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Autore: Piebavarde    07/07/2014    3 recensioni
Francesca Molinari è una ragazza con la testa sulle spalle, una dose incredibile d'orgoglio e iattanza e la nomina di rappresentante di classe della IV C. Snob, selettiva, nevrastenica e acida come un limone, Francesca ha sempre mostrato alla gente una maschera di superbia e indifferenza.
La sua saccenteria verrà però contrastata dal nuovo professore di letteratura italiana: Marco Fanti.
Marco è quel che il mondo definisce lo "scapolo d'oro": amato dalle sue alunne e invidiato dai suo colleghi, il professore sembra esser la saggezza fatta uomo. La mente tra i libri e le riviste d'auto sportive, e le parti bassi sempre tra le gambe di qualche donna; questo è il tipo d'uomo rappresentato dal professore tanto ambito tra le lenzuola, che tenterà di frenare la spocchia della sua alunna sognatrice.
Se i principi della fisica iniziassero ad intervenire sulla vita di questi due individui?
Se Newton avesse avuto ragione?
Cosa accadrebbe se una forza F agisse inconsapevolmente su una massa M, provocando un'accelerazione A?
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo II
Captatio benevolentiae
“Con i broccoli non funziona”
 
 
L’ora di educazione fisica era qualcosa di indicibilmente massacrante.
Avrebbero dovuto proibire la pallamano.
 
Quell’andirivieni aveva distrutto Francesca che, mentre si cambiava nello spogliatoio femminile, tentava di prepararsi psicologicamente all’ora di letteratura italiana.
 
Marco Fanti era un uomo. Un semplice uomo.
 
Se Marco Fanti è un uomo.
 
Le venne da parafrasare Levi, ma decise di smetterla.
 
Lui era un insegnante, un bell’insegnante che surriscaldava gli ormoni femminili.
Un insegnante che rendeva ancor più giulive le oche giulive della sua classe.
 
Ma era pur sempre un insegnante.
 
E Francesca lo vedeva solo come un insegnante, o almeno ci provava.
Un insegnante più o meno preparato.
 
Più meno, che più.
 
Eppure lui l’aveva umiliata.
Non l’aveva davvero fatto ma per Francesca sì, quella fu un’umiliazione.
 
Non sarebbe diventata mai Presidentessa della Repubblica.
La politica non era più il suo forte.
 
La classe non esiste.
 
Quante volte durante le assemblee e i consigli di classe aveva proprio detto classe, riferendosi ai suoi compagni?
 
La classe.
 
Una parola, che ebbe il potere di distruggere la sua coscienza e il suo orgoglio.
 
Quando la notte prima telefonò a Matilde ad un’ora poco consona, la sua migliore amica le aveva fatto notare che non era poi un guaio, quello che le era capitato.
 
Insomma, si faceva pippe mentali perché aveva utilizzato un termine come “classe” per indicare coloro che in realtà erano i suoi “comites”.
 
Compagni di viaggio.
 
Iniziò ad avere poca stima di sé e le sue elucubrazioni mentali la rallentarono nei movimenti.
 
Cosicché nello spogliatoio rimasero soltanto lei e Rita Neri che, nonostante una terza abbondante, si ostinava ad imbottire il suo reggiseno con l’ovatta scroccata a Gaetano.
 
Che pena, che le faceva.
 
Uscì un secondo dopo la Neri, appena in tempo per sentire la campanella trillare; appena in tempo per udire un altro tipo di trillo.
 
Quello della voce del professore di letteratura italiana Marco Fanti.
 
-Forza con quelle chiappe, Rita! Non abbiamo tempo da perdere.
 
Il professore stava battendo le mani a tempo di natiche.
Sì, lo stava facendo davvero, accompagnando i battiti con dei goliardici “hop-hop”.
 
Sgusciò dallo spogliatoio, Francesca, con quella che era l’espressione più indignata del pianeta.
 
Che maniaco sessuale!
Che razza di schifoso!
 
Aveva deciso: pomeriggio si sarebbe presentata in caserma.
 
-Oh, Francesca, ci sei anche tu. Buongiorno!
 
