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Autore: Prinzesschen    08/07/2014    4 recensioni
Niente è mai come sembra ed Hannah Kane lo avrebbe imparato a sue spese. Tutto comincia con un curioso incontro sotto la pioggia, un cagnolone dal pelo nero ed arruffato sconvolgerà la vita della giovane avvocatessa colmando la solitudine di una casa sempre vuota e riscaldandole il cuore con un pizzico di inaspettata magia.
Un latitante, un evaso in cerca di redenzione per una colpa che non ha mai commesso e che gli brucia l'anima graffiando il suo cuore dall'interno e procurandogli ferite che solo una giovane ed insolita donna in carriera saprà curare.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sirius Black
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Furry love 11

Furry Love

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11. As far as my eyes can see
There are shadows approaching me
And to those I left behind, I wanted you to know
You've always shared my deepest thoughts
You follow where I go

Bip bip bip.
Quel suono, costante e fastidioso, mi echeggiava nelle orecchie ad un volume spropositato, infastidendomi.
-Hannah?-
Ci misi un po’ a riprendere il controllo sul mio corpo e pian piano sollevai le palpebre, immediatamente aggredita dalla luce del sole che mi fece strizzare gli occhi.
-Oh, grazie al cielo ti sei svegliata.- Jason stava accanto a me, seduto su una sedia visibilmente scomoda, in quella che aveva tutta l’aria di essere una camera d’ospedale.
-Che cosa..- feci per tirarmi su ma ero ancora troppo intontita.-Cosa mi è successo?
-Sei caduta e hai sbattuto la testa.- mi informò, prendendomi la mano.
-Come è successo?- chiesi, incapace di ricordare. L’unico ricordo che la mia mente mi concedeva era quello di una giornata di pioggia, stavo guidando per tornare a casa dopo una estenuante giornata di lavoro.
-Una macchina stava per investirti e per evitarla ti sei gettata per terra e hai sbattuto la testa.-
Vidi che la mia mano presentava dei graffi ancora freschi.
-Quanto sono stata incosciente?- non capivo perché Jason si trovasse lì invece che le mie amiche o i miei genitori.
-Ti ho portata qui ieri mattina, te la sei presa comoda.- tentò di scherzare passandosi una mano tra i capelli gellati.
-Che ci fai tu qui?- non potei che essere diretta e forse anche leggermente inopportuna ma Jason non era esattamente la prima persona che speravo di vedere al mio fianco dopo un trauma del genere. Mi bastava già doverlo sopportare a lavoro ogni giorno senza trovarlo al mio capezzale anche in casi estremi come quello.
-Come..- sembrò turbato, la fronte aggrottata e le labbra strette.-non ricordi? Di me e di te, intendo.-
-Cosa dovrei ricordare?- quella situazione cominciava davvero ad innervosirmi e avrei gradito la presenza di un maledetto dottore che mi spiegasse cosa stava succedendo.
-Il Dottor Anderson aveva ragione, quindi.- mormorò, accarezzandomi una mano come se fosse la cosa più normale del mondo.
-Su cosa aveva ragione?- sbottai, ormai del tutto cosciente e decisamente spazientita.
-Aveva ipotizzato che tu potessi aver perso la memoria ma aveva parlato di un vuoto breve, al massimo di qualche giorno. Non di settimane. Qual è l’ultima cosa che ricordi?-
-Io.. stavo tornando a casa, avevo appena ricevuto il signor Grayson per la sua causa di divorzio e..-
-Quello è successo due mesi fa.- mi informò, sconvolto dalla mia affermazione.-Dannazione.. peggio di quanto pensassi.-
Si massaggiò le tempie e dopo aver inspirato profondamente si sporse su di me, accarezzandomi il viso.
-Noi due stiamo insieme, Hannah, ci frequentiamo da quasi un mese. Stavi raggiungendo me al bar quando hai avuto l’incidente.-

