Accesero la televisione e misero una soap opera. Questa
sicuramente era nonna, odiavo quel telefilm, non finiva mai e non sapevano
recitare. Mi addormentai e quando mi risvegliai sentii dalla voce del
presentatore al telegiornale che annunciava l’ora. Era sera. Decisi di
riprovarci, volevo muovere le gambe. Proprio quando stavo per sforzarmi al
massimo a muovere le gambe queste si mossero con assoluta facilità, come se non
aspettassero altro. Mi partì in alto il ginocchio e mossi tutte le coperte. Il
letto sobbalzò di poco e ciò mi permise di muovermi dalla posizione scomoda a
cui ero stata costretta e da cui nessuno si degnava di spostarmi, accolsi con
sollievo quel cambiamento. Nonna sentii il rumore e vide che mi ero mossa. –Sei
sempre stata una bambina agitata.- Si alzò mi rimise le coperte apposto e se ne
ritornò a vedere il suo telefilm. Volevo urlare, volevo oppormi, ero stanca di
stare in quella posizione, era una tortura. Stavo urlando dentro, urlando e
piangendo, non ce la facevo più, inoltre in quel momento anche la mia vescica
si risvegliò e cominciai ad avere bisogno di utilizzareil bagno, ma sapevo fare
solo poche e piccole mosse. Continua a piangere e gridare dentro per la
disperazione finchè non mi uscì un sonoro –AAAAH!- Sentii la sedia della nonna
fare un salto. –Oh Dio, Camilla, stai bene? Infermiera! Infermiera, ha
gridato!- Camilla? Non mi uscì più
niente di significativo, la testa mi faceva malissimo per le lacrime e le urla,
l’infermiera venne e mi tastò da qualche parte, venne il turno della pancia e
sussultai.
-Ha gridato, non sta bene? Morirà?-
-No no, si tranquillizzi molto probabilmente i suoi bisogni cominciano a
risvegliarsi. Sicuramente deve andare in bagno, perciò provvederò, finchè non
si muove del tutto non può alzarsi.- spiegò.
Dopo un po’ l’infermiera andò via e così anche il mio bisogno di urinare. Mi
addormentai di nuovo.
Alcune ore dopo o il giorno dopo, non saprei dirlo poiché non sapevo l’orario,
mi risvegliai. Senza quasi accorgermene aprii gli occhi, sentii il familiare
rumore dell’aggeggio meccanico che aveva presieduto le mie giornate, lo vidi
molto più snello di ciò che mi aspettavo. Ero sola, non c’era nessuno. Richiusi
subito gli occhi, non riuscivo a tenerli aperti per molto tempo, c’era una
piccola luce che mi disturbava anche con gli occhi chiusi. Doveva essere notte,
tutto apparte questa luce era al buio. Piano piano mi abituai alla luce della
stanza. Aprii sempre di più gli occhi e per molto tempo di seguito. Ero tutta
intera, non mi mancava nulla. Osservai la stanza, me l’ero immaginata così
tante volte. Speravo quasi che ci fosse qualcosa di familiare come il mio
armadio in camera, oppure la roba in disordine di Alessandra sul pavimento. La
testa mi pulsò forte, fortissimo. –Ahi.- dissi. Con calma alzai le braccia
intorpidite, e con gran sollievo le portai verso la tempia sinistra,
massaggiai, ma il dolore era oramai scomparso, era solo una fitta.
I dottori dissero che dovevo rimanere all’ospedale ancora
per un po’. Mamma e papà mi abbracciarono forte quando mi videro con gli occhi
aperti, mamma pianse un po’. Chiesi
delle spiegazioni e mamma mi disse solamente che avevo fatto un incidente in
motorino, rischiavo di perdere l’uso delle braccia, ho perso molto sangue. Il
medico di turno mi visitò la mattina dopo che mi risvegliai, mia madre, mio
padre e mia nonna erano lì davanti a me e non intendevano andarsene.
-Molto bene Camilla.- disse il medico con la sua voce roca. Camilla. Quel nome
mi suonava così strano, e detto dal medico alto ed imponente sembrava quasi un
rimprovero. Anche lui era strano, dai suoi occhi traspariva la stanchezza e la
falsa gentilezza di chi se ne vuole andare solo a casa.
-Adesso per la procedura, prima di farti uscire dall’ospedale dovrai fare delle
sedute con uno psicologo, è la regola.- pausa, -dopodichè dovrai stare per un
po’ di giorni tranquilla a casa.- Quel suo tono troppo amichevole non mi
convinse molto, lo trovai falso, e quella pausa non faceva altro che accettarmi
dei miei sospetti.
-Ma se non ho niente di rotto perché devo stare a casa?- dissi guardandolo
fissa negli occhi.
Lui diede uno sguardo ai miei genitori, abbassò gli occhi e si rivolse di nuovo
a me –Te l’ho detto, dobbiamo accertarci che tu sia stabile sia
psicologicamente che fisicamente, hai perso molto sangue.- Mi sembrava una
scusa, ma non ci feci caso sul momento, era un medico no? Sapeva quello che
diceva.