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Autore: SakiJune    10/07/2014    0 recensioni
Ada Markham vive a Londra e NON è una ragazza come tutte le altre: è una fangirl del Dottore, proveniente da un’altra dimensione. Per un capriccio di Clara, delusa e scontenta dopo la rigenerazione del Dottore, Ada giunge a bordo della TARDIS e gli equilibri stagnanti tra i membri dell’equipaggio subiranno un serio scossone.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Clara Oswin Oswald, Doctor - 12, Jenny, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Threesome
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'From Lungbarrow to Trafalgar Square'
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Il Giocattolaio (chiamato anche Mandarino o più precisamente Guardiano di Cristallo o Guardiano dei Sogni) è uno dei nemici più antichi del Dottore, se non il più antico in assoluto. Compare per la prima volta nel serial "The Celestial Toymaker" della terza stagione, ma il primo incontro tra lui e il Dottore è narrato nel romanzo Divided Loyalties.
Il background di Dorium è una mia pura speculazione, dettata soprattutto dalla sua somiglianza con Varys di Game of Thrones :P




Lo strappò brutalmente al sonno e ai ricordi del cinquantaduesimo secolo e alla quiete della TARDIS, risvegliandolo con un singolo e preciso schioccare di dita nel suo regno folle.

La prima sensazione che Dorium ne ricavò fu di estrema vertigine. Per la prima volta da tanto tempo era fuori dalla sua scatola, e sembrava fluttuare nel vuoto. Stava a più di cinque piedi da terra e non era appoggiato da nessuna parte, e ciò gli sembrò tanto strano e inquietante da indurlo a guardare giù.

E vide.

Stava direttamente sul pavimento a scacchiera, su una casella bianca, per mezzo delle proprie gambe, le gambe flaccide ma ancora in buono stato di cui era stato privato a Demons Run insieme al resto di sé.

Un tizio dall’aria solo in apparenza rassicurante, dai tratti gentili ma con occhi infinitamente più antichi di quelli del Dottore, si profuse in un lieve inchino beffardo.

- Signor Maldovar, benvenuto nella mia modesta dimora.

Non c’era nulla di modesto in quel paesaggio e nulla che assomigliasse ad una casa. Montagne di carte da gioco e fiumi di palline numerate, sotto un cielo fatto a scalini capovolti, circondavano l’immensa scacchiera e il labirinto che si apriva, sghembo e minaccioso, poco distante. Uno schermo fluttuava in aria sopra di esso, recando immagini di un mondo del tutto diverso…

- Che razza di scherzo terribile sarebbe, questo? Non so chi lei sia, ma non mi piace essere preso in giro.

- Sono il miglior amico che potrai trovare. Possiamo darci del tu, non è vero? Dopotutto ti ho fatto un regalo piuttosto cospicuo. Avanti! Occorre riabituarsi, naturalmente. Hai tutto il tempo… un tempo infinito, se sarai collaborativo.

Riabituarsi.

Iniziò a sentire di nuovo quel corpo, una parte alla volta, e la sua mente lo riconobbe come familiare ed amato, per quanto non l’avesse mai particolarmente tenuto da conto prima della battaglia.

Mani che si aprono e si chiudono. Cuore, tum, tum, lo sentiva sotto il tessuto prezioso e trapunto d’oro di una tunica color corallo. Le ginocchia che stanno per cedere e per magia si ricordano come stare su. Ossa, carne e grasso, una massa pesante e sgraziata, ma più che mai concreta e riaccolta con uno stupore per nulla dispiaciuto.

- Non ricordo di aver mai chiesto niente di simile. Non so nemmeno chi tu sia… come credi che possa fidarmi? - Il brillio dei suoi occhi contraddiva le sue parole.

- Lo chiedi ogni giorno, invece. Quel cervellino rumina. Lo chiedi ad ognuno degli dèi di cui conosci il nome. Ogni volta che vedi il Dottore e la sua amichetta affaccendarsi intorno alla console come in una danza. Quando sai che stanno provando dei vestiti. Provano spesso dei vestiti, alcuni vecchi di duemila anni, e ridono. E mentre ridono, alzano e abbassano le spalle. E corrono, li vedi quando corrono? Li senti quando si accoppiano, in camera loro? O forse loro dicono fare l’amore. È la prima stanza a destra, appena imboccato il corridoio, non è vero? Si deve sentire molto bene.

Fu questo l’errore nel piano del Giocattolaio.

Perché sì, era tutto vero, tutto, dalla prima alla penultima parola.

Era vero che li invidiava.

Che talvolta sprofondava nell’autocommiserazione, soprattutto se veniva dimenticato per un mese nel deposito bagagli di una stazione di teletrasporto.