Mi dimisero il giorno successivo, considerando probabile che la mia memoria sarebbe tornata naturalmente nel giro di qualche settimana. Non era raro, aveva detto il dottore, un simile episodio di amnesia post-trumatica e nel novanta per cento dei casi non rappresentava un handicap definitivo.
La settimana successiva Jason non mi lasciò sola neanche un attimo e a casa mia trovai numerosi segni della relazione che sosteneva avessimo avuto. Avevo un paio di sue camice appese nell’armadio, le sue iniziali cucite sui polsini ad attestarne la proprietà, il pane integrale, l’unico che il principino era disposto a mangiare, occupava metà dispensa e in bagno c’era il suo classico dopobarba perfettamente integrato in mezzo ai miei profumi.
Mi aveva raccontato che la nostra relazione era cominciata una sera, dopo una cena di lavoro. Eravamo entrambi un po’ brilli ed eravamo finiti a letto insieme rendendoci conto dell’attrazione che ci spingeva inevitabilmente l’uno verso l’altra.
Non potevo negare di averlo sempre considerato un bell’uomo e il suo racconto, per quanto strano, non mi sembrò affatto improbabile. Quando bevevo perdevo davvero ogni buon senso.
Sentii Gea e Veronica, entrambe molto preoccupate per me, e mi confermarono che ultimamente il rapporto tra il mio collega e me era decisamente cambiato.
Continuava a raccontarmi episodi su episodi sperando di aiutarmi ad indirizzare la mia memoria nella giusta direzione ma i suoi sforzi si dimostravano puntualmente vani ma i baci, dapprima sporadici e prettamente sperimentali, cominciarono a diventare pian piano sempre più frequenti finché non mi rassegnai alla sua presenza e cominciai a pensare che, forse, non era poi così male avere un fidanzato bello, ricco e intelligente.
Dopo sette giorni di quasi totale clausura lo convinsi di essere in grado di arrivare al supermarket sulle mie gambe e, soprattutto, da sola.
Mi incamminai verso la mia meta inspirando a fondo l’aria fresca dei primi giorni di Novembre.
Il mio ultimo ricordo risaliva alla fine di Agosto.
-Hannah!-
Prima che potessi chiedermi chi fosse stato a chiamarmi fui travolta da un abbraccio così inaspettato che non ebbi tempo né modo di riconoscere l’uomo che mi stringeva.
-Stai bene?- chiese uno strano uomo con i capelli lunghi e disordinati avvolgendomi il viso tra le grandi mani.-Quel deficiente non ti ha lasciata un attimo ed io..-
-Ci conosciamo?- chiesi, dubbiosa, scostandomi un po’ in modo da poterlo osservare meglio. Niente da fare, doveva essere una conoscenza recente perché la mia mente non mi suggeriva nulla.
Aprì e chiuse la bocca per un paio di volte, gli occhi sbarrati e un’espressione disperata stampata sul volto.
-Scusami io.. ho sbattuto la testa!- esclamai, agitando le mani e gesticolando in modo esagerato,-cioè, so che ti sembrerà strano ma ho perso la memoria e non ricordo nulla degli ultimi due mesi e non credo di ricordarmi di te. Potresti..?-
La mia spiegazione doveva sembrare parecchio folle a giudicare dallo sguardo che mi rivolse ma improvvisamente lo vidi avvicinarsi di nuovo a me, un po’ troppo per i miei gusti.
-Hey, che stai..?-non potei terminare la domanda che l’uomo premette le labbra sulle mie, con forza, finché con un’energia che non credevo neanche di avere lo spinsi via, portandomi una mano alla bocca.
-Sei impazzito?! Chiunque tu sia.. lasciami in pace! Non mi ricordo di te, se non ti fosse ancora chiaro, e non credo che tu possa conoscermi abbastanza da baciarmi!- lo aggredii, facendo qualche passo indietro per allontanarmi da lui.-Ho perso la memoria degli ultimi due mesi, non di un paio di anni, e ho un fidanzato che potrebbe venire e prenderti a pugni da un momento all’altro.-
Mi mossi velocemente verso il supermarket, sconvolta da quell’incontro, e quando mi voltai per accertarmi che quel pazzo non mi stesse seguendo vidi che era scomparso, completamente scomparso.