Le regalò un sorriso che voleva essere dolce.
 
Le diede la nausea.
 
Volle insultarlo, chiamarlo maniaco.

E poi non poteva presentarsi a scuola con quella maglietta a maniche corte che lo fasciava così bene, evidenziando il suo fisico scolpito.
Non poteva, dannazione, era illegale!
 
E poi, non gli faceva freddo?
Qualcosa l’aveva pur surriscaldato.
Ma cosa?
No, decise che non le interessava saperlo.
 
Intanto si concesse per un secondo di perdersi nei suoi occhi chiari. Quanto cazzo erano belli?
 
Ma doveva mantenere la calma.
Calma.
Calma.
Calma.
 
Rita squittì ridendo, pretendendo l’attenzione dell’insegnante.
 
Lui le cedette e la fissò, quasi famelico.
 
Che broccolo.
CHE B-R-O-C-C-O-L-O!
 
E avrebbe dovuto insegnarle Ugo Foscolo.
Il suo Ugo Foscolo.
 
-Pronta per la tua amata tragedia?- domandò lui soltanto a Rita, come se Francesca fosse invisibile.
 
O magari perché sapeva che non era affatto pronta per quella tragedia.
“Romeo e Giulietta”?
 
No.
 
Avere un insegnante maniaco.
 
Disdicevole, quel broccolo era disdicevole.
 
-Non vedo l’ora- esclamò entusiasta, guardandolo sognante.
 
-Bene, visto che sei così in vena, vai in sala insegnanti e prendi il libro di “Romeo e Giulietta”. Penso di averlo dimenticato sul tavolo.
 
Contenta di soddisfare i bisogni di quello che oramai era diventato il suo sogno erotico, Rita Neri si catapultò in aula insegnanti, lasciando Francesca sola con un maniaco sessuale.
 
-Molinari-, attirò la sua attenzione.
 
Lei lo osservò scettica e interrogativa.
 
Perché ora la chiamava per cognome?
Le avrebbe abbassato la media?
 
Calma.
Bisognava mantenere la calma.
 
-Mi chiami pure Francesca-, gli disse con un sorriso tiratissimo e falsissimo come gli zigomi della Ferilli.
 
Lui ridacchiò, -Abbiamo seppellito l’ascia di guerra?-, le domandò retoricamente mentre stavano raggiungendo la classe a passo lento. –Ne sarei contento, se solo non fossi abbastanza arguto da capire che stai mentendo.
 
Quel broccolo non era poi così tanto broccolo.
 
Francesca si bloccò come punta da uno spillo.
 
Due a zero. Stava perdendo due a zero.
Miseramente.
 
Il professore allungò una mano verso la spalla di lei, per poi adagiarla proprio lì, con tranquillità.
 
Ma maniaco sì, quello lo era eccome.
 
Francesca obbligò se stessa al silenzio.
 
-Non preoccuparti, Molinari, non ti abbasserò la media per dispetto. Il tutto dipenderà dalle tue potenzialità.
 
Perché le apparve una cosa così poco consona da sentirsi dire da un insegnante?
 
 
 
 
 
-Non lo è-, le fece capire con aria annoiata Gaetano mentre pranzavano in un bar.
 
Francesca addentò il panino poco convinta, così il suo amico continuò.
 
-Ti ha soltanto detto che il tuo voto dipenderà dal tuo impegno.
 
Era l’ennesima volta che glielo ribadiva, ma Francesca proprio non riusciva a pensare a Marco Fanti senza allegarvi l’epiteto maniaco sessuale.
 
Glielo disse.
 
-Gaetano, quello lì è un maniaco sessuale!
 
-Perché ogni cosa di te mi fa invece pensare che lo reputi un maniaco sensuale, più che sessuale?
 
Francesca lo osservò accigliata e tra uno sbuffo e l’altro lo riprese svariate volte.
 
Lui la osservò per un po’ facendo vagare i suoi occhi nocciola sulla figura di Francesca, la sua migliore amica.
Adorabile, presuntuosa, nevrastenica, migliore amica.
 
