Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: KikiShadow93    08/07/2014    10 recensioni
Durante una tranquilla giornata di navigazione, Barbabianca e la sua famiglia trovano qualcosa di incredibile in mare: una bambina, di cui però ignorano la vera natura.
Decidono di tenerla, di crescerla in mezzo a loro, ovviamente inconsapevoli delle complicazioni che questa scelta porterà, in particolar modo per l'arrogante Fenice.
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ciurma di Barbabianca, Marco, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Un'allegra combriccola di mostri.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Piccolo avvertimento: per prima cosa, vi dico subito che sia in questo capitolo che nel prossimo non appariranno i pirati di Barbabianca. Inoltre questo sarà un capitolo molto discorsivo, spero che la cosa non vi disturbi. Purtroppo era necessario, perché qualcuno spiegherà a parole il 90% le cose da sapere. :)
Beh, spero comunque che vi piaccia! Ci giravo intorno da mesi *w*

 
Image and video hosting by TinyPic  

 
Il cinguettio allegro e spensierato degli uccellini diventa ogni minuto che passa sempre più insopportabile per le sue sensibili orecchie. Ogni dannatissimo cip-cip è come un fortissimo suono di trombe e il suo cervello, che pare quasi ondeggiarle nel cranio malgrado sia ferma e sdraiata, comincia seriamente a non tollerarlo più.
Si volta su un fianco, infastidita, e di scatto si porta il morbido cuscino a coprirsi la testa, facendo così in parte tacere quell'indesiderato concerto mattutino.
Sospira sollevata, allentando un poco la presa dal cuscino, ma subito arriva un nuovo insopportabile rumore a disturbare la sua quiete.
Qualcuno, infatti, ha preso a bussare insistentemente alla sua porta, costringendola così ad aprire gli occhi e tirare una sonora bestemmia a quello che pensa essere Satch. Solo lui sulla nave prova a svegliarla così, bussando alla sua porta finché non bestemmia e gli va ad aprire con ancora i capelli arruffati e il trucco fino al mento.
Quando però si toglie il cuscino dal viso e vede dove si trova, il cuore le si blocca improvvisamente.
Nella sua mente scorrono veloci le immagini dell'orribile notte appena trascorsa e subito pensa che si tratti solo di un brutto sogno. Chiude così gli occhi e comincia a pizzicarsi con forza braccia e gambe per potersi svegliare del tutto, ma quando riapre gli occhi, la realtà è ben diversa da quella che si aspettava: i moboli arrangiati alla meglio sono spariti, sostituiti da altri ben curati e dall'aspetto pregiato, intagliati tutti in un legno scuro e decorati con sottili filamenti dorati; le tende che coprono le finestre sono lisce ed immacolate, le pareti bianche sono abbellite con affreschi floreali. Non c'è niente di suo in quell'ambiente così grande ed arioso.
Si alza a fatica, portandosi una mano alla testa, accorgendosi che i capelli sono stati legati in un'ordinata treccia laterale. Abbassando gli occhi, poi, si accorge anche che le è stata infilata una lunga tunica a maniche lunghe di seta bianca.
'Cosa diavolo...?'
Alle narici le arrivano distintamente degli odori sconosciuti e, sporgendo un poco la testa oltre le tende chiare, riesce a vedere un paesaggio a lei completamente nuovo: ci sono fiori, alberi, case di mirabile fattura, navi ormeggiate ad un porto non molto lontano e persone a passeggio per le varie strade. Tante persone.
Sente anche che qualcuno appostato fuori dalla sua stanza, e ne ha la piena conferma quando questi ricomincia a bussare con più insistenza.
Si appiattisce di slancio contro la parete alle sue spalle, cercando un qualsiasi cosa che possa usare come arma, trovandosi però a mani vuote. Ci mette poco ad arrivare alla conclusione che hanno tolto qualsiasi cosa potesse essere usato a loro discapito.
Comincia così a fissare con timore la porta in attesa che l'intruso la apra, vedendo solo un foglietto scivolare sotto di essa.
Nessuno bussa più. L'unico rumore che le giunge alle orecchie è quello di passi che si allontanano un poco.
Capisce al volo che chiunque sia stato, sa bene che è in grado di sentire i suoi spostamenti e che sta provando a farle capire senza parlare che non ha intenzione di entrare.
'Se non entra lui, devo uscire io...' pensa spaventata, sentendo improvvisamente una nuova rabbia accendersi in lei '...allora uscirò!'
Si scaglia con forza contro la porta, decisa a scontrarsi contro chiunque osi sbarrarle la strada, trovandosi però di fronte ad una notevole difficoltà: la porta è chiusa dall'esterno.
Prova a sfondarla a spallate, senza però riuscire ad ottenere un minimo risultato. Perché Akemi non ne ha assolutamente idea, ma tutte le porte di quell'immensa reggia sono state rinforzate tanto da renderle indistruttibili.
Un nuovo foglietto scivola sotto la porta e, con estrema riluttanza, si abbassa per prenderlo, rimanendo interdetta.
“Aprirò quando lo avrai indossato.”
«Indossato cosa?» domanda al niente, dandosi della stupida quando si accorge del biglietto che le è stato dato in precedenza, su cui è scritto chiaramente “indossalo” con tanto di freccia che punta alla sua destra.
Girando la testa, infatti, trova subito l'oggetto in questione: un lungo abito blu scuro a maniche lunghe, abbinato ad un paio di tacchi neri con delle placchette argentate.
«Scherziamo?» si avvicina titubante all'abito e lo sfiora con la punta delle dita, come a volersi accertare che sia davvero davanti a sé.
«Io non lo metto.» dichiara subito dopo, voltandosi con aria arrogante verso la porta ancora chiusa, sotto la quale vede spuntare un nuovo biglietto.
“Se non lo indossi, non esci. A te la scelta.”
«Non esco.» sentenzia sicura, incrociando le braccia al petto, aspettando una nuova risposta. Quando questa però arriva sotto forma quasi di un ruggito, sente i vestiti che ha indosso andarle improvvisamente stretti e, guidata da una forza che le impone di obbedire senza fiatare, indossa in fretta e furia sia l'abito che le scarpe, senza però staccare gli occhi dalla porta. La paura che la cosa che ha emesso quel verso entri e l'ammazzi come una bestia non le va molto a genio.
«L'ho messo.» annuncia con voce tremante, tornando con la schiena ben appiattita contro il muro.
Si guarda attorno freneticamente, aspettandosi di vedere strane creature strisciare dalle pareti, quando all'improvviso la serratura della porta scatta e la maniglia viene abbassata, facendo così aprire un piccolissimo spiraglio. Chiunque sia stato, comunque, non ha assolutamente voglia di farsi vedere e di conseguenza se ne va, lasciandola di nuovo sola in quel posto a lei completamente sconosciuto.
Con mano tremante spalanca la porta, trovandosi così di fronte ad un lungo e spazioso corridoio e con passo lento vi si addentra, osservando distrattamente ciò che la circonda: fiori ornamentali, dipinti magnifici, mobili di mirabile fattura.
Trae un respiro profondo e s'inoltra in quel luogo a lei sconosciuto.
Cammina incerta, senza però riscire ad evitare di far rumore a causa delle scarpe col tacco che ticchettano fastidiosamente sulla superficie del pavimento.
Una volta girato l'angolo, le manca il fiato: si trova in un enorme ingresso con una balconata che lo circonda completamente, due scalinate di marmoo si levano in direzioni opposte, e dal centro del soffito pende un elaborato lampadario di cristallo: i suoi prismi catturano la luce del Sole proveniente dalle finestre e riflette sul pavimento di pietra infiniti arcobaleni. Benché priva di mobili, la sala espone una collezione di pezzi d'arte che vanno da straordinari vasi di porcellana alti fino al suo fianco ad armature equipaggiate con alabarde e infernali mazze ferrate.
L'ultica parola con cui può descrivere quel luogo è solo “sontuoso”.
Si avvicina senza logica ad una delle due scalinate, spinta solamente dalla curiosità di scoprire quali altre meraviglie nasconde quel sontuoso luogo, dimendicandomi momentaneamente di tutte le sue preoccupazioni.
Mossa molto stupida.
«Ma guarda un po' chi si è svegliato!»
Sobbalza come un gattino, Akemi, rigirandosi fulminea verso quella voce sin troppo familiare e il respiro le muore in gola: un ragazzo di forse vent'anni le si avvicina con passo tranquillo, le mani nelle tasche, un sorriso derisorio dipinto in volto e i vivaci occhi verde muschio sono in parte coperti dai fini capelli ramati.
'Geri...'
«Come va, creaturina?» le domanda con aria incredibilmente divertita il ragazzo, camminandole attorno in modo tale da poterla spingere nella direzione desiderata.
«Mi ricordo di te...» annaspa in cerca d'aria la ragazza, rabbrividendo di fronte al sorriso poco rassicurante che il giovane le rivolge.
«Mi fa piacere.»
