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Autore: SakiJune    10/07/2014    0 recensioni
Ada Markham vive a Londra e NON è una ragazza come tutte le altre: è una fangirl del Dottore, proveniente da un’altra dimensione. Per un capriccio di Clara, delusa e scontenta dopo la rigenerazione del Dottore, Ada giunge a bordo della TARDIS e gli equilibri stagnanti tra i membri dell’equipaggio subiranno un serio scossone.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Clara Oswin Oswald, Doctor - 12, Jenny, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Threesome
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From Lungbarrow to Trafalgar Square'
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In questo capitolo ci sono riferimenti alla Black Guardian Trilogy e al serial "Planet of Fire", rispettivamente della ventesima e ventunesima stagione classica, in cui Turlough viene dapprima istigato dal Guardiano Nero ad uccidere il Dottore e poi, dopo essersene liberato e aver viaggiato sulla TARDIS insieme a Tegan Jovanka, torna al suo pianeta natale. È stato decisamente un companion diverso dagli altri come background e carattere, e mi andava molto a genio.





Ma il maltempo si mise di mezzo e durante le settimane successive tornarono a crogiolarsi nell’ozio più assoluto. Il Dottore si stupì di se stesso; imparava proprio allora un’importante caratteristica della sua attuale incarnazione - non si annoiava facilmente e la mancanza di avventure non sembrava recare danni al suo sistema nervoso. Aveva più occasioni di riflessione e ciò stemperava un poco il senso di assoluto che quell’amore appena sbocciato gli procurava, il che gli sarebbe stato impossibile se avesse avuto la TARDIS nelle immediate vicinanze e nessuno a ricordargli le ombre del passato.

Fu durante una partita a scacchi che Turlough gli rivelò di non aver mai superato del tutto l’incubo del Guardiano Nero.

- Ciò che continua a tormentarmi è il terrore di essere costretto a farti del male. Lo sogno ancora comparire da uno schermo, parlare nella mia mente… e la fiducia che mi dimostravi mi faceva sentire ancora più in colpa, ero lacerato...

- Non ho mai pensato male di te, non eri certo responsabile delle tue azioni. Non era la prima volta che uno di loro cercava di eliminarmi o peggio.

- Peggio? - gli fece eco Turlough.

- Sì. Essere costretti per l’eternità al loro servizio è una condanna che non augurerei al peggiore dei miei nemici. - Il Dottore pensava a Rallon, il suo compagno d’Accademia, così intelligente, coraggioso, innamorato, la cui unica colpa era stata l’imprudenza di seguirlo in quella prima, tragica avventura a bordo di una TARDIS rubata. - Talvolta hanno cercato di uccidermi, altre volte di sfruttarmi per le loro macchinazioni. In ogni caso, la decisione di ritrovare il mio pianeta potrebbe… non far piacere ai piani alti.

- Ma non sarebbe giusto fermarsi per timore di una ritorsione - lo incoraggiò Turlough. - Non puoi vivere nella paura, non l’hai mai fatto.

- Già, ma non ho più soltanto me stesso a cui pensare. - Premette un bottone sul bordo della scacchiera e fissò il pezzo scivolare con eleganza fino alla casella dove avrebbe stracciato le difese dello schieramento di Turlough. - Ho tutto da perdere.

E ancora non sapeva quanto.



Il Dottore non era giunto su Trion per caso e nemmeno era stato colto da un semplice attacco di nostalgia. In quel periodo dell’anno, il Presidente convocava i delegati delle numerose colonie del pianeta, per discutere importanti questioni economiche e strategiche. Quale migliore occasione per assicurarsi la loro alleanza? In realtà non aveva avuto nemmeno bisogno di domandare, gli era bastato accennare ai suoi progetti e Malkon gli aveva assicurato il suo personale appoggio con un entusiasmo tanto genuino da commuoverlo. Più tardi, quello stesso giorno, nel palazzo del Governatore l’incontro avrebbe avuto luogo e il Dottore aveva intenzione di sfoderare tutto il suo carisma. Per il momento, però, desiderava soltanto godersi il primo giorno di sole su Tegan.

- Non entri in acqua? È delizioso. Niente Macra stavolta, non ci sono tubature… è tutto naturale.

- A me piacerebbe, Dottore, ma Ada non sa nuotare.

- Che significa “Ada non sa nuotare”, Clara? Tu sai nuotare, perciò Honey, puoi farlo benissimo. Coraggio, vieni qui.