-Arrivo!-
Cercai di mantenere l’equilibrio sui tacchi per arrivare alla porta. Jason e puntualità camminavano fastidiosamente di pari passo e non ci avrei mai davvero fatto l’abitudine.
-Wow!- finse si essere stordito dalla mia apparizione e fece un passo indietro premendosi una mano sul petto. –Dovresti venire allo studio conciata così ogni giorno.-
Scossi il capo e mi sporsi per dargli un veloce bacio sulle labbra prima di voltargli le spalle e tornare verso la mia camera.
-Anche se pensandoci poi dovrei uccidere tutti i tuoi clienti. Non sarebbe affatto conveniente per le tue finanze. A che punto sei?- nonostante stesse parlando dall’ingresso e non potessi vederlo sapevo perfettamente che aveva appena sollevato la manica della giacca per controllare il suo costosissimo orologio e misurare il mio ritardo. –Pensavo dovessimo essere da Georgie alle sette.-
Erano passati tre mesi da quando avevo perso la memoria per scoprire, al mio risveglio, di avere un fidanzato e altrettanti ne erano passati dall’inizio della storia della mia amica Gea e del suo responsabile di reparto, Michael, che da poco avevano iniziato la loro convivenza.
Gea aveva insistito per avere me e Veronica a cena insieme ai rispettivi partners nonostante fossimo già state a casa sua varie volte, quella settimana, per il caffè.
-Non si mette fretta alla perfezione, Jason. Dovresti saperlo!-
-Stai alludendo alla mia, di perfezione?- gongolò posizionandosi alle mie spalle, davanti allo specchio, e circondandomi la vita con le braccia.
Eravamo effettivamente una bella coppia e in quella mise elegante sembravamo due attori del cinema.
Portava i capelli perfettamente pettinati e una leggera barbetta curata che ammorbidiva i suoi tratti altrimenti decisi ed esageratamente perfetti come i denti bianchi che scintillavano illuminando il sorriso fiero; indossava una giacca del tipo che lui definiva “sportivo” ma che in realtà era semplicemente meno seriosa del solito e una camicia bianca stirata in modo impeccabile.
Io, che nonostante i tacchi alti ero comunque parecchio più bassa di lui, avevo optato per un vestito molto allegro e colorato e i capelli, leggermente più mossi, ricadevano come onde bionde sulle spalle.
Nonostante l’immagine che lo specchio mi restituiva rasentasse, appunto, la perfezione, c’era comunque qualcosa di stonato, di incolore. Ma non riuscivo a capire cosa fosse.
-Posso?- chiesi voltandomi e facendo cenno con il capo ai suoi capelli mentre lui mi rivolgeva un’occhiata confusa.
Allungai una mano e glieli spettinai un po’ mentre lui si contorceva per sfuggire al mio attentato all’ordine.
-Vuoi smetterla, per favore?-
-Ecco.- decretai sorridendo impertinente.-Adesso si che sei perfetto.-
Gli schioccai un bacio sulla guancia e afferrai il cappotto e la borsetta.-Andiamo?-

-Heilà, quale onore avere qui la coppia dell’anno!-
L’accoglienza di Gea fu molto teatrale mentre con le braccia spalancate si faceva da parte per farci entrare.
-Dov’è il povero Michael? Non lo starai schiavizzando, vero?- chiesi dopo averla abbracciata velocemente mentre Jason si chinava per salutarla cominciando ad elogiare le qualità della nuova casa.
-E’ di là con Veronica e Tom, sta mostrando loro la sua collezione di vini invecchiati.-
Raggiungemmo gli altri in salotto e dovetti trattenere una risata vedendo Tom, il fidanzato nuovo di zecca della mia amica psicologa, chiacchierare animatamente con Michael davanti ad una serie pressocchè infinita di vini mentre Veronica sbadigliava, troppo pigra anche solo per fingersi interessata all’argomento.