Un paio di grosse e forti mani l'afferrano per le spalle, pietrificandola.
Sente il fiato caldo dell'aggressore vicino all'orecchio, e un brivido di paura le corre lungo la spina dornale.
«E di me ti ricordi?»
Volta piano la testa, Akemi, trovandosi così di fronte agli occhi smeraldini dell'uomo che tempo addietro affrontò Marco per poi poterla rapire.
«Lasciami!»
«Ma come? Non sei felice di vederci?» malgrado la ragazza si dimeni con tutte le sue forze, Freki riesce a tenerla stretta a sé senza difficoltà. Per lui il fatto che sia “completa” è un grande vantaggio: non deve stare attento ad ogni singolo movimento!
«Che irriconoscenza...» borbotta Geri, fingendosi offeso, facendo così ridacchiare il maggiore.
«I giovani d'oggi sono così.» afferma con ovvietà Freki, rigirandosi Akemi tra le braccia come se fosse un giocattolo «Quasi, quasi te le insegno io un po' di buone maniere...»
Il cuore di Akemi comincia a battere sempre più forte grazie all'indesiderata vicinanza col volto dell'uomo. Le gambe diventano improvvisamente molli e un potente urlo le muore in gola. Vorrebbe combattere, vorrebbe scappare con tutta la forza che può, ma la paura la paralizza completamente.
«Ragazzi, per la Luna!» volta di scatto la testa, Akemi, vedendo arrivare come una furia Mimì, la ragazza di suo fratello. In una frazione di secondo, si rimangia completamente qualsiasi minaccia le abbia mai rivolto, arrivando addirittura a volerla abbracciare.
Dietro di lei il fratello cammina velocemente, adirato allo stesso modo della minore, se non di più «Non vedete che è terrorizzata?!» urla furioso, affiancando la sorella.
Si piazzano velocemente di fronte a lei, fronteggiando i due fratelli con sicurezza, e Akemi non riesce a far altro che arretrare spaventata e spaesata, finendo per sua sfortuna tra un paio di braccia forti e calde a lei sconosciute.
Volta un poco la testa, tremando come una foglia, incrociando così un paio di brillanti occhi azzurri.
«Tutto bene?» le domanda incerto Duncan, aiutandola a reggersi in piedi, venendo velocemente affiancato da una ragazza dai lunghi capelli neri legati in una coda alta, che gli poggia una mano sul petto e lo guarda con preoccupazione.
«Caro, guarda come trema... pensi che una tisana potrebbe farle bene?» gli domanda con un filo di voce, guardando la giovane immortale con apprensione.
«Penso che sia il caso che vada subito dalla Regina.» risponde sicuro l'uomo, aiutandola a reggersi in piedi per poi lasciarla. Sa bene quanto sia spaventoso entrare nella loro realtà, e non vuole che sia così traumatico anche per lei.
«Regina?! Macché! Adesso deve venire con noi!» controbatte convinta Mimì, afferrandola per un polso e tirandosela addosso, terrorizzandola ancora di più.
'E questa forza da dove se l'è tirata fuori?!'
Akemi riesce miracolosamente a liberarsi dalla sua presa e scatta indietro con quanta più velocità può, sbattendo contro qualcun altro.
'Mi stanno accerchiando!' pensa nel panico più totale, dimenandosi come un'anguilla dalla presa fredda di un paio di mani delicate.
«Akemi, per piacere, calmati.»
Quella voce non le è nuova, così volta un poco la testa, incrociando un paio di occhi color ghiaccio di una bellezza mozzafiato, che associa immediatamente a Sakura, la sorella di Kakashi.
«Va tutto bene, respira.» afferma dolcemente la bionda, passandole una mano sullo zigomo «Piano, con calma.»
«Ma quanto sei premurosa.» la sfotte ghignando Freki, senza però suscitare nella donna alcun tipo di reazione.
Velocemente fanno il loro ingresso altre donne, tutte incuriosite ed impazienti di vederla, tenendosi però a debita distanza per non agitarla ulteriormente. Ci sono passate tutte quante, chi prima chi dopo, e ad ognuna di loro dispiace infinitamente vedere una nuova recluta reagire in maniera simile.
Akemi le guarda tutte di sottecchi, cercando di regolarizzare il respiro spezzato e di non farsi esplodere il cuore, lasciandosi proteggere dalle braccia di Sakura, l'unica di cui non ha particolarmente paura in quella circostanza.
«Vedo che avete fatto amicizia.»
Volta di scatto la testa, Akemi, incrociando così la figura statuaria ed inquietante di Wulfric, fermo in fondo alla sala. Per un attimo si osservano e basta, ma poi l'uomo le allarga le braccia in un chiaro invito che Akemi accetta immediatamente.
La stretta di Wulfric è salda e rassicurante, e senza rendersene conto si è ritrovata di nuovo con il respiro e il battito del cuore regolare, completamente a suo agio tra le sue braccia protettive.
«C'è qualcuno che desidera ardentemente incontrarti.» afferma con tono calmo, sciogliendo l'abbraccio e mettendole una mano sulla schiena in tutta tranquillità, ignorando gli sbuffi dei compagni, più che intenzionati a passare finalmente un po' di tempo con lei. Con tutto quello che hanno dovuto sopportare, in realtà, se lo meriterebbero anche.
«Mi faranno molto male?» pigola Akemi, rallentando sempre di più il passo, venendo quasi trascinata dal maggiore, che adesso se la ride di gusto.
«Male? Oh, benedetta la notte. Certo che ne hai di fantasia, eh?»
Akemi non capisce il perché di quella risposta: l'hanno braccata, attaccata, spiata e trascinata in quell'isola a lei sconosciuta e non dovrebbero volerle fare male?
Si blocca tremante di fronte ad un grande portone di legno massiccio, fissando dritto negli occhi Wulfric, che le sorride nel modo più rassicurante possibile, senza però riuscirci sul serio. Quando lui sorride, in fondo, la gente trema.
Apre lentamente la porta, mostrandole l'interno: è un piccolo salotto privato, arredato con raffinatezza, arioso, dove ad attenderla ci sono tre persone.
La prima la riconosce senza sforzo: il sorriso brillante, gli occhi pieni di gioia, i capelli bizzarri leggermente spettinati.
«Killian...» mormora sorpresa, aggrottando le sopracciglia. 'Che ci fa lui qui?'
«Ti avevo promesso che ci saremmo rivisti.» le sorride lui, senza però muoversi di un millimetro. In verità muore dalla voglia di stringerla a sé, magari anche di rubarle altri baci bollenti, ma non può fare niente in quel frangente, non prima dei due superiori.
Akemi sposta velocemente lo sguardo sulle due figure a lei sconosciute: la prima è un uomo di cui non riesce a vedere il volto dal momento che le dà le spalle, perfettamente composto e vestito con degli abiti che le sembrano familiari, mentre la seconda è una donna dai lunghi capelli chiarissimi e vivaci occhi color del cielo, che indossa un lungo vestito rosso sangue che le lascia la schiena nuda e con due spacchi laterali.
Le due si guardano a lungo, in silenzio, finché la sconosciuta si lascia completamente andare e le cammina velocemente incontro, abbracciandola con forza, lasciandosi sfuggire delle lacrime di gioia.
«Lilith...» mormora dolcemente, stringendola a sé con forza, trasmettendole un calore indescrivibile.
Con la coda dell'occhio Akemi nota che l'uomo si è leggermente voltato verso di lei, e per un breve istante le sembra di averlo già visto.
'È impossibile...'
«Chi...» mormora spaesata, allontanando di scatto la donna che continua a guardarla con aria commossa «Chi siete?»
«Hai fatto un vero disastro con quella runa, Astrid.» afferma con voce profonda e ferma l'uomo, voltandosi finalmente verso di lei, guardandola intensamente con l'unico occhio che ha, di un magnifico blu cobalto.
Akemi sente il cuore farle una capriola nel petto, riconoscendolo come il fratello di Týr. Questo non sfugge di certo al diretto interessato, che assume un'espressione vagamente incuriosita.
«Davvero non ricordi?» domanda dispiaciuta la donna, allungando una mano affusolata verso di lei e sfiorandole la guancia con la punta delle dita, in un gesto tanto affettuoso che la lascia senza fiato.
«Ti avevo detto che non aveva riconosciuto neanche me.» afferma dispiaciuto Killian, alzandosi in piedi e facendo un paio di passi verso di lei, bloccandosi quando un lieve ringhio si leva in aria.
«Stai al tuo posto.» tuona perentorio il sovrano, fissandolo con astio. In realtà non ha niente contro di lui, tutt'altro, ma la situazione è troppo delicata e non può più permettersi mosse false. Inoltre sente chiaramente la confusione che aleggia nel cuore della ragazza e non vuole mandarla ulteriormente nel panico, potrebbe essere rischioso per alcuni di loro.
«Lilith...» Akemi si volta verso la donna, guardandola confusa.
'Perché continua a chiamarmi così?'
