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Autore: Ortro_the_storyteller    09/07/2014    5 recensioni
OCDF, ovvero: Ospedale Centrale Danni da Feels. Nata da una delirante idea di DrStein e Rosaspina7, ecco a voi la fanfiction che vi mostrerà il dottor Edoardo D'Angelo e la tirocinante Sara Spinozi alle prese con fangirls e fanboys rimasti vittime dei loro feels distrutti.
Se la storia vi piace, potrete anche chiedere di essere inseriti come pazienti.
Genere: Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Giorno 1: malattie e letti






Quando fummo entrati tutti il “dottore” si mise di nuovo davanti a noi, facendoci segno di stare attenti.

“Prima o poi te la sego via quella mano” pensai innervosita, mentre lui parlava << Alloraaa… Qui abbiamo varie tipologie di pazienti: chi è sconvolto da una morte, chi voleva che certa gente si mettesse assieme, chi non ha sopportato la fine della saga e bla bla bla… Fatemi vedere come vi muovete e se avrete grossi problemi interverrò io. >>

Finalmente, ci fece entrare nella corsia e aprì la prima porta: due dei quattro letti erano occupati da ragazze ma una terza paziente, che doveva essere venuta da un’altra stanza portandosi la flebo appresso, era seduta accanto a una di loro e le tre chiacchieravano allegramente.

<< … che poi io ho sempre pensato che Silente e la McGranitt fossero una coppia. >>

<< Anche io, sono rimasta di sasso quando ho scoperto che lui era innamorato di Grindelwald! >>

<< E la storia della McGranitt su Pottermore l’avete letta? Io mi sono commossa. >>

Dopo che anche l’ultimo di noi fu entrato, il dottore chiuse la porta e si avvicinò alle ragazze.

<< Scusate l’interruzione, ma purtroppo oggi mi hanno affibbiato un po’ di tirocinanti da scarrozzare per il reparto; fate pure come se non ci fossimo, tanto a spaventarli ci penso io. Ah, signorina Riccardi, vedo che ha lasciato la sua stanza, vuol dire che si sente meglio? >>

Dovevo ammettere che, benché il suo tono fosse sempre scostante, sembrava realmente interessato alla salute di quella ragazza che, mi accorsi, aveva l’aria un po’ sciupata e delle pesanti occhiaie.

<< Sì, un po’ meglio, grazie. >>

<< Ottimo. Dunque, chi di voi matricole si azzarda a fare un ipotesi sul perché le qui presenti signorine sono ricoverate? >>

Era la mia occasione.

<< Io. Vorrei provare io. >>

<< Bene, signorina… Spinozi, giusto? Dia pure inizio alle danze. Può farmi delle domande sui loro sintomi se vuole. >>

<< Vediamo… Le due pazienti di questa stanza non hanno flebo attaccate nè sembrano sottoposte a trattamenti particolari e non vedo grandi segni di sofferenza fisica; immagino che il motivo del loro ricovero sia di natura relativamente leggera, come una Crisi di Astinenza dalla Saga o una Sindrome da Incomprensione. L’altra ragazza, invece, ha probabilmente problematiche più serie, direi una Crisi da Shipper o un Trauma Permanente da Morte Personaggio. >> Lo fissai negli occhi, decisa a non perdermi il suo sguardo quando avrebbe dovuto ammettere che ero diversa dagli altri e che non poteva trattarmi come un’idiota.

<< Signorina Spinozi, riconosco che ha studiato. Tuttavia, imparerà presto che qui non basta aver imparato a memoria un paio di nozioni o un minimo di spirito di osservazione, perciò si tolga quell’aria compiaciuta e saccente dalla faccia e si ricordi che è una novellina senza un briciolo di competenza come tutti i suoi compagni. >> Quella risposta mi fece avvampare, non saprei dire se più dalla rabbia o dalla vergogna. Quel pallone gonfiato mi aveva umiliata davanti a tutti e, per giunta, aveva anche colto nel segno: molti in facoltà mi consideravano un’antipatica so tutto io, perciò non mi stupii più di tanto quando mi accorsi che alcuni di loro ridacchiavano, guardando prima me e poi l’idiota.

<< E anche voi fareste meglio a smettere di ridere, signori: oltre alla mano della signorina Spinozi non ho visto nessuno cercare di rispondere, quindi A: siete degli sfaticati e svogliati o B: siete un branco scimmie rasate e sotto allucinogeni che veramente non sapevano descrivere la malattia… Io propendo per l’opzione B, fareste meglio a cercare di farmi cambiare idea. >> L’insulto non era proprio teso a prendere le mie difese, ma almeno aveva zittito quei pochi che avevano ridacchiato.