-Interessante, mh?- la schernii dopo aver salutato i due uomini e aver lasciato Jason alle presentazioni.
-Fossero state birre artigianali, forse.-
-Raggiungiamo Gea in cucina? Conoscendola avrà da controllare almeno dodici pentole.- proposi avviandomi verso la cucina con Veronica al seguito.
-E quattro teglie.-
Come previsto Gea armeggiava con un numero indefinito di pietanze mettendo sale qui e pepe là come se destreggiarsi ai fornelli fosse stata la vocazione della sua vita.
-Attrice medico e anche cuoca. Michael ha fatto un colpaccio.- la presi in giro mentre mi posava tra le mani un cestino con delle fette di pane ordinandomi di portarlo in sala da pranzo.-Dimenticavo dispotica.-
-Sembra un tipo a posto!- stava dicendo Gea alla nostra amica mentre ritornavo in cucina ticchettando con i miei superaffilati tacchi dodici.
-E’ carino!- rincarai io poggiandomi al bordo del tavolo. Tom mi sembrava proprio il tipo di uomo adatto a Veronica: aveva tratti eleganti e le labbra sottili, quasi sempre incurvate in un sorriso capace di mutare ad una velocità impressionante dalla timidezza all’irriverenza, gli occhi erano chiari e il naso stranamente meno prominente rispetto agli standard della mia storica amica. –Ma non ci hai mai raccontato come vi siete conosciuti, brutta arpia riservata.-
-E’ il proprietario di una catena di negozi di articoli musicali,- spiegò sorridente –seguo sua sorella, una brava ragazza.-
-Lei ti paga in contanti e lui in natura, dunque?-
-Gea!- Veronica si finse indignata dall’osservazione poco consona della padrona di casa ma nel giro di pochi secondi stavamo tutte ridendo a crepapelle.
-Avete finito di fare le pettegole, voi tre?- chiese Michael, fingendosi severo e sporgendo la testa oltre la porta.-Uomini avere fame!-
Aiutammo Gea a portare i piatti a tavola e poi ci accomodammo accanto ai nostri rispettivi uomini e il mio, nello specifico, mi strinse la mano che tenevo posata in grembo.
Gli rivolsi un sorriso e la strinsi a mia volta, invasa da un repentino impeto di riconoscenza.
Jason non mi aveva lasciata un attimo, da quando ero uscita dal’ospedale, senza mostrarsi opprimente e dando prova di una pazienza che non pensavo potesse appartenergli e aveva riempito i miei vuoti di memoria a tal punto che quei due mesi di buio totale sembravano essersi colmati definitivamente.
Mi sentivo parecchio in colpa, alle volte, quando i dubbi cominciavano a tormentarmi e non riuscivo a mostrargli la devozione di cui lui invece mi faceva dono ogni santo giorno, quando mi ritrovavo nella più totale impossibilità di ricambiare le sue attenzioni e, purtroppo, capitava sempre più spesso.
Ogni tanto mi tornava in mente il volto dello strano uomo che avevo incontrato, mesi prima, e che mi aveva prepotentemente baciata senza darmi alcuna spiegazione plausibile. Possibile che fosse solo un pazzo che se ne andava in giro ad importunare giovani donne? E come faceva a conoscere il mio nome?
Erano domande alle quali non avrei potuto, neanche volendo, trovare una risposta perché da quel giorno non lo avevo più rivisto e avevo coscienziosamente deciso di non far parola a Jason di quanto mi era accaduto.
-Pensierosa?- mi chiese, premuroso, mentre portavo un’altra forchettata di spaghetti alla bocca.
-No, solo stanca.-