-Tutte lo reputano figo. Potresti farlo anche tu, no? Potresti farti gli occhi da qui fino a giugno, quatta quatta, senza farti abbassare la media per la tua linguaccia lunga e così facendo potresti addirittura smettere di pensare per un po’ Gianluca, no?-, aggiunse Gaetano in un soffio, quasi avesse paura di farle male pronunciando un’innocente e innocua parola. O meglio, un nome.
 
Francesca non seppe cosa rispondere, né che pensare: quel nome annullava ogni sua forza fisica e psichica.
 
Gianluca.
 
Sorrise amara.
 
Gianluca Diamanti, unico grande amore di Francesca.
Suo primo bacio.
Sua prima fellatio.
Suo primo sesso.
 
No, non sesso.
 
Suo primo fare l’amore.
 
Ma anche sua prima delusione.
 
Aveva preferito a lei una brillante carriera scolastica, universitaria, lavorativa.
Studiava Ingegneria civile.
E lei non aveva più risposto alle sue chiamate.
 
Temeva i rapporti a distanza.
Era dagli inizi di settembre che non lo sentiva più nominare, perché aveva obbligato i suoi amici a non tirarlo mai più in ballo per cause abbastanza ovvie.
 
Lei era ancora innamorata di lui ma aveva paura che lui l’avesse tradita.
E temeva saperlo.
E ancor di più temeva che lui avesse smesso di amarla, perché lei, per l’appunto, era ancora totalmente innamorata.
 
Perché Gianluca non era uno così.
Gianluca era perfetto per lei.
Combaciavano perfettamente.
 
Lui era brillante, altezzoso, acculturato, ingegnoso. Ma anche molto dolce e premuroso.
Aveva la sua buona dose di iattanza, così come Francesca.
E lei lo amava.
Ancora.
 
Francesca fece svolazzare la mano, spazzando via l’argomento come prima aveva spazzato via le briciole di pane. Come se fosse una cosa talmente semplice, spazzare Gianluca via dai suoi pensieri. Come se non dovesse ogni volta sopportare un macigno sul cuore.
 
Gianluca.
 
Anche lui era un broccolo.
 
Cercò di convincere mentalmente se stessa che era così, che Gianluca era un broccolo. Con scarsi risultati.
-Dimmi un po’-, esordì Gaetano con l’intento di portare la conversazione su un’altra rotta, -che ruolo speri di ricevere questo pomeriggio?
 
Francesca e Gaetano stavano pranzando in un bar e non a casa loro perché dovevano ritornare a scuola, quello stesso pomeriggio, per iniziare le prove teatrali. Si trattava solo di assegnare le parti, precisò loro quella mattina il professor Fanti, di studiare il copione. Li avrebbe scritturati e loro, dunque, avrebbero dovuto affrontare un provino. Francesca intonò qualche giambo nella sua testa diretto al professore: lei odiava questo tipo di cose.
 
Già detto che non tollerava un bel po’ di cose, no?
 
Avrebbero dovuto prendere un bus, per tornare a casa, che non li avrebbe poi riaccompagnati in tempo a scuola per l’orario prefissato dal prof; per tal motivo optarono par un panino da tre euro in un bar, anche per non recar fastidio ai genitori di un qualche loro compagno di classe che avrebbe dovuto, nel caso, aggiungere ben due posti a tavola.
 
Spesso Gaetano e Francesca si comportavano come un fratello e una sorella, perché loro si sentivano di esserlo effettivamente, un fratello e una sorella. Erano amici sin dalla culla e si erano sempre amati. Di quell’amore fraterno, particolare, che non sfocerebbe mai in desiderio sessuale.
 
Per fortuna, perché Gaetano era fin troppo magro agli occhi di Francesca  che alle volte lo vedeva addirittura scheletrico; lui comunque aveva una fidanzata, che amava. Francesca non era gelosa.
Cioè un po’ sì. Ma solo perché Gaetano era emotivamente fin troppo fragile e lei temeva che potesse soffrire, come era già successo in passato.
 