<< Comunque, come la perspicace signorina Spinozi ha fatto notare poco fa, le ragazze qui ricoverate soffrono entrambe di una leggera forma di Crisi di Astinenza da Saga, nulla di grave, è stato dimostrato che il contatto reciproco fra fan è molto efficace nel combattere la sensazione di malinconia e tristezza che assale i malati, la settimana prossima saranno già dimesse, dovranno solo continuare a tenersi in contatto per evitare una possibile ricaduta; noi vogliamo giusto assicurarci che si siano davvero riprese prima di mandarle a casa. >>

Il tono in cui stava illustrando la malattia e il trattamento necessario a debellarla era pratico, sbrigativo e molto conciso: poteva anche essere un’idiota, ma era stato bravo, ci aveva fornito tutti i dati che potevano servire per archiviare il caso e dimettere le pazienti il più in fretta possibile.

<< Bene, ora se avete finito di stare lì a fissarle come ebeti possiamo pure proseguire: signorine, buona giornata. >> Con un breve cenno, il dottore ci fece cenno di seguirlo, lasciando le ragazze sole a chiacchierare, mentre anche qualcuno del gruppo cominciava a scambiarsi commenti << Che antipatico che è questo, spero che non sia lui a farci da mentore. >> << “Però è bravo, ha spiegato molto bene come curare questo caso. >> Il dottore continuava a passeggiare, fermandosi di tanto in tanto, come se aspettasse qualcosa, sbirciando i vari pazienti.

<< Pff, si crede chissà chi, ma alla fine ‘sto lavoro non è nulla di che, una diagnosi del genere avrei potuto farla anche io. >>

Non riuscii a capire subito da dove fosse venuto il commento, ma mi fece rizzare i capelli e storcere il naso: se non gli sembrava nulla di che perché diamine aveva scelto di frequentare il corso? Evidentemente, quell’intervento non aveva disturbato solo me, perché anche il dottore si  fermò di botto, guardando l’autore del commento con uno sguardo divertito e allo stesso tempo infuriato, sorridendo sornione.

<< Ah sì? Allora forse mi sono sbagliato, non siete un branco di ignoranti… Facciamo così: la prossima diagnosi la fai tu, e ti prometto solennemente una cosa, ovvero che il paziente che sceglierò sarà uno di quelli la cui diagnosi è già stata fatta e avrà sintomi inequivocabili, così saremo sicuri che tu non possa sbagliare, che ne dici? >>

Il ragazzo che aveva fatto il commento, un biondino dalla faccia da topo, ebbe il tempo di dire solo << Ehm… >> prima che il dottore si avviasse verso il fondo del corridoio, entrando in una stanza e facendoci segno di fare altrettanto.

Riuscii a essere una dei primi a imbucarmi, anche perché lo spazio non era molto, e parecchi della classe dovettero accontentarsi di sbirciare dalla porta.

Il paziente indossava la consueta veste bianca, ma, al contrario di quelli precedenti, faceva davvero impressione: era pallido e smunto, stava rannicchiato sul lettino in posizione fetale, teneva un libro sgualcito stretto al petto, l’ago della flebo gli perforava l’incavo del braccio magro, gli occhi erano gonfi di pianto, iniettati di sangue e cerchiati da pesanti occhiaie.

<< Allora? Nessuna intuizione geniale, Topolino? >> La frecciatina lanciata dal dottore trovò subito risposta in un paio di risatine nel gruppo e nella faccia indignata del ragazzo, che però fu costretto ad arrendersi.

<< No, dottore, non ne ho idea. >>

<< Chissà perché, ma me l’aspettavo… >> Subito dopo aver espulso questa nota di disprezzo, il dottore si avvicinò al paziente, studiandolo con occhio critico, ne esaminò la cartella e borbottò qualcosa sottovoce, prima di farci uscire.

