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Autore: CoralOwen    09/07/2014    0 recensioni
Coraline Owen è una ragazza di diciassette anni, che non ha mai avuto l'occasione di uscire di casa e conoscere gente. In tutta la sua vita i suoi unici conoscenti sono stati in quattro. Le cose cambiano però quando si ritrova costretta a fuggire dalla casa in cui ha passato interamente la sua vita. Farà la conoscenza di un ragazzo che le farà scoprire che la vita non è affatto come credeva lei, ma qualcosa di più pericoloso si cela dietro l'apparenza. Si ritroverà costretta a fuggire da nemici che fino a poco tempo prima nemmeno conosceva.
*L'avvertimento "contenuti forti" è solamente per il primo capitolo, ma non vi spaventate, non c'è niente di troppo sconvolgente. Diciamo solo che è vagamente horror.*
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Una sensazione di vuoto sotto di me mi fece risvegliare. Aprii gli occhi, agitandomi per via della strana sensazione che provavo, urtando qualcosa e scatennado un rumore rimbombante.
“Se non la smetti di fare tutto questo fracasso ti vedranno subito.” mi sentii dire.
Il tono era tranquillo, ma la voce era diversa da quelle che avevo sentito fino a quel momento. La mia amica Miky e le mie insegnanti avevano una voce leggera e acuta, mentre le mie orecchie in quel momento ne percepivano invece una leggermente più forte e grave.
Alzai lo sguardo verso la fonte di quella voce.  Due occhi dorati mi fissavano preoccupati.
Non mi soffermai a ragionare sul perché fossero in ansia, poiché la mia attenzione venne catturata dai miliardi di tonalità di riflessi dorati che andavano dal castano chiaro, fino ad arrivare ad un oro intenso. Quegli occhi sapevano di sole e di caldo, come la mia città natale che ero stata costretta a lasciare e che mi mancava già.
Successivamente mi resi conto che quel ragazzo stava fissando la ferita che avevo sul collo e che continuava a farmi male. Evidentemente non dovevo avere un bell'aspetto.
Sentendomi esaminata spostai lo sguardo altrove in imbarazzo e mi guardai intorno. Il ragazzo mi stava trasportando su per una rampa di scale. L'ambiente sembrava abbastanza lussuoso, con delle scale di marmo sulle quali scendeva morbido un rosso tappetino di moquette che donava un'aria elegante.
L'oggetto che avevo urtato risvegliandomi giaceva ora per terra ai piedi delle scale. Era una lampada in ottone che stava su un tavolino posto a metà della scalinata.
Non feci in tempo ad osservare nient'altro che varcammo una porta, subito dopo esser giunti al primo piano. Mi ritrovai poggiata su un letto, in una stanza piuttosto ampia, nonostante fosse comunque più piccola della mia camera.
La stanza sembrava un po' disordinata, con un armadio dalle ante mezze aperte dalle quali si intravedevano vestiti spiegazzati e delle mensole sulle quali erano poggiati oggetti di tutti i tipi. Sul muro opposto all'armadio si trovava una grande finestra, della quale approfittai per sbirciare di fuori e farmi un'idea vaga di dove ero. I miei occhi incontrarono solamente il profilo di altre ville e palazzi, che coprivano la visuale di qualsiasi altra cosa, lasciandomi nel dubbio.
In un lato della stanza erano posti un televisore e una scrivania con un computer. Nonostante il momento non potei non provare una punta di invidia dato che erano cose che avevo sempre desideraro, ma mio padre non aveva mai comprato. Non ci mancavano i soldi, anzi, però lui era convinto che fossero cattivi mezzi di informazione.
"Allora, chi sei? Hai un posto dove andare? O qualcuno da avvertire?"
Mi girai verso di lui e lo osservai. I capelli castani chiari se ne stavano spettinati a coprirgli in parte le orecchie e la fronte. Mio padre quando si svegliava aveva dei capelli del genere, ma non ci pensava nemmeno ad andare a lavorare in quel modo, eppure a quel ragazzo sembravano stare perfettamente. Quei capelli, così come i suoi occhi, erano un susseguirsi di riflessi di luci dorate ora che erano illuminati dal sole del tramonto proveniente dalla finestra.
Io ero magra, ma lui sembrava esserlo più di me nonostante la sua massa muscolare era più evidente della mia. E pensare che mi allenavo tutti i giorni.
Non amavo parlare in generale, tanto meno con chi non conoscevo, e dopo ciò che avevo vissuto la mia voglia di rispondergli era pressoché nulla, così rimasi in silenzio continuando a studiarlo. Era così diverso da tutte le persone che conoscevo!
"Vuoi rispondermi?" insistette.
Distolsi lo sguardo, ma lui, qualche istante dopo, mi prese delicatamente per il mento, facendomi girare verso di lui.
