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Autore: Himeko _    09/07/2014    6 recensioni
Quando un cuore viene ferito ci mette molto per risanare la ferita. Esso crea attorno a sé delle barriere per impedire che venga nuovamente fatto a pezzi.
Ma cosa succederebbe, se lì fuori, con più di sette miliardi di persone nel Mondo, trovasse proprio la sua metà?
Sarebbe capace di abbassare le barriere, per battere all’unisono insieme alla sua metà?
[Estratto]
«Avrò del tempo per me, con te?».
Shade non rispose, limitandosi ad osservarla.
Rein era bella, bellissima, anche con i capelli spettinati raccolti in un'altrettanto disordinata treccia, il suo maglione addosso e quelle ridicole pantofole a forma di panda ai piedi.
Mi ami?, sembravano domandare gli occhi verde-acqua, vigili, nonostante la notte in bianco.
Non puoi immaginare quanto, rispose, cingendole delicatamente la vita, facendo scontrare lievemente le loro fronti per poter catturare ogni singola sfumatura del suo sguardo.
«Avrai tutto il tempo del mondo, con me».
// SOSPESA per mancanza d'ispirazione.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Rein, Shade
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The reasons of the heart


• Capitolo tre •

Best Friends.


Dacché si conoscessero, Auler, Lione, Mirlo e Rein erano sempre stati buoni amici e con il passare del tempo avevano instaurato uno strano legame di amicizia-fratellanza, invidiato da molti coetanei e non, desiderosi di provare sulla propria pelle quell’affinità così unica, spontanea e sincera.
Eppure, qualcosa stava cominciando a sfaldarsi, si ritrovò a pensare suo malgrado Rein, giocando distrattamente con la cannuccia del suo tè freddo, osservando - quasi fosse in trance - il liquido muoversi lentamente in senso antiorario.
Quel pensiero continuava a tormentarla dal momento in cui aveva ricevuto un messaggio da parte di Lione. Un messaggio troppo formale per presagire qualcosa di buono, perché “Ciao, spero che il tuo appuntamento sia andato bene. Fatti sentire qualche volta.” non era nel suo carattere. Per niente. I suoi messaggi avevano sempre delle faccine inserite da qualche parte nel testo, e non si limitava a scrivere solo due righe. No, scriveva sempre dei poemi.
Che avesse scoperto la sua relazione clandestina con Toma? Si era domandata la ragazza, allarmata. Ma se così fosse stato, era sicura che Lione glielo avrebbe detto senza tanti giri di parole.
Però…
Era stato in quel momento che aveva pensato che forse era il caso di confessare quel suo piccolo peccato, anche perché la prospettiva che lo scoprissero da soli, non la entusiasmava granché.
Così, dopo avere preso il coraggio a due mani, aveva scritto un veloce messaggio chiedendo ai suoi migliori amici d’incontrarsi in un locale poco fuori città; lo stesso che avevano scoperto quando si erano persi tornando indietro da Kyoto, dove avevano festeggiato il conseguimento del diploma. Un locale poco frequentato che, in breve tempo, era diventato il loro principale luogo d’incontro.
Le risposte erano arrivate velocemente.
La prima a rispondere era stata Mirlo, che le aveva domandato se doveva preoccuparsi.
Rein aveva sorriso, e le aveva risposto di “no”, senza aggiungere altro ad eccezione di uno smile sorridente, altrimenti – conoscendo il carattere della ragazza – l’avrebbe fatta stare in apprensione fino al giorno dell’incontro.
Il secondo a rispondere era stato Auler, dicendole scherzosamente che gli aveva appena rovinato un episodio strappalacrime della sua serie televisiva preferita.
La blu era scoppiata a ridere e gli aveva risposto con un scherzoso “gomen”.
Infine, era arrivata anche la risposta di Lione. Un semplice e distaccato “ci vediamo”, che l’aveva messa in allarme.
Lione sapeva.
E questo pensiero l’aveva accompagnata nei tre giorni a seguire, senza mai abbandonarla. Così aveva deciso di schiarirsi le idee ed era arrivata al luogo dell’incontro quarantacinque minuti prima, usufruendo, in quella giornata di pioggia, della linea urbana degli autobus, stranamente puntuale. Eppure, ricordava che la motivazione principale che l’aveva spinta verso la patente, riguardava il perenne ritardo dei mezzi di trasporto pubblici.