Ancora titubante, lei rimase in piedi sulla riva lastricata di pietra rosa, i folti capelli ramati (o come si sarebbe detto su Gallifrey, color taranio) spettinati dal vento, ma il Dottore si tirò su a metà dall’acqua e le tese le braccia. - Non c’è niente da temere. Si tocca persino, in questo punto… non ti fidi di me?

Era sempre così che iniziava un’avventura con lui, pensò Honey.

Avanzò di qualche passo, piegò le ginocchia e si lasciò andare. Ada avvertì quella sensazione spiacevole al ventre che le era sempre successa quando si immergeva oltre i fianchi, ma il Dottore l’abbracciò e lei iniziò a rilassarsi. Avrebbe potuto ritirarsi dal mondo esterno, tornare nella biblioteca del palazzo con le colonne e la paura sarebbe svanita del tutto, ma con essa anche quell’esperienza condivisa con chi amava. Iniziò a godersi il calduccio e i vapori che salivano a creare un’atmosfera di sogno, confondendosi con le scarse nuvole sfilacciate dal vento.

- Ora che ne dici? - Lei non rispose e lo baciò sull’angolo della bocca. Presto la tenerezza si accese di passione e quel bacio divenne qualcosa di più profondo, che le fece dimenticare ogni insicurezza. Il Dottore era così buffo e tenero, bagnato e tutt’ossa, eppure forte e premuroso.

Clara intanto scalpitava per iniziare a nuotare sul serio, ma aspettò che Ada si sentisse abbastanza a suo agio. Iniziò con lente bracciate in superficie, e quando il Dottore si immerse lo seguì, pregustando già le bellezze del fondale: sfortunatamente aveva dimenticato che tenere gli occhi aperti nell’acqua calda, se non hai il fisico di un Signore del Tempo, non è il massimo della gioia. A tenerli chiusi, però, provò un malessere ancora peggiore. Una nausea dapprima leggera, poi sempre più insopportabile le afferrò lo stomaco, mentre la debolezza s’impadroniva di lei. Cercò di risalire, ma non sentiva più le gambe. Nonostante il fastidio agli occhi si sforzò di guardarsi attorno - puntini neri lampeggiavano, mentre con orrore si accorse di essere sul punto di perdere conoscenza.

Honey si risvegliò, confusa e stordita, sotto il cielo verdastro di Tegan, abbagliata dai suoi soli gemelli. Ma presto un’ombra la coprì e le bastò scorgere il volto amato del Dottore per farla tornare completamente in sé.

- Va meglio? Va meglio, vero?

Annuì, sorridendo per sciogliere in lui quel terrore che gli sfigurava i lineamenti. - Fusione genetica o no, sono pur sempre una sciocca umana con la pressione bassa. Non volevo farti preoccupare.

- Non sono preoccupato - mentì il Dottore, notando con crescente sollievo il colorito che tornava sulle sue guance. - Un check-up, d’altra parte, non si nega a nessuno, perciò ora torniamo alla villa e vado a recuperare la TARDIS.

- Va bene, signore, agli ordini. Ma ci saranno senza dubbio degli ottimi dottori, qui…

- Io sono il tuo Dottore, ricordi? - Le toccò la punta del naso, ricevendo in cambio un leggero pugno sulla spalla.

- Ho già amato prima, fino ad impazzire. Non lo nego e sarebbe sciocco farlo, perché già lo sapete. Ma conoscevo già come sarebbe finita. Questa volta è diverso, con voi è tutto diverso. Il futuro è ancora tutto da scrivere, ed è così facile credere che andrà esattamente come sogniamo. Potrebbe non finire mai. Quando troveremo Gallifrey… avremo l’eternità davanti a noi. Non l’ho mai desiderata prima d’ora, mi ha sempre dato sui nervi il pensiero che qualcuno la volesse per sé. Mi bastava un giorno ancora, un secolo ancora e non volevo guardare oltre, ma ora non mi basta. Lo desidero per te. Non ti vedrò sfiorire. Non ti perderò.

Erano promesse senza alcuna base concreta, temette lei. Nulla più di una poesia romantica improvvisata, eppure lo sentiva così sincero e appassionato che nemmeno Clara osò contraddirlo. Soprattutto perché ricambiava i suoi sentimenti come non mai e sentiva ancora le gambe un poco deboli, così che lasciarsi guidare da lui le parve tanto più semplice che controbattere il suo adorabile ottimismo e offuscare di dubbi il suo sguardo illuminato d’amore.


Alla stazione di teletrasporto della cittadella presidenziale, Malkon vide il Dottore materializzarsi in una delle cabine trasparenti e si scusò con gli ospiti appena giunti dalle colonie esterne per capire se avesse bisogno del suo aiuto.

