrise apertamente, soddisfatto. –Perfetto. Potete insediarvi nel mio territorio.- concesse.
 

  Frances non aveva risposto al primo tentativo di chiamata, così Amanda aveva suggerito ad Andrew di riprovare il giorno dopo.
In quel momento erano in pausa pranzo in un ristorantino vicino a Kleinfeld e la giovane voleva tentare nuovamente la fortuna. –Proviamo?- chiese.
Drew serrò la mascella, nello sguardo un pizzico di delusione rimasto dalla sera prima. –Ok…- annuì lentamente.
Mandy allora premette il tasto di chiamata ed inserì il vivavoce, attendendo.
Si erano seduti in un tavolo isolato, in modo da poter avere la loro privacy. Qualcuno avrebbe potuto ascoltare la conversazione e a nessuno dei due avrebbe fatto piacere.
-Mandy?- la voce di Frances arrivò un po’ distorta.
-Ehi, ciao! Sì, sono io e c’è anche Drew.- salutò lei, cercando di suonare allegra.
Ci fu qualche istante di silenzio, poi sua sorella addolcì il tono e mormorò:-Ciao Drew.
-Ciao Fran…- rispose lui, concedendosi un sorriso triste.
Quanto gli mancava! Perché non aveva reagito come Amanda? Perché non aveva scelto di stargli vicino? Non era giusto pensare quelle cose, lo sapeva, ma non era nemmeno giusto quello che gli era capitato.
-E’ successo qualcosa?- domandò dopo un po’ Fran.
Amanda si riscosse, smettendo di osservare le reazioni del fidanzato di sua sorella. –No, no… cioè, nessuno si è fatto male..!- tartagliò, agitata. A quelle ultime parole, Andrew la guardò male.
-Drew, sta dicendo la verità? Cos’è successo?- chiese allora la ragazza.
Il diretto interessato si passò una mano sul volto, cercando di raccogliere i pensieri. –In poche parole, ora anche Amanda fa parte del branco.- disse.
-Cosa?!
Mandy lo guardò con tanto d’occhi, cercando di capire perché avesse usato quelle parole.
-Ti hanno trasformata? Sei stata attaccata?- Frances iniziò a sparare domande a raffica, preoccupatissima. Amanda ebbe l’impulso di togliere il vivavoce, ma non lo fece.
-No… calmati. Sono solo stata coinvolta in alcune dinamiche di branco. Ci sono stati alcuni problemi.- spiegò, cercando di rimanere calma.
-Che tipo di problemi?- chiese l’altra.
Andrew arricciò il labbro superiore, ripensando a tutti i pestaggi di Stryker. –Divergenze d’opinione con un nuovo compagno.- buttò lì.
Frances spalancò gli occhi. -Vi siete picchiati per caso?
-No! Perché hai sempre questi pensieri distruttivi?- finì con lo sbottare il suo fidanzato. -Scusa…- mormorò dopo un po’.
Amanda cercò di calmarlo posandogli una mano sul braccio, ma Drew sembrava incline ai colpi di testa, quel giorno. La conversazione avrebbe potuto finire veramente male. –Hai presente la nuova lupa? Quella di cui ti ho parlato?
-Sì… cosa c’entra lei adesso?- Fran si fece sospettosa.
-Era stata mandata a spiare il branco ed è stata scoperta. Il problema è che lo stava facendo sotto minaccia. Ora Evan e gli altri vogliono aiutarla, ma dovranno lasciare il luogo in cui si erano appena trasferiti.- riassunse, concisa.
Sua sorella restò in silenzio per un po’, cercando di far combaciare i pezzi. –Drew deve per caso spostarsi con loro?- chiese dopo un po’.
-No… saranno loro a spostarsi.- rivelò l’interpellato. Prese un respiro profondo e poi aggiunse:-Verranno a stare nel nostro palazzo.
-Mi stai dicendo che dei lupi invaderanno casa nostra?!- esclamò Frances, al colmo dell’incredulità. Non bastava che Andrew fosse diventato uno di loro e che lei e Amanda avessero rischiato di farsi ammazzare. No, ora dovevano anche invadere casa sua!
Iniziò a sbraitare, inveendo contro i soprannaturali e urlando altre cose. Amanda si affrettò a spegnere il vivavoce e ad allontanarsi, mentre Drew rimaneva seduto al tavolo.
“Non ha funzionato. Ovviamente.”, si disse, arrabbiato. La bestia dentro di lui ringhiò il proprio disappunto e si vide costretto a serrare i pugni per calmarsi. Si piantò le unghie nel palmo della mano, concentrandosi su quella sensazione.
Poteva sentire tutto quello che si stavano dicendo Amanda e Frances.
Erano entrambe arrabbiate: Mandy perché la sorella non voleva capire e Fran perché tutta la situazione le sembrava assurda e non voleva scendere a compromessi.
Restò ad ascoltare fino a quando non ce la fece più e la rabbia, la sua rabbia, prese il sopravvento.
Si alzò di colpo e si allontanò rapidamente dal ristorante, giusto in tempo per farsi vedere da Amanda.
-Vedi di meditarci su, Frances. O potresti rischiare di perdere Andrew. Lui ha bisogno di te, ti ama e tu non puoi negargli il tuo supporto.- disse, severa. –Non ti farò altre pressioni, se e quando sarai pronta fatti viva. Ora devo andare, la luna destabilizza l’autocontrollo di Drew.- e, detto questo, riattaccò.
Fece scivolare il telefono in borsa, lasciò i soldi sul tavolo e si affrettò a raggiungere Andrew. Lo trovò in un vicolo, intendo a pendere a pugni il muro.
-Cosa stai facendo?- chiese, spaventata. La sua forza soprannaturale gli aveva permesso di lasciare il segno, ma le sue nocche stavano iniziando a sanguinare. Si sarebbe solamente fatto del male di quel passo. –Smettila!- cercò di afferrargli un braccio, ma lui la scansò.
-Frances non tornerà! Qualsiasi cosa le diremo, lei non tornerà!- ringhiò, scagliando un altro pugno.
-Non è vero! Smettila di pensare in negativo!- si oppose lei.
Drew le si rivoltò contro. –E tu smettila di vivere in un sogno! Lei non tornerà!- sbottò. Rimasero a fissarsi in silenzio, poi lui aprì la bocca per parlare ma alla fine rinunciò, allontanandosi subito dopo di gran carriera.
Amanda rimase ferma in mezzo al vicolo, osservandolo sparire oltre un muro di cinta.
-Mi dispiace, Drew… ma io non smetterò di credere.- mormorò.