Espirò profondamente e prese un sorso della bevanda, rivolgendo un cenno di saluto alla ragazza che era appena entrata, facendo tintinnare i campanellini attaccati alla porta.
Quando essa prese posto difronte a lei, s’immerse nuovamente nelle sue riflessioni.
Lione era cambiata parecchio da quando l’aveva conosciuta.
Non era più la bambina timida ed impacciata che si ricordava; quella che cercava di mimetizzarsi con l’ambiente circostante per potere passare inosservata, quella che piangeva nascosta in bagno perché veniva presa in giro per il colore dei suoi capelli.
Ora era una donna ambiziosa, determinata e sicura di sé.
Ed aveva imparato a non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. Non permetteva più agli altri di credersi superiori a lei.
Rein prese un altro sorso della bevanda dolciastra.
Il processo di cambiamento era iniziato quando andavano alle medie, tuttavia, solamente alle superiori aveva dimostrato per la prima volta di che pasta era fatta.
Sophie, una delle ragazze più logorroiche che Rein avesse mai incontrato, non ricordandosi il suo nome, l’aveva chiamata Carota e questo non aveva fatto piacere all’arancione, che molto gentilmente si era presentata una seconda volta.
Alcuni loro compagni delle elementari, avevano sentito il nome, ed inevitabilmente “Carota” era diventato il soprannome di Lione, ma non era durato più di una settimana, dato che la ragazza si era ribellata.
«Carota? Non pensate che sia un po’ discriminatorio nei miei confronti?» aveva domandato retoricamente, assumendo un’aria pensierosa. «È come se io vi chiamassi “castagna” per il colore dei vostri capelli. Vi piacerebbe essere chiamati “Castagna”?» aveva continuato, lanciando loro uno sguardo di sfida e questi ultimi avevano negato con la testa. «Bene, vedo che ci siamo capiti» aveva concluso Lione, sorridendo. E nessuno l’aveva più chiamata “Carota”.
«A cosa stai pensando?» domandò Lione, notando il sorriso sul volto dell’amica.
«A niente», rispose Rein, «Carota», concluse notando il sopracciglio inarcato dell’arancione.
«Ancora con questa storia? Rein saranno passati secoli. Vuoi che ti trovi un soprannome orrendo, Blu
«Blu? Mi piace. Stavo pensando a quanto sei cambiata in questi anni» disse la blu puntando i suoi occhi verde-acqua in quelli color caramello dell’amica.
«Anche tu sei cambiata. Fa parte della vita, Rein».
«Sicura di non volere seguire anche il corso di filosofia?»
«E ritrovarmi te come vicina di banco? No, grazie».
«Così mi offendi» rispose Rein, imbronciandosi per alcuni secondi, prima di scoppiare a ridere insieme a Lione.
«Vi divertite senza di me?» domandò Mirlo, accomodandosi al fianco dell’arancione.
«Oh, non ci permetteremmo mai» le rispose la blu, facendo ridere la nuova arrivata.
Mirlo non l’aveva conosciuta alle elementari.
L’aveva incontrata per caso alle medie quando, durante una partita di pallavolo, aveva mancato una palla e questa aveva quasi colpito la ragazza, che stava camminando – ignara del pericolo – lungo la parete della palestra.
Rein le era corsa subito incontro e le aveva domandato scusa chiedendole se si fosse fatta male, decidendo di accompagnarla in infermeria per precauzione. Prima di allora non l’aveva mai vista a scuola, infatti erano state smistate in due classi differenti, ma questo non aveva impedito a Lione e Rein di legare con lei. Dopo un primo periodo di amicizia, avevano cominciato a pranzare insieme ed il secondo anno erano state smistate nella medesima classe ed erano diventate a tutti gli effetti un trio.
La blu era sempre stata convinta che Mirlo sarebbe stata la prima tra loro ad incontrare la sua anima gemella. Inoltre, era assolutamente certa che sarebbe stata un bravissima mamma.
Ed infatti, come se Rein avesse letto nel futuro, la castana era fidanzata da quasi cinque anni con Pastel, un ragazzo più grande di un anno.
La prima volta che Lione li aveva visti insieme aveva espresso ad alta voce lo stesso pensiero di Rein, «Quei due sono perfetti insieme. Le due metà della stessa mela». E non era passato molto prima che cominciassero a frequentarsi, prima da amici, poi da fidanzati.