<< Allora >> riprese, come se non fosse mai stato interrotto << Sono sicuro che alcuni di voi hanno visto in che condizioni è il paziente: non dorme da nove giorni, se non a brevissimi intervalli di 1-2 ore, ha la sindrome del tunnel carpale alla mano destra in rapido aggravamento, è denutrito e isterico, anche se quest’ultimo sintomo non avete avuto tempo di sperimentarlo… in breve, è affetto da “Crisi di Crescita Libro-Lettore” anche se in lui è particolarmente grave: i lettori che si affezionano ad un personaggio, ed hanno modo di seguire le uscite dei libri sin dall’inizio, possono subire traumi molto pesanti quando la saga finisce. Pensate: quel libro ormai è troppo importante, voi siete cresciuti con quei personaggi, occupano un posto troppo ampio nella vostra vita, come potete sostituirli? Sono questi i ragionamenti - anche inconsci - che portano a sviluppare la “Crisi di Crescita Libro-Lettore”  e ad un progressivo isolamento e incuria verso se stessi: tali condizioni si aggravano nel tempo, ed è molto difficile da curare perché, per quanto possiamo aiutare il paziente, è questi che deve fare il primo passo e staccarsi dal libro, andando avanti. >>

Lasciati passare un paio di secondi, il dottore parlò di nuovo, senza però rivolgersi a noi << Ehi! Fede, vieni qui un attimo. >> Alla sua richiesta rispose un’infermiera bionda che stava trasportando una flebo in giro per i corridoi.

<< Sì, dottore? >>

<< Dai al signor Russo una tavoletta di cioccolata per tirargli su il morale… e anche una tazza di latte caldo con miele,  se non da segni di miglioramento entro una settimana dallo per perso, è tutto quello che possiamo fare. >> La sua voce suonava stanca e annoiata, come se avesse perso qualunque interesse per quel paziente.

<< Siamo davvero così impotenti? >> Disse una ragazza dai capelli scuri, che ricordavo vagamente come una che agli esami prendeva sempre voti alti. Quasi quanto me.

<< Ecco un domanda quasi intelligente >> rispose il dottore, lasciando che la sua espressione annoiata venisse sostituita da una più interessata << Ovviamente no, altrimenti questo ospedale non avrebbe ragione d’esistere, ma non dovete pensare che questo sia un lavoro facile: solo perché non stiamo tutto il giorno a tagliuzzare i corpi dei nostri pazienti, non vuol dire che siamo da meno dei normali dottori… anzi, il nostro lavoro richiede una pazienza e una meticolosità da segare il 40% dei novellini ogni anno >> mentre continuava il discorso, trovò anche il tempo di lanciare al biondino di prima un’occhiata di malcelato divertimento, come si aspettasse di vederlo abbandonare il corso il giorno dopo << Il nostro compito, infatti, non è solo dare dolcetti ai pazienti per tirarli su di morale mentre aspettiamo che guariscano: dobbiamo parlare con loro, ascoltarli e capire come si sentono, per poter scegliere la terapia migliore da proporgli… Con alcuni è facile, basta lasciarli sfogare un po’ assieme perché ritrovino la calma e la serenità di cui hanno bisogno, mentre altri versano in condizioni così brutte da rendere il loro recupero quasi impossibile. >> Parlava con schiettezza e sincerità, ci stava dicendo esattamente quello ci aspettava: un lavoro duro, a volte bello, a volte brutto, e altre volte ancora semplicemente insopportabile, ma sarebbe servito ad aiutare centinaia di persone che, volenti o nolenti, non avrebbero avuto nessuna ancora di salvezza, se non quella che gli avremmo offerto noi con il nostro lavoro.

<< Nonostante tutto, uno volta che avrete cominciato ad occuparvi di un paziente, dovrete dare l’anima pur di cercare di tirarlo fuori da una vita fatta di depressione e tristezza, andando fino in fondo, senza mai arrendervi o cercare di mollare il caso a qualcun altro: questi poveretti sono già abbastanza depressi da soli, senza che debbano vedere il loro dottore che li lascia da soli perché li considera delle cause perse. >>

<< E se fossero delle cause perse, come il paziente in quella stanza? >> Era stata ancora la ragazza dai capelli scuri a parlare, desiderosa di soddisfare anche quella curiosità.

<< In quel caso, avete ancora due scelte: tirare fuori le palle e provare ancora, oppure rassegnarvi e dimetterlo, facendogli seguire delle terapie che allevieranno i sintomi senza però curarlo completamente… Per la cronaca, il paziente in quella stanza è considerato “irrecuperabile” da circa otto mesi, ma il dottore assegnatogli ha cercato di cambiare terapia almeno altre 11 volte prima di chiamarmi per chiedermi un parere. >>

A queste rivelazioni, un brusio si sollevò tra i miei compagni; erano preoccupati, spaventati, stupiti da ciò che avevano sentito. Era vero, probabilmente fino a quel momento nessuno di noi aveva capito seriamente cosa ci aspettava, ma questo non cambiava le cose: volevo diventare un medico e lavorare in quell’ospedale e quel dottore presuntuoso non mi avrebbe fatto cambiare idea. Certo, vedere un paziente in quelle condizioni non era piacevole e se quella in cui ci trovavamo era un’ala tranquilla, allora…

<< Quando potremo occuparci di qualche paziente? >> Mi imposi di fare quella domanda per scacciare in fretta quella prima insicurezza; dopotutto, era un momento che stavamo aspettando tutti e prima sarebbe arrivato prima avrei riguadagnato fiducia in me stessa.

