Furry Love
There are shadows approaching me
And to those I left behind, I wanted you to know
You've always shared my deepest thoughts
You follow where I go
Bip bip bip.
Quel suono, costante e fastidioso, mi echeggiava nelle orecchie ad un volume spropositato, infastidendomi.
-Hannah?-
Ci misi un po’ a riprendere il controllo sul mio corpo e pian
piano sollevai le palpebre, immediatamente aggredita dalla luce del
sole che mi fece strizzare gli occhi.
-Oh, grazie al cielo ti sei svegliata.- Jason stava accanto a me,
seduto su una sedia visibilmente scomoda, in quella che aveva tutta
l’aria di essere una camera d’ospedale.
-Che cosa..- feci per tirarmi su ma ero ancora troppo intontita.-Cosa mi è successo?
-Sei caduta e hai sbattuto la testa.- mi informò, prendendomi la mano.
-Come è successo?- chiesi, incapace di ricordare. L’unico
ricordo che la mia mente mi concedeva era quello di una giornata di
pioggia, stavo guidando per tornare a casa dopo una estenuante giornata
di lavoro.
-Una macchina stava per investirti e per evitarla ti sei gettata per terra e hai sbattuto la testa.-
Vidi che la mia mano presentava dei graffi ancora freschi.
-Quanto sono stata incosciente?- non capivo perché Jason si
trovasse lì invece che le mie amiche o i miei genitori.
-Ti ho portata qui ieri mattina, te la sei presa comoda.- tentò di scherzare passandosi una mano tra i capelli gellati.
-Che ci fai tu qui?- non potei che essere diretta e forse anche
leggermente inopportuna ma Jason non era esattamente la prima persona
che speravo di vedere al mio fianco dopo un trauma del genere. Mi
bastava già doverlo sopportare a lavoro ogni giorno senza
trovarlo al mio capezzale anche in casi estremi come quello.
-Come..- sembrò turbato, la fronte aggrottata e le labbra strette.-non ricordi? Di me e di te, intendo.-
-Cosa dovrei ricordare?- quella situazione cominciava davvero ad
innervosirmi e avrei gradito la presenza di un maledetto dottore che mi
spiegasse cosa stava succedendo.
-Il Dottor Anderson aveva ragione, quindi.- mormorò,
accarezzandomi una mano come se fosse la cosa più normale del
mondo.
-Su cosa aveva ragione?- sbottai, ormai del tutto cosciente e decisamente spazientita.
-Aveva ipotizzato che tu potessi aver perso la memoria ma aveva parlato
di un vuoto breve, al massimo di qualche giorno. Non di settimane. Qual
è l’ultima cosa che ricordi?-
-Io.. stavo tornando a casa, avevo appena ricevuto il signor Grayson per la sua causa di divorzio e..-
-Quello è successo due mesi fa.- mi informò, sconvolto
dalla mia affermazione.-Dannazione.. peggio di quanto pensassi.-
Si massaggiò le tempie e dopo aver inspirato profondamente si sporse su di me, accarezzandomi il viso.
-Noi due stiamo insieme, Hannah, ci frequentiamo da quasi un mese.
Stavi raggiungendo me al bar quando hai avuto l’incidente.-
Mi
dimisero il giorno successivo, considerando probabile che la mia
memoria sarebbe tornata naturalmente nel giro di qualche settimana. Non
era raro, aveva detto il dottore, un simile episodio di amnesia
post-trumatica e nel novanta per cento dei casi non rappresentava un
handicap definitivo.
La settimana successiva Jason non mi lasciò sola neanche un
attimo e a casa mia trovai numerosi segni della relazione che sosteneva
avessimo avuto. Avevo un paio di sue camice appese nell’armadio,
le sue iniziali cucite sui polsini ad attestarne la proprietà,
il pane integrale, l’unico che il principino era disposto a
mangiare, occupava metà dispensa e in bagno c’era il suo
classico dopobarba perfettamente integrato in mezzo ai miei profumi.
Mi aveva raccontato che la nostra relazione era cominciata una sera,
dopo una cena di lavoro. Eravamo entrambi un po’ brilli ed
eravamo finiti a letto insieme rendendoci conto dell’attrazione
che ci spingeva inevitabilmente l’uno verso l’altra.
Non potevo negare di averlo sempre considerato un bell’uomo e il
suo racconto, per quanto strano, non mi sembrò affatto
improbabile. Quando bevevo perdevo davvero ogni buon senso.