Rein l’aveva sempre invidiata, non solo perché aveva trovato l’amore della sua vita subito, ma anche perché era tutto ciò che lei voleva essere: timida, gentile e dolce. E ciò la rendeva ancora più femminile di quanto non facessero già i suoi delicati lineamenti.
Senza alcun dubbio, la dolcezza era l’elemento che più caratterizzava Mirlo, come le aveva fatto notare Auler quando gliel’aveva presentata. Ed aveva ragione. Non si poteva non volere bene ad una ragazza come lei, e quella volta in cui l’aveva trovata al parco in lacrime per colpa della madre, era andata dalla donna e, presa dalla sua impulsività, le aveva detto di considerare maggiormente la figlia, perché era unica e speciale.
A pensarci ora, Rein si vergognava tremendamente di quell’azione così avventata, ma al tempo stesso ne andava fiera dato che il rapporto tra la sua migliore amica e la madre era notevolmente migliorato.
La blu sorseggiò il tè alla pesca, scoccando una rapida occhiata all’orologio dietro il bancone.
Le quattro e due minuti.
Auler era in ritardo. Come sempre.
La puntualità non era il suo forte, a meno che non si trattasse di Altezza, la sua fidanzata, nonché sorella minore di Bright.
A vederli sembravano una coppia strana. Più che una coppia, molti insinuavano che Auler fosse solo il fedele cagnolino della bionda, che non sembrava degnarlo di uno sguardo.
Quanto si sbagliavano. E Rein si era stancata di ripetere sempre «Mai giudicare un libro dalla copertina» o «Le apparenze ingannano».
Altezza, a differenza del fratello, si teneva sempre tutto dentro, perciò aveva difficoltà a mostrare agli altri le sue emozioni, ma con Auler era tutto diverso.
La prima volta che l’aveva vista sorridere spontaneamente era stato al compleanno di Auler.
La prima volta che l’aveva vista arrossire era stato quando il ragazzo le aveva chiesto un ballo.
La prima volta che l’aveva vista piangere era stato tra le braccia del suo migliore amico.
Si poteva dire che tutte le “prime volte” di Altezza fossero collegate ad Auler.
Quando Toulouse, cinque mesi prima, aveva scoperto che il suo genero perfetto si era fidanzato con la sorella di Bright, si era quasi messo a piangere. L’uomo lo aveva visto crescere e lo considerava come il figlio maschio che non aveva mai avuto, – senza nulla togliere alle sue adorate figlie –, ed era stato in quel preciso istante che Rein aveva compreso perché il padre avesse sempre allontanato tutti i ragazzi che le si avvicinavano. Tutti ad eccezione di uno: Auler.
Quando sua madre le aveva confermato la sua teoria, Rein era scoppiata a ridere dicendo, tra una risata ed un’altra, che tra lei ed Auler non ci sarebbe potuto essere nient’altro che andasse oltre dell’amicizia, dato che più che probabile fidanzato, l’aveva sempre considerato un fratello maggiore, sebbene fosse più piccolo di lei di un mese.
Toulouse ci era rimasto talmente male, che aveva aperto la bocca più volte senza emettere suono, cosa che aveva aumentato le risa della ragazza, conclusesi – piuttosto bruscamente – solo quando il padre l’aveva minacciata di toglierle la paghetta e la patente.
Eppure, ripensandoci, forse Auler non sarebbe stato male come fidanzato, ma sapeva che il ragazzo era destinato ad Altezza da sempre.
Quando aspirando, il liquido non raggiunse le sue labbra, Rein abbassò gli occhi notando con disappunto di avere finito la bevanda. Con un sospiro si staccò dalla cannuccia e guardò difronte a sé, accorgendosi di avere tre paia di occhi fissi sulla sua figura.
«E tu quando sei arrivato?» domandò ad Auler, che con un gesto della mano sviò la domanda, arrossendo.
«Rein, sicura che vada tutto bene?» domandò Mirlo con apprensione.
«Ti abbiamo chiamata non so quante volte, ma continuavi a fissare quell’orologio in trance» disse Lione, senza celare una nota d’allarmismo nella voce.
Rein prese un profondo respiro e li guardò negli occhi.
