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Autore: Dream_Dust    07/07/2014    1 recensioni
La notte di Samhain è un momento magico, un periodo dove il velo tra i due mondi è talmente sottile che i morti potrebbero addirittura tornare a camminare tra i vivi. Venite a scoprire voi stessi cosa potrebbe accadere in questo giorno che gli antichi celti definivano "la fine dell'Estate".
Genere: Comico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminò per un po' allontanandosi sempre di più dalla casa, dal baccano e dal calore delle candele.
 
Per quanto non le piacessero, adesso voleva solo il buio, solo la fredda solitudine della notte. Man mano che si allontanava, le luci della residenza l'abbandonavano e le risultò difficile vedere anche solo dove mettere i piedi in quell'erba alta e folta, ma per fortuna, c'era il bagliore della grande luna piena che guidava i suoi passi e le indicava la via.
 
Se ne stava lassù, tonda e perfetta, gigantesca, come nelle foto scattate da fotografi esperti che non sembravano neanche reali. Gialla e dalle sfumature quasi rossicce, regina indiscussa della grande tela blu del disegno del cielo, sembrava l'occhio di una divinità che si affacciava dalla sua dimensione di infinito per sbirciare cosa stessero facendo i comuni mortali.
 
Eleonor trovò molto più materno lo sguardo di quella dea celeste che quello precedente di Veronica. Almeno, il suo era sincero.
 
Proseguì ancora, attenta a non inciampare in nessuna radice o arbusto strappato dal vento, procedendo in discesa, con cautela. A parte per la facciata, non tutto il perimetro del giardino era protetto da muretti o inferriate e lei poteva andarsene dove voleva, anche scendere giù per la collina se le aggradava.
 
Era stata una volta sola al cimitero, glielo aveva mostrato Ben, quando le aveva fatto fare tutto il tour della casa e dei dintorni e subito lo aveva trovato adorabile. Lei aveva esposto il suo entusiasmo al ragazzo, ma lui ne era sembrato piuttosto spaventato, non gli piaceva affatto quel posto. Be', reazione plausibile, in fondo non a tutti potevano piacere le cose raccapriccianti e da film dell'orrore che invece lei trovava un botto accattivanti, si disse.
 
Forse, avrebbe anche potuto trovare qualche morto. Rabbrividì e si emozionò al tempo stesso; cioè, avrebbe avuto l'onore di incontrare uno scheletro parlante o un fantasma! Sarebbe stata tra i pochi testimoni di un vero e proprio evento paranormale e sarebbe tornata per raccontarlo, un'esperienza più unica che rara. Chissà come sarebbe stato intrattenere una discussione con un morto. Magari lui si sarebbe messo a parlare dei suoi tempi gloriosi, tempi antichi in cui poteva vantare di avere un corpo di carne e sangue e con quello compiere gesta di ogni genere. Wow, le sarebbe piaciuto avere l'onore di conversare con un nobile o un cavaliere, che figata!
 
Continuò a scendere dal terreno ripido e scivoloso, aiutandosi talvolta con le mani.
Ad un certo punto alle sue spalle, nella notte solitaria, sentì un tenue suono spezzare il silenzio. Rumori di piccoli corpi che fuggivano e si rintanavano invasero l’aria, i piccioni si alzarono in volo dai più alti rami degli alberi. Capì perché d'improvviso le creature della foresta si fossero allarmate, e anche lei in cuor suo fece lo stesso. L'effimero suono che aveva udito, era un ululato. Profondo e melodioso, lugubre.
 
Non ebbe tempo di pensare come un lupo potesse aggirarsi da quelle parti, che fu presa da un impeto di paura ed aumentò il passo, ma il suo piede incontrò una radice scoperta che la fece sbilanciare in avanti e ruzzolare giù dalla discesa. Cadde per qualche metro e quando finalmente si fermò, tutta indolenzita, si ritrovò con il respiro mozzato a causa della forte botta. Si alzò con cautela mugolando un'esclamazione di dolore.
 