Quel gesto mi mandò in ira. Non volevo essere toccata, il contatto con qualcuno mi infastidiva e persino la mia amica Miky mi abbracciava raramente. Come si permetteva quel ragazzo?
Convinta di essere più veloce di lui gli tirai un pugno che, per mia grande  sorpresa, venne intercettato e la mia mano rimase bloccata nella sua. Rimasi sgomenta. Non poteva essere una comune persona, altrimenti non avrebbe avuto quei riflessi. Provai a bloccarlo con una mossa semplice ma efficace, ma lui riuscì a liberarsi e questa volta contrattaccò. Provò a bloccarmi a sua volta e ci ritrovammo a fare forza per non permettere all'altro di avere la meglio.
"Sei una di loro!" mi sentii dire con una punta di odio.
I miei muscoli iniziarono tremare per lo sforzo. Ero ancora debole per la lunga corsa e per le ferite, e ben presto cedetti, ritrovandomi intrappolata dalla stessa presa che io avevo cercato di usare poco prima su di lui, il polso in tensione che rischiava di rompersi da un momento all'altro.
Cercai di non farmi vedere spaventata quanto ero in realtà. Non sapevo chi era quel ragazzo, né perché fosse forte quanto me, se non di più. Era uno dei Cinque? E allora perché li aveva chiamati "loro"?
"Non sono una Guardiana." mi sforzai di dire alla fine. Era vero in fondo.
Il ragazzo continuava a guardarmi con aria sospettosa. Cosa sospettasse non lo sapevo, ma sembrava essere al corrente di qualcosa che io ignoravo. Alla fine mi liberò dalla presa ammorbidendo lo sguardo e disse: "forse è il caso che diamo un'occhiata alla tua ferita. Prima però se vuoi farti una doccia veloce, il bagno è lì." e indicò una porta che prima non avevo notato.
Cosa aveva che non andava quel tipo? Il momento prima mi odiava, rischiando di rompermi il braccio e il momento dopo mi offriva ospitalità.
Frastornata e confusa, ma riconoscente mi diressi in silenzio in bagno massaggiandomi il polso. Avevo proprio bisogno di una doccia e se ne era accorto anche lui.
Mi spogliai osservandomi allo specchio che stava sopra il lavandino. Il mio corpo era ricoperto di graffi e polvere, e il mio collo era macchiato di sangue secco. I miei capelli erano impiastrati dallo stesso sangue, che li rendeva impossibili da pettinare con le dita.
Mi lavai cercando di toccare il meno possibile la ferita che stranamente faceva ancora male.
I Cinque, oltre a possedere capacità sovrumane, avevano anche la speciale caratteristica di guarire in fretta. Io all'età di sette anni mi ruppi un braccio, cadendo da uno sgabello mentre cercavo di arrivare agli scaffali più alti della cucina, dove mio padre nascondeva le caramelle. Il giorno dopo era a posto, come se non fosse successo nulla. Mio padre ne rimase parecchio scosso.
Quella ferita superficiale comunque si sarebbe dovuta rimarginare al massimo in un paio di ore, e invece era ancora lì, e non dava il minimo segno di stare guarendo.
Preoccupata, uscii dalla doccia avvolgendomi in un'asciugamano e la osservai attentamente. Era esattamente come quella mattina, se non più arrossata.
Qualcuno bussò alla porta all'improvviso, facendomi sobbalzare.
"Posso entrare? Ti ho portato qualcosa da mettere."
Giusta osservazione, pensai. I miei vestiti erano completamente fuori uso.
Vedendo che non rispondevo bussò di nuovo e dopo un minuto entrò. Sembrava in imbarazzo, evitava di guardarmi e, poggiati i vestiti, sparì subito oltre la porta.
Mi asciugai in fretta e mi legai i capelli bagnati in una treccia cremisi. Non si sarebbero asciugati tanto presto, ma almeno non mi avrebbero infreddolita.
I vestiti che mi aveva portato il ragazzo mi stavano un po' grandi, ma non potevo lamentarmi. Dovetti rigirare l'elastico dei pantaloncini due volte per non farmeli cadere, ma la camicia bianca era quasi della mia taglia.
Uscii in silenzio e notando che ero sola mi sdraiai sul letto, addormentandomi per la stanchezza.

"Hey."
Mi risvegliai sentendomi scuotere leggermente. Mi stava di nuovo toccando, quindi mi mostrai più infastidita che potei, allontanandomi da lui.
Mi porse un panino dicendomi che forse avevo bisogno di mangiare qualcosa. Effettivamente non ci avevo pensato, ma avevo davvero fame. Mangiai il panino in pochi bocconi, dopodiché mi diede un'occhiata alla ferita medicandola con qualche cerotto. Quando ebbe finito mi parlò di nuovo:
"Allora, vuoi dirmi chi sei?"
Il mio silenzio lo stava spazientendo, si vedeva e in fin dei conti lui era stato gentile con me. Mio padre mi aveva insegnato l'educazione, quindi dopo alcuni istanti risposi:
"Coral."