La donna le prende delicatamente le mani tra le sue, stringendole piano, senza interrompere neanche per un istante il contatto visivo «Sono tua madre.»
 
 
Astrid continua a guardare Akemi con apprensione, sventolandole davanti al viso un ventaglio dai colori sgargianti per farla riprendere il prima possibile.
Si aspettava tantissime reazioni da parte sua, ma non aveva preso in considerazione neanche per un breve istante che potesse svenire.
«Ottimo lavoro.» la sfotte Fenrir, rientrando nella stanza dopo ben venti minuti di assenza, durante il quale è andato a calmare il branco di scalmanati che provava ad entrare nella stanza. L'ultima cosa che una creatura tanto instabile può sopportare al proprio risveglio dopo uno shock, è proprio ritrovarsi circondata da un branco di estranei.
«Zitto, si sta svegliando.» risponde piccata la donna, alzandosi in piedi e facendo un paio di passi indietro per non gravarle addosso. Non vuole metterle alcun tipo di pressione, vuole solamente che si tranquillizzi e che accetti la verità per quella che è, e sa bene che starle addosso o mostrarsi troppo invadenti non è il modo giusto.
Akemi, dopo essere riuscita a mettere a fuoco la stanza e le quattro figure che la circondano, scatta a sedere come una molla, rannicchiandosi nell'angolino del divano. A guardarla, potrebbe essere scambiata per un gattino indifeso adesso, così rannicchiata e tremante, con le gambe tanto strette al petto da potersi fondere con il resto del busto e gli artigli ben piantati nella stoffa soffice.
Guarda con timore la donna dai brillanti capelli biondi, provando a ricordarla, senza successo.
Non le ci vuole niente perciò a pensare che le stiano mentendo, che siano solo menzogne per poterla manovrare, ma poi, come un fulmine a ciel sereno, si ricorda della donna che cantava nei suoi sogni, della sua melodica voce che la tranquillizzava e dei suoi meravigliosi capelli dorati.
«Imba wimbo... wa upepo... wakati unajiwa na...» la sua voce è appena udibile anche per i quattro immortali presenti, ma Astrid capisce al volo. Capisce e i suoi occhi si riempiono di lacrime di gioia, mentre la voglia di stringerla di nuovo a sé diventa insopportabile.
«Imba wimbo - wa upepo - wakati ndoto tamu...» canta a sua volta, sorridendole dolcemente.
Due umide scie scarlatte rigano le guance pallide della giovane immortale, mentre il suo cuore si riempie di una nuova gioia e il suo corpo si abbandona completamente tra le braccia forti e calde della madre.
«Lala mpaka usiku uisheni
Upepo wa usiku - wimbo wanko na
Wimbo wangu inaendelea milele» cantano insieme, unendo le loro voci per crearne una nuova, deliziando i presenti con il loro amore ritrovato, per quel nuovo inizio che durerà nei secoli.
«Lilith...» Astrid scoppia a piangere, immergendo il viso nella spalla della figlia.
Le era mancata così dolorosamente che il suo lato peggiore, quello sadico, animale, infernale, era di nuovo uscito allo scoperto, facendola tornare la creatura spietata che era un tempo. Aveva pure dato carta bianca a Fenrir, cosa che non aveva mai e poi mai fatto prima!
«Non avrei mai voluto separarmi da te, amore mio...» mormora con un filo di voce, prendendole il viso tra le mani e baciandole dolcemente la fronte, tornando subito dopo a stringerla con forza «Quando Freki e Geri hanno fallito-»
«Perché non me l'hanno detto quella volta?» la interrompe bruscamente Akemi, staccandosela di dosso e guardandola con una certa delusione.
Si, delusione. Lei è delusa dal vago tentativo che ha fatto la madre per ritrovarla, e adesso non la passerà liscia con un semplice “mi dispiace”.
Astrid piega un poco la testa di lato, asciugandosi con la punta delle dita le lacrime e ricomponendosi velocemente, tornando ad avere la solita aria composta e gelida che ha sempre avuto.
«Avresti forse creduto a due estranei che, dopo averti trovata da sola in un bosco, ti dicono che vogliono portarti dai tuoi genitori?» le domanda sarcasticamente, reclinando un poco la testa da un lato, per poi lasciarsi andare ad un sorriso «E comunque anche perché non si doveva sapere che eri ancora viva. Nessuno doveva sapere assolutamente niente, soprattutto dell'esistenza di quest'isola.» le spiega con tono calmo, mandandola ancora di più in confusione.
«Lo so, per te non ha senso, so anche che ti abbiamo fatta soffrire tanto, ma non potevamo fare altrimenti. Volevamo portarti via non appena siamo riusciti a trovarti, ma poi Wulfric ci ha riferito che eri felice insieme a quei pirati, così, dopo attenta riflessione, abbiamo deciso di lasciarti vivere una vita vera, senza tutte le complicazioni che essere immortale comporta.»
Akemi la guarda senza capire, voltando la testa da una parte all'altra e guardando i volti dei presenti. Quando poi i suoi occhi si fermano sulla figura imponente di Fenrir, nuovi dubbi le ingombrano la mente, facendole aumentare il mal di testa.
Vorrebbe urlare. Vorrebbe urlare al mondo intero il suo odio, la sua paura, la confusione che le sta dilaniando il cuore. Ma non lo fa. Rimane in silenzio, respirando a fatica, mentre la bestia dentro di lei continua a dormire, intimorita da ciò che la circonda.
«E perché Týr non mi ha detto niente?» ringhia a denti stretti Akemi, voltando di nuovo la testa sulla madre. La guarda con aria torva, di nuovo completamente sulla difensiva.
In fondo quella era solamente una canzone, potrebbe averla sentita ovunque, quindi potrebbe benissimo mentirle. Se solo il suo cuore non fosse così dannatamente sincero, le sarebbe già saltata alla gola.
«Vai a capirlo quello psicopatico!» esclama con una punta di divertimento Wulfric, facendo ridacchiare appena anche Killian «Avrà avuto le sue ragioni comunque, non ti logorare per questo.»
Akemi lo guarda con aria fredda, distaccata, accantonando il fatto che prima è stato proprio lui a salvarla da tutte quelle persone. Adesso è solo un estraneo che si prende gioco di lei, che si diverte nel vederla così spaesata e angosciata.
I suoi occhi vengono però catturati di nuovo dalla figura oscura e misteriosa dell'uomo che continua a guardarla davanti alla finestra. Ha dei lineamenti decisi e la pelle olivastra, i capelli castani spettinati che gli ricadono sull'occhio mancante, degli abiti pesanti neri e rossi.
È bello, incredibilmente bello.
Con il suo occhio color cobalto sembra riuscire a scavarti nel profondo dell'anima e annientarti, farti a brandelli. È impossibile sostenerlo.
Akemi, però, è costretta a farsi coraggio e a sostenerlo, senza però osare sfidarlo.
«Mi scusi se mi permetto ma...» domanda con voce incerta, sentendo un chiaro brivido salirle lungo la spina dorsale quando alza il mento in sua direzione «Conoscete per caso un certo Týr?»
Trema ancora di più quando nota la mascella contrarsi e i pugni stringersi, ed involontariamente si stringe di nuovo contro il proprio angolino, abbassando un poco lo sguardo.
«Era mio fratello.» risponde atono l'uomo, rilassando di nuovo i muscoli del corpo «Tu, piuttosto, come fai a conoscerlo? Se non ricordavi né tua madre né Killian, mi risulta piuttosto strano che ti ricordi proprio di lui.» le domanda subito dopo, avvicinandola di un paio di passi.
«Dì quello che vuoi, Fenrir, ma Týr se la cavava piuttosto bene.» afferma con tono divertito Wulfric, osservandosi con interesse le unghie laccate di nero. Killian, al suo fianco come spesso accade, non si perde neanche una mossa del trio, pronto a fare da scudo ad uno dei due sovrani nel caso la creatura prendesse il sopravvento.
«Dalla volta in cui sono morta lo vedevo costantemente in un limbo nero quando dormivo. Parlavamo... mi ha insegnato molto.» spiega in un sussurro Akemi, spaventandosi sempre di più di fronte allo sguardo duro dell'uomo.
«No, aspetta un secondo: tu lo vedevi?» ringhia scattando in avanti con fare minaccioso, bloccandosi immediatamente quando la compagna gli si para di fronte con le zanne snudate e gli occhi vermigli.
«Prova solo a toccare con un dito mia figlia e ti stacco tutto il braccio.» lo minaccia con voce cavernosa, ringhiando furiosamente non appena termina la frase.
Fenrir schiocca la lingua stizzito, girando sui tacchi e andando a sedersi da un lato. Se fosse stata una qualsiasi altra persona, probabilmente l'avrebbe presa a pugni fino allo sfinimento nervoso, ma con Astrid non potrebbe mai. Inoltre è ben cosciente che le femmine diventano molto aggressive se viene minacciata la loro prole.