Si massaggiò la testa con una mano e poi la controllò per essere sicura che non stesse sanguinando. No, per fortuna era tutto apposto.
Si rialzò in piedi, un po' barcollante e tastò diversi punti del corpo per essere sicura che non avesse fratture o danni di altro genere. Alla fine, le era andata di lusso, se l'era cavata con qualche ammaccatura e sbucciatura, ma niente di grave.
 
Eleonor si scrollò la polvere dagli abiti e quando si guardò attorno, si stupì di vedere in quale luogo fosse: precipitando giù come un sacco di patate era riuscita ad arrivare lo stesso al cimitero, magnifico!
 
"Brava Eleonor, il tuo senso dell'orientamento è ottimo anche quando non cammini. Rotolare sarà il nuovo modo di spostarsi nel futuro, grazie a te. Complimenti d'avvero" si disse mentalmente. "Grazie Eleonor, sapevo che sarei stata destinata a grandi cose! Ok, ora basta". Smise di divagare e si inoltrò in quel luogo podestà della morte.
 
Camminò tra quelle lapidi coperte di polvere e ragnatele, sporche e abbandonate al loro destino. Il terreno era secco, polveroso, e dei rametti di cipresso scricchiolarono cupamente sotto i suoi piedi. Non era un cimitero molto ampio, ospitava circa una cinquantina di tombe, niente a che vedere con quelli moderni che disponevano di ettari di campo sterminati per seppellire centinaia e centinaia di persone. Era un cimitero semplice, rudimentale e modesto.
 
Mentre scorreva, Eleonor notò che le pietre tombali erano spesso posizionate storte, semplici sassi dai contorni levigati conficcati nel terreno e incisi con il nome dei defunti. Con una mano, pulì ragnatele e polvere, leggendo alcuni nomi. Conobbe Douglas Niddleston, vissuto tra la metà dell'Ottocento, Rosaline Bouchant, nata nel 1867 e morta nel 1911 e il vecchio Harnold Sutcliffe, che dal 1823 al 1920 poteva vantare di aver vissuto una vita parecchio longeva per gli standard dell'epoca.
 
Alcune lapidi avevano l'aspetto di croci latine e celtiche, altre presentavano semplici decorazioni o incisioni che ritraevano la morte. Le più semplici dovevano appartenere a persone di basso rango sociale, la cui famiglia non poteva permettersi una tomba troppo lavorata.
 
Giunse alla fine del campo santo e vide stagliarsi di fronte a se una casupola scura dal tetto appunta, come un’apparizione fantasmagorica. La porta in legno sgangherata e marcia era lievemente socchiusa, come un invito a farla entrate.
 
Eleonor indugiò un attimo, ma poi si decise a varcare la soglia. Si ritrovò in uno spazio molto ristretto, circolare, occupato interamente da una grande cassa in marmo, adornata di date e iscrizioni in latino che non riuscì a capire.
Si avvicinò alla cassa con cautela, poi si fece il segno della croce. Se ne era dimenticata quando era entrata nel cimitero, e volle rimediare.
 
La osservò con ammirazione, pensando che la persona che vi era sepolta dentro dovesse essere per forza la più importante del cimitero. Si accucciò e soffiò via la polvere, cercando di notare se ci fosse qualche scritta che poteva capire. Ne riconobbe una, che presuppose fosse il nome: Xaverius Athed.
Le piacque subito come suonava, aveva un che di veramente nobile, particolare.
 
Guardandosi un po’attorno, Eleonor avvertì una strana sensazione alla bocca dello stomaco e si incupì; tutti quanti lì, erano come lei. Soli, dimenticati e abbandonati.
 
Non vedeva fiori di alcun genere che di solito si usava porre sulla tomba dei defunti, non vedeva offerte per onorare gli antenati trapassati, non vedeva cerini brillare nel nome della memoria. Niente.
Solo la terra arida spazzata dal vento e i rami degli alberi che oscuravano quel luogo perduto rendendolo invisibile alla vista dei più.
 