Sentii Gea e Veronica, entrambe molto preoccupate per me, e mi
confermarono che ultimamente il rapporto tra il mio collega e me era
decisamente cambiato.
Continuava a raccontarmi episodi su episodi sperando di aiutarmi ad
indirizzare la mia memoria nella giusta direzione ma i suoi sforzi si
dimostravano puntualmente vani ma i baci, dapprima sporadici e
prettamente sperimentali, cominciarono a diventare pian piano sempre
più frequenti finché non mi rassegnai alla sua presenza e
cominciai a pensare che, forse, non era poi così male avere un
fidanzato bello, ricco e intelligente.
Dopo sette giorni di quasi totale clausura lo convinsi di essere in
grado di arrivare al supermarket sulle mie gambe e, soprattutto, da
sola.
Mi incamminai verso la mia meta inspirando a fondo l’aria fresca dei primi giorni di Novembre.
Il mio ultimo ricordo risaliva alla fine di Agosto.
-Hannah!-
Prima che potessi chiedermi chi fosse stato a chiamarmi fui travolta da
un abbraccio così inaspettato che non ebbi tempo né modo
di riconoscere l’uomo che mi stringeva.
-Stai bene?- chiese uno strano uomo con i capelli lunghi e disordinati
avvolgendomi il viso tra le grandi mani.-Quel deficiente non ti ha
lasciata un attimo ed io..-
-Ci conosciamo?- chiesi, dubbiosa, scostandomi un po’ in modo da
poterlo osservare meglio. Niente da fare, doveva essere una conoscenza
recente perché la mia mente non mi suggeriva nulla.
Aprì e chiuse la bocca per un paio di volte, gli occhi sbarrati e un’espressione disperata stampata sul volto.
-Scusami io.. ho sbattuto la testa!- esclamai, agitando le mani e
gesticolando in modo esagerato,-cioè, so che ti sembrerà
strano ma ho perso la memoria e non ricordo nulla degli ultimi due mesi
e non credo di ricordarmi di te. Potresti..?-
La mia spiegazione doveva sembrare parecchio folle a giudicare dallo
sguardo che mi rivolse ma improvvisamente lo vidi avvicinarsi di nuovo
a me, un po’ troppo per i miei gusti.
-Hey, che stai..?-non potei terminare la domanda che l’uomo
premette le labbra sulle mie, con forza, finché con
un’energia che non credevo neanche di avere lo spinsi via,
portandomi una mano alla bocca.
-Sei impazzito?! Chiunque tu sia.. lasciami in pace! Non mi ricordo di
te, se non ti fosse ancora chiaro, e non credo che tu possa conoscermi
abbastanza da baciarmi!- lo aggredii, facendo qualche passo indietro
per allontanarmi da lui.-Ho perso la memoria degli ultimi due mesi, non
di un paio di anni, e ho un fidanzato che potrebbe venire e prenderti a
pugni da un momento all’altro.-
Mi mossi velocemente verso il supermarket, sconvolta da
quell’incontro, e quando mi voltai per accertarmi che quel pazzo
non mi stesse seguendo vidi che era scomparso, completamente scomparso.
-Arrivo!-
Cercai di mantenere l’equilibrio sui tacchi per arrivare alla
porta. Jason e puntualità camminavano fastidiosamente di pari
passo e non ci avrei mai davvero fatto l’abitudine.
-Wow!- finse si essere stordito dalla mia apparizione e fece un passo indietro premendosi una mano sul petto. –Dovresti venire allo studio conciata così ogni giorno.-
Scossi il capo e mi sporsi per dargli un veloce bacio sulle labbra prima di voltargli le spalle e tornare verso la mia camera.
-Anche se pensandoci poi dovrei uccidere tutti i tuoi clienti. Non
sarebbe affatto conveniente per le tue finanze. A che punto sei?-
nonostante stesse parlando dall’ingresso e non potessi vederlo
sapevo perfettamente che aveva appena sollevato la manica della giacca
per controllare il suo costosissimo orologio e misurare il mio ritardo.
–Pensavo dovessimo essere da Georgie alle sette.-
Erano passati tre mesi da quando avevo perso la memoria per scoprire,
al mio risveglio, di avere un fidanzato e altrettanti ne erano passati
dall’inizio della storia della mia amica Gea e del suo
responsabile di reparto, Michael, che da poco avevano iniziato la loro
convivenza.