Lei puntò gli occhi verso quelli di lui, comprese che gli interessava davvero sapere se lei nutriva una qualche speranza nello spettacolo.
 
Francesca fece spallucce.
 
-Nessuno. Anzi, se fossi il regista, non mi lamenterei affatto.
 
-Qualcosa mi dice che non lo sarai-, sentì una voce alle sue spalle.
 
Francesca si voltò: era Matilde, che li raggiunse dopo aver terminato il suo pranzo in famiglia.
 
Entrambi aggrottarono le sopracciglia sorpresi di vederla; -Solitamente sei molto lenta nel mangiare-, constatò Gaetano mentre scostava la sua sedia per farle un po’ di posto.
 
-Pasta, panna e salmone-, annunciò raggiante Matilde.
 
Matilde adorava quel tipo di pasta e la divorava come un maiale.
 
No, non era un insulto: lo faceva davvero con fin troppa foga.
Per il resto delle pietanze, invece, adoperava una lentezza esasperante.
 
-Ieri avevo detto a mia madre che dovevamo vederci a scuola alle 14.30. Così, per non farmi beccare un ritardo …
 
Francesca le sorrise, per poi passare subito al dunque:-Cos’è quest’insinuazione, ora? Perché non potrei diventare regista?
 
-Perché sicuramente sarà il prof a coordinare il lavoro-, rispose, -e anche perché penso provi gusto a stuzzicarti.
 
-Visto?- domandò con tono sornione Francesca a Gaetano, -Cosa ti avevo detto? È un maniaco!
 
-Ma non in quel senso!- esclamò Matilde sorridendo, -Dico solo che ti ha già inquadrata. Ha capito che sei presuntuosa, e per inciso sai che l’ho sempre pensato, e vuole fartela pagare perché non penso gli piacciano gli sbruffoni.
 
-E tu-, tentò di indovinare Francesca assottigliando gli occhi,- sei sicuramente dalla sua parte.
 
-Certamente! Insomma, è figo, intelligente e sembra ti abbia sulle balle! Finalmente un professore non ti sopporta!
 
-Non mi ha “sulle balle”!-, si difese la ragazza con un po’ di incertezza. –E poi perché dovrebbe?
 
-Prova a chiederglielo, no?- sussurrò Gaetano alla sua amica.
 
Francesca intuì che il maniaco sessuale, e non sensuale, aveva appena fatto la sua comparsa nel bar.
 
Broccolo, maniaco sessuale e stalker.
 
Ma Marco Fanti fece finta di non vederli, o effettivamente non li vide per davvero. Diede loro le spalle prendendo posto ad un tavolo abbastanza lontano. Aveva un cellulare in mano e parlottava con veemenza.
 
Eppure i tre ragazzi non riuscirono a captare la minima parola.
 
-E comunque non sono una sbruffona-, ci tenne a puntualizzare Francesca, prima di alzarsi per pagare il conto.
 
 
 
 
 
 
Il professor Fanti schiuse il suo volume personale di “Romeo e Giulietta” davanti a venti paia di occhi incerti. Sfogliò con una palese finta curiosità le pagine ingiallite, puntando di tanto in tanto i suoi occhi sui ragazzi, per studiarli.
 
-Sarebbe questo il suo provino?-, sussurrò Francesca a Gaetano.
 
-Non ti va bene?-, la stuzzicò lui tirandole il lobo di un orecchio.
 
Lei se lo massaggiò schiaffeggiando le dita del suo amico, poi rispose: -Mi va più che bene! Mi pare solo un po’, come dire? Frivolo!
 
-Frivolo!-, le fece il verso Gaetano, che sedeva accanto a lei su un banco, proprio come tutti i suoi compagni di classe.
 
Infatti il prof Fanti aveva fatto spostare i banchi e le sedie ai lati dell’aula –lui non aveva mosso un dito-, in modo da poter vantare uno spazio sufficiente per ricreare una specie di palco.
 
Lui se ne stava seduto alla cattedra, in silenzio, un po’ turbato.
 
-I personaggi sono tantissimi-, si lamentò il professore.
 