Provò pietà per quella povera gente, ignorata e trascurata da secoli, senza da tempo udire alcuna voce che non fosse quella dell’eco del silenzio. Sapeva cosa si provava ad essere soli…
 
Si tolse il fiore blu dai capelli e lo poggiò sopra il sepolcro, con delicatezza. Poi recitò una breve preghiera per tutte quelle anime.
 
«Ecco» disse, rivolta a quelle spoglie mortali. La sua voce rimbombò tra le pareti dopo lunghi secoli di quiete, facendole quasi paura «Spero vi abbia fatto piacere… insomma… vedere qualcuno dopo tanto tempo». Sorrise incerta verso il nulla, poi dopo qualche istante continuò «Non vorrei avervi recato disturbo, signori, ma non mi sembrava giusto lasciarvi in disparte durante Samhain. Non so se lo conoscete, è una festa. Forse, se vi va, potreste anche venire a fare una capatina quassù in cima, così, tanto per tenerci in compagnia».
 
Attese speranzosa che di lì a poco qualcosa succedesse. Aspettò, in piedi, da sola, trepidante.
Passarono alcuni minuti e il suo sguardo luccicante di fede divenne poi un riflesso perso nel vuoto.
 
Ma cosa stava facendo, pensava d’avvero che se glielo avesse chiesto gentilmente, tutti i cadaveri del cimitero si sarebbero alzati dalla tomba?
“Mpf, si certo, e poi cosa avresti fatto, eh? Ti saresti messa a ballare con loro, a prendere  un tè magari, chiacchierando come vecchi amici d’infanzia. Ma si, tanto oggi è tutto possibile vero? Si tratta di un giorno magico, no?”
 
Uscì con passo strascicante fuori dalla casupola e si spalmò una mano sul viso. Era stata troppo precipitosa, ed ingenua, anche. Non poteva pretendere che cose di quel tipo accadessero a suo piacimento, come se avesse avuto in mano una sorta di bacchetta magica che esaudiva i suoi desideri a comando.
 
“Sveglia, questo è il mondo reale, non un romanzo fantastico” si disse, dandosi dell’idiota.
Già, ecco tutto quello che era, una stupida idiota che credeva alle favole del primo tizio che sapeva parlare con belle parole.
“Tutte cazzate…”
Trovò un posto dove sedersi, accanto a una lapide e si mise lì, a crogiolarsi nell’autocommiserazione.
 
In lontananza, udì l’orologio della villa segnare la mezzanotte con tre tetri rintocchi. Il vento ululò tra le fronde degli alberi e una folata particolarmente disarmante la fece rabbrividire.
Eleonor decise che era giunto il momento di tornare alla villa, prima che qualcuno si potesse accorgere della sua assenza.
 
Si alzò e con andatura incerta iniziò a ripercorrere i suoi passi, quando d’improvviso qualcosa di freddo e ossuto le toccò una spalla. Una indicibile sensazione di gelo si impossessò di lei, mentre gocce di sudore freddo le colarono dalla fronte. Ogni muscolo del suo corpo si rifiutò di muoversi, anche il suo cuore per una attimo smise di battere.
Ritrovato un barlume di coraggio, tremante, voltò il capo per vedere a chi appartenesse tale mano dal tocco cadaverico.
 
La prima cosa che vide, furono due orbite vuote, nere e rotonde, che sembravano disegnate con l’inchiostro. Si affacciavano da un teschio scavato e spigoloso, i denti congiunti e nudi senza la protezione delle gengive. Un cranio grande  massiccio presentava qualche ammaccatura e le ossa della mandibola erano talmente vicine che se solo qualcuno avesse provato a infilarci un dito quello sarebbe rimasto incastrato.
 
Lo scheletro chinò la testa da un lato, producendo un cupo rumore scricchiolante delle vertebre del collo.
Eleonor rimase con la bocca spalancata e gli occhi sbarrati a fissare quella apparizione funerea con sommo e palpabile terrore, incapace di intendere o di volere.
 