Gea aveva insistito per avere me e Veronica a cena insieme ai
rispettivi partners nonostante fossimo già state a casa sua
varie volte, quella settimana, per il caffè.
-Non si mette fretta alla perfezione, Jason. Dovresti saperlo!-
-Stai alludendo alla mia, di perfezione?- gongolò posizionandosi
alle mie spalle, davanti allo specchio, e circondandomi la vita
con le braccia.
Eravamo effettivamente una bella coppia e in quella mise elegante sembravamo due attori del cinema.
Portava i capelli perfettamente pettinati e una leggera barbetta curata
che ammorbidiva i suoi tratti altrimenti decisi ed esageratamente
perfetti come i denti bianchi che scintillavano illuminando il sorriso
fiero; indossava una giacca del tipo che lui definiva
“sportivo” ma che in realtà era semplicemente meno
seriosa del solito e una camicia bianca stirata in modo impeccabile.
Io, che nonostante i tacchi alti ero comunque parecchio più
bassa di lui, avevo optato per un vestito molto allegro e colorato e i
capelli, leggermente più mossi, ricadevano come onde bionde
sulle spalle.
Nonostante l’immagine che lo specchio mi restituiva rasentasse,
appunto, la perfezione, c’era comunque qualcosa di stonato, di
incolore. Ma non riuscivo a capire cosa fosse.
-Posso?- chiesi voltandomi e facendo cenno con il capo ai suoi capelli mentre lui mi rivolgeva un’occhiata confusa.
Allungai una mano e glieli spettinai un po’ mentre lui si contorceva per sfuggire al mio attentato all’ordine.
-Vuoi smetterla, per favore?-
-Ecco.- decretai sorridendo impertinente.-Adesso si che sei perfetto.-
Gli schioccai un bacio sulla guancia e afferrai il cappotto e la borsetta.-Andiamo?-
-Heilà, quale onore avere qui la coppia dell’anno!-
L’accoglienza di Gea fu molto teatrale mentre con le braccia spalancate si faceva da parte per farci entrare.
-Dov’è il povero Michael? Non lo starai schiavizzando,
vero?- chiesi dopo averla abbracciata velocemente mentre Jason si
chinava per salutarla cominciando ad elogiare le qualità della
nuova casa.
-E’ di là con Veronica e Tom, sta mostrando loro la sua collezione di vini invecchiati.-
Raggiungemmo gli altri in salotto e dovetti trattenere una risata
vedendo Tom, il fidanzato nuovo di zecca della mia amica psicologa,
chiacchierare animatamente con Michael davanti ad una serie
pressocchè infinita di vini mentre Veronica sbadigliava, troppo
pigra anche solo per fingersi interessata all’argomento.
-Interessante, mh?- la schernii dopo aver salutato i due uomini e aver lasciato Jason alle presentazioni.
-Fossero state birre artigianali, forse.-
-Raggiungiamo Gea in cucina? Conoscendola avrà da controllare
almeno dodici pentole.- proposi avviandomi verso la cucina con Veronica
al seguito.
-E quattro teglie.-
Come previsto Gea armeggiava con un numero indefinito di pietanze
mettendo sale qui e pepe là come se destreggiarsi ai fornelli
fosse stata la vocazione della sua vita.
-Attrice medico e anche cuoca. Michael ha fatto un colpaccio.- la presi
in giro mentre mi posava tra le mani un cestino con delle fette di pane
ordinandomi di portarlo in sala da pranzo.-Dimenticavo dispotica.-
-Sembra un tipo a posto!- stava dicendo Gea alla nostra amica mentre
ritornavo in cucina ticchettando con i miei superaffilati tacchi dodici.
-E’ carino!- rincarai io poggiandomi al bordo del tavolo. Tom mi
sembrava proprio il tipo di uomo adatto a Veronica: aveva tratti
eleganti e le labbra sottili, quasi sempre incurvate in un sorriso
capace di mutare ad una velocità impressionante dalla timidezza
all’irriverenza, gli occhi erano chiari e il naso stranamente
meno prominente rispetto agli standard della mia storica amica.
–Ma non ci hai mai raccontato come vi siete conosciuti, brutta
arpia riservata.-
-E’ il proprietario di una catena di negozi di articoli
musicali,- spiegò sorridente –seguo sua sorella, una brava
ragazza.-
-Lei ti paga in contanti e lui in natura, dunque?-
-Gea!- Veronica si finse indignata dall’osservazione poco consona
della padrona di casa ma nel giro di pochi secondi stavamo tutte
ridendo a crepapelle.