«Come faceva a vederlo?! È morto quella mattina!» ringhia sempre più nervoso, mentre i muscoli si contraggono fino ad arrivare al punto critico. Solo a quel punto si concentra con tutto sé stesso per regolarizzare il respiro e il battito cardiaco, riuscendo immediatamente a riprendere il controllo.
«Non lo so, va bene?!» gli strilla contro Astrid, venendo trattenuta per un braccio dal fedele Killian, più che disposto a battersi per lei se necessario.
«Cosa c'è di tanto strano?» la voce di Akemi li riporta tutti quanti alla realtà, facendoli voltare di scatto.
La giovane immortale li sta guardando uno per uno, sempre più confusa, finché dalla sua bocca esce una nuova, scomoda domanda «Chi è lui per me?»
«Lilith...» Astrid le si avvicina piano, mettendosi a sedere al suo fianco.
Le prende le mani tra le sue, cercando i suoi occhi e provando a trasmetterle tutto l'amore che nutre nei suoi confronti, sperando con tutta sé stessa di riuscire ad attutire il colpo «Týr era tuo padre...»
Il tempo per Akemi pare fermarsi, così come il suo cuore. Sente solamente il rumore di quest'ultimo che va in frantumi.
Tutte le informazioni ricevute fino a quel momento l'hanno completamente spaesata, ma questa l'ha proprio ferita.
'Perché sei stato zitto? Dovevi dirmelo... dovevi! Sapevi benissimo quanto ci tenessi, sapevi quanto contasse per me saperlo! Invece non mi hai detto niente! Sono così insignificante per te?!'
Le lacrime scendono incontrollate, e in pochi secondi si ritrova raggomitolata su sé stessa, tremante e completamente abbattuta.
«Non piangere, dai...» prova a consolarla Astrid, senza successo.
Il dolore che sta provando è indescrivibile, anche per tutti loro che di atrocità nelle loro lunghe e sanguinose vite ne hanno vissute a centinaia. Nessuno può capire quanto si senta tradita e delusa, quanto quella notizia sia stata tanto simile ad una pugnalata dritta al cuore. Neanche Fenrir, che ha dovuto recentemente accettare la perdita, può capire quanto faccia male.
'Mi fidavo di te... ti raccontavo ogni cosa. Tu sapevi... sapevi cosa volevo e come mi sentivo. Perché mi hai fatto questo? Perché non mi hai detto chi eri per me? Perché hai voluto che soffrissi? Tu sapevi tutto dall'inizio...'
«Lilith, guardami.» ordina decisa la donna, prendendole il viso tra le mani e guardandola dritto negli occhi di ghiaccio «Respira, con calma. Si sistemerà tutto, te lo prometto.» la rassicura dolcemente, notando con stupore una scintilla di pura determinazione e forza in quel dolore.
«Cosa sono io?» sibila a denti stretti, liberandosi di scatto dalla sua presa e scattando in piedi «Cosa siete voi?!»
«Tutta tua!» affermano all'unisono Wulfric e Killian, scattando fuori dalla stanza ad una velocità sorprendente. Akemi non si è neanche resa conto dello spostamento: un attimo prima c'erano, quello dopo la porta sbatteva.
«Fetenti...» mormora roteando gli occhi al cielo Astrid, massaggiandosi le tempie. Perché la parte davvero difficile viene adesso, per tutti loro.
«Tu non scappi?» domanda con poco interesse al compagno, che nel frattempo si è comodamente appollaiato su una poltrona situata nell'angolo opposto.
«Sono curioso di vedere come ti destreggi in questa conversazione.» risponde pacatamente, avendo fortunatamente sbollito subito la rabbia «E, ragazzina, complimenti. Pensavo che avresti pianto molto di più.» aggiunge subito dopo, facendole un mezzo sorriso che non la calma per niente.
«Ho un nome.» ringhia in risposta, guardandolo con rabbia. Fenrir non si sente minimamente toccato dalla cosa, tanto che in tutta tranquillità si accende un sigaro e si mette pure a sfogliare un vecchio libro.
«In realtà ne hai due.» commenta sovrappensiero, facendola ringhiare.
«Torniamo all'argomento principale?!» sbotta la Regina, facendo saettare gli occhi da uno all'altra, infastidita «Senti, non è una cosa semplice a cui credere, quindi siediti ed apri la mente.» ordina con tono duro alla figlia, fissandola dritto negli occhi mentre si siede a poca distanza da sé.
Prende un profondo respiro, decidendo di rivelarle la sua natura senza tanti rigiri di parole.
«Tu sei un ibrido.»
«Come scusa?» domanda confusa Akemi, aggrottando le sopracciglia.
«Hai capito. Tu sei nata dall'unione tra due specie diverse, che in realtà neanche avrebbero potuto dare vita a qualcosa.» risponde cercando di mantenere il tono della voce il più rassicurante possibile, senza però riuscirci più di tanto «Tuo padre era un vampiro, il primo della specie, mentre io sono un licantropo.»
Akemi la guarda dritto negli occhi, elaborando la sua risposta con attenzione, per poi lasciarsi andare ad una risata nervosa.
«Mi prendi in giro!» sentenzia sicura, guardando l'Imperatore per cercare conferma.
«Perché la cosa ti sembra tanto impossibile?» le domanda Astrid con tono scocciato, riattirando così il suo sguardo su di sé.
«Perché sono figure immaginarie su cui scrivere romanzi e inventare storie per mettere paura ai bambini. Non esistono davvero.» risponde Akemi con aria saccente, incrociando le braccia al petto e ghignando quando la donna si passa stancamente le mani sul volto.
«Ah, no?» le domanda con tono derisorio Fenrir, facendola girare di scatto con aria scocciata. Sulle sue labbra si intravede un leggero ghigno, e nel suo unico occhio si legge chiaramente quanto la cosa lo stia divertendo.
«Geri, entra pure. So che stai origliando.» ordina con tono fermo, tornando poi a leggere il proprio libro.
La porta si apre lentamente e dopo pochi secondi fa capolino la testa ramata del ragazzo, che sorride imbarazzato «Eheh, scusa...»
«Mostrale. Poi vattene dal tuo succhiasangue.» ordina con tono disinteressato senza neanche alzare lo sguardo, mentre il ragazzo si posiziona velocemente al centro della stanza e comincia a spogliarsi frettolosamente.  A lui piace farlo, lo diverte assai, però quella camicia di seta gliel'ha regalata Kakashi e sa bene quanto s'incazzi quando distrugge i vestiti.
Si stiracchia appena le braccia e poi si mette in posizione, venendo immediatamente bloccato dall'Imperatore.
«Lentamente.» ordina con tono duro, deciso a punirlo così per la sua mancanza di rispetto.
Geri sorride beffardo al suo Signore, tornando poi a concentrarsi sulla muta.
La pelle gli prude per lo spuntare del manto nero, ma non vuole perdere neanche un solo istante a grattarsi. In fondo, è bello sentire la pelliccia venire fuori e ricoprire ogni centimetro della pelle.
Inoltre gli piace osservarlo, vedere quel nero brillante ricoprirlo completamente. Perché tutti loro sono neri come la notte, fatta eccezione per la Regina, che è di un dolce color cioccolato fuso con delle striature bianche sul muso. Nessuno sa perché sia così diversa dai suoi simili, ma a nessuno è mai importato. In realtà, finché non diventò la compagna dell'Imperatore, questa sua stranezza la rese la preda più ambita di tutte.
Ride appena, Geri, quando sente il primo tremore nelle ossa. I muscoli delle braccia e delle gambe si tendono, tanto da strappargli letteralmente la pelle. Sgrana gli occhi, percorso da uno spasmo, e le ossa nelle ginocchia scrocchiano. Le gambe si piegano e si allungano, assumendo una forma diversa.
Si piega in due e geme di dolore quando la cassa toracica si allarga di colpo, e sospira quando sente il breve dolore della spina dorsale che si spezza, per poi rilassare il corpo.
Rabbrividisce per il dolore e delle lacrime ribelli gli rigano il volto ricoperto di peluria. Per qualsiasi licantropo è assolutamente impossibile godere della trasformazione quando viene eseguita così lentamente, ma nessuno di loro è così stupido da infrangere un ordine di Fenrir.
«Ti senti bene...?» mormora Akemi con un filo di voce, alzandosi lentamente in piedi, pronta a scappare a gambe levate. Perché quello che sta vedendo non è normale: è assolutamente impossibile.
Geri annuisce convinto, ormai incapace di parlare. La mascella frantumata e adesso ricomposta in modo da non permettergli di conversare è una grossa seccatura, soprattutto per un chiacchierone come lui.
Si passa la lingua lunga sui denti affilati, facendo finalmente saettare gli occhi dorati su Akemi, guardandola con aria famelica e pericolosa.
È una creatura assai più grossa e forte di qualsiasi lupo mai esistito in natura. Zampe e cosce sono troppo lunghe, le orecchie troppo grandi e negli occhi ha il fuoco. Lupo è solo un nome di comodo che hanno adottato.