Il momento della rivelazione era giunto e sperava con tutto il cuore che provassero a capirla.
Presa da un attimo di esitazione, abbassò lo sguardo e cominciò a giocherellare con il ghiaccio presente nel bicchiere di vetro.
«Rein?» la chiamò Auler, guardando velocemente le altre due, preoccupato.
Rein prese un altro respiro.
Cosa doveva dire?
No, sapeva cosa doveva dire, ma… come?
Si era preparato un bel discorso, ma ora le pareva troppo formale, troppo freddo, troppo distaccato, troppo… troppo.
Vi ho riuniti qui perché vi devo confessare una cosa.
No.
Se avesse iniziato così, Mirlo si sarebbe preoccupata più del dovuto, Lione avrebbe avuto conferma ai suoi dubbi ed Auler avrebbe chiamato un’ambulanza.
Cosa doveva fare?
Sentì gli occhi inumidirsi e si morse il labbro inferiore.
Non era il caso di farsi prendere dal panico.
Lasciò andare la cannuccia e mise le mani, dai palmi aperti, sulle ginocchia coperte dai jeans blu.
Perché tutti erano cambiati e lei rimaneva sempre la stessa?
Perché doveva vedere gli altri allontanarsi da lei?
Perché, per quanti sforzi facesse, lei stava sempre un gradino indietro rispetto agli altri?
Perché tutti avevano trovato il coraggio di affrontare le loro paure, mentre lei non ci riusciva?
Perché ora non era in grado di confessare chi frequentava?
Lei non era determinata come Lione, che aveva sempre saputo di voler diventare una scrittrice e, una volta finito il liceo, si era iscritta presso la migliore Università di Lettere Moderne della capitale. Lei l’aveva seguita spinta dalla passione per il giornalismo, ma al tempo stesso aveva deciso di seguire anche il corso di filosofia perché indecisa. Era stata una sorpresa scoprire che i corsi che seguiva le avrebbero garantito una perfetta formazione giornalistica di base.
Lei non era dolce come Mirlo, capace di trovare le parole adatte in ogni situazione.
Lei non era risoluta come Auler, che sarebbe sicuramente diventato un ottimo avvocato.
Lei era Rein, una ragazza che aveva paura di mostrare la sua fragilità agli altri per non farli preoccupare.
Una ragazza che non ammetteva nemmeno a se stessa di essere fragile, di avere bisogno di qualcuno pronto a sostenerla ogniqualvolta sarebbe caduta.
Strinse le mani a pugno, sentendo le unghie conficcarsi lentamente nei palmi delle mani.
Doveva cambiare.
Adesso.
Ora.
In quel esatto istante.
O ne sarebbe andato del gruppo.
Non poteva mentire alle persone a lei più care. Che razza di amica era?
Prese l’ennesimo grosso respiro, stringendo maggiormente i pugni, facendo sbiancare le nocche.
«Esco con Toma, il professore di giornalismo politico».
Ecco, l’aveva detto.
Aveva appena fatto esplodere la bomba.
Catturata dal silenzio che aveva seguito la sua confessione, alzò gli occhi e vide quelli seri di Lione scrutarla attentamente, quelli dolci e un po’ spaesati di Mirlo osservarla con preoccupazione, e quelli spalancati di Auler incapaci d’intendere e volere.
Senza alcun dubbio, il più sorpreso fra i tre era proprio il ragazzo.
Adesso le avrebbero detto che era un’incosciente, pensò Rein, preparandosi al dibattito che sarebbe seguito a breve.
Lione dapprima sorrise, poi scoppiò a ridere.
Mirlo le sorrise dolcemente.
Auler accennò una risata, scrutandola attentamente negli occhi, cercando di capire se si trattasse di uno scherzo.
Ecco, come aveva previsto ridevano.

Cosa?
«Devi…» cominciò Lione, interrompendosi a causa di un attacco di risa. «Devi vedere la tua espressione!» disse, reprimendo a fatica le risate.
Rein sbatté più volte le palpebre, aprendo e chiudendo la bocca senza sapere cosa dire, facendo aumentare le risate di Lione, alle quali si aggiunsero anche quelle di Auler e Mirlo.
Fra tutte le reazioni che si era immaginata, questa non l’aveva neanche presa in considerazione.