La serata trascorse pacifica e gradevole, dopo cena ci sistemammo in salotto ed io mi rifugiai tra le braccia di Jason, decisa a zittire tutti quei pensieri che, quella sera, sembravano essere tornati alla carica per qualche strana ragione.
Noi ragazze lasciammo i vini pregiati ai nostri uomini e brindammo alla nuova casa di Gea con delle semplici birre, ben consapevoli che bere, nel nostro caso, non era affatto indicato in quel contesto. Veronica  fece riferimento ad una sera di qualche mese prima in cui c’eravamo prese una sbornia epocale e nonostante non la ricordassi affatto feci finta di niente; la mia amnesia non faceva che appesantire l’atmosfera, ogni volta che in qualche modo veniva sollevata la questione, e non avevo intenzione di rovinare la serata a tutta la compagnia.
In momenti come quelli mi sentivo tremendamente estranea, fuori posto, così mi imposi di sorridere mentre tutti ridevano per chissà quale divertente battuta ed io guardavo fuori dalla finestra chiedendomi quanti ricordi avessi perso e se mai li avrei ritrovati, in qualche angolo della mia mente.
Quando Jason mi riaccompagnò a casa, quella sera, gli augurai la buonanotte con un veloce bacio, troppo stanca e con i piedi doloranti per pensare di restare a flirtare con lui sul portico per tutta la notte. Era ormai abituato ai miei sbalzi di umore, ai miei silenzi, e come sempre non chiedeva nulla, discreto e rispettoso.
-Se hai bisogno di me chiamami, sarò qui in un baleno.-
Lo diceva ogni volta che mi lasciava sola.
-Credi che se il lupo cattivo venisse a rapirmi avrei il tempo di chiamarti?- ironizzai facendogli una carezza, ferma sul portico di casa e stretta nella giacca a vento blu.
-Posso sempre restare qui.-
-No, vai a casa. E’ da una settimana che passi la notte da me, dovrai tornarci prima o poi.-
-E’ il turno dell’amante?- sbottò incrociando le braccia al petto e facendomi ridere.-Oh no, non c’è niente da ridere! Vorrei almeno saperlo, almeno faccio allargare le porte. Non sia mai che le corna non ci passino.-
-Stupido.- lo ammonii per poi sollevarmi sulle punte e baciarlo. Il mio avrebbe voluto essere un bacio lieve e veloce ma lui mi acciuffò, impetuoso, e approfondì il contatto facendomi quasi venire le vertigini, presa alla sprovvista.
Ricambiai con altrettanta foga e arpionai le mani alle sue spalle, stringendomi a lui.
-Questo era un bacio della buonanotte.- spiegò staccandosi da me con un sorriso malizioso.-quello che mi hai affibbiato tu prima sarebbe andato bene se avessimo avuto dodici anni.-
-So cosa stai cercando di fare ma non cambierò idea!- lo spinsi giocosamente giù per i gradini facendolo indietreggiare.
-Ogni vostro desiderio è un ordine, milady.- recitò improvvisando un baciamano prima di voltarmi le spalle e tornare dritto e fiero come sempre alla sua decappottabile.
Se mi avessero detto, ai tempi dell’università, che un giorno sarei stata la donna di Jason Russell l’avrei presa come un’immane offesa.
Lo osservai scomparire nella notte e feci per rientrare quando un’ombra scura attirò la mia attenzione.
-Chi c’è?-
Ero sempre sulle spine e non era la prima volta che mi sentivo osservata, negli ultimi tempi. Avevo attribuito quella sensazione al trauma dell’amnesia ma quella sera sembrava tutto molto più reale. Qualcuno mi stava decisamente guardando.
Mi mossi, tesa come una corda di violino, lungo il vialetto quando un enorme cane nero sbucò dai cespugli facendomi sussultare; una improvvisa e logorante sensazione di dejavu mi pervase come una iniezione di ghiaccio in vena e istintivamente feci qualche passo indietro mentre l'animale, veloce come un fulmine, si gettava dentro casa.
-Hey! No! Che diavolo fai, sacco di pulci?- spazientita mi tolsi le scarpe alte e corsi dentro casa decisa a cacciare l’intruso. Adoravo i cani, a dire la verità, ma quella era violazione di proprietà privata e dato che non c’era un comma di alcuna legge che punisse i criminali a quattro zampe mi sarei fatta giustizia da sola.
-Dove ti sei cacciato?-
Accesi la luce dell’ingresso e restai in ascolto, sperando di individuarlo e facendo scorrere lo sguardo per tutta la stanza.
-Qui, bello!- fischiai come mi aveva insegnato il nonno quando ero bambina e proprio mentre stavo per congratularmi con me stessa per quanto bene fosse uscito quel suono, il mio cuore perse un battito.
Lo strano uomo che avevo incontrato tre mesi prima stava proprio di fronte a me, comodamente appoggiato allo stipite della porta della cucina con le braccia incrociate al petto e uno sguardo indecifrabile.
-Come hai fatto ad entrare?- mentre lo dicevo mi sporsi verso la consolle per afferrare il telefono portatile ma lui fu più veloce e si posizionò fra me e l’unico strumento che mi avrebbe permesso di chiamare aiuto. Magari se avessi urlato i vicini avrebbero sentito e chiamato la polizia.
-AIUT..- fulmineo mi premette una mano sulla bocca, immobilizzandomi in una morsa inaspettatamente delicata.
-Hannah devi ascoltarmi.-
Aveva di nuovo pronunciato il mio nome. Quell’uomo mi conosceva.
Colta da una improvvisa intraprendenza gli morsi forte la mano e sgusciai fuori dalla sua presa, furibonda.