"Come?" sembrava non aspettarsi davvero una risposta. L'avevo colto impreparato.
"Mi chiamo Coral."
Passarono alcuni istanti di silenzio, in cui sembrava che stesse riflettendo su qualcosa, poi si presentò a sua volta.
"Io sono Roran." disse alzando la mano destra verso di me. La bloccò a mezz'aria come in attesa di qualcosa. Non avevo la minima idea di cosa stesse facendo, quindi cambiai discorso.
"Grazie. Per tutto."
“Non devi ringraziarmi. Sei come me, è mio dovere aiutarti. O forse non proprio come me? Le tue ferite continuano a non rimarginarsi.” osservò, riportando la mano al suo posto.
Aveva notato anche lui la stranezza che continuava a preoccuparmi. 
“Non ne capisco il motivo. Lo hanno sempre fatto.”
Sembrò sorpreso. Poi la sua espressione divenne di nuovo sospettosa, infine tornò quella di sempre.
“Ascolta... Stà qui per oggi. È meglio se non te ne vai se non ha un posto dove andare.”
“Non qui a Windworth, casa mia è a Sungold Hill.”
“Qui non siamo a Windworth. Ci troviamo a Newlight City."
 Newlight City . Rimasi di sasso. Come avevo fatto ad arrivare così lontano? La mia città si trovava a centinaia di chilometri più a sud e mio padre... improvvisamente mi si gelò il sangue nelle vene. Mio padre sarebbe morto di infarto non vedendomi tornare.
“Devo tornare a casa! Mio padre mi starà aspettando! Devo andare subito.”
“Non puoi andare a Sungold Hill adesso. È troppo lontano. Rimani qui, domani andrai.”
Volevo tornare a casa, ma d’altronde cosa avrei potuto fare?  Di sicuro non percorrere la distanza correndo, dato che la stanchezza mi permetteva a malapena di camminare.
Mi sdraiai e chiusi gli occhi. Ero stanca ma non riuscivo a dormire. Ripensare a tutto ciò che era successo, poi non era di certo un aiuto. Ora che ci pensavo a mente fredda però era davvero strano quel posto dove ero stata quella mattina. Cosa succedeva lì dentro? Una ragazza mi aveva chiesto di aiutarle e io avevo intenzione di farlo, ma da dove iniziare? Forse Roran che era come me avrebbe potuto darmi una mano, ma non mi andava di raccontargli cosa avevo vissuto.
Il ragazzo nel frattempo aveva aperto una brandina vicino al mio letto e ci si era sdraiato sopra, guardando la tv. Decisi di dare un’occhiata anche io. 
Una donna era in primo piano nell’inquadratura e stava parlando con un microfono. Si discuteva dell’ennesima ragazza scomparsa a Sungold Hill chiedendo aiuto a chiunque l’avesse vista. Subito dopo passarono una sua foto. I capelli rossi e le lentiggini familiari mi rivelarono che ero io. Il cuore accelerò e mi alzai seduta. Io non ero scomparsa! Sarei tornata a tutti i costi. Chissà mio padre come l’avesse presa! Mi scivolò una lacrima senza poterla controllare, ma tentai di nasconderla.
Roran mi si fece vicino, senza toccarmi questa volta. Forse aveva capito.
“Hey, vuoi spiegarmi cosa è successo? Perché ho in casa mia una ragazza scomparsa? Sei scappata?” 
Scappata? Sì, da un gruppo di scienziati matti che mi volevano catturare!
Non potevo tornare era questa la verità, o mi avrebbero trovata e ridotta come le altre ragazze. Come avrei fatto con mio padre?
Un’altra lacrima scese giù, troppo pesante per poterla tenere. Me ne vergognai tantissimo, avevo sempre pensato che le lacrime fossero da deboli, e io non volevo farmi vedere debole da nessuno.
Avanti Coral, piangere non serve a niente, mi dissi.
Mentre il ragazzo cercava di carpirmi informazioni tentai di calmarmi e ragionare. Non potevo tornare a casa, altrimenti mi avrebbero trovata, ma mio padre doveva sapere che stavo bene. Roran era come me, anzi sembrava sapere qualcosa di più. Magari poteva aiutarmi. Forse era arrivato il momento di raccontargli qualcosa.





Spazio autrice!
Ciao di nuovo a tutti! Ecco un nuovo capitolo di questa storia. Lo so, non succede niente di che, ma qui conosciamo Roran. Questo capitolo mi serve per presentarlo =). La nostra protagonista è nella più completa confusione, riuscirà a venire a capo di questa storia e forse ritornare a casa?
Ho un avviso da dare a chi è interessato a seguire la storia: probabilmente (ma non so quando) sposterò la storia sul mio account principale, che è 
questo.
Un bacione, CoralOwen!
   
 
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