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Autore: Clockwise    10/07/2014    2 recensioni
«Sicura di non aver ucciso il gatto di nessuno, rubato qualche fidanzato, avvelenato qualcuno, fatto ritratti offensivi, non so… Sei piuttosto pericolosa quando ti ci metti.»
Mel finse di pensarci su.
«No, non negli ultimi tempi.»
«Beh, dovremmo cominciare a indagare sulle tue passate e presenti relazioni, allora, e cercare di scoprire chi è che hai mortalmente offeso.»
«Suona bene, Sherlock. Ci vediamo domattina a Baker Street?»
«Ah, no, domani mattina devo fare un salto al Bart’s, poi ho merenda con Moriarty, ma potrei essere libero per le tre.»
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Benedict Cumberbatch, Martin Freeman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buondì!
Ringrazio di tutto cuore chi legge/segue/preferisce/recensisce e mi scuso perché non so quando il prossimo capitolo vedrà la luce - è un periodo difficile, altro richiede la mia attenzione. Spero di non deludervi e riprendere presto, ma, per amor di correttezza, vi metto in guardia e non vi prometto niente. Perdonatemi.
Spero di non deludervi con questo capitolo, fatemi sapere che ne pensate! Ah, la storia sarebbe ambientata nel 2013, intorno a marzo-aprile, a scanso di dubbi. E sempre a scanso di dubbi, io adoro Martin Freeman. 
A presto, spero!
-Clock



 
 
Capitolo 6
Dipinto a Belgravia
 
 
 
Venerdì 5 aprile.
Matisse soffiò, inarcando la schiena. Ned arretrò, una mano tesa davanti a sé come per allontanare il gatto.
«Mel, il tuo gatto sta attentando alla mia vita!»
«Era ora che qualcuno si accorgesse di che spreco di spazio sei. Vai così, Matisse» rispose Mel, senza scomporsi. Bernie rise e gettò un’occhiata da dietro le sue spalle al quadro con cui era occupata.
«Ma è…»
Mel si voltò e sorrise.
«Oh, tesoro…» fece Bernie, sciogliendosi e mordendosi il labbro inferiore, le mani al petto. Mel arrossì e abbassò lo sguardo, tornando a dipingere.
«Sai, non pensavo che, dopo quello che è successo, avrei potuto di nuovo lasciarmi andare così, ma non posso farci niente… Forse dovrei stare più attenta…» mormorò.
Bernie si chinò ad abbracciarla da dietro.
«Ti meriti tutta la felicità di questo mondo. Non fartela sfuggire.»
Sorrisero, guardando l’uomo nel quadro.
«E sei così maledettamente fortunata, guarda chi ti sei trovata!» esclamò Bernie, facendola ridere.
«Voglio dire, io sono anni che sopporto Ned e non ne cavo un ragno dal buco, e tu…»
«Meeellieeee! Fai venire via il tuo gatto! Mi sta guardando storto!»
Le due ragazze si scambiarono un’occhiata, alzando gli occhi al cielo, prima di scoppiare a ridere. Mel si alzò e si diresse nel soggiorno, seguita da Bernie.
«Allora, verginella, dov’è il drago che ti minaccia?» lo schernì Bernie, avvicinandosi a Ned, che nel frattempo stava rannicchiato contro il bancone della cucina, tentando di tenere le gambe il più lontano possibile da Matisse.
«Guardalo e dimmi se non ti mette paura! Tutto rosso con quegli occhiacci gialli…»
Matisse miagolò, risentito.
«Ok, no, no, sei bellissimo, sei bellissimo…»
Bernie scoppiò a ridere, guardandoli con le braccia incrociate sul petto, mentre Mel prendeva il cellulare sul tavolo che le aveva appena segnalato un messaggio. Lo lesse e impallidì.
 