-Avete finito di fare le pettegole, voi tre?- chiese Michael,
fingendosi severo e sporgendo la testa oltre la porta.-Uomini avere
fame!-
Aiutammo Gea a portare i piatti a tavola e poi ci accomodammo accanto
ai nostri rispettivi uomini e il mio, nello specifico, mi strinse la
mano che tenevo posata in grembo.
Gli rivolsi un sorriso e la strinsi a mia volta, invasa da un repentino impeto di riconoscenza.
Jason non mi aveva lasciata un attimo, da quando ero uscita
dal’ospedale, senza mostrarsi opprimente e dando prova di una
pazienza che non pensavo potesse appartenergli e aveva riempito i miei
vuoti di memoria a tal punto che quei due mesi di buio totale
sembravano essersi colmati definitivamente.
Mi sentivo parecchio in colpa, alle volte, quando i dubbi cominciavano
a tormentarmi e non riuscivo a mostrargli la devozione di cui lui
invece mi faceva dono ogni santo giorno, quando mi ritrovavo nella
più totale impossibilità di ricambiare le sue attenzioni
e, purtroppo, capitava sempre più spesso.
Ogni tanto mi tornava in mente il volto dello strano uomo che avevo
incontrato, mesi prima, e che mi aveva prepotentemente baciata senza
darmi alcuna spiegazione plausibile. Possibile che fosse solo un pazzo
che se ne andava in giro ad importunare giovani donne? E come faceva a
conoscere il mio nome?
Erano domande alle quali non avrei potuto, neanche volendo, trovare una
risposta perché da quel giorno non lo avevo più rivisto e
avevo coscienziosamente deciso di non far parola a Jason di quanto mi
era accaduto.
-Pensierosa?- mi chiese, premuroso, mentre portavo un’altra forchettata di spaghetti alla bocca.
-No, solo stanca.-
La serata trascorse pacifica e gradevole, dopo cena ci sistemammo in
salotto ed io mi rifugiai tra le braccia di Jason, decisa a zittire
tutti quei pensieri che, quella sera, sembravano essere tornati alla
carica per qualche strana ragione.
Noi ragazze lasciammo i vini pregiati ai nostri uomini e brindammo alla
nuova casa di Gea con delle semplici birre, ben consapevoli che bere,
nel nostro caso, non era affatto indicato in quel contesto.
Veronica fece riferimento ad una sera di qualche mese prima in
cui c’eravamo prese una sbornia epocale e nonostante non la
ricordassi affatto feci finta di niente; la mia amnesia non faceva che
appesantire l’atmosfera, ogni volta che in qualche modo veniva
sollevata la questione, e non avevo intenzione di rovinare la serata a
tutta la compagnia.
In momenti come quelli mi sentivo tremendamente estranea, fuori posto,
così mi imposi di sorridere mentre tutti ridevano per
chissà quale divertente battuta ed io guardavo fuori dalla
finestra chiedendomi quanti ricordi avessi perso e se mai li avrei
ritrovati, in qualche angolo della mia mente.
Quando Jason mi riaccompagnò a casa, quella sera, gli augurai la
buonanotte con un veloce bacio, troppo stanca e con i piedi doloranti
per pensare di restare a flirtare con lui sul portico per tutta la
notte. Era ormai abituato ai miei sbalzi di umore, ai miei silenzi, e
come sempre non chiedeva nulla, discreto e rispettoso.
-Se hai bisogno di me chiamami, sarò qui in un baleno.-
Lo diceva ogni volta che mi lasciava sola.
-Credi che se il lupo cattivo venisse a rapirmi avrei il tempo di
chiamarti?- ironizzai facendogli una carezza, ferma sul portico di casa
e stretta nella giacca a vento blu.
-Posso sempre restare qui.-
-No, vai a casa. E’ da una settimana che passi la notte da me, dovrai tornarci prima o poi.-
-E’ il turno dell’amante?- sbottò incrociando le
braccia al petto e facendomi ridere.-Oh no, non c’è niente
da ridere! Vorrei almeno saperlo, almeno faccio allargare le porte. Non
sia mai che le corna non ci passino.-
-Stupido.- lo ammonii per poi sollevarmi sulle punte e baciarlo. Il mio
avrebbe voluto essere un bacio lieve e veloce ma lui mi
acciuffò, impetuoso, e approfondì il contatto facendomi
quasi venire le vertigini, presa alla sprovvista.