<< Di norma vorrei assicurarmi prima di aver fatto comprendere a tutti l’importanza e le difficoltà del nostro lavoro, signorina Spinozi >> disse il dottore, scoccandomi un’occhiata a metà fra il seccato e il divertito << Ma dato che vorrei vedere se vale la pena di perdere del tempo a insegnarvi questo mestiere, oggi vi ho portato in un’ala tranquilla per farvi fare un po’ di esperienza sul campo con qualche paziente semplice: seguitemi, ora andremo ad assegnarvi i vostri primi casi. >> Detto ciò, fece marcia indietro, guidandoci fino all’inizio del reparto, per poi farci entrare in una grande stanza dove i pazienti, tranquilli, erano sistemati nei loro lettini o seduti sulla moquette a giocare a carte o a parlottare dei loro libri preferiti.

<< Eccoci arrivati: questa è la sala d’attesa dove tutti i pazienti a cui non è ancora stata diagnosticata la malattia vengono portati, per poi essere assegnati ad una stanza e, di conseguenza, ad un dottore in particolare. Voi non vi siete ancora laureati, non potete prendervi personalmente cura dei pazienti, ma seguirete il dottore che se ne occupa, che vi dirà come muovervi con i “vostri” pazienti senza portarli al suicidio per incompetenza. >>

“Ancora con questa storia dell’incompetenza? Insomma, farci capire la serietà del lavoro va bene, farci rendere conto della nostra inesperienza anche, ma solo un idiota si farebbe spaventare ora dall’ennesima minaccia sempre uguale.” Non feci neanche in tempo a finire di pensarlo che faccia di topo parlò, con la voce così acuta dalla paura che sembrava davvero uno squittio.

<< Suicidio? C - Come sarebbe a dire? Non potete darci questa responsabilità, l’ha detto lei, non siamo pronti, non voglio avere una vita sulla coscienza… >> Ecco, le mie erano state le ultime parole famose o, per meglio dire, gli ultimi pensieri famosi.

Il dottore gli scoccò un’occhiata infuocata, probabilmente chiedendosi se quel ragazzino stesse dicendo sul serio o lo stesse facendo per spiritosaggine.

<< Ora, voglio che tutti quelli che hanno creduto che qui dentro sia prassi comune far morire i pazienti alzino la mano >> il tono era glaciale, e il biondino dovette accorgersi che era stato l’unico a pensare quell’idiozia, perché divenne tutto rosso e cercò di sparire, andando a nascondersi dietro gli altri tirocinanti.

<< Bene, ora, se abbiamo finito con le domande stupide, vediamo di assegnarvi qualcuno, mettevi in fila, forza. >> Dopo averci fatto sistemare come in un confronto all’americana, il dottore ci analizzò a lungo, prima di cominciare a indicarci per assegnarci i letti su cui giacevano i nostri primi pazienti.

<< Allora, Topolino, tu sei il primo >> disse, puntandogli il dito contro anche se era a metà della fila << E ti posso assicurare che farò di tutto per farti capire che qui dentro non si gioca, poco importa cosa ti abbiano insegnato quei barbagianni dell’università. >> Sorridendo malevolo, il dottore fermò un’altra infermiera che passava proprio in quel momento << Ehi, Denise, dei pazienti che sono stati visitati stamattina, quanti me ne hanno assegnati? >> La ragazza corrugò la fronte, sforzandosi di ricordare << Quattro, mi sembra: i letti sono il 4, l’8, l’11 e il 17. >> Detto questo, si defilò, andando ad aiutare un paziente che stava cercando di scrivere con una penna infilata nel naso.

<< Sentito, biondino? Letto numero 8 per te, mi auguro che sia qualcosa di grave. >> Il ragazzo con la faccia da topo non ebbe altra scelta se non quella di avviarsi verso il letto designato, mentre il dottore continuava ad assegnare gli altri letti, e mano a mano che proseguiva si poteva notare il sollievo di chi non avrebbe dovuto trovarsi sotto l’ala di quel tipo bizzarro e dispotico: oltre al biondino, venne scelto un ragazzone calvo che si sarebbe dovuto occupare del paziente del letto 17, un ragazzo, assegnato al letto 4, che continuava a rosicchiarsi convulsamente le unghie per il nervosismo, e io, che, guarda caso, venni tenuta per ultima.