«Pelo nero, occhi gialli. Minimo due metri e sessanta al garrese e più di quattro su due zampe. Il busto più o meno delle dimensioni di un bue.» afferma tra sé Fenrir, sorridendo alla creatura che adesso gli offre il ventre e la gola in segno di sottomissione «Non trovi che sia magnifico?»
«Ok, penso di crederci...» mormora la corvina, continuando a fissare l'enorme bestia che si erge di fronte a sé, perfettamente in equilibrio su due zampe.
Sgrana gli occhi per la sorpresa quando lo vede camminare verso la porta, e ancora di più quando con le enormi zampe anteriori riesce a girare il pomello della porta.
'I canidi normali lasciano solo quattro tacche, poiché il pollice si è atrofizzato e non tocca il terreno... perché lui ha cinque dita?' si domanda, senza però chiederlo ad alta voce. Si sente già abbastanza stupida.
Quando però nota anche un altro dettaglio, la sua curiosità prende prepotentemente il sopravvento, e proprio non riesce a tenere la bocca chiusa «Perché non ha la coda?»
«Siamo creazioni del Diavolo. Per quanto ben fatti, siamo necessariamente imperfetti.» le risponde gentilmente Astrid, sorridendole dolcemente.
«Spiegale tutta la storia, Astrid.» le ordina con tono duro Fenrir, guardandola dritto negli occhi. In realtà è più in crisi all'idea di dover dire alla sua appena ritrovata nipote che lui, suo zio, ha una relazione con sua madre.
'Tutto questo è assolutamente ridicolo!'
«La tua concezione non era possibile... o, almeno, così credevamo.
Nell'esercito di tuo padre c'era una vampira che voleva a tutti i costi un figlio da secoli, ma ovviamente ciò non era possibile. Questo l'aveva portata quasi alla follia... pensa che uccise migliaia di bambini nel tentativo di vampirizzarli!» comincia a spiegare la donna dopo aver preso un lungo respiro, guardando con attenzione la figlia che si è appena seduta al suo fianco «Una notte di plenilunio, notte in cui i miei poteri si intensificano, avevo deciso di provare a fare un incantesimo di fertilità su di lei, incidendo una runa sul suo ventre con il mio sangue. Sapevo che non avrebbe portato a niente, ma ho voluto fare un tentativo per farla tacere. Qualcosa però... è andato storto.
I lupi mannari con la Luna Piena diventano incredibilmente potenti, tutto in loro si amplifica, e quell'incantesimo mi ha... potenziata ulteriormente. È bastata una notte, una sola, e il giorno dopo già mostravo i segni della gravidanza.»
Akemi aggrotta la fronte, incerta, ricordandosi improvvisamente tutte le informazioni che ha su quelle leggendarie creature di cui ha tanto letto in molti romanzi.
«Ma loro non sono sterili? Si, insomma... non sono tipo... morti?» domanda titubante, notando un sorriso compiaciuto piegare gli angoli della bocca carnosa della donna.
«In teoria. Però è accaduto più volte che nascessero degli ibridi umano-vampiro, degli esseri mostruosi semi-immortali con una forza considerevole. Wulfric ne ha avuti tre o quattro, se non sbaglio.» risponde sempre meno tesa, accavallando le lunghe e pallide gambe per stare più comoda.
«E perché non era mai successo con uno come... come te?»
«Licantropo. Puoi dirlo, non è una parolaccia.» le risponde ridacchiando Fenrir, facendo ridacchiare pure la compagna. Akemi invece li guarda a turno, confusa e allo stesso tempo incredibilmente emozionata. Se una parte di lei è ferita e delusa da tutto quello che la circonda, l'altra è profondamente felice e desiderosa di ricevere sempre più informazioni.
«Non era mai successo perché non aveva mai attecchito il seme, diciamo. Le due specie si “annullano” l'una con l'altra, quindi non hanno la possibilità di generare una vita. Se non avessi fatto quell'incantesimo, se non mi si fosse ritorto contro per una ragione che ancora non mi spiego, tu non saresti qui.» le risponde gentilmente Astrid, ricomponendosi il più velocemente possibile per poter continuare a raccontare «Il problema sta nel fatto che la tua natura è stata vista come... come un abominio, qualcosa contro il creato, qualcosa che non doveva esistere.
Ci avevano condannati per questo... tutti e tre. Ovviamente non avremmo mai permesso che ti accadesse qualcosa, così ci siamo difesi come meglio potevamo-»
«E Týr è morto...» conclude per lei Akemi, rabbuiandosi di nuovo.
«Non fartene una colpa, ragazzina.» afferma con un lieve sorriso l'uomo, facendola sobbalzare quando le poggia una mano sulla spalla e si avvicina pericolosamente al suo viso «Sono più che convinto che quella testa di cazzo di mio fratello se la sta spassando da qualche parte. Che si tratti di questo mondo o un altro fa poca differenza.» il suo sorriso si allarga quando si rende conto di quanto quella ragazza sia incredibilmente simile al suo adorato fratellino, e il suo cuore di riempie di una nuova gioia che lo rilassa completamente, quasi facendolo tornare lo spensierato Fenrir di una volta.
Si drizza di colpo e si rigira, camminando calmo verso la porta «Vado dagli altri prima che impazziscano per la curiosità e mi distruggano casa.» le avverte velocemente prima di uscire sbattendo la porta, facendo sospirare Astrid, che non è mai riuscita a togliergli quell'orrenda abitudine.
«Non badare a Fenrir, è un uomo molto particolare. Durante gli anni è diventato molto più eccentrico e allo stesso tempo duro di quanto già non fosse. Però, per quanto sia strano e viva letteralmente in un “mondo” tutto suo, ha un cuore d'oro e un grandissimo cervello.» l'avverte sorridendo, avvicinandosi lentamente a lei per poter continuare la loro discussione.
Vuole dirle il più possibile adesso, prima che la stanchezza e la tristezza prendano il sopravvento su di lei, e tanto vale raccontarle per adesso di ciò che la circonda. Per ridarle i suoi ricordi, in fondo, c'è tempo.
«Devi sapere che moltissimo tempo fa, dopo un evento molto brutto di cui ti parlerò poi, decise di ritirarsi dal mondo, di rifugiarsi su quest'isola con qualunque creatura immortale desiderasse trovare la pace che non aveva mai avuto. Con il mio aiuto creò una barriera che tuttora la rende invisibile al mondo e da quel momento vivono praticamente in pace.
In quel periodo cominciò anche a studiare una formula per creare un sangue sintetico in modo da non dover più abbandonare questo luogo, cosa che però non approvava tuo padre. Gli piaceva troppo la caccia per rinunciarvi.» le spiega, bloccandosi di colpo quando si accorge della sua espressione quasi inorridita «Non temere, non ha più compiuto considerevoli massacri dopo che si sono separati, anche perché non avrebbe mai osato scatenare l'ira di Fenrir.»
Akemi sospira sollevata, facendo sorridere la madre. Solo in quel momento si rende conto di quanto sia bello e caldo il suo sorriso, di quanto le sembri familiare e anche di quanto la sua voce, in un certo senso, la faccia rimanere calma.
«Pochi anni dopo aver eretto la barriera, erano molti gli abitanti. Presto, però, si verificarono i primi problemi: come tuo padre, non tutti volevano rinunciare alla caccia, così chiedevano dei permessi speciali per uscire. In pratica andavano a cacciare e tornavano con un carico di schiavi o cacciatori che sarebbero stati poi... cacciati nel nostro territorio.» Akemi si inorridisce completamente dopo quella frase, scattando in piedi di colpo. Astrid si alza a sua volta, alzando le mani e guardandola veramente mortificata «Lo so, è una cosa davvero orribile, ma non possiamo fare a meno della carne. Ora come ora puntiamo di più al bestiame, visto che non sai mai cosa trovi dentro agli umani, però ogni tanto ne abbiamo bisogno anche noi per non impazzire.»
Vorrebbe tirarle un pugno e dirle che sono solo un branco di mostri, che è disgustata dal loro stile di vita e che ciò che le sta dicendo le dà semplicemente il voltastomaco, ma mentirebbe. Anche lei ha attaccato e divorato esseri umani. Ha pure staccato un braccio a Teach e se l'è mangiato come se fosse stato un cosciotto di pollo, quindi sarebbe troppo ipocrita da parte sua mettersi a fare la moralista.
Decide quindi di tornare a sedere e di ascoltare qualsiasi altra cosa le voglia dire, sentendosi sorprendentemente bene di fronte al suo sorriso felice, come quello di un bambino la mattina di Natale.
Astrid sospira forte, mettendosi di nuovo seduta al suo fianco, decisa a raccontarle dell'ultima informazione necessaria. Dopo, ovviamente, la lascerà andare in camera sua a riflettere, riposare, distruggere ogni cosa, e poi le manderà Killian.