Ricambiai con altrettanta foga e arpionai le mani alle sue spalle, stringendomi a lui.
-Questo era un bacio della buonanotte.- spiegò staccandosi da me
con un sorriso malizioso.-quello che mi hai affibbiato tu prima sarebbe
andato bene se avessimo avuto dodici anni.-
-So cosa stai cercando di fare ma non cambierò idea!- lo spinsi
giocosamente giù per i gradini facendolo indietreggiare.
-Ogni vostro desiderio è un ordine, milady.- recitò
improvvisando un baciamano prima di voltarmi le spalle e tornare dritto
e fiero come sempre alla sua decappottabile.
Se mi avessero detto, ai tempi dell’università, che un
giorno sarei stata la donna di Jason Russell l’avrei presa come
un’immane offesa.
Lo osservai scomparire nella notte e feci per rientrare quando un’ombra scura attirò la mia attenzione.
-Chi c’è?-
Ero sempre sulle spine e non era la prima volta che mi sentivo
osservata, negli ultimi tempi. Avevo attribuito quella sensazione al
trauma dell’amnesia ma quella sera sembrava tutto molto
più reale. Qualcuno mi stava decisamente guardando.
Mi mossi, tesa come una corda di violino, lungo il vialetto quando un
enorme cane nero sbucò dai cespugli facendomi sussultare; una
improvvisa e logorante sensazione di dejavu mi pervase come una
iniezione di ghiaccio in vena e istintivamente feci qualche passo
indietro mentre l'animale, veloce come un fulmine, si gettava dentro
casa.
-Hey! No! Che diavolo fai, sacco di pulci?- spazientita mi tolsi le
scarpe alte e corsi dentro casa decisa a cacciare l’intruso.
Adoravo i cani, a dire la verità, ma quella era violazione di
proprietà privata e dato che non c’era un comma di alcuna
legge che punisse i criminali a quattro zampe mi sarei fatta giustizia
da sola.
-Dove ti sei cacciato?-
Accesi la luce dell’ingresso e restai in ascolto, sperando di
individuarlo e facendo scorrere lo sguardo per tutta la stanza.
-Qui, bello!- fischiai come mi aveva insegnato il nonno quando ero
bambina e proprio mentre stavo per congratularmi con me stessa per
quanto bene fosse uscito quel suono, il mio cuore perse un battito.
Lo strano uomo che avevo incontrato tre mesi prima stava proprio di
fronte a me, comodamente appoggiato allo stipite della porta della
cucina con le braccia incrociate al petto e uno sguardo indecifrabile.
-Come hai fatto ad entrare?- mentre lo dicevo mi sporsi verso la
consolle per afferrare il telefono portatile ma lui fu più
veloce e si posizionò fra me e l’unico strumento che mi
avrebbe permesso di chiamare aiuto. Magari se avessi urlato i vicini
avrebbero sentito e chiamato la polizia.
-AIUT..- fulmineo mi premette una mano sulla bocca, immobilizzandomi in una morsa inaspettatamente delicata.
-Hannah devi ascoltarmi.-
Aveva di nuovo pronunciato il mio nome. Quell’uomo mi conosceva.
Colta da una improvvisa intraprendenza gli morsi forte la mano e sgusciai fuori dalla sua presa, furibonda.
-Come sai il mio nome? Perché continui a perseguitarmi?- il mio
tono era rabbioso e la voce mi tremava. Sentivo dentro di me un
turbinio di sensazioni che non riuscivo a spiegare, come se una qualche
parte di me, chissà a quale profondità nel mio
subconscio, fosse curiosa invece che spaventata.-Mi hai spiata, sono
settimane che lo fai, mh? O forse mesi!-
-Non voglio farti del male! Tu non.. non ricordi niente? Guardami.-
disse sporgendosi verso di me ma fui più veloce ad
indietreggiare.
Lanciai un’occhiata alla mia stanza dove tenevo una pistola e un caricatore da tirar fuori in casi come questo.
-Non ci pensare nemmeno.- sbottò, quasi divertito.-Lascia perdere quella maledetta pistola.-
Per quanto folle potesse sembrare l’unica spiegazione era che
quell’uomo riuscisse a leggermi nel pensiero e la cosa mi
turbò in modo considerevole rendendomi praticamente impossibile
pensare in modo razionale.
-Hannah non sono un folle. Sono io, sono Sirius.- disse le ultime
parole con una dolcezza disarmante e con uno sguardo tremendamente
triste.