- Ricorderà almeno i nomi dei personaggi o dovrò munirmi ancora di penna e calamaio?- domandò Francesca più a se stessa che ad altri, osservando i foglietti appesi ai banchi che lei stessa aveva ritagliato il mattino precedente.
 
-Molinari, ti ho sentita.
 
Il professore la incenerì con un’occhiataccia di ghiaccio. Fu un solo attimo, poi riportò i suoi occhi sul libro sbuffando. Poi sbuffò ancora. E ancora. E ancora.
 
Quel professore era un treno a vapore.
 
-Molinari, prendi la sedia e vieni qui-, le ordinò il docente indicandole uno spazio vuoto dietro la cattedra, accanto a lui.
 
Oh per Bacco!
 
Francesca osservò Gaetano con un’occhiata da “te l’avevo detto”, riferendosi al maniaco sessuale di poco prima, e ricevette dall’amico come risposta una semplice e stupida sghignazzata.
 
Mentre afferrò la sedia la sua unica consolazione fu la seguente: c’era un solo motivo se la voleva lì accanto.
 
Lei sarebbe diventata il regista.
 
-Molinari, sei la mia aiuto-regista-, le fece sapere il professore mentre lei si sistemò nei pressi della sua sedia.
 
Nei pressi. Per l’appunto.
Il professore lo notò.
 
-Ho il colera, Molinari?-, le domandò lui con un tono divertito.
 
L’amore ai tempi del colera.
 
Fu l’unica cosa a cui pensò.
Poi si riprese, piuttosto in fretta, e gli si avvicinò con sguardo risentito: lei voleva essere il regista. Unico, solo e inimitabile regista.
 
Cosa diavolo era un aiuto-regista?
Non davano loro neanche l’Oscar!
 
-Allora, quante Giulietta?-, domandò il professore alzando lo sguardo sulla classe, già aspettandosi una miriade di mani in aria.
 
No, soltanto due: quelle di Rita e Gaia.
Ottimo, sfida tra titani. Titaniche etere, per essere più precisi.
 
Il professore cedette il libro a Francesca farfugliando un:-Io lo conosco a memoria-; lei lo prese con piacere riservandogli un’occhiata da leccaculo.
 
Captatio benevolentiae.
Solo quello, e null’altro.
La sua media doveva rimanere integra, per pure questioni di orgoglio.
 
Più che altro perché la classe pensava che lei fosse la cocca della professoressa Giusti, che soltanto e solo a lei metteva sempre 10. Voleva dimostrare loro che non era vero: anche se il professore era cambiato, la sua bravura era la stessa. Sapeva di meritare quel voto.
Fino a due giorni prima, quando qualcuno le aveva fatto presente che la classe non esiste.
 
E quel qualcuno le stava accanto.
E quel qualcuno stava parlando.
E quel qualcuno aveva una voce così roca e metallica che Francesca voleva esser seppellita all’istante.
 
Lei non poteva cedere come tutte.
Lei era diversa.
 
-Capito Molinari?-, domandò quel qualcuno voltandosi alla sua sinistra.
 
Francesca lo osservò stordita, poi negò con la testa, generando un coro di risate.
 
-Mi scusi, non ero attenta-, si difese lei aggrottando le sopracciglia.
 
Lui sorrise lievemente, si strofinò gli occhi e la osservò placido, infine disse:-Ho capito, Molinari, non ti sto simpatico. Però cerca di seguirmi, almeno quando dico qualcosa di importante. Siamo tutti stanchi, non solo tu.
 
-Mi scusi-, farfugliò lei.
 
-Lo ripeto, per l’ultima volta: cercheremo di coinvolgere anche le due altre sezioni. So che nella sezione A c’è un papabile aspirante Romeo-, concluse il professore sorridendo.
 
Francesca levò in aria un sopracciglio: odiava quel papabile aspirante Romeo. Intuì subito che si trattava di Cristiano Mori, un broccolo con la B maiuscola.
 
Gnocco.
Lo definivano.
Broccolo.
Lo definiva.
Carino.
Era effettivamente.
 