Il morto continuò ad osservarla con ciò che poteva sembrare curiosità, per quanto si potesse intendere dall'espressività di due buchi vuoti.
La ragazza sentì la lingua agitarsi su e giù per il palato, poi le sue labbra tremarono e finalmente dalla sua gola si levò un urlo acuto da ragazzina.
 
Rifuggì immediatamente dal tocco dello scheletro e si andò ad acquattare contro la parete terrosa della collinetta. Tremante, scalciò con le gambe cercando di appiattirsi ancora di più e tenere lontano il fantasma.
 
Quello però rimase immobile al suo posto, non tentando nemmeno di avvicinarsi e continuò a fissarla.
 
Eleonor poté allora vedere la simmetria delle costole della cassa toracica, le ossa del bacino formare una specie di triangolo piatto, per poi scendere giù, verso le articolazioni delle ginocchia, tibie e i piccoli ossicini dei piedi. Metteva veramente i brividi, e pensare che sotto i muscoli e la carne, tutti erano fatti così.
 
Lo scheletro si voltò ed Eleonor udì un rumore graffiante di sepolcri scoperchiati, di terra avvinghiata e strida di ossa. Con suo gran sbigottimento, altri cadaveri uscirono dalle tombe, trascinandosi sul terreno lercio, striscianti come ombre nella notte. Alcuni di loro indossavano addirittura vestiti, logori e sporchi che evidentemente erano stati seppelliti con loro.
Riconobbe quelle che in vita erano state donne sfoggiare con orgoglio stracci dai colori un tempo sgargianti, ma ora ridotti solo a brandelli stinti.
 
Eleonor prima non ci aveva fatto caso, ma adesso nelle sue narici si insinuò prepotente il tanfo di morte e decomposizione, un odore nauseante che la costrinse a portarsi una mano al viso e alla bocca dello stomaco. Represse un conato, continuando a tenere il naso tappato.
 
Intanto, tutti gli scheletri erano usciti dalla loro tomba e, a coppie si avvicinarono a lei, circondandola.
La ragazza tremò visibilmente e la sensazione che le provocarono tutte quelle orbite vuote fisse su di lei fu di gran lunga peggiore di qualsiasi altra avesse mai provato in vita sua.
Li guardò, uno a uno, tentando di capire le loro intenzioni.
 
Ad un certo punto, una figura si fece largo tra i morti, che si scansarono ubbidienti per lasciarla passare. Eleonor alzò lo sguardo e vide alto di fronte a se, uno scheletro dall'aria nobile e facoltosa osservarla neutro.
 
A differenza di ogni altro, indossava un cappello a tese larghe che le sembrò rosso in quella semi oscurità, ma non seppe dire. La piuma, la piuma invece la riconobbe; era un po’ sgualcita, afflosciata  dalla sporcizia e dall'umidità, ma manteneva ancora la sua perfetta inclinazione all'indietro, elegante, di un arancione acceso.
 
Lo scheletro poggiò il suo peso su un ginocchio, e le porse dita bianche come il marmo.
Eleonor esitò, impaurita. Non voleva toccarlo, le faceva ribrezzo.
Quello allora si tolse il cappello e frugando un po’, tirò fuori un fiore blu splendente dalla miriade di petali e lo poggiò delicatamente sullo spiazzo di terreno di fronte a lei.
 
Eleonor lo prese in mano con cautela e se lo portò di fronte agli occhi: era il suo fiore, il fiore che aveva lasciato sul sepolcro!
 
Rivolse al defunto uno sguardo stralunato mentre sentiva gli occhi pizzicarle di lacrime.
Lui però prese quell'espressione come un brutto segno. Si alzò e si ritrasse velocemente, facendo scricchiolare le ossa delle dita e si guardò attorno, in difficoltà. Poi, dato che non seppe cos'altro fare, si tolse il cappello e scese giù in un profondo inchino, fino a toccare terra.
Eleonor non si aspettò quel gesto, ma dopo essersi tranquillizzata un po’ si rialzò e gli fece cenno di tirarsi su. Quello capì ed ubbidì mesto.
Entrambi rimasero lì a scrutarsi e tutt'intorno a loro, gli altri morti attesero il verdetto finale.
Lo scheletro dal cappello teneva le punte delle dita congiunte di fronte a se, e talvolta le agitava, nervoso. Anche lui sembrava stesse aspettando una qualche sua mossa.
 