-Io non mi ricordo di te, te l’ho già detto.- berciai, rassegnata.
Sospirò passandomi le mani sul volto esasperato e sedendosi sulla spalliera del divano.
-Guarda quella macchia.- disse infine indicando un segno rossastro
sulla seduta del sofà. -Ketchup, stavamo mangiando le patatine
davanti ad una delle tue adorate commedie romantiche
all’americana e tu me ne hai tirato una sporcando il divano. Hai
piagnucolato per due giorni ogni volta che ti ci sedevi.-
Effettivamente non avevo mai capito cosa avesse causato quella macchia,
l’unica cosa certa era che doveva essere accaduto durante il
periodo che la mia mente aveva rimosso perché al giorno in cui
risaliva il mio ultimo ricordo quel divano era assolutamente perfetto.
Quando l’avevo vista, affranta e sotto shock, avevo chiesto
spiegazioni a Jason che mi aveva liquidata con una scrollata di spalle.
-Stai.. mentendo.- tentai nonostante non fossi più sicura di nulla.
-Lo sai che non è vero.-
Lo guardai a lungo e lui ricambiava il mio sguardo. C’era
qualcosa di stranamente familiare in quegli occhi grigi e in
quell’espressione corrucciata, come il ricordo sfocato di un
sogno quando al mattino sai di aver sognato ma non sai cosa.
-Ascoltami. Ti posso spiegare.
Ascoltami. Ti posso spiegare. la sua voce riecheggiò nella mia testa mentre quella odiosa sensazione di dejavu tornava a tormentarmi.
Portai le mani alla testa che mi doleva tremendamente e mi accasciai sul divano affondando le dita tra i capelli.
-Ti prego vattene, qualsiasi cosa sia non voglio saperla.-
Mi alzai di nuovo, repentina, prendendo a camminare come
un’invasata avanti e indietro per il salotto, gli occhi sbarrati
e i movimenti molto meno fluidi di quanto avrei voluto.
-Ascoltami bene. E’ tutto già un casino senza che uno
strambo sconosciuto e il suo cane entrino in casa mia e..hey.
Dov’è finito il cane?- mi guardai intorno, alla ricerca di
quella montagna di pelo ma doveva essere scappato dalla finestra o in
qualche altro folle mode così continuai.-Ad ogni modo, non
importa. Tu e il tuo cane dovete scomparire da qui e dalla mia vita.
Non seguirmi. Non cercarmi. Non parlarmi. D’accordo?-
Mi ero avvicinata a lui sventolando l’indice con aria minacciosa
e dovevo aver parlato davvero troppo velocemente a giudicare dalla sua
aria confusa, a metà tra lo sconcerto e il divertimento.
-Mi sono ritrovata su un letto d’ospedale con un fidanzato che
non sapevo di avere e che, parliamoci chiaro, non avrei neanche mai
pensato di scegliere tra le trilioni di persone che calpestano le
strade di questa maledetta città, e con due mesi di vuoto
totale. Una specie di buco nero che ha inghiottito qualsiasi cosa io
abbia fatto o pensato per tutto quel tempo ma che evidentemente mi ha
procurato un forte esaurimento nervoso e ha peggiorato oltremisura la
mia già esagerata instabilità emotiva. Ti è chiaro
il concetto? Fuori di qui.- avevo blaterato quell’insensato
discorso con una foga incredibile spingendolo verso la porta e
stupendomi della scarsa resistenza che opponeva quando ad un tratto si
fermò, a neanche un metro dalla soglia.
-Se mai cambiassi idea, se mai dovessi aver voglia di sapere la verità.. mi troverai. Non rinuncerò a te, Hannah. Mai.- mi aveva sfiorato piano il viso con le nocche della mano grande e scura mentre il grigio dei suoi stessi occhi sembrava averlo avvolto in una coltre di malinconia che fluiva verso di me che stavo immobile di fronte a lui. -Jason non è chi tu pensi che sia.-
Afferrai la sua mano e la allontanai bruscamente dal mio viso, risentita, strizzando gli occhi per la frustrazione e quando li riaprii, pronta a dirgliene quattro, lui era sparito. Nel nulla. Nel buio dell'ennesima notte piena di dubbi.
Song: Old and wise - Alan Parson Project
Artwork: JeyCholties (aka Gea) che ha realizzato anche l'immagine dell'altra storia che sto pubblicando "Time After Time" e che non finirò mai di abbastanza questi suoi piccoli doni e per l'affetto che mi dimostra <3