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Autore: wonderwall_98    10/07/2014    14 recensioni
Paige Donovan è una diciassettenne abbastanza sicura di sé e con la testa sulle spalle. È la migliore di tutti i corsi scolastici alla Newtown High School ed è una delle migliori giocatrici di tennis nella sua accademia, la Rock Tennis Accademy. Ma quando avrà una notizia devastante diventerà un’altra persona: arrogante, ombrosa, scontrosa, solitaria. Vorrebbe avercela col mondo intero se fosse possibile. Ed è proprio in questo periodo buio che nella cantina abbandonata della villa in cui vive scopre che può esserci un rimedio, o meglio, una cura all’irrimediabile e incurabile malattia di suo padre, Bruce. A questo punto vuole a tutti i costi mettere le mani su quella che, a detta di suo zio Cameron, si rivela essere una macchina del tempo che la porterebbe in un’altra dimensione al fine di trovare nel futuro la cura che nel presente non esiste ancora.
Ma il futuro ha in serbo per Paige un amore impossibile e senza confini, un amore che non può vivere se ha scelto di salvare la vita a suo padre. E sarà proprio questa la scelta alla quale Paige Donovan sarà sottoposta.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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≈ COSMIC FUTURE 







 PRIMA PARTE 


 





Alcune persone non impazziscono mai, 
che vita veramente orribile devono vivere.
Gente maledettamente noiosa,
su tutta la Terra,
che riproduce altra gente noiosa.
Che spettacolo dell'orrore, la Terra ne brulica.

 





















capitolo 1
BAD NEWS
 
 
 «Paige, è ora di andare! O farai tardi alla Rock!» La voce di mia madre mi risuonò nella testa come un allarme di guerra.
Mi girai su un fianco e osservai la sveglia, ma la vista era ancora un po’ offuscata. Quando mi strofinai gli occhi e misi bene a fuoco, sobbalzai così violentemente che per poco non precipitai giù dal letto rotolando sul pavimento.
La memoria tornò tanto delicatamente quanto dolorosamente. Erano le cinque e dieci del pomeriggio e alle cinque e mezza avrei dovuto essere alla Rock Tennis Accademy.

«PAIGE DONOVAN!» tuonò mia madre dalla stanza di sotto. Immaginai che fosse in cucina a preparare la cena. «O ti alzi o ti butto giù dal letto!»
Mi scappò una flebile risata. Mia madre ci teneva così tanto alla mia futura carriera da tennista che non mi concedeva mai uno strappo alla regola. Se io ero ambiziosa e determinata, precisa e puntuale, lei lo era di più. Non mi permetteva mai di saltare un allenamento o di fare un ritardo di soli cinque minuti. Anche lei da giovane giocava a tennis, ma a soli ventuno anni dovette fermarsi per problemi di cuore. Perciò potevo capirlo, e le avrei dato qualsiasi soddisfazione rientrasse nelle mie capacità sportive. Volevo che fosse fiera di me, della sua unica figlia, della figlia che avrebbe realizzato il sogno che la madre non aveva potuto realizzare.
«PAIGE!» urlò ancora mia madre.
Queste giornate stavano diventando davvero stressanti, soprattutto in questo periodo, e tornata da scuola avevo dovuto per forza rilassare la mente e il corpo per concedermi un pisolino pomeridiano. Ma ora la pace e la tranquillità erano finite e se non mi fossi sbrigata, avrei potuto davvero considerare l'idea del mio primo e improbabile ritardo.
Mi alzai dal letto scivolando nei caldi scarponi invernali dai quali, almeno a casa, non mi separavo mai e scesi di corsa le scale. Arrivai in cucina dove, come mi ero aspettata, trovai mia madre intenta a cucinare qualcosa che dall'odore sembrava veramente invitante.