-Come sai il mio nome? Perché continui a perseguitarmi?- il mio tono era rabbioso e la voce mi tremava. Sentivo dentro di me un turbinio di sensazioni che non riuscivo a spiegare, come se una qualche parte di me, chissà a quale profondità nel mio subconscio, fosse curiosa invece che spaventata.-Mi hai spiata, sono settimane che lo fai, mh? O forse mesi!-
-Non voglio farti del male! Tu non.. non ricordi niente? Guardami.- disse sporgendosi verso di me ma fui più veloce ad indietreggiare.
Lanciai un’occhiata alla mia stanza dove tenevo una pistola e un caricatore da tirar fuori in casi come questo.
-Non ci pensare nemmeno.- sbottò, quasi divertito.-Lascia perdere quella maledetta pistola.-
Per quanto folle potesse sembrare l’unica spiegazione era che quell’uomo riuscisse a leggermi nel pensiero e la cosa mi turbò in modo considerevole rendendomi praticamente impossibile pensare in modo razionale.
-Hannah non sono un folle. Sono io, sono Sirius.- disse le ultime parole con una dolcezza disarmante e con uno sguardo tremendamente triste.
-Io non mi ricordo di te, te l’ho già detto.- berciai, rassegnata.
Sospirò passandomi le mani sul volto esasperato e sedendosi sulla spalliera del divano.
-Guarda quella macchia.- disse infine indicando un segno rossastro sulla seduta del sofà. -Ketchup, stavamo mangiando le patatine davanti ad una delle tue adorate commedie romantiche all’americana e tu me ne hai tirato una sporcando il divano. Hai piagnucolato per due giorni ogni volta che ti ci sedevi.-
Effettivamente non avevo mai capito cosa avesse causato quella macchia, l’unica cosa certa era che doveva essere accaduto durante il periodo che la mia mente aveva rimosso perché al giorno in cui risaliva il mio ultimo ricordo quel divano era assolutamente perfetto.
Quando l’avevo vista, affranta e sotto shock, avevo chiesto spiegazioni a Jason che mi aveva liquidata con una scrollata di spalle.
-Stai.. mentendo.- tentai nonostante non fossi più sicura di nulla.
-Lo sai che non è vero.-
Lo guardai a lungo e lui ricambiava il mio sguardo. C’era qualcosa di stranamente familiare in quegli occhi grigi e in quell’espressione corrucciata, come il ricordo sfocato di un sogno quando al mattino sai di aver sognato ma non sai cosa.
-Ascoltami. Ti posso spiegare.
Ascoltami. Ti posso spiegare. la sua voce riecheggiò nella mia testa mentre quella odiosa sensazione di dejavu tornava a tormentarmi.
Portai le mani alla testa che mi doleva tremendamente e mi accasciai sul divano affondando le dita tra i capelli.
-Ti prego vattene, qualsiasi cosa sia non voglio saperla.-
Mi alzai di nuovo, repentina, prendendo a camminare come un’invasata avanti e indietro per il salotto, gli occhi sbarrati e i movimenti molto meno fluidi di quanto avrei voluto.
-Ascoltami bene. E’ tutto già un casino senza che uno strambo sconosciuto e il suo cane entrino in casa mia e..hey. Dov’è finito il cane?- mi guardai intorno, alla ricerca di quella montagna di pelo ma doveva essere scappato dalla finestra o in qualche altro folle mode così continuai.-Ad ogni modo, non importa. Tu e il tuo cane dovete scomparire da qui e dalla mia vita. Non seguirmi. Non cercarmi. Non parlarmi. D’accordo?-
Mi ero avvicinata a lui sventolando l’indice con aria minacciosa e dovevo aver parlato davvero troppo velocemente a giudicare dalla sua aria confusa, a metà tra lo sconcerto e il divertimento.
-Mi sono ritrovata su un letto d’ospedale con un fidanzato che non sapevo di avere e che, parliamoci chiaro, non avrei neanche mai pensato di scegliere tra le trilioni di persone che calpestano le strade di questa maledetta città, e con due mesi di vuoto totale. Una specie di buco nero che ha inghiottito qualsiasi cosa io abbia fatto o pensato per tutto quel tempo ma che evidentemente mi ha procurato un forte esaurimento nervoso e ha peggiorato oltremisura la mia già esagerata instabilità emotiva. Ti è chiaro il concetto? Fuori di qui.- avevo blaterato quell’insensato discorso con una foga incredibile spingendolo verso la porta e stupendomi della scarsa resistenza che opponeva quando ad un tratto si fermò, a neanche un metro dalla soglia.

-Se mai cambiassi idea, se mai dovessi aver voglia di sapere la verità.. mi troverai. Non rinuncerò a te, Hannah. Mai.- mi aveva sfiorato piano il viso con le nocche della mano grande e scura mentre il grigio dei suoi stessi occhi sembrava averlo avvolto in una coltre di malinconia che fluiva verso di me che stavo immobile di fronte a lui. -Jason non è chi tu pensi che sia.-

Afferrai la sua mano e la allontanai bruscamente dal mio viso, risentita, strizzando gli occhi per la frustrazione e quando li riaprii, pronta a dirgliene quattro, lui era sparito. Nel nulla. Nel buio dell'ennesima notte piena di dubbi.

Song: Old and wise - Alan Parson Project

Artwork: JeyCholties (aka Gea) che ha realizzato anche l'immagine dell'altra storia che sto pubblicando "Time After Time" e che non finirò mai di abbastanza questi suoi piccoli doni e per l'affetto che mi dimostra <3

  
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