«Durante quelle battute di caccia, molti immortali cominciarono ad innamorarsi degli esseri umani che però non volevano essere trasformati. Ci furono un sacco di suicidi e Fenrir la prese come una sfida personale: mi richiamò a sé e mi spiegò la sua folle idea, che però mi allettava parecchio. Così, con tanta fatica, riuscii a creare un maleficio particolare, con cui avvolsi la villa nella parte sud dell'isola. Un maleficio potente, indistruttibile, unico nel suo genere.»
«Cioè?» le domanda realmente curiosa Akemi, piegando un poco la testa di lato. Se all'inizio non riusciva a credere all'esistenza della magia e delle creature immortali, adesso non le sembra più tanto strano. Le è bastato pensare a sé stessa e a tutto quello che ha vissuto sulla propria pelle per rendersene conto.
«Quando ci muori dentro, la tua anima ci rimane incastrata per l'eternità.» risponde sorridendo fiera la donna, facendola rabbrividire appena. Per quanto lo trovi affascinante, non può non trovarlo allo stesso tempo orrendo.
«Perché mi dici tutto questo?» le domanda dopo un paio di minuti di silenzio, leggendo tutto il suo amore nei suoi occhi celesti.
«Perché voglio che tu ti senta a casa, Lilith. Questo è il tuo mondo.» risponde sinceramente la donna, prendendo le mani nelle sue «So bene che ti ci vorrà del tempo, non pretendo assolutamente che tu accetti tutto questo da un momento all'altro, che accetti me... ma sono dell'idea che prima apprendi il tutto, prima le cose si aggiusteranno e troveremo l'equilibrio.» aggiunge subito dopo, sorridendole dolcemente.
Akemi ritira piano le mani, fissando insistentemente il pavimento, per poi alzarsi lentamente.
«Ti dispiace se... se vado in camera mia?» domanda titubante, indicando con un cenno del capo la porta.
«Certo piccola, vai pure.» Astrid si alza a sua volta e la guida fino alla porta, sorridendole amorevolmente «Quando sarai pronta, sarò qui per te.»
Akemi annuisce piano e prova a sorriderle di rimando. Quando però sta per chiudersi la porta alle spalle, la donna l'afferra per un polso, costringendola ad alzare gli occhi per lo spavento.
«Mi eri mancata da morire...»
 
Il freddo raggio lunare che colpisce l'assonnato paesaggio notturno cambia i colori di ogni cosa: le foglie verdi degli alberi si irrorano di un grigiastro perlaceo, i muri delle case, colorati di vivaci tinte, perdono lo splendore solare.
Muta il mondo alla luce della Luna, e anche il cielo sembra abbassarsi, avvolgendo con il suo abbraccio protettivo ogni cosa terrena.
Si rincorrono le ombre, che sembrano nascere dai raggi argentei della Luna ed alla psichedelica luce spettrale paiono danzare, accompagnati dalla silenziosa armonia della notte.
Akemi osserva dalla finestra aperta quel paesaggio, rannicchiata su sé stessa. In cuor suo spera di vedere la sagoma dell'imponente Moby Dick avvicinarsi lentamente, i suoi compagni pronti a far guerra a coloro che l'hanno presa e adesso la tengono prigioniera dentro quelle sbarre dorate, ma sa bene che quella speranza non si realizzerà mai.
Dopo qualche istante, sente chiaramente dei passi provenire dal corridoio al di là della propria porta e di slancio sdraia nell'ampio letto, portandosi le soffici lenzuola fin sopra la testa, risparmiando giusto gli occhi, che ancora cercano quella sagoma inesistente.
Quando poi l'intruso si mette a bussare alla sua porta, ogni colpo le sembra come una martellata nel cervello.
La sua fantasia, inoltre, le gioca un nuovo brutto tiro, facendole sperare che sia Marco che sta aprendo la porta, che sia venuto fin lì per lei, che l'abbia trovata, che sia venuto per farle la più grande parte di merda che la storia abbia mai conosciuto e che poi la baci con trasporto, come solo lui è in grado di fare. Ma l'odore che le arriva alle narici la riporta alla dura realtà, con una freddezza che le attorciglia lo stomaco.
«Ehi...» non volta neanche la testa per guardarlo, totalmente insofferente a ciò che la circonda.
Killian la guarda con occhi malinconici, in piedi di fronte a lei, le mani nelle tasche dei pantaloni e la testa china.
L'ha vista nascere, è stato il primo a tenerla tra le braccia, a guardarla nei suoi dolci e brillanti occhi, e vederla stesa lì, in quel letto enorme, a struggersi dal dolore, gli fa più male di qualsiasi ferita gli sia mai stata inferta in tutta la sua lunghissima vita.
«Mi dispiace...» sa bene che le sue parole non servono a niente, che non la faranno star bene, che non rimargineranno il suo cuore infranto, ma non sa proprio cosa dirle.
Akemi, dopo degli interminabili secondi, lascia scivolare lo sguardo sulla figura immobile del ragazzo, leggendo dentro ai suoi di occhi una tristezza infinita.
«Perché?» domanda con un filo di voce, tornando subito a fissare fuori dalla finestra «Perché non riesco a provare un minimo di gioia? Ho trovato mia madre, ho scoperto la verità... perché non riesco ad esserne entusiasta? Fino a due giorni fa avrei dato l'anima per poterla incontrare, anche per pochi secondi... invece adesso non riesco a provare altro che un infinito dolore.»
Killian si siede lentamente sul bordo del letto, osservando distrattamente fuori dalla finestra la distesa d'acqua calma illuminata dai raggi lunari, pensando attentamente ad una risposta.
«Hai perso tutto, ecco perché.» semplice, conciso e incredibilmente freddo. Killian non è mai stato particolarmente bravo con le parole, e Dio solo sa quanto si sta sforzando in quel momento, ma proprio non riesce ad essere delicato e dolce come sarebbe opportuno.
Sente la ragazza stringersi su sé stessa e con la coda dell'occhio vede che ha nascosto il viso in una mano, senza però riuscire a mascherare la smorfia di profondo dolore che le deforma i delicati lineamenti.
«Sarò sincero: non passerà mai. Il dolore si affievolirà, certo, tanto da diventare quasi invisibile, ma ci sarà sempre.» afferma con tono calmo, voltandosi verso di lei e incrociando le gambe sul letto «Noi immortali abbiamo un... difetto, se così lo vogliamo chiamare. Proviamo i sentimenti in un modo molto più profondo di un essere umano. Quando amiamo, lo facciamo in un modo completamente diverso, tanto da arrivare all'autodistruzione quando questo amore ci viene sottratto.
Tu ami quei pirati, tutti quanti. Ti hanno accolta tra loro, ti hanno cresciuta e voluto un bene infinito, e tu di conseguenza sei arrivata a considerarli la tua famiglia.
È per questo che non riesci ad amare tua madre, che non riesci ad essere felice di riaverla. Imparerai a farlo, probabilmente anche in tempi brevi, ma non smetterai mai di soffrire per loro.»
Akemi lo guarda con attenzione, domandandosi dove sia finito il ragazzo arrogante e solare che aveva conosciuto, e chi sia questo ragazzo che tanto gli somiglia ma che sta mostrando un animo dolce e attento.
«Sai, eri mancata a tutti...» l'avverte, sorridendole appena «Fenrir stava impazzendo! Avresti dovuto vederlo quando i fratelli Ulykke sono tornati senza di te e ha saputo che Geri ti aveva fatto male. L'ha picchiato per due giorni consecutivi, portandolo più volte in punto di morte!» ride da solo per quei ricordi, godendo interiormente per i lamenti di dolore del lupo che poco sopporta da sempre «È stato forte.»
«In che rapporti sei con loro?» domanda con voce flebile, notando con stupore l'espressione incerta di Killian.
«Me lo chiedi perché t'interessa davvero o cosa?»
«Te lo chiedo perché così devo concentrarmi su quello che mi dici e non posso pensare...» ammette con tono neutro, facendolo sorridere.
«Lo immaginavo...» le sorride allegro, assumendo poi un'espressione pensierosa mentre ricostruisce gli eventi nella sua mente, provando un vago senso di nostalgia per quei bei tempi andati, quando era ancora un lupetto spensierato alle prime armi e non doveva preoccuparsi di niente oltre al cibo.
«È stato Fenrir a donarmi l'immortalità. Avevo vent'anni quando è successo. Era inverno. Nel mio villaggio governavano una famiglia di nobili, che ci trattavano come nullità e ci facevano patire la fame. Lui odiava i nobili... si divertiva a sterminare intere dinastie! Come penso tu immagini, fece così anche con quelli del mio villaggio. Quella notte, però, erano di passaggio un gruppo di cacciatori che pensavano erroneamente di poterlo fermare... tsk, poveri scemi! Fece una vera e propria strage, ma quando arrivò a me, tua madre gli si parò davanti, snudando le zanne e ringhiando con una ferocia che al tempo non credevo neanche possibile.