°°°
 
«… Allora Amanda ha detto a mia madre che… Ben?»
Martin corrugò le sopracciglia. Perché il suo amico continuava a fissare il tappeto con quello sguardo vacuo e quell’inutile sorrisino? Insomma, sapeva di non stare raccontando nulla di così interessante, ma, diamine, non si vedevano da un mese, un po’ di considerazione!
«Gli Hobbit colonizzeranno la Terra. Ben, mi ascolti?»
«Hobbit, cosa?» fece Benedict, sbattendo le palpebre, come appena sveglio. Martin piegò la testa di lato, vagamente seccato.
«Si può sapere dov’eri?»
L’altro fece un gesto con la mano come per dirgli di lasciar stare, lasciando affiorare ancora quel sorrisetto idiota. Martin si sporse verso di lui.
«Ben, posso dirti una cosa? Da amico?»
Lui lo guardò incuriosito.
«Sei un benemerito coglione. Lei chi è?»
Benedict sbuffò, ma Martin lo conosceva troppo bene per non capire che in parte recitava e non era seccato.
«Perché tutti pensate che ci sia una lei di mezzo…»
«Perché solo una donna può farti avere quell’aria da fesso. Ora sputa il nome.»
Benedict, con un sospiro, gli raccontò tutto quanto. Martin lo ascoltò appoggiandosi allo schienale della poltrona, corrugando lievemente le sopracciglia, sparita ogni traccia della benevola esasperazione di prima. Benedict se ne accorse e il suo sorriso scivolò via.
«Cosa c’è?» chiese corrugando le sopracciglia, una volta terminato il suo resoconto. Martin sospirò e abbassò lo sguardo, puntandolo sul piede che dondolava, appoggiato al ginocchio.
«Da quant’è che vi conoscete?»
«Più un mese. Ma…»
«è troppo presto, Ben.»
«Non vuol dire niente, non la conosci…»
«Quanti anni ha?»
Benedict strinse i denti.
«Ventisei.»
«Ventisei?» Martin strabuzzò gli occhi. «Ben, tu ne hai undici in più.»
«Quasi undici.» Tecnicamente, ne avrebbe compiuti trentasette a luglio.
«Non giocare, Ben. è troppo giovane, state affrettando le cose, a te serve una donna stabile, lo sai, non una ballerina che un giorno c’è e l’altro non si sa. È un’artista, libera e indipendente, pensi davvero che possa stare dietro ad un attore famoso dieci anni più vecchio di lei? E se volesse solo i tuoi soldi?»
«Sapeva a malapena chi fossi!» la difese subito Benedict, iniziando ad adirarsi. «Andiamo sempre in autobus, non vuole mai che le paghi il pranzo se il ristorante è appena costoso, insiste per fare a metà, e se avesse voluto approfittare della mia fama mi sarebbe già saltata addosso.»
Martin chiuse gli occhi, inspirando pesantemente.
«Senti, io voglio solo che tu stia bene, non voglio che lei ti faccia soffrire, ma è così giovane, Benedict…»
«Anch’io mi sento giovane quando sono con lei!» esclamò Benedict, ammettendo per la prima volta anche con sé stesso quanto la differenza di età lo spaventasse. «Lo so che, se anche le cose dovessero andare avanti, non si farebbero mai veramente serie, perché lei è giovane e non ha i miei stessi desideri, ma io sto bene con lei, e non me ne frega niente di quanti anni di differenza abbiamo. Per adesso non pesano.»
Martin lo guardò, un misto di preoccupazione e una punta di rabbia. Sospirò.
«Per adesso.»
Benedict aprì la bocca per contraddirlo, ma Martin sollevò una mano in segno di resa.
«Va bene, basta così, non sono fatti miei, perdonami. Ma stai attento.»
Benedict distolse lo sguardo. Rimasero per qualche minuto in un silenzio sgradevole.
«In ogni caso, Gatiss mi ha mandato un e-mail: riprendiamo la settimana prossima.»
«Sì, ne ho ricevuta una anch’io.»
Martin sorrise.
«Contento? Io non vedo l’ora.»
«Già, neanche io» fu la risposta piatta di Benedict. Martin inspirò stringendo la mascella.
«Ok, Ben…»
Fu interrotto dallo squillo del cellulare dell’altro.
«Scusami» mormorò Benedict, prendendolo dal tavolo.
«Ti spiace se rispondo?» disse, guardandolo con una punta di sorriso. Martin sospirò e fece un gesto con la mano per dargli il via libera.
«Ciao. Come s- Cosa? Scandalo in Boemia… Ma dove, aspetta… Ok, arrivo. Cosa? Sì, ok, arrivo subito. No, tranquilla. A fra poco, aspettami.»
«Che succede?»
Martin lo guardò preoccupato, alzandosi in piedi con lui.
«Andiamo. The game is on, dottor Watson.»
 