Eleonor allora, decise che non aveva nulla da temere, che era sicura che non le avrebbero fatto niente di male, così con un piccolo sorriso, allungò una mano verso il defunto in segno di pace.
Quello spalancò la mandibola e con una velocità pazzesca, strattonò la sua mano su e giù, tanto che la ragazza credette di poter cadere da un momento all'altro.
 
Tutt'attorno, la folla di morti si levò in un grido esultante, stridente e metallico, che faceva male alle orecchie.
Eleonor si sentì tirare su di peso e vide il teschio semi sorridente dello scheletro dal cappello –come ormai l’aveva soprannominato- farla volteggiare nell'aria mentre giravano assieme.
Dopo un po’ la rimise giù e non appena lei poggiò i piedi di nuovo a terra sentì girarle la testa. Certo che ero molto espansivo, l’ossicino.
 
Poi, quello ebbe come un sobbalzo e tirandola per la mano volle attirare la sua attenzione. Lei lo ascoltò e lui le indicò la casupola dal tetto a punta e il sarcofago in marmo scoperchiato.
Eleonor guardò prima lui, poi la casupola, poi nuovamente lui. Fece due calcoli veloci e lo riconobbe come il nobile Xaverius Athed.
 
«Si, ho capito chi sei. Sei Xaverius! Piacere di conoscerti». Disse lei, soddisfatta e contenta.
Anche lui sembrò rallegrarsi e tornò a stringerle la mano con forza, presentandosi.
Eleonor non poté crederci, stava facendo amicizia con un morto! E non uno qualsiasi, un nobile.
 
«Senti, ti andrebbe di dirmi qualcosa su di te?» Domandò lei entusiasta.
Xaverius le lasciò andare la mano e spalancò la mascella, indicando con un dito ossuto il punto dove avrebbe dovuto esserci la lingua.
«Ah, ho capito, non puoi parlare». Quello fu un particolare sconveniente, ma non le pesò più di tanto.
Lui si strinse nelle spalle, spiacente.
«Non fa niente, tranquillo. Per me, è già una gran cosa poter stare accanto a te».
Lo scheletro si diede una raddrizzata e tenne la spina dorsale alta, fiero.
 
Improvvisamente, dalla villa si udì provenire un forte scoppio e con un rumoroso sibilo luminoso, una striscia infuocata saettò nel cielo. Il fuco d’artificio esplose luminoso rischiarando l’oscurità circostante, sfrigolando in cento colori.
Eleonor si spaventò e così fece lo scheletro. Non le erano mai piaciuti i forti botti e i rumori improvvisi.
 
Xaverius sembrò ancora allarmato e per paura che potesse compiere un gesto avventato, la ragazza gli poggiò una mano sulla spalla per tranquillizzarlo. Lui sobbalzò appena.
«Non temere» disse lei, «si trattava solo di un fuoco d’artificio, non ti farà alcun male».
 
Lui la fissò ed Eleonor seppe che se solo avesse avuto gli occhi, in quel momento li avrebbe sbattuti. Era tenero, in un certo senso.
Levò le orbite vuote verso il cielo notturno, in cerca di altre apparizioni luminose.
 
Poi, un’altra cosa accadde: sempre proveniente dalla villa, una musica lontana gli raggiunse, con un ritmo incalzante e veloce. Eleonor aveva già udito quel brano, in un cartone animato della Disney, per la precisione, e le riportò alla mente dolci ricordi d’infanzia.
Mosse il capo a ritmo del movimento allegro e accanto a lei notò che anche Xaverius stava facendo lo stesso. Sembrava come ipnotizzato.
 