Lei fece spallucce annuendo con poca enfasi.
Probabilmente i loro compagni preferivano fare la parte del frate o di Tebaldo intuendo che quello spettacolo avrebbe loro abbassato la media se avessero dovuto passar pomeriggi interi a imparare a memoria un copione o a ripassarlo in un’aula spoglia e deserta del liceo.
 
E facevano bene.
 
-Ah, comunque-, aggiunse il prof, poi osservò con un’espressione buffa Francesca assottigliando gli occhi al fine di accertarsi che lo stesse seguendo; a lei venne da sorridere, ma non glielo diede a vedere,-parlerò con la preside cercando di far guadagnare qualche credito ai partecipanti. Qualche, eh! Si parla di decimi.
 
Così la mezzora seguente passò con l’avvicendarsi dei provini di tutti i ragazzi, allettati dalla proposta dei crediti, sotto lo sguardo fintamente attento della pseudo giuria, composta dal prof Fanti e dalla rappresentante di classe Molinari.
 
Per ultimo Gaetano si presentò davanti agli occhi divertiti di Francesca.
 
-Fra, smettila di ridere!- mise subito in chiaro le cose lui; perché, in caso contrario, non avrebbe iniziato.
 
-Sei infantile, Tano: non sto ridendo. Ti sto solo fissando-, rispose lei con il più dolce dei sorrisi, intrecciando le braccia intorno al petto in procinto di godersi lo spettacolo.
 
Tano, per tutta risposta, osservò il professore puntandole contro l’indice come a dire “sgridala!”.
 
Non c’era nulla da fare: la timidezza di Gaetano lo rendeva proprio un bambino.
 
Il professore osservò di sottecchi Francesca, cantilenando un –Molinari-, tra lo spazientito e il divertito, poi fece un segno con la mano a Gaetano invitandolo ad iniziare.
 
Gaetano fece svolazzare tra le mani la fotocopia che il prof aveva precedentemente consegnato a tutti, a seconda delle preferenze personali.
Almeno rispettava i gusti.

-Lo speziale di Mantova-, annunciò Gaetano.
 
-No-, si sentì subito sentenziare Marco Fanti, -Ti vedo più come Mercuzio, che ne dici?
 
-Ehm…no?
 
Francesca sghignazzò. Per una volta il professore procedeva nello stesso modo in cui avrebbe fatto lei.
Poi, colta da un dubbio, iniziò a sfogliare le pagine del libro.
Ma lo speziale di Mantova, almeno una battuta, la teneva?
 
Mentre tra le sue dita passavano veloci le pagine ingiallite, si rese conto che quel libro profumava proprio di libro. Di quelli vecchi, impolverati, che esistono da generazioni.
 
Osservò il professore con un occhio di riguardo e prima che lui potesse accorgersene, ritornò alla sua ricerca, lasciando discutere i due sulla parte di Gaetano.
 
-Lo speziale ha troppe poche battute-, continuò il professore.
 
Gaetano dondolò sul posto in evidente imbarazzo. Lui non voleva neanche farlo lo spettacolo, ma fu sicuramente tratto in trappola dal dolce e invitante odore dei decimi di credito.
 
Come se lui ne avesse avuto il benché minimo bisogno!
 
-Mercuzio lo vedo più adatto a te; non è vero Molinari?- domandò il professore attirando l’attenzione di Francesca, che aveva oramai terminato la sua ricerca.
 
-Effettivamente.
 
Disse lei soltanto.
Captatio benevolentiae. Null’altro.
E poi provava gusto a punzecchiare Gaetano.
 
Tano incrociò le braccia spazientito e si fece consegnare uno dei fogli con una delle parti di Mercuzio.
 
Recitò penosamente, eppure Francesca e il professore si osservarono con sguardo complice e soddisfatto.
 
Captatio benevolentiae.
Captatio benevolentiae
, null’altro.
 
-Hai un’ottima pronuncia, bella voce; possente direi-, iniziò lui.
 
-Perfetto il movimento struggente delle braccia-, azzardò lei.
 
-Assolutamente d’accordo: hai un viso espressivo.
 