Fenrir fece uno strano verso, come se si stesse strozzando, e la scansò con un colpo. Mi guardò per qualche secondo, in cui ho provato una paura indescrivibile, e poi mi morse. Persi i sensi per il dolore e mi svegliai la notte seguente in una camera d'albergo; tua madre era lì, che preparava del tè a pochi metri da me, e quando mi ha visto sveglio mi ha abbracciato forte, mormorandomi che mi sarebbe stata vicina e che nessuno mi avrebbe più fatto del male. Così, da tremilaottocentosette anni, sono sempre stato con lei.»
Akemi ha ascoltato ogni parola con attenzione, immaginandosi tutto nel dettaglio, e alla fine non riesce a trattenere una domanda sciocca «Quanti anni?!»
«Non scandalizzarti, è normale da queste parti. Pensa che non sono neanche il più anziano!» afferma divertito il lupo, incrociando le braccia al petto e sorridendole allegramente.
Akemi scatta immediatamente a sedere sul letto, guardandolo con curiosità crescente. Non sa neanche lei perché la cosa le interessi, ma sa bene che parlando con lui, guardando il suo sorriso allegro e dolce, non pensa a tutto il dolore che le sta sbrindellando il cuore.
«Mia madre quanti anni ha? Týr quanti ne aveva? Fenrir? E Wulfric?» domanda a raffica senza neanche riprendere fiato, facendolo scoppiare a ridere di gusto.
«Dio, quanto sei curiosa!» afferma mettendosi comodo sul letto, afferrando pure uno dei grossi e morbidi cuscini della ragazza e sistemandoselo dietro la schiena «Allora, tua madre ne farà seimilanovecentonovantasette tra qualche mese, tuo padre e Fenrir hanno la stessa età, settemilaquattrocentoquarantuno, e tra i due il più anziano resta comunque Fenrir, che si trasformò prima. Wulfric per anzianità adesso è il secondo in tutto il mondo e vanta la veneranda età di settemilaquattrocentotrentadue anni.» spiega pensandoci attentamente, ricordandosi pure che deve trovare qualcosa di carino per la sua adoratissima madre. Non che alla donna manchi qualcosa, ma un pensierino è d'obbligo.
«Cazzo... sembra tutto così assurdo!» afferma la corvina, passandosi le mani tra i capelli e sentendosi improvvisamente una lattante.
«Ti abituerai all'idea, non ti preoccupare.»
Rimangono in silenzio, con tutto e niente per la testa. Non si guardano, lui per il vago imbarazzo al ricordo di averle palpato le tette ed essere stato il suo primo bacio, lei perché troppo sconcertata da tutto ciò che sta scoprendo.
«Com'è Fenrir quando... quando è un lupo?» gli domanda dopo un po', guardandolo con curiosità crescente, ed è proprio in questo sguardo che Killian riconosce la ragazzina per cui aveva perso completamente la ragione quel pomeriggio e per la quale adesso non riesce a trattenere un sorriso.
«Grosso. Dannatamente enorme, furioso e irritabile.» Akemi non riesce a trattenere una lieve risatina, cosa che solleva un poco anche il lupo «Detto così fa ridere, ma ti assicuro che quando te lo trovi davanti, con il pelo irto e la bava alla bocca, incazzato oltre ogni limite immaginabile, te la fai sotto!»
Akemi ride di gusto, piegata in due con le braccia attorno all'addome muscoloso, quasi senza badare agli sbuffi di Killian. Si domanda cosa ci trovi di tanto divertente, ma alla fine pensa bene che qualsiasi giovane immortale avrebbe la stessa reazione. In fondo, Fenrir è diverso da tutti gli altri e quindi inimmaginabile.
«Posso farti un'altra domanda?» gli domanda di punto in bianco Akemi, tornando improvvisamente seria.
«Tutte quelle che vuoi.»
«Mesi fa andai su un'isola insieme ad Ace, si chiama Dejima; la gente quando mi vedeva... non so bene come dirlo, ma sembrava spaventarsi di fronte a me. Anzi, neanche di fronte a me, ma di fronte a questo.» gli mostra il ciondolo che da sempre porta al collo e che per puro miracolo non aveva perso durante l'indesiderato bagno della notte precedente, facendo scattare sull'attenti il lupo.
«Ecco dov'era finito!»
«È tuo?» allunga piano un braccio verso di lui per ridarglielo, seppur a malincuore, ma Killian la costringe a stringerlo in mano e tenerlo per sé, il tutto con un sorriso da far sciogliere anche il cuore più gelido.
«Se vuoi puoi tenerlo, ho già il marchio. In più sono conosciuto su quell'isola.» afferma rimettendosi comodo e accendendo ancor di più la curiosità della giovane immortale che lentamente continua ad avvicinarglisi.
«Dimmi tutto.»
«Allora: devi sapere tuo padre bazzicava spesso per Dejima, tanto che alla fine gli abitanti si sono “piegati” a noi e ogni volta che ci vedono fanno tutto quello che vogliamo.» spiega con tono annoiato, giocherellando distrattamente con il coltellino che si porta sempre appresso.
«Perché?»
«Perché noi immortali siamo considerati come esseri superiori. Devi sapere che nel tempo abbiamo fatto tante cose davvero orribili, tanto da arrivare ad essere considerati al pari di divinità. Tuo padre in particolar modo.»
«Perché?»
«Onestamente?» la guarda con un sopracciglio inarcato e un sorrisetto arrogante ad increspargli le labbra, cosa che un poco la inquieta «Perché era pazzo, completamente privo di autocontrollo, pietà e codice morale. Fenrir col tempo gliel'ha inculcato in testa, picchiandolo non so quante volte per “educarlo”, ma quando poi si è stabilito qui tuo padre ha avuto di nuovo la sua autonomia e ha ricominciato a fare il cazzo che gli pareva.» spiega con ovvietà, incidendo le proprie iniziali sotto al letto della ragazza come è abituato a fare. Tutto in quella reggia ormai ha marchiate le sue iniziali, tutte ben nascoste.
Akemi sorride appena, ricordandosi di quando l'uomo le diceva di essere un Dio. Quel sorriso però muore immediatamente, lasciando spazio ad un'espressione piena di dolore.
Scuote con forza la testa, decisa a non pensarci adesso che ha finalmente trovato un modo per tenere la mente e il cuore impegnati, e subito si rivolge a Killian, ancora impegnato a testa in giù ad armeggiare con Dio solo sa cosa.
«Spiegami questa cosa del medaglione.»
«Sono tutte copie. Gli originali ce li hanno Fenrir e Týr. Il primo aveva una pietra rossa, mentre il secondo azzurra. In poco tempo decisero di fare delle copie per darli ai loro “figli”, in modo tale da creare due eserciti distinti. Mossa stupida a mio avviso, perché ci rendeva troppo riconoscibili agli occhi dei cacciatori...» spiega pacatamente, riemergendo finalmente da sotto al letto, riordinandosi alla meglio i capelli castani «Però, non so... ci dava un senso di appartenenza più profondo, così lo portavamo tutti. È il segno che proveniamo dalla linea più pura.»
«Linea pura?» gli fa eco la corvina, aggrottando le sopracciglia.
«Loro due sono stati i primi delle due specie.» afferma convinto, incrociando le gambe sul materasso e puntellando i gomiti sulle ginocchia «Una vecchia strega, che li odiava per non so quale ragione, decise di maledirli. Creò due bestie impure che avrebbero dovuto infettarli: un lupo e un pipistrello. Una volta infettati poi sono morti e loro due maledetti. La vecchia però non aveva preso in considerazione il fatto che così facendo avrebbe dato loro un netto vantaggio. Era erroneamente convinta che avrebbero odiato la loro nuova natura maledetta e che sarebbero arrivati ad uccidersi a vicenda.»
«Ma non andò così...» mormora Akemi con un filo di voce, senza neanche dover faticare per credere a quella storia. Il tono di Killian, il battito calmo e regolare del suo cuore, sono dei chiari segnali che non sta mentendo. Anzi, dalla punta di allegria che percepisce nella sua voce, comprende anche che è più che lieto di parlargliene.
Killian le sorride, contento di vederla così presa dalle sue parole, e pensa bene di darle qualche informazione in più anche sul padre «Per i primi trent'anni, quasi, Fenrir non riuscì più a tornare alla forma umana, rimanendo intrappolato nel corpo di un'enorme bestia assetata di sangue. Týr non ha mai smesso, neanche per un misero istante, di credere in lui. Gli è stato vicino, gli procurava da mangiare, trovava delle grotte grosse e profonde per nasconderlo e farlo riposare... si prendeva cura di lui, e questo gli ha dato la forza di andare avanti.
A loro poi si unì Wulfric, l'unico che fu in grado di assimilare la natura demoniaca che trasmetteva tuo padre, e così formarono un trio incontrastabile. Pure Wulfric lo sosteneva, generalmente aiutandolo a muoversi nell'ombra o a scrivere con gli artigli sul terreno in modo che potesse comunicare di cosa avesse bisogno. Tutta roba elementare, eh, niente di sofisticato, però lo aiutava. Insegnò anche a leggere a tuo padre! Per quanto ne so, lo rese felicissimo...