«Ti piace, eh?»
Lui annuì con convinzione, e vide che tutt’attorno, anche gli altri morti stavano oscillando i teschi lucidi.
«Sai, l’ascoltavo quando ero piccola. Credo si chiami, “Danse Macabre”. Però non ricordo chi sia il compositore, aveva un nome strano…»
Xaverius però sembrò non prestarle più attenzione, ormai completamente ammaliato e catturato dall’incantesimo di quelle note così soavi.
 
Ad un certo punto l’afferrò per una mano, deciso a percorrere la salita per uscire dal cimitero, ma lei si inchiodò «Ehi, aspetta, cosa vuoi fare?» Domandò allarmata.
Lo scheletro la lasciò andare un attimo e le mimò il movimento di una persona che danza.
«Cosa? Vorresti uscire per andare a ballare?»
Lui mosse il capo in un cenno affermativo, e così fecero tutti gli altri morti dietro di loro.
«Ma aspettate, non potete piombare lì di colpo. I vivi si spaventerebbero».
Xaverius però non ammise repliche e pestò un piede ossuto a terra. Gli altri lo imitarono.
«Suvvia ragazzi, siate ragionevoli. Non pensate a…»
La musica cambiò andamento e tutti gli scheletri si fecero più impazienti.
Eleonor vide le loro bianche ossa fremere, prima che partissero di corsa su per la salita.
 
La ragazza ebbe un tuffo al cuore. E ora, cosa sarebbe successo? I cari ospiti di Vincent sarebbero crepati tutti quanti d’infarto? Possibile, ma prima lui l’avrebbe  strozzata per avergli disubbidito.
“Accidenti, ma che bordello è mai questo?”
 
Velocemente, si arrampicò su per la salita, partendo all’inseguimento dei morti prima che loro potessero fare qualche follia.
 
Correvano velocissimi, fulminei e saettanti figure pallide come fantasmi nella notte, raggruppati in un branco sovrannaturale che avrebbe fatto rizzare i capelli anche al più coraggioso degli uomini. Travolgevano ogni cosa trovassero sul loro cammino.
 
Eleonor cercò di stargli dietro, ma andavano a una velocità impressionante.
 In lontananza, la ragazza gli vide giungere di fronte al portone di casa. Si fermarono trovandolo chiuso. Lei sogghignò. “Meno male, così non possono entrare”.
Ma aveva fatto male i suoi conti a gioire troppo in fretta, perché quelli aggirarono la casa e si precipitarono dentro come palle di cannone sfondando le grandi vetrate.
Eleonor si schiaffò una mano in faccia.
 
Affrettò il passo, sentendo il cuore che avrebbe potuto esploderle da un momento all'altro. Cercò di forzare il pesante portone, ma era serrato dall'interno. Così, si rassegnò a doversi godere lo spettacolo da una delle finestre infrante.
 
I morti, dentro il grande salone da ballo si guardarono attorno, osservando ognuno dei presenti. Dopo che ebbero fatto la loro trionfale entrata in scena, tutti quanti erano improvvisamente ammutoliti, qualcuno aveva urlato e qualcuno era addirittura svenuto.
L’orchestra aveva smesso di suonare e la luce delle candele si era spenta, facendo piombare il grande salone nel buio.
Adesso il silenzio regnava sovrano. I vivi  scrutarono i morti e i morti scrutarono i vivi.
 
Xaverius, in capo alla sua fazione, mosse un passo e tutti gli ospiti della sala indietreggiarono. Allora si ritrasse e rivolgendosi all'orchestra, mimò il gesto di un violino che suona.
L’orchestra impallidì e soddisfò la sua richiesta senza fiatare, terrorizzata.
 
La musica si riversò nella sala e tutti i morti mossero la testa a ritmo delle note, prima di sparpagliarsi per il salone. All'inizio, sembrava che i oro movimenti fossero senza senso, ma poi si ritrovarono gli uomini da una parte e le donne dall'altra, paralleli. I cavalieri rivolsero un inchino galante alle loro dame e loro fecero lo stesso. Poi, quando d’improvviso la musica divenne più movimentata, si gettarono a corsa gli uni contro le altre e gli uomini alzarono le donne in aria, facendole volteggiare leggiadre prima di posarle delicatamente a terra. E fu lì, che iniziò il vero ballo.
 