E sì, se ciò che stava vivendo fosse stato davvero un miracolo benigno, Dorium l’avrebbe accolto con gratitudine.

Ma non era un ingenuo. Non lo era mai stato, e per sua fortuna; sin da quando i suoi genitori l’avevano venduto ad una congrega di Neo-Epicurei Venusiani. Ricordava ancora l’odore della rozza anestesia e la ninna nanna che echeggiava tra le pareti del tempio:

Klokleda partha menin klatch, haroon haroon haroon…

Era cresciuto in fretta e aveva imparato a ingannare così com’era stato ingannato, a rubare così come gli era stata rubata la possibilità di imparare ad amare, a dare un prezzo ad ogni cosa così come lui stesso ne aveva avuto uno, forse poco più di una manciata di crediti, troppo poco per quella cicatrice che bruciava e pulsava, per quelle parole aliene che continuavano a rimbalzare nei suoi incubi, troppo poco...

Non era un ingenuo e non avrebbe accettato un dono da uno sconosciuto, soprattutto se dimostrava di non conoscerlo affatto. Gli faceva capire di aver letto nei suoi pensieri, tra i suoi rimpianti, eppure no, aveva commesso un errore grossolano.

Perché era vero che li invidiava.

Ma non per quella cosa.

No, no, non l’aveva mai rimpianto.

E gli faceva orrore possedere quella parte del corpo, dopo decenni e decenni di oblio. Di sentirla. Di provare ciò che non aveva mai provato e tutto questo mentre era prigioniero di un folle.

Soprattutto perché quello schermo che gli stava sopra, così inclinato e immenso, ecco, ciò che mostrava, ora capiva cosa fosse, e non voleva guardare, perché era sbagliato, era

un prato sotto la luce di una strana luna, o forse era una stella, molto grande però, molto vicina e molto grande, e quelle due figure nude e addormentate erano loro, stava guardando dentro di lei

ed era qualcosa di così bello che dovette costringersi a distogliere gli occhi.

- Ora basta. Dimmi che cosa vuoi.

- Che cosa voglio in cambio? Soltanto il piacere della tua compagnia, dopo che avrai convinto il Dottore a rinunciare ad un certo viaggetto verso l’ignoto. - Il suo ospite non aveva distolto lo sguardo. Continuava a godersi la scena ed era sbagliato, oh, tanto sbagliato...

Tentò di attirare la sua attenzione, distrarre anche lui da ciò che considerava sacro. - Non vuoi… non intendi fargli del male?

- Non è mai stata mia intenzione, no. Sarebbe la mia ultima risorsa, e non esiterò a sfruttarla se lo renderai necessario rifiutandoti. Ma no, non ce ne sarà bisogno. Un giorno il Dottore verrà da me, solo e senza scopo… sarà un prezioso guscio vuoto da riempire, una marionetta sotto il mio comando, oh! Saremo una cosa sola, avremo un potere infinito… con il permesso del Guardiano Nero, naturalmente. Oppure no? Forse potrò infischiarmene anche di lui. Nessuno potrà rovinarmi il divertimento, allora… in nessun universo. Ma questo non deve accadere ora, non necessariamente, vedi… potrei lasciarlo persino vivere in pace fino alla prossima rigenerazione, se seguirai le mie semplici istruzioni.

Dorium si trattenne dal mostrare il disgusto che gli saliva dallo stomaco - perché sì, ora aveva di nuovo uno stomaco, già. - Cosa dovrei fare per te?

- Oh, ma certo. Nulla di più semplice. Dovrai convincerlo, e su questo ti lascio carta bianca, che il ritorno dei Signori del Tempo è oltremodo una cattiva idea. Una pessima idea. Un’idea che fa inorridire! - Aveva abbandonato il tono mellifluo e divertito per mostrare, anche se per un istante brevissimo, la sua reale e mostruosa natura. Si ricompose, poggiandogli le mani sulle spalle con fare amichevole. Per quanto lo sconosciuto gli facesse ribrezzo, Dorium non si ritrasse.

- E poi tornerai da me, se lo desideri, in modo definitivo. Ma non puoi non desiderarlo, certo, perché soltanto qui sarai... intero.

Oh, si trattava di questo, naturalmente: un ricatto, uno schifoso ricatto. E per avere che cosa? Una sofferenza in più? La coscienza ancora più sporca in una falsa realtà?

- No. - Chiuse gli occhi, e seppe che nel momento in cui lo faceva era di nuovo nella TARDIS. Li riaprì e ancora quella messinscena illusoria, le caselle del pavimento, il labirinto, lo schermo indecente che stuprava l’intimità di Honey

(non doveva guardare non doveva sentire non doveva essere)

Non era un miracolo, era una tortura.