Con il passare degli anni, Fenrir trasformò per sbaglio diverse persone, ma li uccideva tutti poiché senza la componente umana che lui ancora aveva e a cui tanto teneva: la ragione. Poi, dopo trent'anni o poco da quel giorno maledetto, s'imbatté per caso in due ragazzini. Il loro villaggio era sotto attacco, loro due in un bagno di sangue: il più giovane era sul punto di morire per dissanguamento, il maggiore era steso al suo fianco con un forte trauma cranico. Tuo padre disse di morderli, per vedere se erano capaci di riportare in vita i morti, e Fenrir obbedì. Quella notte nacquero due nuovi lupi, forti, veloci ed intelligenti, e i simpatici fratelli Lothbrook diedero loro la caccia per divertimento. Quando li trovarono al mattino, però, non c'erano più i due lupi, ma bensì i due ragazzi del villaggio, privi di memoria ed inspiegabilmente legati al grande Lupo Imperatore. Dopo qualche mese, durante il quale tuo padre lì ribattezzò come Freki e Geri, riuscirono a far tornare umano tuo zio.»
«Wow...» è l'unica cosa che riesce a mormorare Akemi, troppo concentrata ad ascoltare quella storia e allo stesso tempo ad evitare che le si stacchi la mascella.
«Tanta roba, eh?» le sorride divertito Killian, deciso a dirle le cose fino in fondo almeno per quanto riguarda quelli della sua razza «Anni dopo incontrò tua madre. Era una strega potente già al tempo... e tuo padre le aveva ovviamente messo gli occhi addosso. Non poteva però permettersi un'altra vampira nella sua schiera perché era ancora presto e doveva educare Arista, ancora fresca di trasformazione, così convinse il fratello a prenderla al posto suo, in modo tale da poterla avere per l'eternità.
Lei li aspettò, desiderosa di poter abbracciare il mondo immortale, per vendicarsi così di tutte le ingiustizie subite e poter evitare di andare in sposa all'uomo che i suoi uomini scelsero per lei quando era ancora in fasce.
Il suo corpo, come c'era da aspettarsi, rispose magnificamente al morso, e da quel momento si formò il quartetto di immortali più forte di sempre: Týr e Wulfric, Fenrir ed Astrid. Erano inarrestabili, davvero. Poi pensarono di allargare il giro e così cominciarono a trasformare gente a destra e a manca. Spesso però questi cominciavano a staccarsi e a creare dei propri Clan, e in poco si creò l'organizzazione per eliminarci: l'Ordine del Drago.»
«Sembra incredibile...» ammette Akemi, passandosi entrambe le mani nei capelli e sorridendo con aria inebetita.
«Beh, credici.» la sfotte facendole l'occhiolino il Titano, alzandosi poi in piedi per potersi stiracchiare le gambe «Altre domande?» le domanda sbadigliando, facendola annuire con convinzione.
«Hai accennato ad un marchio prima...»
Le sorride con aria beffarda, per poi alzarsi la maglietta e mettendo così in mostra l'enorme e mostruoso lupo nero che adorna la sua pelle bronzea, dal pettorale destro fino all'anca.
Akemi lo guarda stupita, ricordandosi di averlo già visto quando era più piccola sul quell'essere per lei assai odioso che si batté con Marco.
«Il primo a farselo fu Freki, estremamente colpito dalla trasformazione del suo creatore, e in seguito tutti hanno cominciato a copiarlo. Týr, divertito da questa cosa, si fece tatuare uno strano pipistrello sul ventre e tutti poi lo copiarono.» le spiega rivestendosi velocemente, notando una certa incertezza sul suo volto «Sono come dei Jolly Roger per noi.»
«Devo farlo pure io?» domanda vagamente infastidita, rimettendosi sotto le coperte mentre il ragazzo si allontana con passo lento.
«Tu non appartieni a nessuna delle due razze, quindi direi di no.»
«Meglio, perché non mi piacciono.»
A quell'affermazione Killian scoppia a ridere di gusto, tenendosi le braccia attorno all'addome muscoloso.
È felice di vederla così viva malgrado quello che sta affrontando, e non sta più nella pelle all'idea di vederla di nuovo allegra e piena di vita. Vuole presentarla agli altri, farla ambientare, farla diventare forte e sicura di sé. Vuole farle scoprire il mondo, farle capire quante opportunità ci sono là fuori se le si sanno cogliere, quante creature bizzarre ed interessanti popolano la terra. Vuole che sia felice, davvero felice.
«Posso chiederti un favore, adesso?» lo richiama Akemi prima che riesca ad uscire, facendolo voltare di scatto.
«Certo.» le risponde tranquillo il ragazzo, scrollando le spalle con una certa indifferenza.
Akemi si morde con forza il labbro inferiore per la vergogna, con il cuore che batte sempre più forte, finché di colpo alza lo sguardo e decide di mettere completamente da parte l'orgoglio.
«Dormi con me questa notte? Mi sento persa qui dentro...» ammette a malincuore, riabbassando subito la testa e fissando gli occhi fuori dalla finestra.
«Non c'è problema.» sorride dolcemente a quella richiesta e con tranquillità si stende al suo fianco, stando sempre a debita distanza.
Guarda come rapito il suo profilo, ritrovandoci molto del padre. Lo stesso naso, la stessa bocca. Pure gli occhi sono simili, con l'unica differenza che quelli di Akemi sono decisamente più dolci e meno furbi rispetto a quelli di Týr.
Allunga lentamente un braccio e le rimbocca le coperte come aveva fatto una volta quando era nata da poche ore, sorridendo da solo al ricordo.
Torna poi a sdraiarsi dandole le spalle, consapevole che lo sta fissando con sguardo incerto dopo quel gesto troppo affettuoso.
«Prova a rilassarti e dormi: domani ti aspetta una giornata molto piena.»
Akemi, ovviamente, si scosta le coperte di dosso e si issa su un gomito, cercando il viso divertito del ragazzo già vicino ad addormentarsi.
«Come mai?» gli domanda con curiosità, venendo dopo pochi secondi ributtata sul grande e morbido materasso da un suo braccio forte.
Sospira infastidita, rigirandosi dall'altra parte con le braccia incrociate al petto, sempre in attesa di una risposta che però non tarda molto ad arrivare.

 
«Ti daremo i tuoi ricordi.»
 
 
Angolo dell'autrice:
Salve a tutti! :D
Stavolta per fortuna sono abbastanza in orario, ma non fateci l'abitudine ;)
In realtà questa volta non ho molto da dire... ho scritto tutto sopra!
Certo, oh: ho viaggiato peso di fantasia eh!
Se qualcosa non è chiaro, comunque, chiedete tranquillamente :) semmai vi aggiungo su fb e vi dico lì le cose per bene.
Cooomunque... sorpresi almeno un pochino? >-<
Ho paura, prima di tutto, di aver reso male le emozioni, secondo poi ho paurissima che le creature scelte (che io AMO DA IMPAZZIRE) siano scontate... >.< l'unica cosa che vi dico è che non sono assolutamente come quelli di Twilight! Questi sono assassini, fine. È vero, i vampiri stanno alla luce del sole come quelli di Bram Stoker, ma di certo non brillano, e come i suoi sono infastiditi e più deboli.
Basta, via! Se volete chiedere qualcosa, sono al vostro servizio :D

Ringrazio di cuore Lucyvanplet93, Chie_Haruka, Yellow Canadair, Law_Death, Monkey_D_Alyce, ankoku, KuRaMa faN, Okami D Anima, Aliaaara, Phoenix_Sarah e Keyra Hanako D Hono per le bellissime recensioni che mi hanno lasciato nello scorso capitolo! Siete stati davvero dei tesori! ♥

Ora, prima di concludere, vi dico già il titolo che la ciurma apparirà tra due capitoli. Diciamo che da adesso saranno spesso alternati.
A presto, un bacione
Kiki ♥
 
 
 
SPAZIO DELUCIDAZIONI

Questi sono i “marchi”:
per i mannari: http://it.tinypic.com/r/x3t05/8
per i vampiri: http://it.tinypic.com/r/mj4z21/8
 
e i medaglioni:
per i mannari: http://it.tinypic.com/r/s6jb5l/8
per i vampiri: http://it.tinypic.com/r/359lq8i/8


Image and video hosting by TinyPicLo so, probabilmente sono io che mi convinco delle cose, ma... notate anche solo una vaga somiglianza?
Le immagini di Akemi e Týr sono state le più difficili da trovare proprio perché volevo che avessero una misera somiglianza (nel loro caso i colori e -a mio avviso- il taglio degli occhi, un po' la bocca e forse il naso).
Che ne dite? :/

 
  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: KikiShadow93