- Felice di rivederti. Posso fare qualcosa per te?

- Grazie, ma avrei soltanto bisogno di riprendere la TARDIS per un po’ - spiegò, senza lasciar trasparire la propria inquietudine.

- Ripartite già, Dottore? Credevo avresti partecipato ai lavori della conferenza.

- Al contrario, sarò dei vostri. Non mi sognerei mai di filarmela senza salutare. - Ci voleva faccia tosta per affermarlo tanto candidamente, visti i suoi precedenti, e lui ne possedeva un sacco e una sporta.

- Ne sono felice. Ci rivediamo tra poco al palazzo di mio fratello, allora. A proposito... - Si guardò intorno e la sua aperta cordialità si trasformò in intima confidenza. - Vis non mi ha mai confessato perché abbia dato questo nome alla colonia. Ho sempre immaginato che avesse qualcosa a che fare con il periodo in cui viaggiava con te… mi sbaglio?

Il Dottore esitò. - Non dovrei spettegolare, ecco, ma immagino non ci sia nulla di male a svelarti il mistero. Tegan era una nostra comune amica e compagna di avventure. All’epoca non avevo capito che le si fosse tanto affezionato… non facevano che litigare, in realtà. E tanto. Credo di non averli mai visti andare d’accordo, in effetti. È strano, vero? Spesso non abbiamo il coraggio per manifestare i sentimenti che proviamo, e poi diamo la colpa al destino per non aver vissuto quell’opportunità.

- Questo mi fa comprendere molte cose, Dottore. Forse anche il motivo per cui non si è mai sposato. Lei… questa signorina… ha trovato un amore?

- Sì - ammise il Dottore. - Ha sofferto e ha dovuto affrontare prove difficili, ma non è rimasta sola. Bisognerebbe riuscire a superare i rimpianti. Non è facile, ma c’è sempre qualcosa di altrettanto bello ad attenderci. C’è sempre speranza.

Fece un discorsetto alla console prima di avviare la procedura di materializzazione, e sembrò funzionare perché, quando mise la testa fuori dalla porta, trovò Honey ad aspettarlo e lei gli assicurò che erano trascorsi solo cinque minuti dalla sua partenza, anche se in realtà erano passate quasi due ore e aveva avuto il tempo di fare un sonnellino, vestirsi e persino assaggiare un po' di frutta dal cesto che avevano in camera, ora che la nausea sembrava scomparsa del tutto.

- Il suo cocchio, mademoiselle, prego - la invitò all’interno con fare cerimonioso. Non c'era dubbio che lei stesse bene, per il momento, ma se si fosse trattato di un rigetto della fusione... non osava nemmeno immaginare lo scenario di quell'eventualità. Era stato un cretino e un irresponsabile portandola via dalla Clinica prima del tempo, prima che gli esami confermassero senza ombra di dubbio che non vi erano pericoli né a breve né a lungo termine.

Non cambierai mai. Ti eri ripromesso di prenderti cura di loro, ed eccoti di nuovo a morderti le dita dal rimorso.

Accese lo schermo, eseguì la programmazione e attese che la scansione si completasse. A Honey sembrò una situazione stranamente familiare, e si sforzò di ricordare. Qualcosa le sfuggiva… quand’era successa una cosa del genere nel telefilm? Non lo svenimento alle terme, cioè, la visita medica sulla TARDIS.

Amy Pond.

“Day of the moon”.

Si era mai preoccupata degli appuntamenti mensili, da quando erano partiti da Gingko? Sì, ecco, ci aveva pensato, ma le era sembrato normale che per i primi mesi ci fosse qualche problemino, che funzionasse come per un diesel. A pensarci, però…

Non esistevano stagioni, nel loro piccolo mondo; cadevano e nascevano fiori e foglie ad ogni risata, ad ogni lacrima, ad ogni brivido di piacere. Ma non era più una foresta di querce, era un frutteto. Meli. Ciliegi. Albicocchi. I dipinti erano diventati statue e l’edera si era trasformata in glicine, il cui profumo inondava ogni stanza del palazzo. Un profumo che avvolgeva l’aria, come le piume ad imbottire un nido.

Un... nido...

Si avvicinò al Dottore, che fissava lo schermo come istupidito, la bocca spalancata e le lacrime che gli scorrevano sul volto. Gli prese la mano, incerta di come avrebbe reagito una volta superato lo shock iniziale, costringendolo gentilmente a voltarsi verso di lei.

Le avrebbe rimproverato quell’ennesima distrazione?

Quell’ennesima responsabilità?

Era una cosa più grande di lei, più grande di loro...