«Mmm, che cosa prepari?» chiesi con l'acquolina già in bocca. 
Lei ignorò la mia domanda. «Ma ti pare che devo essere sempre io a chiamarti?»
«Mamma, sai quanto sono stanca...»
Improvvisamente Eden si avvicinò a me con un accenno di sorriso stampato in faccia. Mi circondò le spalle con un braccio e poi mi strinse in un caldo abbraccio, che in quel pomeriggio fresco e umido non guastava.
«Ti capisco, sai, ma devi fare un po' di resistenza. Questo periodo non durerà ancora per molto, e poi... Non ho mai conosciuto una persona più volenterosa e determinata di te! Se non la trovi tu, la forza...»
«Ora mi farai fare tardi tu» borbottai tra i denti. «Andiamo, mamma!»
«Ok, scusami disse con voce ferma. E comunque, stavo preparando dei ravioli al sugo, niente di ché...»
 «Oh, mamma, io ti adoro!» esclamai scoccandole un bacio sulla guancia esposta.
Mi avvicinai allo specchio e osservai per un attimo la mia immagine riflessa e notai per la prima volta che negli anni non facevo grandi cambiamenti. Sempre i soliti capelli biondo cenere che mi ricadevano delicati e ondulati lungo i fianchi, i soliti occhi di quel noccialato talmente chiaro che al sole sembrano brillare come oro, la solita carnagione ambrata, la solita statura piccolina abbinata ad un fisico snello e le solite lentiggini che tante e tante volte avevo tentato di rimuovere col trucco, ma che non ci ero mai riuscita. 
Legai la folta chioma con un codino rosso e m'infilai una fascia rossa per fermare, almeno per quel po' che si poteva, il sudore. Rivolsi un sorriso radiante a Eden e girai la maniglia. 

«Allora, com'è andato oggi l'allenamento?»
«Come sempre, mamma» risposi appena mi fui seduta a tavola per la cena. Mio padre non c'era ancora. Che novità, pensai. 
«Papà verso che ora torna?»
L'espressione di mia madre passò da interessata a desolata. 
«Ok, la tua faccia parla da sola. Papà stasera non torna, vero?»
Notai dai suoi piccoli movimenti qualcosa di irrequieto.
«Mamma? Papà rimarrà tutta la notte in ospedale, non è vero? C'è qualche paziente grave?»
«In realtà non è esattamente per questo che rimarrà in ospedale.»
«Ah, no? Gli hanno cambiato il turno, forse?»
«No, Paige.» C'era anche qualcosa di severo nella sua voce. «Fammi parlare.»
Stava usando quel tono a tratti calmo e a tratti impaziente che si usa con i bambini per far capire loro qualcosa, qualcosa che non sono disposti a capire.
«È successo qualcosa, mamma?» chiesi leggermente allarmata. Di solito non si comportava così.
«Direi di si.»
«Allora, parla! Di cosa si tratta?»
Eden rimase in silenzio con lo sguardo puntato sui piedi.
«Mamma! Cosa succede?» urlai.
Quando conficcò il suo sguardo truce e addolorato nel mio, per poco non mi sentii male.
«Tuo padre è malato.»
Rimasi per un intervallo di pochi secondi in selenzio assoluto. «Cosa?» fu tutto quello che riuscii a dire con voce strozzata.
«Ha una malattia che nessun medico aveva mai riscontrato prima d'ora» cominciò evitando il mio sguardo. «Nemmeno tuo padre, che è tra i migliori medici» aggiunse.
«Non è possibile» affermai con quel poco di voce che mi rimaneva. 
«Mi dispiace tanto, tesoro.»
Ripresi immediatamente le redini in mano. «Come si chiama?» chiesi alzando il mento. Tentai di buttare giù quelle piccole lacrime proprio quando erano sul punto di nascere.
«Cosa?» chiese lei chiaramente disorientata. E confusa. 
«La malattia. Come si chiama?» Acquisii un tono abbastanza pacifico, che non era decisamente attratto dal mio carattere.
«Connor la chiama EFM, che sta per Expertes Fragmenti Multiplex.»
Ci riflettei un attimo su. Detestai il fatto che non riuscii a tradurre alla mano quelle tre parole latine.
Vedendo che avevo difficoltà, mia madre mi anticipò: 
«Letteralmente vuol dire Pezzi Mancanti Multipla».
Scossi ripetutamente la testa. «Ma non ha senso» replicai. 
«Letteralmente, no. Ma se ci pensi bene, sì.»
«E allora vuoi spiegarmi di che malattia si tratta o no?»
«È una malattia che ti porta via lentamente ogni parte del tuo corpo. Ti lacera un poco alla volta. Cadono dei pezzi dal tuo corpo improvvisamente, senza che tu te ne accorga. E le ferite non si rimarginano. È una cosa orribile.»
«Ma che stai dicendo? Non esistono malattie di questo genere!»
«Infatti. È quello che ha detto anche Connor. E... a detta sua, è una malattia incurabile.»
 
 
  
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