«Io… io vi dico che frequento un professore e voi… ridete?» domandò incredula Rein, che si aspettava una sfuriata da parte dell’arancione.
«Scusaci, ma la tua espressione era troppo divertente» disse quest’ultima, contrastando con un colpo di tosse le risate che le risalivano la gola. «Comunque, io e Mirlo lo sapevamo. Vi abbiamo visti a braccetto in centro».
«Cosa?… voi… tu… io… non mi avete detto niente!»
«Volevamo che fossi tu a parlarcene… quando sarebbe arrivato il momento. Non volevamo metterti alcuna pressione» spiegò Mirlo, scusandosi – con un gesto della mano – per la risata di prima.
«Io… non vi scoccia? Non siete arrabbiati?»
«Perché dovremmo? La vita è tua, cognatina» disse Auler accennando un sorriso. «Che sia chiaro, se quello prova a farti del male o ti fa soffrire, se la vedrà con me. E non m’importa se è più grande di me ed è un professore».
«C-Cognatina?» domandò perplessa Rein, ringraziando con lo sguardo l’amico.
«Sposando Bright, Fine è diventata la cognata di Altezza, ponendoti al suo stesso livello. Quindi, dato che io frequento la sorella minore di tuo cognato, sei anche mia cognata» spiegò Auler giocando con le parole, ridendo divertito all’espressione confusa sul volto della blu, seguito a ruota da Mirlo e Lione.
«Toglimi una curiosità, Rein» disse Auler, ricomponendosi, catturando l’attenzione dell’amica d’infanzia e delle altre due ragazze. «Toma, oltre ad essere uno tra i migliori insegnanti di giornalismo politico del Giappone, è bravo anche a letto?»
«Auler!»

  



 

Note dell’Autrice:
Buongiorno,
sono le 01.00 a.m. ed io mi accingo a pubblicare il terzo capitolo della storia.
Pensavate fossi così perfida da aggiornare a fine mese, come avevo accennato a qualcuno?
Sorpresa!
Questa volta il capitolo è piuttosto lungo e non è suddiviso in più parti. Anzi, in alcuni parti Rein ripensa a come è nata l’amicizia con gli altri tre, ma ho preferito tenere il capitolo unito, altrimenti non si capiva niente.
Vorrei precisare che l’unica parte pensata con malizia è stata l’ultima, quando Auler fa una domanda piuttosto diretta a Rein - confesso che avrei voluto scrivere le reazioni ed i pensieri, ma poi tuto sarebbe diventato troppo lungo e sono sicura che vi sareste addormentati, se non vi foste addormentati prima -, mentre la parte delle “prime volte” di Altezza non riguarda niente a sfondo sessuale!
Spero che il titolo abbia rispecchiato fedelmente il contenuto del capitolo, che ho letto e ricorretto talmente tante volte da non ricordarmi più nemmeno la versione originale. Inoltre, vi dico subito che quest’ultima versione non l’ho riletta perché mi si incrociavano gli occhi - anche mettendo su gli occhiali da riposo -, quindi confido in voi nel caso incontraste degli errori ortografici.
Inoltre, sono perfettamente consapevole che questo capitolo risulta un po’ pesante, nonostante io abbia tentato di risvegliarvi con le battute finali.
E mi accorgo anche di avere caratterizzato Rein con un po’ troppa complessità. Della serie: mi sono tirata la zappa sui piedi da sola.  ç_ç
Vi aspettavate queste reazioni da parte dei ragazzi? Sinceramente, io no. E pensare che il capitolo l’ho scritto io. Oggi sono proprio un grande controsenso. E sto delirando. Vabbe’.
Vi aspettavate un tormento interiore del genere da parte di Rein? Io no. Ma davvero?
Credete che le reazioni di Mirlo, Lione ed Auler siano state … esagerate? Poco coerenti? Inaspettate? Lontano anni luce da come dovevano essere?
E dato che sto per addormentarmi sulla tastiera e sto delirando, pesantemente, me ne vado a dormire per il vostro bene.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Uh, dimenticavo, nel prossimo capitolo avremo sicuramente una comparsa femminile, chi sa chi sarà ... ha gli occhi celesti e viaggia sempre su una stella, e forse una comparsa maschile, forse.
Dimenticavo, gomen significa “scusa, mi dispiace” in giapponese.
Buonanotte, ♥
Himeko
  
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