I morti danzarono, sotto gli occhi esterrefatti e sbarrati dei vivi. Danzarono meglio di quanto avessero fatto loro fino a quel momento, tra piroette e fruscii di logori vestiti. Ballarono, ballarono instancabilmente come se quei passi fossero rimasti nella loro memoria fino a quel momento, in attesa di essere rivelati al mondo intero.
 
Disponevano di una tale leggiadria, una tale perfezione nei movimenti che nessuno lì dentro si sarebbe mai sognato di avere. Dopo un po’ che si osservavano, non sembrava neanche più di vedere danzare dei cadaveri, ma degli antichi nobili giunti da un’era lontana.
 
La musica giunse al suo apice e con immenso stupore di tutti, gli scheletri si illuminarono tenuemente e salirono in alto, come anime verso il paradiso. La loro forma mutò e cambiò, divennero delle piccole sfere luminose di una luce argentea, soffusa. Eleonor, avendo tenuto d'occhio Xaverius, lo riconobbe in mezzo ai compagni; era sempre la sfera più grande, la più spettacolare di tutte.
Quei piccoli globi continuarono a salire in alto, fino a raggiunger l'imponente lampadario di cristallo. Poi, si compattarono tutti assieme formando una sola, grande scia luminosa, e in una folata di vento con una forza immane, scardinarono la porta principale e si riversarono fuori nell'aria notturna.
 
Eleonor corse fuori a vedere cosa fosse accaduto, ma notò soltanto una scia bluastra e una indicibile sensazione di gelo. Ma quella sensazione le piacque, perché sapeva che apparteneva a un compagno che aveva avuto l’onore di conoscere.

Sorrise al cielo, investita da una brezza notturna, mentre gli schiamazzi degli ospiti provenienti dall'interno si facevano sempre più vicini. Riconobbe voci arrabbiate, voci impaurite e piagnucolii isterici, ma ci fu una voce che si levò sopra tutte le altre, facendole ammutolire.

«Signori! Vi prego di mantenere la calma. Tutto ciò si trattava soltanto di un complicato stratagemma escogitato per lasciarvi stupiti e spiazzati al tempo stesso, per farvi conoscere la vera magia Samhain! Ho trovato l'idea accattivante, spero solo di non avervi turbato troppo». Vincent abbozzò un cenno del capo, a scusarsi.

Tutti quanti gli ospiti borbottarono tra loro, confusi e ancora scossi dall'esperienza. Alla fine però, si decisero a premiarlo con un applauso, auto convincendosi che fosse stato tutto architettato da mano umana.

«Bene, miei cari ospiti. Sono felice di aver chiarito il malinteso. Prego adesso, se volete seguirmi, vi mostro una zona del giardino dove poterci spostare». La folla scemò, seguendo Albert che gli mostrava la strada. Eleonor cercò tra i presenti, ma non vide né Ben né Elettra. Però, c'era sempre Veronica. Bha, quanto desiderava se ne fosse andata anche lei.

Fece per andarsene, seguendo la folla, ma una figura massiccia e scura le si piazzò davanti. «Bene, bene. A quanto pare, ci divertiamo a compiere scorribande per i cimiteri e risvegliare i morti, eh?» Vincent sembrò minaccioso, vagamente arrabbiato.

«Non è vero, guarda che non è stata colpa mia, io sono sempre stata qui» si difese lei.

«Non mi piace che mi si dica il falso, ragazzina» la rimproverò, adesso fattosi più furente. Lei stavolta non disse niente, ma si limitò a osservarlo, colpevole.

«Ne riparleremo domani» disse lui, allontanandosi «e sappi che mi devi i danni per ben due vetrate e un portone».

Eleonor rimase ferma al suo posto. In fondo, non se ne pentiva affatto, ed era felice di tutto quello che era successo, quella notte. Rivolse un ultimo sguardo alla luna piena prima di seguire gli altri, poi se ne andò, inghiottita dalle tenebre.
  
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