- Non lo farò. - Scandì ogni parola con la forza di una convinzione ormai indistruttibile. - Io non tradirò il Dottore! Gallifrey tornerà e tu non potrai impedirlo!

Un terremoto scosse il pavimento e sottili crepe si aprirono sulla sua superficie, ma il Mandarino non si agitò più di tanto, pur facendo un passo indietro. Aveva un’aria vagamente delusa, non certo sconfitta.

- D’accordo, non c’è ragione di scaldarsi tanto, amico mio, è solo un gioco. Questa era solo una delle molte opzioni del gioco, in realtà. Visto che non mi lasci scelta, torna pure a goderti il tuo panorama ristretto e a dondolare come Humpty Dumpty sul muretto, per quel poco che avrete ancora da vivere. Oh, sì, perché prima ti lascerò ancora un piccolo omaggio, dritto in quel cervellino moscio. Un regalo per tutti voi, con i migliori auguri degli Eterni...

Una quieta risatina, e poi il dolore - potente, rosso fuoco, rosso come un urlo disperato.



- Sei sveglio? - Honey afferrò il braccio del Dottore, il respiro affannato e il cuore che batteva all’impazzata.

- Ma certo. Che succede?

Il Dottore dormiva raramente, e ancor meno da quando divideva il letto con la sua donna. Sarebbe stato un vero spreco restare con gli occhi chiusi di fianco a tanta indifesa bellezza, così come sarebbe stato stupido vagare per i corridoi della TARDIS aggiustando qualche circuito, consultando mappe o codici o armeggiando con le sue cianfrusaglie in uno dei magazzini, com’era solito fare quando viaggiava solo o con semplici compagni di avventure.

- Qualcuno ci spiava. Qualcuno frugava nel giardino, era dappertutto, era un fantasma, era davvero ovunque… ti prego, dimmi che eri tu. Dimmi che sei entrato a guardarci.

- Era solo un sogno, Honey. Mi dispiace, forse ti avrebbe tranquillizzata sapere che fossi io, ma no. Non ho mai provato a entrare. Non desidero rischiare di sciupare la magia di ciò che vi unisce. Ti guardo mentre dormi, sì, ma penetrare la vostra mente? Mai.

Davvero, lui sapeva a malapena come fosse fatto il mondo interiore di Honey. Sapeva dei libri, che erano tanti e stampati fitti fitti ma pieni di illustrazioni, che contenevano persino ciò che lui stesso non conosceva e non avrebbe mai voluto conoscere… sapeva che era un luogo intimo e bello e sicuro in cui potevano far apparire virtualmente tutto ciò che desideravano, e in esso Clara era ancora Clara, bruna e deliziosa, e Ada era ancora Ada, sottile e appassionata.

Sapeva dei quadri, dei fiori, delle sculture immaginate che prendevano forma dai pensieri d’amore di entrambe, ma non li aveva mai visti.

Non aveva idea della stella solitaria che brillava in quel cielo, custode di un messaggio che nessuna delle due poteva aprire. Né di ciò che le scrutava nell’ombra.

Honey si appoggiò a lui, alzando il volto a guardarlo.

Le sue iridi chiare brillavano nella penombra della stanza, colme d’amore. Erano quanto di più diverso da quella presenza oscura e sfuggente che aveva sentito dentro di sé, e ovviamente gli credette.

- Come diceva il poeta… “Donna, mistero senza fine bello” - Lo bisbigliò in italiano, ma con il suo meraviglioso accento scozzese.

In un contesto più piacevole, Ada e Clara si sarebbero lanciate a gara in un tentativo di traduzione, ma la paura impediva loro di pensare. - Non era solo un sogno.

Il Dottore sospirò, mentre un dubbio planava tra i suoi pensieri. Mosse la mano ad accarezzarle i capelli, cercando forse un granello di polline alieno che potesse aver causato tanto spavento, ma già intuiva che non era quello il caso.

Honey non era più soltanto il sostegno fisico di due anime. Non era più soltanto l’oggetto dei suoi desideri e dei suoi più teneri sentimenti. Era lo scrigno di una nuova, preziosa vita. Era davvero in grado di proteggerli, tutti e tre? Per la prima volta, da quando avevano lasciato Tegan, iniziò a rendersi conto di essere stato imprudente e forse anche irresponsabile. Ma come rinunciare a quella speranza? Come pensare che non fosse la gioia più grande che gli fosse mai capitata in duemila anni? Ma forse… forse doveva portarla sulla Terra o in qualche altro posto sicuro, forse dovevano ripensare tutta la situazione e all’improvviso Gallifrey non gli sembrò più una priorità, tutto il suo mondo era lei e quel miracolo che portava in sé e no, non c’era nulla di più importante...

Fu in quel momento che udirono le grida provenire dalla stanza della console.

   
 
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