-Da Oscar, Tano!
 
-Da Oscar, Tano!-, convenne il professore annuendo con decisione.
 
Lui osservò la sua migliore amica assottigliando gli occhi, mentre Ettore Ciaglia si lamentava perché conscio di esser stato più bravo recitando quella stessa parte.
 
-Ci ritiriamo per deliberare-, scherzò l’insegnante alzandosi dalla sedia, invitando Francesca, con un cenno del capo, a seguirlo fuori dall’aula.
 
Maniaco sessuale.
Captatio benevolentiae.
Maniaco sessuale.
Captatio benevolentiae.
Maniaco sensuale.
 
Francesca era un broccolo.
 
Si erano ritirati nell’aula adiacente; lui accese le luci e si sedette su un banco, proprio come un ragazzino. Lei gli si mise di fronte, adagiandosi contro la cattedra.
 
-Il tuo amico è pessimo nella recitazione-, fece subito presente il professore.
 
Lei alzò un sopracciglio.
Un tuo amico?
Era un suo alunno, non un “tuo amico”!
 
-Effettivamente-, convenne lei decidendo di non farsi distrarre. Spostò lo sguardo sul libro di “Romeo e Giulietta” per non guardarlo in quei tremendi occhi chiari.
 
Ma erano blu o verdi?
 
-Però è molto timido. Serve qualcosa per farlo venire fuori e quel qualcosa si chiama Mercuzio!
 
La Molinari spostò rapidamente il suo sguardo compiaciuto incrociando quello di lui; d’accordo, poteva essere giovane quanto voleva, maniaco quanto voleva, eppure lo trovò per un attimo anche capace. Apposito, ecco.
 
Degno.
 
Deglutì.
Doveva riprendere la caccia ai difetti di quell’uomo.
 
Lei annuì ancora e ridisse: -Effettivamente.
 
Il professore si massaggiò la barba, osservandola con attenzione: -Molinari, ho fatto o detto qualcosa che non va?
 
Oddio sì.
Cioè no.
 
Optò per la verità.
 
La mezza verità.
 
La pseudo verità.
 
Diciamo pure la non verità, che si traduce il più delle volte con l’espressione “facciamo ricadere la colpa su qualcun altro”.
 
-Vuole sapere la verità?- domandò per l’appunto lei osservando finalmente il suo professore negli occhi; temette di cedere dinanzi a quel colore, quel verde liquido, ma si riscosse e proseguì: -Non riesco a fare lezione con lei perché in classe, quando lei non c’è, si fanno su di lei dei commenti un po’ troppo… ecco, che le fanno perdere un po’ di credibilità –,intrecciò le dita in evidente imbarazzo e continuò con altrettanto imbarazzo e un’egual dose di incertezza- Perché questi commenti sono davvero troppo…
 
-Arditi?- la incalzò lui, ridacchiando.
 
-Sì, ma non rida. Non c’è nulla da ridere.
 
Eccola lì, Francesca Molinari.
La presuntuosa Molinari che si azzardava a fare la paternale a qualcuno più grande di lei.
Ardita, non c’è che dire.
 
Lo notò anch’egli.
 
-Sei ardita anche tu, Molinari, a parlarmi così-, lei non si scusò perché nel tono dell’insegnante non c’era affatto ammonimento, piuttosto fu un rimprovero canzonatorio; -Però hai ragione. Anche se non so sinceramente cosa fare-, farfugliò lui accarezzandosi la nuca, come un ragazzino, -Per me è pur sempre la prima volta.
 
-Se vuole le concedo lezioni private per capire come si fa.
 
Solo un secondo più tardi, Francesca Molinari, si rese conto della gigantesca sciocchezza che aveva appena farfugliato. Le sue guance si tinsero di un rosso porpora e subito dopo iniziò a chieder venia varie e varie e varie volte di seguito.
 
Il professore la fermò con una mano.
 
-Sei proprio presuntuosa, Molinari-, constatò scoccando la lingua e guardandola dall’alto in basso.
 