Il Dottore si asciugò il viso con la manica della giacca, incurante di avere almeno cinque fazzoletti diversi nelle tasche.

Passò un minuto, ne passarono due.

- Non dici nulla.

- Il silenzio è il più perfetto araldo della gioia - sussurrò il Dottore, chinandosi un poco a sfiorarle la guancia con la sua, gli occhi socchiusi. - Ora so cosa intendeva Will con questa frase.

Qualcuno si schiarì la gola o quanto ne restava, interrompendo l’idillio.

- Il Silenzio era una merda e mi ha portato solo guai. Salve. - Honey si riscosse e guardò Dorium con un sorrisetto estatico. Non ebbe bisogno di spiegare nulla, perché dalla sua postazione lui aveva una perfetta visuale dello schermo che annunciava il lieto evento.

- “Salve, lieta di rivederla, signor Maldovar, e mi scusi se l’abbiamo lasciata un mese a girarsi i pollici che non ha”, comunque dagli archivi della Clinica pare che non siano mai capitate gravidanze spontanee alle Unità dello stesso sesso, in questo caso c’è sempre bisogno di una fecondazione esterna… mi sono perso qualcosa?

Il Dottore divenne di brace e Dorium capì di essersi perso davvero tutto quanto.

- Oh. Oh. Oooh. Non-non sono ansioso di conoscere i dettagli. Ripeto, non sono ansioso di… oh, al diavolo! Congratulazioni, Dottore.

Questi scattò a stampargli un bacio sulla fronte, incurante delle sue proteste. - Ti adoro. Adoro tutto. Voglio gridare, voglio gridarlo alle stelle. - Dov’era finita la tiritera poetica sul silenzio? Era coerente quanto una banderuola, in quel momento, prudente come un ragazzino sul go-kart, consapevole dei pericoli proprio come un cane che attraversa la strada per andare incontro al padrone.

Il suo padrone era la felicità, e si stava gettando tra le sue braccia senza più ricordare ciò che avrebbe potuto travolgerlo.

- Ecco, però andate a gridare fuori, ché qui dentro rimbomba.

Honey rise e quella sensazione incomparabile di eternità e di pericolosa onnipotenza traboccò dai cuori del Dottore - era troppo, troppo intensa per non condividerla…



- TURLOUGH! Eccoti. Uh, che corsa. Ssssalve.

Nella sala riunioni, coerentemente con il suo nome e la sua funzione, era appunto in corso la famosa riunione. Delegati di ogni razza e dimensione erano intorno a un tavolo - chi seduto, chi sopra, chi acciambellato attorno, ognuno secondo le proprie caratteristiche anatomiche. Riconobbe alcuni di essi come gli ospiti che Malkon aveva accolto alla stazione e mosse le dita per salutare, un po’ in imbarazzo.

- Scusate, avrei dovuto bussare. O arrivare prima? - Lo stavano guardando tutti, e non c'era niente di male, ma alcuni di essi erano sguardi di allarme.

- Forse - sospirò Turlough. - Ma sei arrivato e va bene così… signori, vi presento il Dottore, il mio più caro amico. Inutile dire che la sua presenza in questa stanza non comprometterà alcuno dei nostri segreti diplomatici.

- Garantisco per lui - confermò Malkon, spuntando da una poltrona girevole. - I lavori verranno ripresi nel pomeriggio, nel frattempo gradirete senz’altro un buon pranzo.

- Pranzo! Perché no? - concordò il Dottore, strofinandosi le mani. - Ma prima devo darvi una notizia meravigliosa.

- Ebbene? - I delegati si erano ormai incuriositi e sporgevano la testa, o le teste, o l’appendice pseudocefalica, ad ascoltare ciò che il nuovo arrivato aveva da annunciare.

Dirlo ad alta voce sembrava così incredibile che per qualche secondo la voce gli si bloccò.

- Lei… loro… noi… Honey aspetta un bambino.

Era qualcosa di universale, che anche davanti a degli sconosciuti di una cultura completamente diversa ottiene la stessa reazione. Chi aveva le mani iniziò a batterle, gli altri espressero le loro felicitazioni ognuno a suo modo; a qualcuno uscì un fuoco d’artificio dalla bocca e andò a esplodere sul soffitto, creando un varco che lasciava intravedere il piano superiore e da cui caddero calcinacci e fiammelle colorate sui presenti, bruciacchiando un po’ tutti.

- Spero che nemmeno questo comprometterà i nostri rapporti, Presidente Malkon - si scusò l’entusiasta pirotecnico, e ben presto l’intera stanza echeggiò di risate.


   
 
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