°°°
 
Ned, vedendo entrare nel salotto della sua amica Sherlock – che ormai avrebbe dovuto iniziare a chiamare Benedict – accompagnato dallo Hobbit in persona, dovette fare appello a tutto il suo rispetto per Mel per impedirsi di saltellare e lanciare gridolini.
«Cos’è successo?» chiese Benedict, appena entrato, la preoccupazione stampata in volto, posando la mano sul braccio di Mel. Lei lo guardò interdetta per un secondo, spostando lo sguardo da lui a Martin. Benedict se ne accorse, e si affrettò a fare le presentazioni.
«Ah, giusto. Martin, loro sono Mel, Bernadette…»
«Bernie.»
«Sì, Bernie, e Ned. Lui è Martin.» Bernie e Ned fecero appena in tempo ad alzare una mano e abbozzare un goffo sorriso, che Benedict era tornato alla carica. «Cos’è questo messaggio?»
Mel gli tese il cellulare e Benedict lesse.
Lo scandalo non è in Boemia, ma il tuo amico Leo ti aspetta. Fai presto.
«È sempre l’anonimo?»
Mel annuì.
«Non riesco a vedere il numero, né rispondere o richiamare. Ma non mi aveva mai detto di fare presto, che vuol dire?»
Benedict batté ritmicamente il piede sul pavimento, riflettendo. Martin incrociò le braccia sul petto, assumendo la stessa espressione preoccupata e pensierosa di Ned e Bernie, tutti in piedi nel soggiorno.
«Lo scandalo non è in Boemia…»
«Uno Scandalo in Boemia è un racconto di Sherlock Holmes, nei libri» disse Ned.
«Giusto! E noi abbiamo girato Scandalo a Belgravia, nella seconda stagione di Sherlock!» disse Benedict, indicando il ragazzo con l’indice. «Non è in Boemia, quindi è a Belgravia, dobbiamo andare lì!»
«Ok, ma la seconda parte?» chiese Bernie, incrociando le braccia a sua volta.
«Il tuo amico Leo… Leonardo da Vinci. Che c’entra Leonardo da Vinci con Belgravia?» disse Mel, guardando Benedict. Lui scosse la testa, affranto. Voleva darle una risposta con tutto il cuore, ma non aveva idea…
«Cosa diamine c’è a Belgravia, è un quartiere residenziale di ricconi…» disse Bernie, cercando di ricordare se lei ci fosse mai almeno passata.
«Forse è un riferimento all’Italia, c’è l’ambasciata italiana lì? O un ristorante, o una galleria d’arte…» tentò Benedict. Martin scosse la testa vigorosamente, illuminandosi.
«Belgrave Square! È una specie di parco, c’è una statua gigante dell’Uomo Vitruviano!» esclamò, trionfante.
«Muoviamoci» li esortò Benedict, prendendo Mel per mano e correndo verso la porta. «Staremo stretti in macchina, ma non possiamo prendere la metro» annunciò, mentre si precipitavano giù per le scale.
«Perché no?» domandò Bernie, dietro di lui.
«Perché il genio ha avuto la brillante idea di mettersi il cappotto di Sherlock, ha i capelli lunghi perché fra poco iniziamo a girare ed è accompagnato dal dottor Watson» ringhiò Martin, facendo ridere Bernie e Ned e strappando un sorriso anche a Mel. «Direi che non passeremmo inosservati.»
«The game is on, entra nel personaggio e smetti di brontolare!»
«Il mio personaggio brontola un sacco, soprattutto contro Sherlock, se permetti lo conosco bene…»
«Uh, a proposito, come fa Sherlock a tornare vivo? L’ha aiutato Molly e gli Irregolari di Baker Street, vero? E senza Moriarty chi sarà il cattivo adesso? E…»
Bernie lanciò un’occhiataccia al suo ragazzo, ma Benedict e Martin si limitarono a scambiarsi uno sguardo e ridere.
«Non ne abbiamo la più pallida idea neanche noi.»
«Perché secondo me…»
Mel alzò gli occhi al cielo, lasciandosi scappare un sorriso.
 