Le venne da piangere fiumi e fiumi di lacrime, non perché non sapesse perché cavolo si fosse azzardata ad esser così ardita, piuttosto perché lei era pienamente cosciente di quello che le gironzolava per la testa.
 
Era un’idea chiara e precisa.
 
Lei quel broccolo lo odiava.
E tanto.
 
Perché era intelligente.
Perché era arguto.
Perché riusciva a schiacciarla come un banale insettuccio, senza sforzarsi più di tanto.
Perché era preparato.
Degno.
Esemplare.
E…
 
-Sarebbe meglio continuare con il lavoro-, disse subito lui.
 
Maturo.
 
 
 
Due giorni più tardi il professor Fanti si presentò nella IV C durante la ricreazione.
Prima del suo ingresso Francesca era occupata con le sue pippe mentali.
 
-Mati, non posso odiarlo!-, quasi urlò contro Matilde, perché tanto in classe c’erano soltanto loro due.
 
-Ma va! Valuta i pro e i contro della faccenda: seguirai con più interesse le lezioni di italiano e farai tutti i compiti perché avrai paura del prof! Finalmente studierai la materia, non sei contenta?-, le rispose la migliore amica morsicchiando una mela.
 
-Non capisci? È proprio questo il problema: non riesco a concentrarmi perché ho voglia di mandarlo a fanculo perché lo odio! D’accordo?
 
-E perché dovresti mandarlo a fanculo, scusa?
 
-Ma è ovvio: mi ha smerdata e potrà farlo anche in futuro-, sussurrò Francesca portandosi l’amica così vicina per paura che anche le penne potessero sentirla.
 
Matilde ridacchiò gongolando:-Ma stai zitta, non c’è nulla di male se si teme un professore! Anzi, non complicarti la vita e invece di fartela sotto appena entra, inizia a immaginarlo nudo sulla cattedra, come facciamo tutte noi.
 
Francesca strabuzzò gli occhi indignata: -Ma non si fa! È il nostro professore!
 
-Supplente-, ci tenne a chiarire la sua amica.
 
-Ma è la stessa cosa!
 
Matilde ridacchiò, trovando buffa la sua amica e le sue ennesime paranoie, e il professore fece il suo ingresso in aula.
 
Da quel “discorsetto”, Marco Fanti apparve molto più formale e diplomatico del solito. Evidentemente era in una fase “spugna” della sua carriera ed assorbì finanche lo pseudo consiglio di Francesca.
 
Pseudo perché in realtà non gli aveva consigliato un bel niente, eppure probabilmente lui lesse nel tono di voce di lei una richiesta di cambiamento.
 
Effettivamente era così: finché trattava gli alunni come degli amici di bevuta nessuno l’avrebbe mai trattato da professore; nessuno sarebbe stato dinamico.
 
-Buongiorno, ragazze-, disse entrando per poi poggiare un foglio sulla cattedra; -Ho portato l’elenco delle parti; sono stato anche nelle altre sezioni e tutti hanno accolto i provini con piacere ed entusiasmo. Comunque, Molinari, scusami se non ti ho coinvolta nella selezione.
 
Ecco, non è che si fosse impegnato più di tanto nella sua formalità.
Ma scusa di cosa?
Francesca gli era così grata di stargli lontana!
 
Lei comunque borbottò qualcosa, come a fargli intendere che non doveva preoccuparsi.
 
-Molinari, ci credi in Dio?- le domandò poi lui prima di andarsene.
 
Francesca, spiazzata, non seppe cosa rispondere: -Più o meno-, fu la sua risposta criptica.
 
Lui sghignazzò divertito, -Cosa significa “più o meno”?
 
-Beh, sono agnostica.
 
-Prevedibile.
Ma cosa cappero gli interessava del suo orientamento religioso?
 
-Allora posso prelevarti durante l’ora di religione per scrivere il copione. Buona giornata!
 
Francesca rimase spiazzata. Ma quell’essere sapeva che in quella classe si copiavano le versioni di greco durante l’ora di religione?
 
La sua captatio benevolentiae non era andata a buon fine.
Con i broccoli, si sa, non funziona.
   
 
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