  Aveva appena finito di parlare con Alastair, dicendogli che aveva bisogno di discutere con lui faccia a faccia. L’uomo aveva chiesto delucidazioni in merito, ma lui si era mantenuto sul vago, dicendogli che non voleva parlarne al telefono. Così si erano accordati per vedersi alcuni giorni più tardi.
–Ho chiamato Alst.- annunciò, appoggiando il telefono sul tavolo.
David, intento ad imballare le ultime cose, si fermò e lo guardo. –Sul serio? Cosa ti ha detto?- chiese.
-Nulla. Gli ho detto che non volevo discutere della situazione al telefono.- replicò, dando in una scrollata di spalle.
L’amico lo fissò per qualche istante, pensieroso, poi riprese il proprio lavoro. –Non mi hai ancora detto com’è andata con Aleksandr.- gli fece notare.
Van sollevò un sopracciglio. –Stiamo finendo di imballare tutto quanto, secondo te com’è andata?- gli chiese, ironico.
-Mhm… apparentemente bene, ma sento che c’è qualcosa in più.- osservò. –Ti conosco da troppo tempo per sbagliarmi.
“Ottimo intuito, Dave.”, pensò lo scozzese. Finse di sistemare alcune cose in uno scatolone, concedendosi il tempo per riflettere. Alla fine disse:-C’è una condizione da rispettare.
A quel punto fu l’inglese ad accigliarsi. –Che condizione? Non gli dovremo mica dei soldi, vero?
Scosse il capo. –No… forse è peggio che dovergli dei soldi.- commentò.
-Peggio? Non voglio mica entrare in uno strano giro, eh!- protestò allora l’inglese. Probabilmente si stava già figurando in un locale di gigolò al servizio di donne di mezz’età annoiate.
A volte lasciava galoppare un po’ troppo la fantasia.
-Abbiamo acquistato un nuovo membro.- rivelò infine Evan.
La mascella di Dave cadde verso il basso. –Credo di non aver capito. Abbiamo cosa…?- finse di non aver recepito quello che aveva effettivamente recepito.
Van gli lanciò un’occhiataccia. –Smettila. Hai capito benissimo. Si tratta del nipote di Aleksandr, nonché del mio sottoposto.- lo rimbeccò.
-Ma… ma dove pensi potremo alloggiare un altro lupo? Un cucciolo, per di più!- esclamò, abbandonando i bicchieri per potersi mettere le mani nei capelli.
-Qualcosa c’inventeremo. O così o niente trasferimento.- rispose l’altro. –A proposito, il nostro ospite è sempre appostato?
David, già pronto a protestare contro la nuova organizzazione, s’interruppe e disse:-Sì, sempre al solito posto.
-D’accordo. Notizie di Emily?
Il riccio fece per rispondere quando il suo telefonino vibrò. Lo prese ed aprì il messaggio. –Parli del diavolo. A quanto pare è il momento: dice che sono tutti sulle sue tracce.
Evan lanciò un’occhiata fuori dalla finestra. –Bene. È il momento di trasferirsi allora.- disse, afferrando un paio di scatoloni. –Sarà divertente.
  
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