°°°
 
«Dov’è questa statua?»
«Non lo so, qui da qualche parte…»
«Aspettate, un messaggio!» esclamò Mel, tirando fuori il telefono dalla tasca col cuore in gola. Lo lesse insieme a tutti gli altri, che guardavano da dietro le sue spalle.
Il cuore sta per bruciare. Tic toc.
«Cosa cazzo…» iniziò Martin, tirandosi indietro, spaventato. Mel era sbiancata, gli altri tre erano spaventati.
«Ok, niente panico, magari è solo uno scherzo…» tentò Benedict, alzando i palmi delle mani. «Stiamo calmi e troviamo questa statua. Io e Mel andiamo da quella parte, voi andate dritti. Non sarà così grande questo posto.»
Gli altri annuirono approvando il piano di Benedict e si divisero. Lui e Mel si incamminarono velocemente lungo la strada alla loro sinistra.
I lampioni iniziavano ad accendersi. Il silenzio li opprimeva, minaccioso.
«Cosa pensi che possano aver…» iniziò lui, senza sapere come continuare.
«Non lo so, non lo so!» esclamò lei, frustrata e preoccupata. «Non so veramente cosa mi sia rimasto che abbia un qualche valore, i miei quadri li hanno presi, e come avrebbero fatto ad entrare? Sono rimasta quasi sempre in casa…»
Benedict affrettò il passo, irato. Sperava davvero di non trovarsi mai fra le mani chi stava facendo tutto questo a Mel, o quella persona si sarebbe trovata in una situazione così spiacevole…
Lo squillo del suo cellulare li fece sobbalzare.
«Martin… Ok, arriviamo. No, non… Arriviamo.»
Chiuse la comunicazione e la guardò.
«È di là, l’hanno trovata.»
Mel avrebbe voluto chiedergli se sapeva cosa fosse successo, ma realizzò mentre correvano indietro che non voleva saperlo.
 
°°°
 
L’uomo annuì, un’espressione di ammirazione e rispetto sul volto.
«Non mi sarei mai aspettato nulla del genere… Onestamente, all’inizio pensavo sarebbe stato un impiccio, invece… Sono colpito» disse lentamente. Aveva un modo particolare di pronunciare le parole, calcando leggermente sulle consonanti e strascicando le vocali.
L’altro uomo si passò due dita nel colletto della camicia, come per allentarla, a disagio.
«Sì, ecco… Deve rimanere fra noi che gliel’ho detto. Non avrei dovuto, ecco, però non volevo… Avevo paura che, insomma…»
«Capisco, non c’è bisogno di dire nulla. So quando essere discreto a mia volta. Ma terrò un occhio aperto. È certamente… interessante. Sa, devono esserci emozioni fortissime dietro le sue azioni… Ammirevole, davvero.»
L’altro deglutì, spaventato. Un vaso di terracotta fra botti di ferro.
 
°°°
 
Nessuno di loro l’aveva mai vista così. Mel tremava, e l’intensità della sua rabbia, vergogna e paura le aveva creato il vuoto attorno e fatto salire le lacrime agli occhi. Gli altri le stavano lontani, timorosi, come se potessero venire scottati da quelle emozioni violente.
Martin, Ned e Brnie avevano fatto il possibile per salvare il salvabile, ma ormai il danno era fatto. Quando Mel e Benedict erano arrivati, il fuoco si era già mangiato la parte inferiore del dipinto, che era strappato in più punti.
Un grande ritratto di Benedict – busto, grandezza naturale se non più grande, tempera e acrilico su stoffa, niente di pregiato, fatto di fretta, ma straordinariamente somigliante. Una scritta, in giallo, copriva il petto e parte del volto: falso. Il ritratto era incastrato fra il quadrato e il cerchio della statua dell’Uomo Vitruviano, coprendole la testa e parte delle spalle, e qualcuno gli aveva dato fuoco.
Era una copia maldestra del ritratto che lei gli aveva fatto e che le avevano rubato – sarebbe dovuta essere una sorpresa per lui, una specie di regalo, una cosa intima e preziosa, solo per loro, per suggellare la strana amicizia che avevano costruito. E invece.
Il cuore sta per bruciare.
Oh, metafore. Non le erano mai piaciute.
Benedict la strinse fra le braccia, nel tentativo di proteggerla.
 