<< Mi sa che abbiamo finito i letti >> disse, quando fu il momento di assegnarmene uno, dopo che altre ventuno persone avevano ricevuto il loro paziente << Mi sa proprio che mi toccherà prenderti con me, se ti assegnassi a qualcun altro potrebbero fare il madornale errore di fidarsi a lasciarti un paziente: con il letto 11, invece, sarai sempre seguita e controllata; divertente, no? >> Cercai, devo ammettere, senza troppo successo, di nascondere un sorriso trionfante; che mi prendesse pure in giro quanto voleva, era evidente che mi aveva scelto perché aveva capito che ero brava. Certo, l’idea di averlo sempre con il fiato sul collo, pronto a riprendermi per ogni minima mancanza, non era esattamente piacevole, ma era una sfida per migliorare, una sfida contro lui e contro me stessa, e io le sfide amavo giocarle e vincerle. Per ora, il punteggio era sull’uno a zero per me. Il dottore, di cui ora avrei fatto bene a memorizzare il nome, si era già allontanato senza aspettare una mia risposta, ma come mi mossi per cercare il letto 11 lo sentii esclamare: << Ah, mi sembrava di averglielo già detto, signorina: si tolga quel sorriso dalla faccia. >>

Sorridendo ancora di più, con il cuore che andava a mille dall’emozione, mi preparai a conoscere il mio primo paziente.

<< Cosa credete di fare? >> Ci chiese con tono stupito, vedendo che alcuni di noi si erano girati per conoscere i propri pazienti << Solo perché vi ho assegnato dei pazienti non vuol dire che potete fare a meno di vedere il resto dell’ospedale… e, sopratutto, abbiate il buon cuore di lasciarli in pace: vi dovranno già sopportare per le prossime settimane, almeno oggi lasciateli tranquilli, potrete cominciare domani a maltrattarli. >> Per l’ennesima volta, ci fece cenno di seguirlo, andando a perdersi di nuovo nei corridoi dell’ospedale, mentre i più entusiasti fra di noi sbuffavano di insoddisfazione e lasciavano i pazienti dopo un breve saluto, seguendo il dottore sconsolati.

“Domani” mi dissi, elettrizzata “Domani cominceremo a fare sul serio.”



n.d.a.


State davvero leggendo le ♪♫ note? ♫♪ ne avete di pazienza…


Allora, la frase finale è un po’ una promessa e una scusa per voi che leggete questa fanfiction: dalla prossima volta entreremo per DAVVERO nel vivo dell’ospedale e dei suoi pazienti, ma questi due capitoli ci sono serviti per introdurre le meccaniche dell’ospedale, dato che, per esigenze di scrittura, non potevamo strutturalo come un normale ospedale: ecco perché trovate le varie ali divise per fandom, e non per tipo di trauma: ci scusiamo per tutti gli studenti di medicina che ci leggono e che staranno pensando “ma un ospedale non funziona così!” ma nessuno di noi ha una minima idea di come funzioni, e ci siamo dovuti affidare a gente su internet che è stata così gentile da chiarirci qualche dubbio sugli ospedali e sui tirocini.

Se tutto questo non vi disturba, vi prego, continuate a seguirci :3

Ah, dimenticavo (nel vero senso della parola, è stata Sara a ricordarmelo) di ringraziare hufflepufforever_5 che ci ha lasciato una recensione (nel prossimo episodio la inseriremo, come promesso u_u) e Alexia96 e AlwaysPotterhead394 che hanno messo la nostra serie fra le “seguite”


P.S. Stavolta le note sono opera di Edo, io ero impegnata a preparare una barricata per difenderci da eventuali studenti di medicina o medici infuriati, lettori insoddisfatti e così via. Piano con i lanci di ortaggi che se mi sporcate il vestito poi mi tocca fare una lavatrice e con questo caldo mi pesa anche premere i tasti per scrivere.


P.P.S. Se la fanfiction non vi ha fatto troppo schifo e vi considerate dei malati cronici; potete inviarci un messaggio e chiedere di essere inseriti come pazienti in qualunque fandom vogliate (ammesso che almeno uno di noi due lo conosca) e di lasciarci nome/cognome fittizi o qualche caratteristica fisica, e verrete inseriti come malati di mente che sono incapaci di sopravvivere senza il conforto di un personaggio immaginario! Che affarone, vero?

Ok, ora la smetto.

E.


   
 
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