 
Martin si guardò intorno, nervoso.
«Possibile che non ci sia nessuno che abbia visto niente in questo stramaledettissimo parco?» disse, frustrato, camminando davanti alla panchina su cui erano seduti gli altri, scrutando il parco deserto.
«Anche se ci fossero farebbero finta di niente: siamo inglesi» commentò Benedict, amaramente. Ned si massaggiò la tempia con le dita, guardando il dipinto ripiegato poco distante da lui.
«Dovremmo denunciarlo alla polizia. Se non altro per la storia dei messaggi anonimi.»
Gli altri annuirono e Benedict tirò fuori il cellulare. Pochi secondi dopo si alzò e si allontanò per parlare con l’Ispettore.
Mentre gli altri tre parlottavano a bassa voce, spaventati e irati al tempo stesso, Mel rimase in silenzio, guardando la schiena dritta di Benedict. Perché fare una cosa simile? Che volevano dire? Cosa volevano da lei? Chi era stato? Poteva pensare ad alcuni nomi, ma non voleva, perché faceva male. Non poté evitare di pensare che sembrava un attacco in qualche modo diretto anche a lui, il che la fece sentire ancora peggio. Si prese la testa fra le mani, serrando gli occhi. Le sembrava di essere in un incubo, l’unica cosa che voleva era svegliarsi…
Scattò in piedi e raggiunse Benedict, le braccia incrociate sul petto. Probabilmente Bernie, Ned e Martin in quel momento la stavano guardando come si guarda un animale pericoloso, ma si impose di non pensarci. Ah, era stato un piacere conoscere Martin, fra parentesi, anche se non poteva dire lo stesso per lui; del resto, non è che si fossero parlati granché. O del tutto.
Benedict chiuse la telefonata e ripose il cellulare. Posò lo sguardo accigliato sulla statua dell’opera di Leonardo, pochi metri alla loro destra, come se fosse colpa sua. Poi, con un sospiro, si voltò verso Mel e la accolse fra le sue braccia. Era così piccola che scompariva.
Falso.
In testa, l’espressione folle del suo collega Andrew Scott mentre recitava nei panni di Moriarty, qualche anno prima, a bordo di una piscina.
I’ll burn the heart out of you.
Strinse Mel più forte, strizzando gli occhi.
Falso, falso, falso. Benedict è un falso.
 
°°°
 
Sabato 6 aprile.
Bruce Gallagher era di Liverpool, e con un cognome come il suo e in una città come quella, non poteva che lavorare in un negozio di dischi, finita la scuola. Dopo il fallimento del negozio, si era trasferito a Londra seguendo la sua banda di amici inseparabili sulla loro Ford sgangherata. Mentre loro studiavano alla UCL seguendo le loro chimere, lui, ancora all’oscuro di quale fosse la sua strada nella vita, aveva trovato posto in un Hard Rock Café, per ingannare l’attesa. Lì aveva conosciuto Mel, all’epoca diciassettenne, e le aveva servito un caffè alla cannella. Lei lo aveva guardato da sotto in su e l’aveva invitato a sedersi con lei. Lui aveva sorriso e da lì era iniziata.
Forse era stato il fascino dell’aria da artista fallito, boheme, la barba ispida, l’orecchino, il sorriso sghembo che gli visitava continuamente il bel viso, la maturità dei suoi diciannove anni.
Mel era caduta.
Curiosamente, era a lui che doveva la sua passione per l’arte. Le era sempre piaciuta, chiaro, ma non l’aveva mai presa sul serio. Aveva iniziato a frequentarlo e contemporaneamente a disegnare. Aveva scoperto di essere piuttosto brava, considerando che non disegnava dai tempi delle elementari, quindi aveva perseverato. Il suo rapporto con Bruce si intensificava mentre lei si addentrava nel carboncino, nell’acquerello, nell’olio e dilapidava i suoi risparmi in manuali e materiali. Ormai, come Bruce, l’arte era entrata in lei e non aveva intenzione di uscire, si era annidata lì, sottopelle. Aveva dovuto strappare via Bruce, alla fine, per sopravvivere, ed era stato doloroso. Ma era rimasto più spazio per tele e pennelli, poi.
Erano stati insieme per più di un anno – mesi burrascosi, a tratti bui e nebbiosi; Mel aveva fatto cose che né lei né chiunque la conoscesse avrebbe mai sognato potesse fare. Anche dopo essersi allontanati, la sua ombra aveva continuato ad incombere su di lei per tantissimo tempo.
Si erano amati, si erano odiati.
Bruce aveva saputo, tramite echi di voci di amici comuni, che Mel non l’aveva mai perdonato, che si era trasferita dall’altra parte di Londra e aveva tagliato i ponti con quasi tutti quelli che conosceva, con la sua stessa famiglia, per non avere mai più niente a che fare con lui.
 
Con il suo solito ghigno, Bruce suonò il campanello. 








 
  
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